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Impresa &Stato n°44-45

Come cambia il lavoro dipendente a Milano

Trasformazioni in atto e previsioni per il quadro occupazionale del capoluogo lombardo: l'indagine Excelsior conferma dati non esaltanti in un biennio caratterizzato da una fase congiunturale di espansione.

di 
Giorgio Giaccardi
  
Il 1997 si è chiuso per il mercato del lavoro milanese con risultati decisamente poco incoraggianti. Il dato più sintetico e riassuntivo (Tab.1) riguarda la contrazione dello stock di occupati rispetto all’anno precedente (-0,9%) pur in presenza di una fase congiunturale espansiva (ma l’evidenza di una ‘jobless growth’ non sorprende ormai più), con una performance peggiore rispetto all’ambito regionale e nazionale dove si registra quantomeno una tenuta dei livelli occupazionali. Accanto a questo fenomeno, si verifica a Milano anche una contrazione delle forze di lavoro (-1,5%), di entità significativa e nettamente superiore al dato lombardo (-0,1%) e di segno opposto alla tendenza nazionale (+0,2%). Se la contrazione degli occupati, che porta con sé anche la riduzione del tasso di occupazione dal 53,2% al 52,6%, sta ad indicare la debolezza dell’impatto dello sviluppo economico sulla creazione di occupazione, la riduzione delle forze di lavoro (e del tasso di attività, dal 57,8% al 56,8%) esprime anche l’indebolimento dell’offerta di lavoro, della spinta a ricercare un’opportunità lavorativa: meno forze di lavoro, infatti, ha significato nel 1997 una netta riduzione delle persone in cerca di occupazione (-7,8%), che non si è però tradotta in un incremento di occupati (calati dello 0,9%, come si è detto), ma in un aumento delle non forze di lavoro in età lavorativa (+2,4%), di coloro cioè che, pur essendo in una fascia di età che consente in linea teorica di svolgere un’attività lavorativa (15-70 anni),  

Tab.1: Variazione % 1997/1996 dei principali indicatori sulle forze di lavoro - Milano (compresa Lodi) e Lombardia 

non cercano alcuna occupazione (per scelta, per scoraggiamento, per mancanza di condizione adeguate, ecc.). Questo insieme di fenomeni segna dunque l’affievolimento di quello che era un tradizionale punto di forza di Milano, cioè la dinamicità dell’offerta di lavoro: il tasso di attività, che a Milano appariva tradizionalmente superiore rispetto all’ambito lombardo, risulta infatti appiattito nel ’97 su valori pressoché identici tra la regione e il suo capoluogo. La riduzione del tasso di disoccupazione intervenuta a Milano tra il’96 e il ’97 (dall’8% al 7,4%), allora, non rappresenta di per sé un fenomeno eclatante, se è vero che esprime più una riduzione della spinta alla ricerca di lavoro che un aumento delle possibilità di trovarlo. 
La dinamica occupazionale può poi essere inquadrata più analiticamente considerandone l’andamento per settore e per tipologia professionale nell’ultimo quinquennio, per capire dove si concentrino le limitazioni strutturali alla crescita e dove invece si possano intravedere spazi di crescita o quantomeno di tenuta delle opportunità lavorative (Tab.2). In primo luogo, risulta confermata e perdurante la tendenza verso una crescente terziarizzazione. Tra il ’93 e il ’97, gli occupati nei servizi a Milano sono cresciuti di quasi il 5% portandosi così al 62,4% del totale, con una sostanziale tenuta anche nel commercio (+0,7%, che porta l’incidenza degli addetti di questo settore sul totale dell’economia al 17,1%), mentre l’industria manifatturiera ha subito una flessione del 13,3% (con un’incidenza che scende dal 34,1% al 30,4%) e quella delle costruzioni del 7,4%, con una perdita secca di quasi il 12% concentrata nel ’97. Tutto questo mentre si registra una sostanziale tenuta degli occupati industriali complessivi a livello nazionale (-0,5%) e una perdita contenuta a livello lombardo (-1,3%). La quantità di persone cui l’industria milanese riesce a dare un’occupazione continua quindi ad assottigliarsi, non solo tra gli organici delle imprese ma, a partire dal ’97, anche e soprattutto tra i lavoratori indipendenti.  

Tab. 2: Variazione % degli occupati per tipologia e settore - Milano (compresa Lodi) 

Quest’ultima precisazione è d’obbligo, poiché un altro discrimine che si rivela utile per una migliore comprensione delle dinamiche di diversi aggregati occupazionali è dato appunto dalla linea che divide il lavoro dipendente da quello indipendente. Complessivamente, il primo si riduce nell’ultimo quinquennio del 3,8%, mentre il secondo aumenta dell’1,9%, per cui l’incidenza dei dipendenti scende dal 77,5% al 75,6% e quella degli indipendenti sale dal 22,5% al 24,4%. Gli occupati dipendenti, ridimensionati così nella loro consistenza numerica e nella loro incidenza proporzionale, mostrano peraltro una maggior tenuta nell’ultimo anno (+0,2%), che ha visto invece una netta inversione del trend espansivo degli indipendenti (-4,3%). Nell’industria, come si diceva, la contrazione occupazionale intervenuta tra il ’93 e il ’97 è principalmente imputabile al segmento indipendente (che perde il 15,7% di occupati), ma anche gli organici delle imprese si riducono, seppur in misura minore (-11,1%). L’occupazione terziaria vede invece crescere nel ’97 la componente dipendente (+2,7%), in misura maggiore rispetto a quella indipendente (+0,4%), forbice che risulta poi ben più allargata all’interno del commercio (+6,3% contro  
-4,6%), anche se nell’arco degli ultimi 5 anni complessivamente il lavoro in proprio nel terziario ha conosciuto un tasso di crescita molto elevato (+11,9%). Allora, il segnale nuovo più importante dell’anno da poco concluso sembra essere quello di una maggior tenuta del lavoro subordinato, quantomeno nel terziario, grazie ad una dinamica delle assunzioni in ripresa.  
Quest’ultima è documentata dai flussi di avviamenti che ricominciano a crescere tra il ’96 e il ’97 in misura del 2,4%, grazie soprattutto al contributo del terziario, mentre l’industria mantiene pressoché invariato il numero di avviamenti dell’anno precedente. L’aumento nei flussi di nuovi ingressi di lavoratori nelle imprese è probabilmente connesso all’incremento delle assunzioni con contratti ‘atipici’ (part time e flessibili), che rappresentano più del 60% dei nuovi rapporti di lavoro subordinato, e quindi consentono in tempi di espansione congiunturale maggiore flessibilità nell’adeguamento degli organici da parte delle imprese. 
Per quanto riguarda infine la discriminante di genere, la contrazione occupazionale tra il ’96 e il ’97 ha riguardato principalmente la componente maschile (-1,2%), e in misura più contenuta le donne (-0,5%), che rispetto al ’93 mostrano comunque un livello occupazionale leggermente superiore (3.000 unità). La tenuta complessiva dell’occupazione dipendente tra il ’96 e il ’97 è dunque interamente attribuibile proprio alla componente femminile (+0,9%), a fronte di una lieve riduzione dei lavoratori subordinati di sesso maschile, mentre il calo degli indipendenti riguarda entrambi i segmenti di occupati. Il tasso di occupazione femminile, peraltro, staziona su valori molto più bassi rispetto a quello maschile (41,3% contro 64,1%), ed è proprio da questa peculiarità che deriva il gap rispetto alla media europea in termini di partecipazione della popolazione al mercato del lavoro: il tasso di occupazione milanese era nel 1995 del 52,1% a fronte del 56,4% medio europeo, con punte molto più elevate come nel caso della Gran Bretagna (69,3%), favorita sotto questo aspetto da politiche di forte incentivazione del part time in grado di ampliare la base occupazionale femminile. 

L'EVOLUZIONE DEL LAVORO DIPENDENTE: UN QUADRO QUANTITATIVO 
L’indagine campionaria Excelsior conclusa da qualche mese consente di approfondire la conoscenza dell’universo del lavoro dipendente - sul quale focalizzeremo questa seconda parte dell’analisi - in modo molto più dettagliato rispetto alle tradizionali fonti statistiche disponibili, sia fornendone una fotografia al 31.12.96 che ne coglie dimensioni e articolazione interna, sia cercando di prevederne l’evoluzione dal lato della domanda sino alla fine del 1998. 

Tab. 3: Movimenti previsti di dipendenti in entrata e in uscita nel biennio ‘97-’98, in % rispetto agli organici presenti al 31.12.96  

La performance dell’occupazione dipendente milanese nel biennio 1997-98, quale emerge dai risultati di Excelsior, dovrebbe portare sostanzialmente ad una conferma degli attuali livelli, con un lieve aggiustamento in crescita dello 0,1%. È un dato non certo esaltante in un biennio che con tutta probabilità sarà interamente caratterizzato da una fase congiunturale espansiva, e che - fatta eccezione per le regioni del Nord Ovest - porterà quasi ovunque in Italia tassi di crescita degli organici delle imprese superiori a quello previsto per Milano (Tab. 3), con un valore medio nazionale del +0,6%, che sale a +1,7% nel Nord Est, a +1,5% in Emilia, a +0,7% al Sud, e a +0,4% nella stessa Lombardia. Va precisato che l’indagine non copre l’intero universo del lavoro dipendente, dal quale restano esclusi da un lato alcuni comparti del terziario, dall’altro i flussi in entrata dovuti alle imprese costituite nel biennio ‘97-’98 e quelli in uscita determinati dalla cessazione di imprese nel medesimo periodo. Scontata dunque la non esaustività del quadro previsivo qui delineato, e stante l’attuale esaurimento del processo di crescita dell’occupazione indipendente che abbiamo rilevato poc’anzi, si può quantomeno ipotizzare che la stasi del lavoro dipendente che si prevede caratterizzerà l’evoluzione a breve termine del mercato del lavoro milanese si tradurrà in un ristagno delle opportunità lavorative complessive. Il gap della performance occupazionale milanese rispetto ad aree in più forte crescita come il Nord Est deriva soprattutto da una dinamica più ridotta delle assunzioni nel biennio in esame (che nel Nord Est rappresentano il 6,7% dello stock di dipendenti a fine ’96, contro il 5,4% milanese), mentre l’inferiorità rispetto al dato medio regionale non si gioca sull’entità dei flussi in ingresso, sostanzialmente analoghi tra i due ambiti territoriali, ma su quella dei movimenti in uscita, pari a Milano al 5,3% degli organici contro il più ridotto 4,9% lombardo. Dunque, un dinamismo ridotto in termini di espansione della base occupazionale rispetto ad altre aree più vitali, che si coniuga - con effetto netto penalizzante - ad un tasso di fuoriuscita dei dipendenti dalle imprese superiore a quello regionale, e che colloca la provincia milanese ad un livello di performance intermedio tra le spinte espansive del Nord Est e la recessione occupazionale delle aree nord-occidentali. 
L’industria si conferma come l’ambito produttivo soggetto al maggior ridimensionamento occupazionale, con una contrazione degli organici a Milano dell’1,1% (-0,5% in Lombardia, +1,6% nel Nord Est, +0,5% in Italia) che non dipende dal ritmo di fuoriuscita dei dipendenti (ormai contenuto, pari a 4,6% degli organici in due anni, e inferiore a quello nazionale e anche a quello del Nord Est) ma dalla scarsa dinamica delle nuove assunzioni (3,6%, contro il 6,3% del Nord Est e il 4% lombardo). È quest’ultimo fenomeno a rivelare con più evidenza l’indebolimento della dinamica occupazionale industriale a Milano, dato che l’incidenza delle nuove assunzioni risulta inferiore anche rispetto alle aree metropolitane o regionali del Nord Ovest (4,5% a Torino, 4,4% in Liguria), che proprio grazie a questa maggior vivacità delle assunzioni subiscono nel complesso perdite più contenute di occupazione industriale. Si tratta di un aspetto critico che coinvolge quasi tutti i comparti industriali di punta (stampa-editoria, chimica, elettronica), e anche nelle produzioni in cui l’incidenza delle assunzioni supera i valori medi (industria meccanica ed elettrica) il saldo occupazionale viene penalizzato da un tasso di espulsione proporzionalmente maggiore. In crescita risultano solo il comparto della gomma e materie plastiche (+1,7%, con la più alta incidenza di nuove entrate in ambito milanese), dei metalli (+0,5%) e del legno (+1,1%), oltre ad altri numericamente meno rilevanti. Valutando invece l’incidenza dei vari comparti sul totale delle nuove assunzioni, queste risultano concentrate a Milano in misura relativamente maggiore nel comparto delle macchine elettriche ed elettroniche (che contribuiscono per il 5,8% al totale delle entrate) e nell’industria chimica (3%). Particolarmente negativa, infine, l’evoluzione occupazionale prevista nel settore delle costruzioni, pari a -1,8% a Milano, con un’incidenza delle entrate sul totale (2,5%) pari a meno di un terzo di quella registrata nel Nord Est (8,5%). 
Il terziario cresce (+1,3%), ma anche in questo caso meno che in Lombardia (+1,8%) e nel Nord Est (+1,7%, all’interno del quale spicca il +3% di Bologna), seppur in misura superiore alla media nazionale (+0,9%), confermandosi quindi come il solo ambito dal quale potersi aspettare un contributo espansivo all’occupazione (pari nel biennio in esame al 66,7% delle nuove assunzioni previste dalle imprese, a fronte del 53,6% lombardo). Più di 1/4 della domanda di lavoro complessivamente espressa dalle imprese milanesi è concentrata nel commercio, quota decisamente superiore a quella media nazionale e ancor più a quella del Nord Est (12,5%), che consentirà all’occupazione dipendente di questo comparto terziario una crescita del 3,3%. Superiore alla media provinciale anche l’incremento degli organici nel comparto dei servizi alle imprese, dove è pari a +2,6% e consente di assorbire il 17,5% delle nuove assunzioni (anche nel Nord Est il tasso di sviluppo occupazionale in questo ambito comincia ad essere molto sostenuto, con un incremento del 3,3% e un’incidenza sugli organici delle entrate previste che sfiora il 10%). Molto contenuto invece il contributo occupazionale delle imprese che vendono servizi alle persone, che concorrono alla domanda di lavoro complessiva solo in ragione del 2,1% e mostrano a fine ’98 un saldo occupazionale prevedibilmente negativo (-0,7%). Non si tratta però in questo caso di ‘crisi di crescita’, cioè di stabilizzazione su livelli di attività tali da non consentire significativi incrementi, ma anzi del persistere di un’ulteriore anomalia di Milano rispetto ad altre aree europee economicamente avanzate, data appunto dal basso sviluppo di questo ambito di attività che - per le sue caratteristiche labour-intensive e l’elevata femminilizzazione dell’occupazione al suo interno - potrebbe invece costituire un ambito importante di allargamento della base occupazionale provinciale. Del resto, nella stessa Bologna si prevede che a fine ’98 gli addetti nel comparto dei servizi alla persona rappresenteranno il 2,9% dell’occupazione dipendente locale a fronte del 2,3% della provincia di Milano, grazie ad un’espansione molto significativa nel biennio ‘97-’98 (+4,5%, contro il -0,7% milanese). In netto calo poi gli addetti nel ramo assicurativo (-1,5%), e in lieve crescita (+0,6%) i bancari, ma per effetto più di un basso turnover in uscita che di una dinamica apprezzabile in entrata. 
Sotto il profilo dimensionale, le assunzioni previste si caratterizzano a Milano per il contributo relativamente maggiore offerto dalle imprese medio-grandi (sopra i 200 addetti). Mentre infatti la piccola e piccolissima impresa milanese (sotto i 10 addetti) esprime previsioni di assunzioni in ragione del 20,6% complessivo (a fronte del 28,1% lombardo, 36,6% del Nord Est e 40,8% medio nazionale), quella medio-grande contribuisce a Milano per il 40,6% della domanda di lavoro locale, quota che scende al 31,8% in Lombardia e via via fino al 23% medio nazionale. Peraltro, le imprese medio-grandi sono anche quelle che esprimono i maggiori tassi di turnover in uscita, per cui complessivamente si prevede una contrazione dell’1% dei loro organici, a fronte di una crescita dell’1,5% di quelli delle imprese sotto i 10 addetti. Esse hanno quindi un ruolo molto più forte a Milano che altrove nel fornire posti di lavoro, e sono perciò necessarie nel sostenere lo sviluppo economico e l’equilibrio sociale complessivo, ma di per sé non creano nuova occupazione perché continuano a ‘distruggerne’ in proporzione superiore (ricordiamo che tra l’81 e il ’94 questo segmento di imprese a Milano ha effettuato tagli dei propri organici in misura pari a circa il 35%), per cui la finalità di espansione della base occupazionale fa convergere le aspettative verso le piccole e medie imprese (che fino ai 50 addetti presentano a Milano un saldo netto positivo di variazione dell’organico), anche se queste incidono sulla struttura occupazionale in misura relativamente inferiore che altrove e sono quindi in grado di offrire un contributo proporzionalmente meno rilevante alla dinamica complessiva del mercato del lavoro. 

Tab. 4: Milano, Lombardia, Nord Est, Italia - Distribuzione percentuale entrate e uscite lavoratori dipendenti 1997-1998 e variazione % rispetto allo stock di dipendenti al 31.12.96  

È comunque importante cogliere la specificità dell’impresa media (tra i 200 e i 500 addetti) rispetto a quella grande. Se infatti l’indagine Excelsior non consente di distinguere tra le due classi dimensionali, va ricordato che nella fase recessiva compresa tra il ’92 e il ’94 la media impresa è riuscita a contenere le perdite occupazionali al -1,9%, a fronte di un calo degli organici della grande impresa dell’ordine di quasi il 4%, e che i segnali attuali sembrano confermare la maggior potenzialità occupazionale che può esprimere la media impresa rispetto alla grande. 
Infine, sotto il profilo della ‘terziarizzazione implicita’, ossia della presenza della componente impiegatizia all’interno degli organici di impresa, a Milano già da tempo si è realizzato il ‘sorpasso’ della componente impiegatizia su quella operaia (50% la prima e 47,6% la seconda nel ’96, oltre al 2,4% di dirigenti), rapporto invece che assume una configurazione decisamente più tradizionale sia in ambito regionale (39,7% impiegati, 58,5% operai) che ancor più in quello nazionale (34,9% e 63,9%). La dinamica prevista per il ‘96-’98 sembra rafforzare questa peculiarità di Milano, unico ambito territoriale tra i quattro qui messi a confronto in cui la componente operaia dell’occupazione dipendente subirà un’ulteriore contrazione (-0,5%, contro il +0,6% impiegatizio).  

I PROFILI PROFESSIONALI PIU' RICHIESTI DALLE IMPRESE MILNESI 
Cercando poi di delineare il quadro delle figure professionali più richieste dal sistema economico milanese, anche in termini comparativi rispetto alla dinamica regionale, emerge in primo luogo una forte concentrazione in una decina di tipologie, che rappresentano l’84,5% delle 54.092 assunzioni complessivamente previste nel biennio ‘97-’98 (Tab. 5), mentre nella ‘top 10’ lombarda si concentra solo il 68% della domanda di lavoro.  
Le figure più richieste sono le professioni intermedie di ufficio, dove ‘intermedie’ si riferisce al livello di specializzazione (competenze tecniche specifiche e livello di inquadramento medio-alto ma non dirigenziale). Si tratta soprattutto di addetti al rapporto con i mercati (in particolare tecnici di vendita e distribuzione) e all’amministrazione (prevalentemente contabili). Nel loro insieme assorbono 9.285 assunzioni, pari al 17,2% dei nuovi ingressi; l’entità sostenuta di questa domanda determina una certa tensione sul mercato, quantificabile in una percentuale di segnalazioni di difficile reperimento pari al 25,2% (contro il 19,4% medio), che raggiunge picchi particolarmente elevati per i tecnici del marketing (68,8%) e per gli agenti assicurativi (48%). Riguardo ai tecnici del marketing, va sottolineato il fatto che due terzi della domanda di questa figura proviene dalle imprese sotto i 50 addetti, a segnalare quindi in chiave organizzativa un percorso di orientamento verso la rilevazione dei bisogni del mercato da parte delle pmi milanesi (l’incidenza scende al 56% per le pmi lombarde). Larga diffusione sembrano incontrare i contratti a tempo determinato (comprensivi dei cfl, ma non delle assunzioni stagionali), che dovrebbero riguardare il 39% dei casi (contro un’incidenza media tra le nuove assunzioni del 35,2%), mentre molto inferiore al dato medio sono le assunzioni a part time nelle professioni a maggiore ‘cumulatività’ e specializzazione del sapere (2,2%, contro il 5,3% medio). 
Al secondo posto figurano le professioni commerciali (6.795 assunzioni pari al 12,6% del totale), cioè gli addetti alla vendita, la cui intensità di domanda va di pari passo alla crescita degli occupati dipendenti nel commercio che tutti gli indicatori sin qui considerati hanno messo in evidenza. Di facile reperibilità sul mercato, fortemente ‘atipizzate’ (42,2% assunzioni a tempo determinato, 5,3% part time), appaiono nettamente concentrate nelle grandi imprese operanti nel commercio (di dimensione superiore ai 200 addetti), che assorbono più del 57% della domanda. In Lombardia, pur mostrando una dinamica altrettanto apprezzabile, queste professioni sono meno rilevanti all’interno della domanda complessiva (occupando il 4° posto in questo ordinamento per ‘gruppi’ di mansioni), per cui l’economia milanese sembra orientata anche in termini relativi a rafforzare la sua intensità occupazionale nel settore della distribuzione commerciale (che già assorbe - insieme al comparto dei servizi turistici e alberghieri (cfr. infra) - il 17% degli occupati). 

Tab. 5: I primi 10 gruppi di professioni più richieste dalle imprese milanesi- 1996-1998 

Seguono quindi gli impiegati d’ufficio (5.640 assunzioni, pari al 10,4% del totale), gruppo di mansioni di tipo esecutivo per attività di amministrazione e gestione, tra le quali prevalgono le richieste di impiegati per la gestione magazzini e di personale di segreteria (con un’elevata concentrazione della domanda in entrambi i casi presso le microimprese tra 1 e 9 addetti). Molto elevato il ricorso a contratti a tempo determinato (quasi 4 su 10) e soprattutto al part time (8,2%, a fronte del 5,3% medio), data anche l’elevata femminilizzazione delle professioni qui comprese. 
Al quarto posto si collocano le professioni in attività turistiche ed alberghiere (5.431 figure ricercate, pari a 1 su 10), la cui domanda in Lombardia pesa invece sul totale per poco più del 6%. Si tratta quasi esclusivamente di addetti alla ristorazione, mentre marginale è la quota di assunzioni negli esercizi alberghieri (che è destinata prevalentemente alla sostituzione di addetti in uscita). Mentre quindi le strutture ricettive non offrono un contributo all’espansione occupazionale, importante sotto il profilo è la domanda proveniente dalle grandi imprese della ristorazione che richiedono il 76,4% di queste figure professionali. Pressoché nulle le difficoltà di reperimento, che vengono dichiarate solo nel 2,6% dei casi a fronte di un 9,5% regionale: la differenza tra i due valori (comunque entrambi minimali) denota la maggiore disponibilità nel mercato del lavoro milanese di un segmento di offerta di lavoro pronto ad impiegarsi in attività scarsamente qualificate. Peraltro - come preciseremo tra breve, incontrando figure operaie non ancora presenti fino a questo punto dell’ordinamento di preferenze - questo fenomeno si verifica con molta più evidenza nel terziario che nell’industria. Banalizzando la questione, si potrebbe dire che si preferisce faticare in un fast food che su una catena di montaggio, stante il basso livello di qualifica e le scarse prospettive di crescita professionale e salariale in entrambi i casi. Una determinante di questa preferenza potrebbe essere data dalla maggior diffusione di forme di lavoro più flessibili per le professioni terziarie in esame (53% di tempi determinati e un elevatissimo 27,4% di part time), che, soprattutto nel caso dei rapporti a tempo parziale, consentono una maggior sostenibilità della fatica legata all’erogazione della prestazione lavorativa; inoltre, come emerge dalla Tab. 6, si tratta di figure per le quali - al pari di altre mansioni terziarie dequalificate, come i servizi di pulizia - le imprese raramente pongono requisiti restrittivi in termini di limiti di età. 
Al quinto posto incontriamo delle figure operaie, cioè gli addetti al montaggio e a macchine per lavorazioni in serie, quello stesso gruppo che, mentre a Milano assorbe il 7,3% della domanda di professioni (4.437 addetti), in Lombardia si colloca al secondo posto con un’incidenza del 12,8% sul totale delle entrate previste. Si tratta di figure non specializzate ma che comunque presentano una difficoltà di reperimento da parte delle imprese superiore alla media (30,8% dei casi), a conferma dell’impressione anticipata poc’anzi per cui il posto in fabbrica (che poi di ‘posto’ solo nel 63% dei casi si tratta, perché negli altri è un contratto a tempo determinato) non appare in cima alle preferenze di quel segmento dell’offerta di lavoro che gravita nell’area milanese. Se dunque le difficoltà nel reperire manodopera sul mercato si riscontrano non solo per figure specializzate, ma anche per operai a qualifica medio-bassa, il problema del mismatch tra domanda e offerta (che non assume comunque dimensioni rilevanti) non si gioca solo sull’inadeguatezza del sistema formativo, ma si lega evidentemente anche ad un mutamento nel sistema di preferenze delle forze di lavoro. In questa ottica, forzando un po’ alcuni segnali parziali per cercare di far emergere processi di più ampia portata, il declino dell’industria a Milano - che abbiamo visto proseguire anche nel 1997 - e la conseguente riduzione della domanda di lavoro in questo settore sembrerebbero andare in parallelo ad un riorientamento dell’offerta verso le professioni terziarie. Se questo è vero, si può allora sostenere che le tensioni maggiori sul segmento di occupazione dipendente dell’industria manifatturiera a Milano non derivano prevalentemente dalla scarsa capacità di creare lavoro aggiuntivo in questo ambito; piuttosto, forti criticità si riscontrano nella gestione del turnover in uscita, che coinvolge lavoratori adulti, difficilmente ‘riconvertibili’ ad altre attività interne o esterne all’industria. 

Tab. 6: I primi 10 gruppi di professioni più richieste dalle imprese milanesi- 1996-1998 

Nelle liste di mobilità (che offrono le informazioni più adeguate a riflettere su questo fenomeno), infatti, a dicembre ’97 quasi il 50% degli iscritti milanesi (pari a 13.242 persone) è ultracinquantenne. Ad essi si può sommare il 23,9% di iscritti tra i 40 e i 49 anni (6.147 persone) per ottenere una stima dell’incidenza, tra i lavoratori estromessi dai cicli produttivi, di coloro le cui biografie lavorative subiscono cesure che per larga parte sono difficilmente sanabili: a fine ’97, solo il 32% dei lavoratori ultracinquantenni viene riavviato ad un lavoro dipendente tramite questo strumento di politica del lavoro (efficacia peraltro in aumento, rispetto al 24% di metà ’96), mentre per la fascia dei quarantenni le chance non superano il 57% (a fronte, a titolo comparativo, dell’83% degli under 30 e del 69% della fascia dei trentenni). Nel valutare queste cifre, inoltre, va tenuto presente che si tratta di lavoratori per i quali sono comunque previsti incentivi e strumenti di supporto al reinserimento in azienda, e che dunque verosimilmente godono di chance di ricollocamento superiori a quelle dell’insieme di lavoratori di corrispondente fascia di età. Del resto, come mostra la Tab. 6, 1 su 3 tra le nuove assunzioni è destinata esclusivamente a giovani sotto i 25 anni, e nel caso di figure operaie spesso le imprese pongono questo limite di età per il 50-60% delle richieste di personale. In Lombardia e nel resto d’Italia il requisito sulla giovane età si rivela ancora più stringente (e quindi critico per l’ordine di problemi appena ricordato), essendo posto come condizione per l’assunzione rispettivamente nel 40,3% e nel 41,5% dei casi. 
Seguono poi, continuando a scorrere l’elenco dei primi 10 gruppi di professioni richieste, le professioni intermedie in scienze fisiche, naturali, ingegneria (soprattutto disegnatori industriali, tecnici informatici, elettronici e in telecomunicazioni); gli operai metalmeccanici specializzati, di difficile reperimento sul mercato (32,1% dei casi, che però denota una disponibilità maggiore di queste figure per le imprese milanesi rispetto a quelle lombarde che segnalano strozzature nell’offerta nel 42,3% dei casi), presso i quali conoscono scarsissima diffusione i rapporti di lavoro atipici (13,3% a tempo determinato e addirittura nessun part time tra le assunzioni previste), con prevalenza di meccanici-montatori-riparatori tra le microimprese e di addetti a manutenzione e installazione presso le medie-grandi; gli specialisti in scienze dell’uomo (prevalentemente professionalità specializzate in scienze economiche), che presentano una difficoltà di reperibilità superiore alla media ma inferiore rispetto alla Lombardia, e sono scarsamente interessati da rapporti atipici; le professioni concernenti servizi alle famiglie, tra le quali prevale il personale esecutivo di pulizia caratterizzato da elevata facilità di reperimento (4,7%, molto inferiore al 12,4% regionale), incidenza alta dei rapporti part time (11,3%) e relativamente ridotta di quelli a tempo determinato (11,3%). 
È possibile quindi riassumere le indicazioni principali derivanti da questa rassegna delle professionalità più richieste dalle imprese milanesi nei seguenti punti: 
1) le difficoltà di reperimento sul mercato sono mediamente basse, pari al 19,4% dei casi contro il 26,7% delle segnalazioni regionali: pressoché all’interno di ogni segmento professionale, quindi, le imprese milanesi sono soggette a vincoli molto minori nella ricerca di personale rispetto a quelle lombarde. Nell’ambito di questa situazione comunque non problematica, le difficoltà relativamente superiori - come era del resto già noto - riguardano il reperimento di operai specializzati (ma, seppure in misura minore, anche di generici), mentre l’offerta di lavoro risulta fortemente orientata verso le occupazioni terziarie, seppur a bassa qualifica, prospettive molto basse di crescita professionale e salariale ed elevata precarietà; 
2) la diffusione dei rapporti di lavoro atipici (quantomeno nelle previsioni delle imprese) procede con forte intensità ma con altrettanta disomogeneità: il part time, ad esempio, risulta ancora pressoché sconosciuto da un lato nei reparti produttivi delle fabbriche (da cui forse anche la bassa offerta di lavoro relativa), dall’altro per mansioni ad elevata ‘cumulatività’ del sapere, mentre viene utilizzato prevalentemente nel terziario e per le mansioni più femminilizzate; i rapporti a tempo determinato risultano invece sempre più diffusi anche tra le professioni intellettuali ed operaie (spesso nella forma di contratti di formazione lavoro, che a Milano incidono per più del 30% sugli avviamenti a tempo determinato e risultano in crescita dalla seconda metà del ’96); 
3) la domanda di lavoro da parte delle piccole imprese risulta più elevata rispetto alla media per le figure operaie specializzate, ma più debole per professioni che hanno a che fare con la gestione del personale, i rapporti con il mercato, la manutenzione presso i clienti, e in generale relative a funzioni o più efficacemente esternalizzabili, o sulle quali la piccola impresa sconta tradizionalmente una certa debolezza. Sono comunque da rilevare alcuni segnali che evidenziano una attenzione espressa dalle piccole imprese milanesi, in modo più marcato che per le imprese lombarde, verso funzioni più innovative rispetto alla loro vocazione prevalentemente ‘produttiva’, come ad esempio la maggiore rilevanza da parte delle prime della domanda di ‘tecnici del marketing’. 
Per quanto riguarda infine il profilo formativo scolastico delle professionalità ricercate dalle imprese milanesi, il livello culturale da esse richiesto risulta decisamente più elevato: la laurea costituisce un requisito per le imprese del capoluogo nel 15,2% dei casi contro il 10,3% regionale, e il diploma superiore nel 40,3% contro il 35%, mentre solo nel 14,4% dei casi risulta sufficiente la qualifica media inferiore contro il 23,6% lombardo. Va comunque tenuto in debito conto l’effetto ‘distorsivo’ sul fenomeno in esame derivante dalla maggiore presenza sul territorio milanese di attività terziarie e di imprese medio-grandi, entrambe tradizionalmente a maggiore intensità di qualifiche scolastiche medio-alte rispetto all’industria (il 52,7% dei laureati sarà assorbito a Milano da imprese oltre i 200 addetti). Tra l’altro, le piccole imprese milanesi (sotto i 50 addetti) mostrano una minor capacità di assorbimento di laureati rispetto a quelle lombarde, dato che solo il 18% di questi verrà richiesto dalle pmi milanesi contro il 21,6% a livello regionale. Maggiore è anche il profilo culturale dell’offerta sul mercato del lavoro milanese, come si può desumere dalle difficoltà di reperimento sia di laureati, che sono segnalate a Milano nel 21,5% dei casi, che di diplomati (14,5%), contro rispettivamente il 24,6% e il 19,1% lombardi. In rapporto alla diffusione di lavori atipici, il grado del titolo di studio non sembra consentire un maggior potere contrattuale del lavoratore nell’ottenere un ‘posto fisso’, dato che il lavoro a tempo determinato coinvolgerà il 34% dei laureati e addirittura il 49,4% dei futuri assunti in possesso di diploma universitario. Molto bassa, infine, è la percentuale di laureati richiesti a part time (0,9%), forma evidentemente intesa dalle imprese milanesi prevalentemente per basse professionalità.