di Gilberto Seravalli
Il successo economico dei distretti industriali è stato
basato, nella sostanza, su un sistema di produzione che ha permesso
l'innovazione e non solo bassi costi. I fattori istituzionali
sono stati pertanto decisivi. Orientati nel loro complesso al
controllo dell'incertezza, hanno permesso un efficace equilibrio
tra competizione e collaborazione. Esso ha potenziato la capacità
di progettare riducendo la minaccia dell'esclusione, che non costituisce
affatto un incentivo a fare meglio, ma impedisce di pensare lontano,
di fare progetti di miglioramento per il futuro, di rischiare,
cambiare, inventare. Questa specificità istituzionale
dei distretti emerge, del resto, come il loro carattere più
profondo e duraturo, anche di fronte a cambiamenti che sono stati
rilevanti nell'organizzazione produttiva. E ha coinvolto rapporti
attivi tra imprese, associazioni imprenditoriali, sindacati, Camere
di Commercio, poteri pubblici locali e grandi partiti. Come ha
documentato in più occasioni Carlo Trigiglia, la parte
pubblica e politica, seppure con modalità da luogo a luogo
diverse, non ha avuto un ruolo secondario. Eppure non sembra
affatto che oggi si possa tranquillamente ragionare sulle nuove
cose da fare senza tener conto che anche le istituzioni locali
subiscono un processo di deterioramento (meno mezzi, meno credibilità,
meno immagine), di riflesso dalla caduta di legittimazione che
ha subìto in Italia il sistema pubblico in generale. Non
deve essere sottovalutato quanto emerso nella ricerca promossa
dall'Unioncamere alla fine del 1994. Se l'87% dei 600 piccoli
e medi imprenditori intervistati in 12 distretti industriali giudica
bassa o molto bassa la capacità dei partiti tradizionali
di difendere i loro interessi, i governi locali raggiungono una
percentuale di giudizi negativi del 58%, maggiore di quella dei
nuovi politici (49%) e delle Camere di Commercio (35%) e molto
maggiore della percentuale di giudizi negativi meritati dalle
associazioni di categoria (21%). Questa vera e propria crisi di
fiducia è una minaccia molto grave. E questo emerge dalla
stessa ricerca. Mentre infatti il 54% dei 600 piccoli e medi imprenditori
intervistati indica che i governi locali dovrebbero "limitarsi
a garantire il funzionamento dei servizi pubblici di base e delle
infrastrutture", che sono considerati tra gli interventi
decisivi subito dopo la "detassazione degli utili reinvestiti",
tale giudizio riduttivo appare, tuttavia, più "rassegnato"
che definitivo, se è vero che alla domanda «quali
sono gli obiettivi più importanti che dovrebbero orientare
l'azione polica?» il 17% risponde "la solidarietà
sociale", una risposta che viene subito dopo "l'efficienza
produttiva" (26%) e "l'integrazione europea" (20%).
Una politica per i distretti industriali non può essere
fatta, dunque, se non si ristabilisce nelle imprese, come nei
cittadini, la fiducia nelle pubbliche istituzioni.
Si è rotto il sistema degli incentivi che, prima di ogni
misura organizzativa, è indispensabile per spingere le
istituzioni a fare e a fare bene. Senza dare veramente valore
alle regole, ma aggiustando le cose via via a posteriori, il disordinato
aumento delle attese di benessere, comune a tutti i Paesi industrializzati,
in Italia si è trasformato in una vera e propria corsa
all'arricchimento. Alla fine, non si è diffusa la soddisfazione
per i pur notevoli risultati raggiunti, ma è aumentato,
invece, il senso di frustazione di chi è rimasto indietro.
Nei confronti dello Stato, questa corsa si è trasformata
in un crescente squilibrio tra quanto viene chiesto e quanto viene
dato. Quanto viene chiesto è considerato sempre troppo,
poiché colpisce solo chi non può sfuggire a un fisco
iniquo e inefficiente. Quanto viene dato è sempre troppo
poco, perché le prestazioni non vanno a chi merita e a
chi ne ha bisogno. Lo squilibrio tra prelievo e qualità
dei servizi è grave per la stessa inefficienza dello Stato.
Se le regole sono violate nella società, non possono certo
essere sacre nei pubblici uffici.
La proposta di un nuovo patto sociale deve ridare dignità
alle regole e restituire onore a chi le rispetta. Occorre perciò
ristabilire un equilibrio giusto tra quanto lo Stato chiede e
quanto fornisce, definendo priorità e permettendo ai cittadini
di controllare la realizzazione. E occorre ristabilire un sistema
di incentivi che premi l'efficienza e l'efficacia delle pubbliche
istituzioni. Il compito non è facile perché essi
si sono rovinata la reputazione. Le promesse, i buoni propositi,
le stesse pretese di competenza, non bastano.
Non è, tuttavia, un compito impossibile. Esiste sempre,
in una società democratica, la via che consiste nella restituzione
di sovranità ai cittadini chiamandoli però, nello
stesso tempo, a sopportare le conseguenze delle proprie scelte.
L'esperienza della democrazia moderna ha realizzato un metodo
di scelta collettiva che presuppone un preventivo accordo sulla
base del quale tutti i cittadini accettano le conseguenze, sulle
loro condizioni economiche e sociali, delle scelte di governo
fatte dai rappresentanti. Fa parte del patto, in secondo luogo,
che tali conseguenze saranno sempre incerte per tutti, benché
le diverse forze politiche chiedano un voto sulla base di programmi
diversamente orientati. Infine, le forze politiche al Governo
non potranno evitare l'alternanza. Il patto costituzionale, così,
mentre esclude il farsi giustizia da sé, argina l'interesse
personale dei rappresentanti che sanno di poter prendere il potere,
ed evita la dittatura della maggioranza che non può imporre
precise condotte di Governo a esclusivo suo vantaggio. Ciò
chiarisce che, allora, quando il patto viene meno è naturale
attendersi una deriva autoritaria o anarchica. In alternativa,
la stipula di un patto nuovo non sembra proponibile, però,
dentro la logica della rappresentanza generale, perché
se il patto deve essere rifatto, ciò ne impedisce il funzionamento.
L'impasse che in questo modo si determina è oggi al centro
del dibattito teorico e politico in molti Paesi. Una delle vie
che sembra percorribile (oltre a quella delle grandi riforme istituzionali)
attribuisce importanza anche a specifiche misure che possono far
parte del programma di Governo. Si tratterebbe di una strategia
consistente in un primo tempo (logico, ma forse anche temporale)
nel quale viene ricostruita la reputazione delle istituzioni,
anche al prezzo di una cessione di titolarità delle scelte
di governo dai rappresentanti ai cittadini. E di un secondo tempo
che, sulla base delle ripristinate condizioni di fiducia, proceda
al ridisegno moderno delle politiche d'intervento.
L'applicazione dei criteri di priorità-controllo-incentivo,
nel quadro di un maggiore coinvolgimento dei cittadini, trova
la sua prima e fondamentale opportunità nell'ambito della
riforma istituzionale e fiscale di segno federalista cooperativo.
Nel quadro di tale riforma, una parte consistente del prelievo
dovrà essere decentrata insieme a un complesso di funzioni.
Dovrà, in parallelo, essere esclusa la pratica del ripianamento
a posteriori dei deficits di parte corrente degli enti locali.
L'entità dell'imposizione dovrà, infine, essere
determinata in misura significativa autonomamente dalle stesse
istituzioni locali.
Ma si potrebbe proporre, inoltre e significativamente, che alle
sue elezioni amministrative i candidati Sindaco, Presidente della
Provincia e della Regione debbano obbligatoriamente presentare
ai cittadini un programma nel quale sia indicata l'entità
del prelievo fiscale che intendono applicare e l'elenco delle
principali priorità sulle cose da fare con l'indicazione
esplicita del loro costo.
In questo modo i cittadini sceglieranno con il voto non solo gli
amministratori ma anche una precisa e impegnativa politica di
spesa e di prelievo. E, soprattutto, saranno spinti e messi in
grado di controllare quanto gli amministratori avranno davvero
fatto di quanto avranno promesso.
Questa apparentemente semplice riforma porterà mutamenti
di grande rilievo, tanto che è necessario pensare a strumenti
di garanzia e di incentivo. Dal lato delle garanzie, per evitare
l'opportunismo della maggioranza, dovrebbe essere stabilito che
si possano proporre riduzioni di spesa pubblica solo se esse colpiscono
servizi utilizzati da una vasta potenziale platea di utenti (maggiore
della maggioranza); parallelamente dovrebbe essere altresì
permesso proporre aumenti di prelievo solo se essi colpiscono
una platea di contribuenti altrettanto vasta. Dal lato degli incentivi,
dovrebbe essere previsto un meccanismo di cofinanziamento. Ogni
decisione locale dei cittadini per un forte impegno fiscale, proporzionalmente
alle entrate pubbliche cui concretamente darà luogo, dovrà
dare diritto a trasferimenti automatici dallo Stato centrale alle
Regioni e dalle Regioni a Province e Comuni, ai quali dovrebbero
rinunciare le comunità che avessero deciso per l'alternativa
di minore impegno fiscale.