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Impresa & Stato n°35

L'AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA
E IL SUO GIURI'

di
ANTONIO BALDASSARRE eVINCENZO GUGGINO

Come è strutturata e come funziona una delle istituzioni "storiche"
di Autonomia funzionale. Trenta anni di esperienze,
un prestigio fondato sul consenso.

L'autodisciplina è il fenomeno per il quale una pluralità di soggetti, accomunati dall'esigenza di conformare il proprio comportamento a regole di correttezza, decide di sottomettersi a norme di comportamento comuni, nonché a norme strumentali volte a far rispettare le prime mediante appositi meccanismi coercitivi.
Tuttavia, se alla base di ogni esperienza autodisciplinare vi è un'assunzione di responsabilità settoriale basata su regole di deontologia professionale, i risultati raggiunti dall'esperienza autodisciplinare italiana nel campo della pubblicità la rendono per molti versi qualcosa di unico per le implicazioni giuridiche che il suo instaurarsi ha disvelato. Fra gli aspetti particolarmente significativi del sistema autodisciplinare della pubblicità, vi è certamente la figura dell'organo giudicante: il Giurì.
Il Giurì della pubblicità è un giudice privato, la cui istituzione deriva da un accordo fra tutti gli operatori che esercitano la loro attività nel campo della pubblicità, diretto a garantire l'osservanza e l'applicazione di un Codice di autodisciplina che gli operatori medesimi si sono dati. All'origine c'è proprio l'adozione da parte di tutte le componenti del mondo pubblicitario, rappresentate nell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), di un Codice di autodisciplina, composto da 46 articoli.
Le finalità del Codice di autodisciplina sono chiaramente definite nelle "Norme preliminari e generali". Esso «ha lo scopo di assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo particolarmente utile nel processo economico, venga realizzata come servizio per il pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore». Il Codice è accettato e sottoscritto da tutte le associazioni ed enti che costituiscono l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria, vale a dire dalle principali associazioni di utenti, professionisti e mezzi pubblicitari (stampa, radiotelevisione, cinema, affissioni, ecc.). Inoltre, in forza della clausola di accettazione, anche la pubblicità dell'utente, dell'agenzia o del professionista che non appartengono alle associazioni aderenti al sistema è soggetta al Codice e deve rispettare le decisioni dei suoi organi.
Le norme del Codice di autodisciplina sono anche accolte come "usi e consuetudini commerciali" da varie Camere di Commercio (Milano, Torino, Vicenza, Bari, ecc.) e, pertanto, sono da considerare tra le fonti del diritto. In sostanza, quindi, pur nascendo come disciplina volontaria, la larga generalità della pubblicità e dei pubblicitari italiani sono soggetti a essa.
Molte delle norme raccolte in questo Codice sono comuni ad altri settori normativi. Ad esempio, il divieto di concorrenza sleale o di pubblicità denigratoria è presente nel Codice Civile e ha, quindi, una tutela giuridica anche presso i giudici ordinari. Le stesse norme, e altre fra quelle ricordate, sono affidate alla tutela ulteriore dell'Autorità Garante della libera concorrenza. Altre, invece, come ad esempio il divieto di messaggi pubblicitari volgari, sono oggetto specifico della tutela del Giurì.
Questi distinti tipi di protezione giuridica non interferiscono fra loro, per il semplice motivo che fanno capo a responsabilità e involvono sanzioni del tutto diverse. Quella che fa valere il Giurì è una responsabilità contrattuale, conseguente al fatto che in tutti i contratti pubblicitari degli associati all'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria è inserita la clausola di accettazione delle norme del Codice di autodisciplina e di sottoposizione dei contraenti al giudizio del Giurì per il rispetto delle stesse norme. L'Autorità Antitrust fa invece valere una responsabilità "amministrativa", nel senso che i messaggi pubblicitari che dovessero essere riconosciuti contrari ai princìpi che la medesima Autorità è chiamata a tutelare, comportano in chi li ha prodotti una responsabilità soggetta alle sanzioni irrogabili dell'Autorità stessa. Infine, il giudice ordinario fa valere la responsabilità civile, con la conseguente sanzione del risarcimento del danno.

GARANZIA DI INDIPENDENZA
La tutela apprestata dal Giurì è, comparativamente, la più rapida, fra quelle sopra indicate, a essere attivata e a giungere a una conclusione finale.
Il Giurì che, con le sue pronunce, costituisce il più qualificato punto di riferimento nell'applicazione delle norme e dei princìpi del Codice ai casi concreti, è formato da membri di grande levatura culturale e professionale con specifiche competenze nelle discipline più confacenti alla loro mansione. A maggior garanzia di giudizi indipendenti nessuno dei membri è direttamente o personalmente impegnato in attività pubblicitarie. Il Presidente, sin dall'inizio dell'autodisciplina, è un alto magistrato. Accanto al Giurì, ma in totale separazione da esso, opera il "Comitato di controllo", che è un organo dell'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria, dotato di indipendenza, al quale spetta il potere di azione nel caso in cui un messaggio pubblicitario sia ritenuto contrastante con il Codice di autodisciplina sotto il profilo della tutela dei consumatori. Nel caso in cui a essere ritenuta violata è, invece, una norma del predetto Codice posta a tutela della concorrenza, l'azione potrà essere esercitata solo da un soggetto portatore di idoneo interesse a promuovere giudizio contro l'inserzionista, l'agenzia pubblicitaria o il "mezzo". Il "Comitato di controllo" è una specie di pubblico ministero previsto a tutela degli interessi del consumatore. Esso si attiva sia d'ufficio, sia su segnalazione o denuncia di qualsiasi persona. In quest'ultimo caso, il Comitato opera come istituzione volta a filtrare la denuncia, vagliandone il fumus al fine di promuovere l'azione.
Il Comitato ha anche un autonomo potere di sospensiva di una certa pubblicità, potere che può esercitare d'ufficio nei casi di ritenuta manifesta violazione del Codice di autodisciplina. L'effetto sospensivo dura 10 giorni, entro i quali, se non è contestato dalla parte resistente, si traduce in effetto definitivo di inibizione della pubblicità colpita. Qualora il Comitato ritenga non convincenti le ragioni dell'eventuale opposizione, gli atti vengono trasmessi al Presidente del Giurì che disporrà il provvedimento da assumere.
A differenza del procedimento che si svolge di fronte all'Autorità Garante della concorrenza (dove è ammessa soltanto un'audizione degli interessati), quello di fronte al Giurì ha tutti i caratteri del procedimento giurisdizionale. I diritti della difesa, così come si sono venuti conformando nella prassi giudiziale del processo civile, sono effettivamente garantiti alle parti in ogni momento del procedimento. La decisione del Giurì, per la quale vige il principio di maggioranza (solo in caso di parità dei voti prevale il voto del Presidente), viene adottata subito dopo la fine della discussione fra le parti. Il dispositivo della decisione viene letto direttamente in aula in presenza delle parti. Da questo momento la decisione del Giurì diventa efficace, nel senso che, nel caso di accoglimento, il messaggio pubblicitario riconosciuto in contrasto con qualche norma del Codice di autodisciplina d'ora in avanti non può più essere trasmesso o pubblicato. La decisione viene poi depositata presso l'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, con il corredo di una motivazione svolta, in fatto e in diritto, dal relatore-redattore. Non è ammessa l'opinione concorrente o dissenziente.

NORME E RUOLI, RISCHIO DI CONFUSIONE
Le istanze per avviare giudizi di fronte al Giurì sono in crescente aumento, soprattutto negli ultimi mesi. Le ragioni sottostanti a questa tendenza sono molteplici. Alcune di esse toccano aspetti relativi all'evoluzione generale della società di fronte all'estendersi di forme di pubblicità che, per riuscire a produrre un qualche effetto di richiamo sui consumatori, sempre più bombardati da messaggi crescentemente scioccanti, fanno ricorso a immagini o a frasi non solo anticonformiste ma anche pericolosamente in bilico sul crinale dell'illiceità giuridica e morale. Altre cause sono più particolari e, tra queste, gioca forse un ruolo il fatto statistico che negli ultimi tempi sono notevolmente cresciute in percentuale le pronunce di accoglimento decise dal Giurì. Il più frequente motivo di condanna è dato dalla violazione del divieto della pubblicità ingannevole. Un altro articolo sempre più frequentemente usato nelle pronunce di "condanna" è l'art. 9, il quale vieta messaggi volgari, indecenti e tali da incitare alla violenza, non di rado applicato, insieme all'art. 10, che tutela la dignità umana. Un altro articolo spesso applicato è l'art. 11, che tutela i minori.
Per quasi un quarto di secolo il mondo della pubblicità e della comunicazione si è fatto spontaneamente carico di autodisciplinare il settore, ponendosi come obiettivo la tutela del consumatore, della concorrenza leale e dello stesso strumento pubblicitario. Utenti pubblicitari, professionisti e media hanno perseguito questo scopo con impegno e senso di responsabilità, realizzando un caso più unico che raro, nel panorama nazionale, di autocontrollo di un settore. Ma proprio a questo punto si è assistito a un proliferare di leggi, alcune delle quali in attuazione di direttive comunitarie. Nel corso di questi ultimi anni, quindi, una serie di autorità sono state investite di competenza in materia pubblicitaria, anche nell'ambito di diversi settori, quale quello delle società quotate in borsa, delle banche, delle assicurazioni, ecc. (c'è chi ha contato una dozzina di sedi giudicanti la pubblicità).
Con ciò è risultata evidente l'affermarsi di una tendenza: quella di attribuire a ogni settore merceologico la competenza a pronunciarsi in materia pubblicitaria. Per contro è evidente che, essendo la comunicazione una disciplina più complessa, evoluta e dinamica di quanto spesso non si creda, logica vuole che il giudizio sui messaggi pubblicitari debba essere affidato a organismi che siano depositari delle conoscenze e della cultura specifiche di questa materia. Il rischio, paventato da alcuni, di un diffuso potenziale contrasto tra i giudicati delle svariate sedi giudicanti sembra per il momento essere stato scongiurato. Tuttavia pare importante porre in evidenza come una temuta rottura dell'attuale equilibrio potrebbe accentuare la confusione di norme e ruoli, avviando una conflittualità non certo positiva. Sembra utile cogliere i tratti distintivi che esistono tra autodisciplina pubblicitaria e la disciplina sulla pubblicità ingannevole posta in essere dall'Autorità Garante.

OLTRE LA LEGALITA', LA CORRETTEZZA
Una sottolineatura iniziale del carattere autonomo dell'ordinamento autodisciplinare, consiste nel non farsi direttamente carico dell'applicazione delle leggi. La pubblicità, prescrive l'art. 1 del Codice dell'autodisciplina, deve essere "onesta, veritiera e corretta", mentre non dice "legale", come si riscontra in Codici autodisciplinari di altri Paesi. Questa scelta risale alle origini e se, da un lato, può essere interpretata come volontà di non ingerenza nella gestione statale della giustizia, dall'altro, può essere interpretata come orientamento verso una visione pessimistica della amministrazione pubblica della giustizia, quantomeno in ordine ai tempi di svolgimento. Ancor oggi è aperta la disputa su quante siano le leggi vigenti nel nostro Paese. Evidentemente al momento del varo del Codice di autodisciplina pubblicitaria si ritenne opportuno non impegnarsi nell'applicazione di normative quantitativamente sovrabbondanti, non coordinate tra loro, spesso di ardua interpretazione e non di rado superate o carenti.
Il Codice di autodisciplina, con i suoi 48 articoli, affronta e disciplina una materia più ampia e più specifica di quella del Decreto legislativo 25/1/1992 n.74, in materia di pubblicità ingannevole, il quale, all'art. 2, limita l'oggetto della norma alla sola "pubblicità ingannevole", vale a dire quella che «possa pregiudicare il comportamento economico (delle persone fisiche o giuridiche) ovvero che per questo motivo leda o possa ledere un concorrente».
Sensibilmente più largo è il panorama abbracciato dal Codice. Già i 16 articoli iniziali, richiamano e richiedono il rispetto di valori, quali quelli di una pubblicità "onesta, veritiera ecorretta" (art. 1), che vanno oltre l'inganno del consumatore per fare spazio ai diritti del cittadino: dal rispetto della "dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni", a quello delle "convinzioni morali, civili e religiose"; all'obbligo di evitare "lo sfruttamento della superstizione, credulità e paura" e a quello di non ricorrere alla "violenza, alla volgarità, all'indecenza". Inoltre, a difesa dello strumento della pubblicità e della sua funzione economica e sociale, prescrive che "essa debba evitare tutto ciò che possa screditarla", costruendo un'ulteriore categoria che comporta un allargamento ulteriore dei vincoli.
In secondo luogo, mentre il decreto in parola sottrae alla competenza dell'Autorità Antitrust la fattispecie della "concorrenza sleale" riservandola al giudice ordinario, questa stessa spetta invece al Giurì della pubblicità per i seguenti aspetti: imitazione, anche se realizzata da non concorrenti (a differenza della nostra legislazione); confusione e suo sfruttamento; denigrazione; comparazione, ammessa quando effettuata senza riferimento a singoli concorrenti; variabilità di giudizio a seconda del prodotto e del mezzo.
Le varie fattispecie di pubblicità ingannevole vengono individuate anche nello specifico campo dei "sistemi di vendita": a credito, a distanza, forniture non richieste, vendite straordinarie, promozionali e simili (ciascuna esaminata in un particolare articolo). Lo stesso avviene per particolari "settori merceologici": prodotti cosmetici, per l'igiene personale, prodotti dietetici, trattamenti fisici ed estetici, prodotti medicinali e trattamenti curativi; e, ancora: corsi di istruzione e metodi di studio, viaggi organizzati, giochi, giocattoli. Infine, con l'edizione 1995 del Codice, anche al settore emergente della pubblicità sociale, andando quindi oltre i limiti della pubblicità commerciale e raggiungendo i settori non profit.

UN PATRIMONIO DI 30 ANNI DI ESPERIENZA
Ulteriori istituti particolari del sistema di autodisciplina sono anche:
- il potere d'iniziativa del Comitato di controllo, che sfiora ormai il 90% delle iniziative autodisciplinari, promosse nell'esclusivo interesse del cittadino-consumatore contro la pubblicità ritenuta contraria al Codice;
- il parere preventivo, espresso dal Comitato di controllo a chi ne faccia spontanea richiesta, su pubblicità non ancora diffusa. Questa è un'attività sensibilmente sviluppatasi a partire dal 1993, da quando il Ministero della Sanità, applicando una direttiva comunitaria, ha riconosciuto nell'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria e negli organi espressi dal suo Codice l'istituzione che poteva affiancare il Ministero nel controllo preventivo della pubblicità per i medicinali da banco;
- l'attività di tutela delle creazioni pubblicitarie, non proteggibili per via legislativa (è questo un altro carattere del tutto peculiare dell'autodisciplina italiana): tutela che viene attuata, attraverso il deposito preventivo presso l'Istituto, in tre diverse ipotesi (progetti presentati in gare, nuovi avvisi e nuove campagne, campagne già svolte all'estero).
Sembrerebbe pertanto lecito poter concludere questo esame con considerazioni che possono così riassumersi:
a) Il sistema autodisciplinare, con le norme contenute nel Codice di autodisciplina pubblicitaria, continuamente aggiornate, offre una copertura più ampia rispetto alle formulazioni legislative, tanto che è estesa anche a settori non considerati dalle altre discipline.
b) Gli istituti specifici, le procedure, la rapidità e le modalità di intervento sono tali da assicurare quella tempestività nella definizione dei casi che è indispensabile nel campo della comunicazione, compresa quella pubblicitaria, al fine di evitare guasti poi difficilmente rimediabili.
c) La qualità e la quantità di fattispecie esaminate e di giudizi espressi in 30 anni costituiscono una fonte insostituibile di cultura specialistica e un prezioso patrimonio di riferimento tanto per gli operatori dell'autodisciplina quanto per chiunque altro intenda sviluppare un impegno sociale per una pubblicità all'altezza del proprio ruolo.
Il Giurì ha tentato di dare la più completa attuazione al Codice di autodisciplina pubblicitaria. Si può ritenere che ciò lo abbia fatto con un grande consenso e un grande rispetto. Il consenso è dimostrato dal fatto che tutte le imprese pubblicitarie, a eccezione di una ripetutamente condannata, accettino il giudizio del Giurì e a esso ricorrano sempre più spesso. Il rispetto è legato al fatto che il Giurì ha elaborato linee giurisprudenziali spesso anticipatrici di tendenze, come quella sulla pubblicità comparativa, sulle quali si sono poi mosse autorevoli istituzioni (nel caso di specie la Comunità Europea, nell'elaborazione di una direttiva), o quella sull'uso di "testimonial" particolari, come il cosiddetto "pubblico-consigliere" (cioè un esperto super partes che gode della fiducia del pubblico a ragione della sua indipendenza di giudizio) o il "giornalista-testimonial" rappresentato nella sua abituale veste professionale (pron. Giurì n. 46/96), oggetti di analoga regolamentazione restrittiva in seno al disegno di legge di riforma delle telecomunicazioni.