Tra le diverse modalità tramite le quali l'impresa può
espandere la propria attività al di fuori dei confini nazionali,
l'internazionalizzazione produttiva tramite investimenti diretti
esteri (Ide) è indubbiamente quella che meglio esprime
l'orientamento di un'impresa o più in generale di un sistema
industriale a impegnarsi in un processo di crescita multinazionale
volto ad acquisire una presenza stabile nell'arena competitiva
internazionale.
Ancora a metà degli anni Ottanta l'internazionalizzazione
produttiva dell'industria italiana appariva decisamente modesta,
sia in rapporto all'investimento diretto estero in Italia (il
numero delle imprese industriali italiane partecipate dall'estero
era due volte e mezza superiore a quello delle imprese estere
industriali partecipate dall'Italia), sia nei confronti degli
altri Paesi industrializzati, rispetto ai quali l'Italia evidenziava
un grado di internazionalizzazione attiva - misurata dal rapporto
tra addetti delle imprese industriali estere partecipate e l'occupazione
industriale interna al Paese - significativamente inferiore. A
partire da allora ha preso avvio una fase di inseguimento multinazionale
che ha consentito all'industria italiana di raggiungere una proiezione
multinazionale più consona al ruolo che il nostro Paese
ha nel contesto economico mondiale. All'inizio dell'attuale decennio
gli Ide in uscita hanno per la prima volta raggiunto una consistenza
paragonabile a quella degli Ide in entrata. Negli anni più
recenti, in presenza di elementi congiunturali decisamente sfavorevoli
quali la svalutazione della lira e la recessione interna, la spinta
propulsiva delle maggiori imprese, principali protagoniste negli
anni Ottanta, si è progressivamente esaurita e la crescita
multinazionale dell'industria italiana ha registrato un brusco
rallentamento. L'involuzione degli anni più recenti non
ha bloccato la tendenza manifestatasi con i primi anni Novanta
nella direzione di un crescente coinvolgimento delle Pmi nel processo
di internazionalizzazione. Nell'attuale contesto, la piena valorizzazione
dei vantaggi competitivi richiede infatti sempre più spesso
anche alle piccole e medie imprese l'implementazione di adeguate
strategie di crescita multinazionale. La crescente importanza
delle Pmi nel contesto dell'espansione multinazionale dell'industria
italiana appare evidente se si considera che tra il 1986 e il
1993 la quota a esse addebitata sul totale delle nuove partecipazioni
industriali assunte dalle imprese italiane all'estero è
triplicata, crescendo dal 15% al 45% del totale, per poi stabilizzarsi
nel biennio 1994-1995 attorno al 36%.
A inizio 1995, oltre i ¾ dei componenti del club delle
multinazionali italiane sono imprese e/o gruppi di imprese con
meno di 500 addetti. Ovviamente, tale categoria di investitori
contribuisce in misura ben più modesta alla consistenza
complessiva della presenza produttiva all'estero: la quota spettante
alle "piccole multinazionali" sullo stock delle partecipazioni
estere può essere oggi stimata poco oltre il 30% in termini
di numero di imprese partecipate, attorno al 12% dei relativi
addetti e solo al 5-6% del fatturato.
TAB.1 - INVESTIMENTO DIRETTO ESTERO DELL'INDUSTRIA MILANESE NEL 1994-1995 | ||||||
Milano | Lombardia | Italia | ||||
Imprese multinazionali al 1.1.1994 | 89 | 152 | 432 | |||
Imprese estere partecipate al 1.1.1994 | 222 | 383 | 947 | |||
Addetti delle imprese estere partecipate al 1.1.1994 | 47.066 | 97.111 | 226.123 | |||
Imprese divenute multinazionali nel biennio 1994-1995* | 11 | 29 | 90 | |||
Nuove partecipazioni estere assunte nel biennio 1994-1995* | 33 | 63 | 216 | |||
Addetti alle nuove partecipazioni estere assunte nel biennio 1994-1995* | 4.737 | 8.720 | 34.547 | |||
*Dati provvisori Fonte: Database Reprint, CNEL - R&P Politecnico di Milano |
TAB.2 - CARATTERISTICHE STRUTTURALI DELL'INVESTIMENTO DIRETTO ALL'ESTERO DELL'INDUSTRIA MILANESE | |||
(% delle imprese partecipate in base alla localizzazione e al settore di attività; confronto con Lombardia e Italia) | % | % | % |
AREE GEOGRAFICHE | |||
Europa occidentale | |||
Europa orientale | |||
Nord America | |||
America Latina | |||
Estremo oriente | |||
Altre aree geografiche | |||
MACRO SETTORI | |||
Settori tradizionali | |||
Settori scale-intensive | |||
Settori specialistici | |||
Settori science-based | |||
* Dati provvisori Fonte: Database Reprint, CNEL - R&P Politecnico di Milano |
MILANO, PIU' INVESTIMENTI SCIENCE-BASED
In provincia di Milano sono state censite, al 1° gennaio
1994, 89 imprese multinazionali che partecipano a 222 imprese
estere. Spostando l'attenzione dai valori assoluti al trend si
rileva una inversione di tendenza nella crescita che si è
verificata per tutto il decennio precedente per quanto attiene
il numero di investitori, le imprese da questi partecipate e i
loro addetti. Dal '90 l'investimento estero milanese ha subìto
delle contrazioni rispetto al dinamismo verificatosi nel resto
del Paese. Questo appare confermato anche dai dati provvisori
riferiti al biennio 1994-1995 che mostrano un tasso di natalità
inferiore sia per quanto attiene le imprese milanesi divenute
multinazionali rispetto a quelle regionali e a quelle nazionali
(rispettivamente il 12,3%, 19% e 20,8%) sia per quanto attiene
alle nuove partecipazioni (rispettivamente 14,8%, 16,4% e 22,8%).
Se i dati sembrano confermare un rallentamento nei processi di
multinazionalizzazione delle imprese milanesi, occorre ricordare
che il calo del numero di iniziative e della loro consistenza
a livello provinciale più che una battuta d'arresto può
rappresentare un riposizionamento dell'economia provinciale. Mentre
infatti nella seconda metà degli anni Ottanta l'economia
milanese ha dimostrato anche nell'ambito degli Ide un dinamismo
decisamente superiore al resto del Paese, in seguito è
stato quest'ultimo, che lanciandosi nell'arena internazionale,
ha fatto rilevare consistenti flussi di investimenti diretti esteri,
recuperando il gap precedente.
Inoltre occorre considerare la "qualità" dell'investimento
diretto estero dell'industria milanese, cioè le caratteristiche
strutturali in base alla localizzazione delle imprese partecipate
e al settore di attività delle stesse imprese.
Da un lato emerge che la destinazione geografica degli Ide milanesi
rispetto a quelli regionali e nazionali è maggiormente
concentrata nell'Europa occidentale, seguita dal Nord America
e dall'Estremo oriente, dall'altro che è il settore science-based
che vede Milano più impegnata nell'attività di investimento.
Tutto ciò porta a rivalutare la composizione qualitativa
degli investimenti milanesi che risultano più consistenti
rispetto al dato nazionale nei Paesi ad alto tasso di sviluppo.
Se quindi il quadro degli Ide lombardi rispecchia quello italiano
per la debolezza della presenza nei settori ad alta tecnologia
e per il cosiddetto gap di globalità (rarefazione degli
investimenti verso Stati Uniti e Giappone), Milano denota una
presenza relativa più consistente nei sistemi industriali
più forti e competitivi.
MULTINAZIONALI, PICCOLE, DI NICCHIA
In questo gli Ide milanesi si distinguono da quelli italiani,
presenti in modo significativo in Paesi in cui la funzione di
produzione è polarizzata su tecnologie utilizzatrici di
lavoro: il modesto profilo del comparto a elevata intensità
tecnologica non sorprende, data la fragilità dell'industria
italiana nei settori delle alte tecnologie. Nel quadro generale
sopra descritto, l'industria milanese offre un contributo certamente
non trascurabile. All'inizio del 1995, delle 373 "piccole
multinazionali" italiane censite dal database Reprint, 63
avevano sede in provincia di Milano.
Il peso dell'industria milanese nel quadro dell'internazionalizzazione
produttiva delle Pmi italiane appare dunque rilevante, essendo
pari a oltre 1/6 del totale in relazione al numero di investitori
e a oltre 1/5 in termini di imprese estere partecipate.
Ricorrendo alla tassonomia di Pavitt, largamente utilizzata negli
studi di economia industriale, si rileva come tra le 110 imprese
estere partecipate dalle piccole multinazionali milanesi ben 24
(il 21,8% del totale) operino in attività a elevata intensità
tecnologica, 31 (28,2%) nei settori specialistici della meccanica
strumentale e dell'elettromeccanica, 39 (35,5%) nei settori caratterizzati
da elevate economie di scala e 16 solo (9,8%) nei settori tradizionali.
Tale distribuzione si discosta alquanto da quella complessiva
degli Ide delle piccole multinazionali italiane, un'elevata percentuale
dei quali si concentra nei settori tradizionali (soprattutto tessile,
abbigliamento, cuoio, pelletteria, calzature, e prodotti in legno).
In tale comparto le partecipazioni estere delle PMI italiane sono
infatti ben 163, pari al 30,8% del totale, contro le sole 49 del
comparto science-based (9,2%). Rispetto al dato nazionale, il
peso di Milano in termini di imprese estere partecipate, pari
mediamente al 20,8%, scende dunque al 9,8% nei settori tradizionali
ma raggiunge un significativo 49% nei settori dell'alta tecnologia.
Milano si caratterizza dunque per la presenza di alcune piccole
multinazionali attive in nicchie dell'alta tecnologia, le cui
limitate dimensioni riflettono probabilmente requisiti di efficienza
produttiva e gestionale e rappresentano una risposta efficiente
alle esigenze di differenziazione di prodotto espresse dal mercato
e all'esistenza di economie di scala di prodotto specifico e di
processi cumulativi di apprendimento specialistico.
EUROPA, MA L'EST NON ATTIRA
Anche dal punto di vista dell'orientamento geografico i sentieri
di espansione multinazionale delle piccole multinazionali milanesi
si differenziano in misura significativa da quelli delle altre
Pmi italiane, che nel loro insieme hanno trovato grandi opportunità
di sviluppo nei Paesi dell'ex blocco comunista: a distanza di
pochi anni dall'apertura di tali mercati all'Ide, l'Europa orientale
ospitava infatti a inizio 1995 oltre ¼ delle partecipazioni
estere delle Pmi italiane. Le Pmi milanesi si caratterizzano
per una presenza alquanto superiore alla media nelle aree maggiormente
sviluppate, segnatamente l'Europa occidentale (50,9% del totale,
contro 37,4%), il Nord America (14,5% contro 9,6%) e il sud-est
asiatico (9,1% contro 7,2%). Viceversa il peso dell'Europa orientale
si riduce per le piccole multinazionali milanesi all'11,8%, un
valore inferiore alla metà di quello medio nazionale (27,4%).
La Francia è il Paese che conta il maggior numero di imprese
partecipate dalle piccole multinazionali milanesi (19), seguita
da Stati Uniti (14), Spagna (13), Germania (6), Portogallo (5),
Gran Bretagna e Polonia (4). Un ulteriore elemento di distinzione
delle strategie di espansione multinazionale delle Pmi milanesi
emerge dall'analisi della ripartizione delle piccole multinazionali
per numero di imprese estere partecipate. Circa il 40% delle
piccole multinazionali milanesi partecipa in almeno due imprese
industriali estere, il 19% in almeno tre imprese e quasi l'8%
in almeno quattro imprese, contro medie nazionali pari rispettivamente
al 24,1%, all'8,6% e al 3,8%.
Opportuna attenzione merita infine la ripartizione delle imprese
industriali estere partecipate dalle Pmi milanesi e italiane esistenti
a inizio 1995 in funzione dell'anno in cui è stata assunta
la partecipazione. Se da un lato tali dati pongono in luce il
ruolo "pionieristico" attribuibile alle Pmi milanesi,
il loro peso sul dato nazionale essendosi attestato attorno al
30% fino a metà dello scorso decennio, dall'altro evidenziano
un significativo rallentamento della loro capacità espansiva
negli anni più recenti, per lo meno in termini relativi:
l'incidenza delle partecipazioni estere delle Pmi milanesi sul
totale di quelle assunte dalle piccole multinazionali italiane
scende infatti al 18,4% nel biennio 1991-1992 e al 13,7% nel biennio
1993-1994. Quali sono la natura specifica e le logiche di crescita
multinazionale delle piccole multinazionali milanesi e più
in generale del nostro Paese? La situazione che emerge è
composita. Alle strategie di conquista duratura di quote di mercato
nei Paesi industrializzati e/o in aree con significativi potenziali
di crescita si affiancano non pochi fenomeni di delocalizzazione
e di formazione di joint ventures finalizzate esclusivamente
a supportare il partner locale nella fornitura di componenti e
prodotti a più basso costo o a garantire proficui contratti
di cessione di know-how o di fornitura di impianti chiavi
in mano. Emergono peraltro alcune logiche settoriali sufficientemente
delineate. Nei settori scale-intensive l'Ide delle piccole multinazionali
italiane appare principalmente orientato alla conquista di quote
di mercato e l'Europa (soprattutto occidentale, ma anche orientale)
ne costituisce il target privilegiato. In un numero non trascurabile
di casi, l'internazionalizzazione produttiva delle PMI italiane
è stata "trainata" dall'espansione multinazionale
delle grandi e medio-grandi imprese del nostro Paese, secondo
una modalità ben descritta dal modello follow the customer.
TAB.3 - LE PARTECIPAZIONI ESTERE DELLE PICCOLE MULTINAZIONALI MILANESI AL 1.1.1995, PER SETTORE | ||||
Imprese estere partecipate | Totale partecipazioni | Partecipazioni di controllo | ||
Estrazione e trasformazione dei metalli | ||||
Chimica, farmaceutica e fibre | ||||
Meccanica strumentale | ||||
Elettromeccanica e prodotti elettrici | ||||
Elettronica, informatica e strumentazione | ||||
Alimentare e bevande | ||||
Tessile e abbigliamento | ||||
Prodotti in gomma e in plastica | ||||
Altre industrie manifatturiere | ||||
Totale Italia | ||||
Fonte: Database Reprint, CNEL - R&P Politecnico di Milano |
STRATEGIA: FOLLOW THE CUSTOMER
Anche nei settori specialistici della meccanica strumentale l'Ide
assume prevalente caratteristiche market seeking; in questo
comparto, tuttavia, cresce la quota di partecipazioni localizzate
nelle aree geografiche più lontane (Americhe, area del
Pacifico), ove sovente vengono decentrate le fasi di montaggio/assemblaggio
in relazione a esigenze di contenuto locale della produzione e/o
sia di contenimento dei costi di trasporto. Peraltro, in alcuni
casi la partecipazione all'estero è stata assunta dall'impresa
italiana quale condizione necessaria per concludere contratti
di fornitura di impianti chiavi in mano e di trasferimento di
know-how; il respiro strategico di tali Ide è dunque
assai limitato.
Le iniziative delle Pmi italiane del comparto tradizionale, per
lo più concentrate negli anni più recenti, hanno
avuto come direttrice geografica privilegiata l'Europa orientale.
Due le situazioni più frequentemente ricorrenti. La prima
riguarda gli investimenti labour seeking, che assumono
particolare rilievo nei settori dell'abbigliamento, delle calzature
e della pelletteria, nei quali la delocalizzazione di attività
a elevata intensità di lavoro è favorita da salari
reali attestati su standard notevolmente inferiori a quelli occidentali,
a fronte di un discreto livello qualitativo delle risorse umane.
La seconda è quella degli investimenti resource seeking,
volti a favorire l'accesso privilegiato a materie prime e prodotti
intermedi disponibili a basso costo nella regione, spesso in conseguenza
a croniche eccedenze produttive (ad esempio nel settore del legno
e nelle industrie della prima trasformazione dei metalli e dei
minerali non metalliferi). In questi casi, la scelta tra Ide e
relazioni di mercato o quasi-mercato (sub-fornitura e altri accordi
contrattuali, che rimangono tuttora le modalità prevalenti
per delocalizzare le attività labour-intensive o
approvvigionarsi di materie prime e semilavorati) viene principalmente
determinata dal trade-off tra la flessibilità nella
gestione degli approvvigionamenti e le esigenze in termini di
qualità del prodotto, tempi di consegna e sicurezza dell'accesso
alle risorse. Più variegati infine i sentieri di internazionalizzazione
delle piccole multinazionali italiane nei settori caratterizzati
da elevate opportunità tecnologiche. Accanto a una serie
di iniziative market seeking, sia nei Paesi avanzati che
nei Paesi in via di sviluppo, un ingrediente importante nella
decisione di investimento è talvolta rappresentato dall'accesso
agli assets di un'impresa estera che dispone di tecnologie
o prodotti complementari a quelli dell'investitore italiano. Meno
significativa appare invece in tale comparto la componente di
investimenti labour e resource seeking.
Non sorprende dunque che emerga una più elevata incidenza
di investimenti market seeking, i quali - rispetto agli
investimenti labour o resource seeking - comportano
indubbiamente un più intenso utilizzo di risorse economiche
e manageriali, richiedendo in aggiunta allo svolgimento dell'attività
produttiva lo sviluppo di adeguate reti distributive e/o di supporto
tecnico.
Un ruolo fondamentale è assunto anche in quest'ambito da
Milano nel sostenere e definire il processo di integrazione e
multinazionalizzazione del Paese.
Le "piccole multinazionali" milanesi censite dal database
Reprint a inizio 1995 sono 63 e rappresentano oltre 1/6 del club
delle "piccole multinazionali" italiane, mentre le 110
imprese estere da esse partecipate costituiscono il 20,8% del
totale italiano, una quota superiore a quella complessivamente
ottenuta dal Triveneto o da tutta l'Italia centrale e meridionale.
Dal punto di vista qualitativo, inoltre, la presenza produttiva
all'estero delle Pmi milanesi appare maggiormente qualificata,
in virtù sia della diversa articolazione settoriale, che
vede una non trascurabile presenza di imprese attive nei settori
specialistici e dell'alta tecnologia, sia di una proiezione notevolmente
più accentuata verso le aree maggiormente industrializzate
rispetto alle altre piccole multinazionali italiane. Tuttavia,
l'evoluzione degli anni più recenti evidenzia segnali di
un relativo rallentamento nella capacità di espansione
multinazionale delle Pmi milanesi. Il rapido deterioramento delle
quote spettanti in ambito nazionale alle Pmi milanesi nei primi
anni Novanta non può essere considerato solo l'inevitabile
conseguenza del progressivo diffondersi tra le Pmi del nostro
Paese di una "cultura multinazionale". Esso assume
valenze ancor meno rassicuranti se posto in relazione al gap di
internazionalizzazione che ancora separa l'Italia dagli altri
grandi Paesi industrializzati. L'attuale evoluzione induce il
timore di una crescita arroccata sullo sfruttamento dei residui
vantaggi competitivi di più antica accumulazione, con un
effetto sostitutivo post-svalutazione tra esportazioni e Ide,
a fronte dell'allargarsi del ritardo nei confronti delle altre
aree avanzate del continente nei settori più innovativi
e di maggiore peso strategico nel lungo periodo. In tale ottica,
la presenza industriale delle imprese milanesi in Nord America
e nell'area del Pacifico - in termini assoluti indubbiamente ridotta,
a prescindere dai confronti in ambito nazionale - appare sintomatica
di una ridotta capacità di crescita nei mercati più
avanzati e a maggiore potenzialità di crescita.
Appare dunque benvenuta ogni iniziativa (istituzionale e non)
in grado di fornire alle PMI un concreto aiuto in riferimento
alle attività di ricerca, raccolta ed elaborazione delle
informazioni relative al funzionamento dei mercati e alle loro
prospettive di crescita, alle condizioni insediative e alla disponibilità,
al costo e alla qualità dei fattori produttivi, alle condizioni
di partnership, alle norme giuridiche e istituzionali e
agli incentivi disponibili.
TAB.4 - LE PARTECIPATE ESTERE DELLE "PICCOLE MULTINAZIONALI" AL 1.1.1995, PER MACROSETTORI | |||||
Imprese estere partecipate | Milano (A) | Totale Italia (B) | A/B | ||
Settori science-based | |||||
Settori specialized suppliers | |||||
Settori scale-intensive | |||||
Settori tradizionali | |||||
Totale Italia | |||||
Fonte: Database Reprint, CNEL - R&P Politecnico di Milano |
TAB.5 - LE PARTECIPATE ESTERE DELLE "PICCOLE MULTINAZIONALI" AL 1.1.1995, PER AREA GEOGRAFICA | |||||
Imprese estere partecipate | Milano (A) | Totale Italia (B) | A/B | ||
Europa occidentale | |||||
Europa orientale | |||||
Nord America | |||||
America Latina | |||||
Sud-est asiatico | |||||
Altri Paesi | |||||
Totale Italia | |||||
Fonte: Database Reprint, CNEL - R&P Politecnico di Milano |