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Impresa & Stato n°35

Nuovo patto sociale
vecchia rappresentanza

di Gilberto Seravalli

Come fondare una nuova politica per le imprese.
Un nuovo patto sociale per un nuovo controllo dei cittadini
su fiscalità e servizi resi dallo Stato.
Federalismo e sussidiarietà.

Il successo economico dei distretti industriali è stato basato, nella sostanza, su un sistema di produzione che ha permesso l'innovazione e non solo bassi costi. I fattori istituzionali sono stati pertanto decisivi. Orientati nel loro complesso al controllo dell'incertezza, hanno permesso un efficace equilibrio tra competizione e collaborazione. Esso ha potenziato la capacità di progettare riducendo la minaccia dell'esclusione, che non costituisce affatto un incentivo a fare meglio, ma impedisce di pensare lontano, di fare progetti di miglioramento per il futuro, di rischiare, cambiare, inventare. Questa specificità istituzionale dei distretti emerge, del resto, come il loro carattere più profondo e duraturo, anche di fronte a cambiamenti che sono stati rilevanti nell'organizzazione produttiva. E ha coinvolto rapporti attivi tra imprese, associazioni imprenditoriali, sindacati, Camere di Commercio, poteri pubblici locali e grandi partiti. Come ha documentato in più occasioni Carlo Trigiglia, la parte pubblica e politica, seppure con modalità da luogo a luogo diverse, non ha avuto un ruolo secondario. Eppure non sembra affatto che oggi si possa tranquillamente ragionare sulle nuove cose da fare senza tener conto che anche le istituzioni locali subiscono un processo di deterioramento (meno mezzi, meno credibilità, meno immagine), di riflesso dalla caduta di legittimazione che ha subìto in Italia il sistema pubblico in generale. Non deve essere sottovalutato quanto emerso nella ricerca promossa dall'Unioncamere alla fine del 1994. Se l'87% dei 600 piccoli e medi imprenditori intervistati in 12 distretti industriali giudica bassa o molto bassa la capacità dei partiti tradizionali di difendere i loro interessi, i governi locali raggiungono una percentuale di giudizi negativi del 58%, maggiore di quella dei nuovi politici (49%) e delle Camere di Commercio (35%) e molto maggiore della percentuale di giudizi negativi meritati dalle associazioni di categoria (21%). Questa vera e propria crisi di fiducia è una minaccia molto grave. E questo emerge dalla stessa ricerca. Mentre infatti il 54% dei 600 piccoli e medi imprenditori intervistati indica che i governi locali dovrebbero "limitarsi a garantire il funzionamento dei servizi pubblici di base e delle infrastrutture", che sono considerati tra gli interventi decisivi subito dopo la "detassazione degli utili reinvestiti", tale giudizio riduttivo appare, tuttavia, più "rassegnato" che definitivo, se è vero che alla domanda «quali sono gli obiettivi più importanti che dovrebbero orientare l'azione polica?» il 17% risponde "la solidarietà sociale", una risposta che viene subito dopo "l'efficienza produttiva" (26%) e "l'integrazione europea" (20%).
Una politica per i distretti industriali non può essere fatta, dunque, se non si ristabilisce nelle imprese, come nei cittadini, la fiducia nelle pubbliche istituzioni.
Si è rotto il sistema degli incentivi che, prima di ogni misura organizzativa, è indispensabile per spingere le istituzioni a fare e a fare bene. Senza dare veramente valore alle regole, ma aggiustando le cose via via a posteriori, il disordinato aumento delle attese di benessere, comune a tutti i Paesi industrializzati, in Italia si è trasformato in una vera e propria corsa all'arricchimento. Alla fine, non si è diffusa la soddisfazione per i pur notevoli risultati raggiunti, ma è aumentato, invece, il senso di frustazione di chi è rimasto indietro. Nei confronti dello Stato, questa corsa si è trasformata in un crescente squilibrio tra quanto viene chiesto e quanto viene dato. Quanto viene chiesto è considerato sempre troppo, poiché colpisce solo chi non può sfuggire a un fisco iniquo e inefficiente. Quanto viene dato è sempre troppo poco, perché le prestazioni non vanno a chi merita e a chi ne ha bisogno. Lo squilibrio tra prelievo e qualità dei servizi è grave per la stessa inefficienza dello Stato. Se le regole sono violate nella società, non possono certo essere sacre nei pubblici uffici.
La proposta di un nuovo patto sociale deve ridare dignità alle regole e restituire onore a chi le rispetta. Occorre perciò ristabilire un equilibrio giusto tra quanto lo Stato chiede e quanto fornisce, definendo priorità e permettendo ai cittadini di controllare la realizzazione. E occorre ristabilire un sistema di incentivi che premi l'efficienza e l'efficacia delle pubbliche istituzioni. Il compito non è facile perché essi si sono rovinata la reputazione. Le promesse, i buoni propositi, le stesse pretese di competenza, non bastano.
Non è, tuttavia, un compito impossibile. Esiste sempre, in una società democratica, la via che consiste nella restituzione di sovranità ai cittadini chiamandoli però, nello stesso tempo, a sopportare le conseguenze delle proprie scelte.
L'esperienza della democrazia moderna ha realizzato un metodo di scelta collettiva che presuppone un preventivo accordo sulla base del quale tutti i cittadini accettano le conseguenze, sulle loro condizioni economiche e sociali, delle scelte di governo fatte dai rappresentanti. Fa parte del patto, in secondo luogo, che tali conseguenze saranno sempre incerte per tutti, benché le diverse forze politiche chiedano un voto sulla base di programmi diversamente orientati. Infine, le forze politiche al Governo non potranno evitare l'alternanza. Il patto costituzionale, così, mentre esclude il farsi giustizia da sé, argina l'interesse personale dei rappresentanti che sanno di poter prendere il potere, ed evita la dittatura della maggioranza che non può imporre precise condotte di Governo a esclusivo suo vantaggio. Ciò chiarisce che, allora, quando il patto viene meno è naturale attendersi una deriva autoritaria o anarchica. In alternativa, la stipula di un patto nuovo non sembra proponibile, però, dentro la logica della rappresentanza generale, perché se il patto deve essere rifatto, ciò ne impedisce il funzionamento. L'impasse che in questo modo si determina è oggi al centro del dibattito teorico e politico in molti Paesi. Una delle vie che sembra percorribile (oltre a quella delle grandi riforme istituzionali) attribuisce importanza anche a specifiche misure che possono far parte del programma di Governo. Si tratterebbe di una strategia consistente in un primo tempo (logico, ma forse anche temporale) nel quale viene ricostruita la reputazione delle istituzioni, anche al prezzo di una cessione di titolarità delle scelte di governo dai rappresentanti ai cittadini. E di un secondo tempo che, sulla base delle ripristinate condizioni di fiducia, proceda al ridisegno moderno delle politiche d'intervento.
L'applicazione dei criteri di priorità-controllo-incentivo, nel quadro di un maggiore coinvolgimento dei cittadini, trova la sua prima e fondamentale opportunità nell'ambito della riforma istituzionale e fiscale di segno federalista cooperativo. Nel quadro di tale riforma, una parte consistente del prelievo dovrà essere decentrata insieme a un complesso di funzioni. Dovrà, in parallelo, essere esclusa la pratica del ripianamento a posteriori dei deficits di parte corrente degli enti locali. L'entità dell'imposizione dovrà, infine, essere determinata in misura significativa autonomamente dalle stesse istituzioni locali.
Ma si potrebbe proporre, inoltre e significativamente, che alle sue elezioni amministrative i candidati Sindaco, Presidente della Provincia e della Regione debbano obbligatoriamente presentare ai cittadini un programma nel quale sia indicata l'entità del prelievo fiscale che intendono applicare e l'elenco delle principali priorità sulle cose da fare con l'indicazione esplicita del loro costo.
In questo modo i cittadini sceglieranno con il voto non solo gli amministratori ma anche una precisa e impegnativa politica di spesa e di prelievo. E, soprattutto, saranno spinti e messi in grado di controllare quanto gli amministratori avranno davvero fatto di quanto avranno promesso.
Questa apparentemente semplice riforma porterà mutamenti di grande rilievo, tanto che è necessario pensare a strumenti di garanzia e di incentivo. Dal lato delle garanzie, per evitare l'opportunismo della maggioranza, dovrebbe essere stabilito che si possano proporre riduzioni di spesa pubblica solo se esse colpiscono servizi utilizzati da una vasta potenziale platea di utenti (maggiore della maggioranza); parallelamente dovrebbe essere altresì permesso proporre aumenti di prelievo solo se essi colpiscono una platea di contribuenti altrettanto vasta. Dal lato degli incentivi, dovrebbe essere previsto un meccanismo di cofinanziamento. Ogni decisione locale dei cittadini per un forte impegno fiscale, proporzionalmente alle entrate pubbliche cui concretamente darà luogo, dovrà dare diritto a trasferimenti automatici dallo Stato centrale alle Regioni e dalle Regioni a Province e Comuni, ai quali dovrebbero rinunciare le comunità che avessero deciso per l'alternativa di minore impegno fiscale.