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Impresa & Stato N°32 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

RELAZIONI SINDACALI E CONTRATTAZIONE AL COMUNE DI MILANO

di Simonetta Carpo


LA NOSTRA INDAGINE si inserisce nell’ambito di un più vasto progetto di ricerca realizzato nel corso del 1992 dall’Ires Lombardia, e che ha avuto per oggetto le relazioni sindacali nel pubblico impiego.

LE RAGIONI DI UNA RICERCA

Tale progetto ha riguardato un campione di 273 enti pubblici lombardi, appartenenti a diversi comparti: sanità, enti locali, stato, parastato e aziende (Vigili del Fuoco, Anas, Monopoli e Forestali).
La rilevazione è stata realizzata attraverso un ampio questionario, distribuito ai rappresentanti sindacali di enti pubblici dei diversi comparti (Ronchi 1993).
A conclusione di questa prima fase di analisi quantitativa si è ritenuto di dedicare alla realtà del Comune di Milano un approfondimento particolare, basando lo studio sulla metodologia del case study.(1)
La complessità sistemica e organizzativa di un ente locale che occupava, al momento della rilevazione, quasi ventimila dipendenti, costituisce infatti uno scenario ideale per far emergere con chiarezza molti nodi cruciali del sistema di relazioni sindacali nell’ambito del pubblico impiego.
Tale complessità costituisce infatti, come vedremo, una difficoltà ma, al contempo, anche una risorsa per il dispiegarsi di un sistema di rapporti tra le parti che - coerentemente con il più recente orientamento legislativo - possa condurre al superamento di quell’immobilismo che costituisce un non invidiabile tratto distintivo del pubblico impiego nel nostro Paese.
Prima dunque di entrare nel vivo dell’esperienza realizzata dal Comune di Milano, ricordiamo qui brevemente il contesto normativo nell’ambito del quale gli attori della contrattazione si muovono, quali sono gli strumenti a disposizione della contrattazione decentrata, e quali i limiti posti dal legislatore.

IL QUADRO NORMATIVO

La contrattazione decentrata, formalmente normata con la legge quadro del 1983 (Legge 93/83), trae la sua ragion d’essere dall’intento di stemperare il deciso verticismo che caratterizzava la contrattazione collettiva nel pubblico impiego. Tuttavia la legge nasce ampiamente condizionata dalla condivisibile preoccupazione, da parte del legislatore, di contenere la contrattazione integrativa soprattutto sui temi retributivi, lasciando al contempo più ampi margini di manovra su materie di carattere organizzativo (Natullo 1990).
Questo orientamento di freno è sostanzialmente ribadito nei successivi contratti comportamentali,(2) e solo con la Legge 142/90 di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali vengono introdotti nuovi elementi in base ai quali determinare il contenuto della contrattazione.
Una novità rilevante introdotta proprio dalla Legge 142/90 è costituita da un primo passo verso la delegificazione del rapporto di pubblico impiego (Cammelli, Recchione 1993). Lo status giuridico e il trattamento economico dei dipendenti degli enti locali sono pertanto lasciati alla contrattazione in modo più ampio di quanto previsto dalla Legge 93/83.
L’orientamento espresso dal legislatore soprattutto nell’ultimo accordo di comparto (Dpr 333/90) - che è ovviamente quello che maggiormente informa la contrattazione di cui ci stiamo occupando - è quello di incentivare il recupero dell’efficienza dei servizi, delegando alla contrattazione decentrata maggiore discrezionalità nell’attribuire quote monetarie integrative, purché esplicitamente connesse a elementi di produttività.
Come vediamo, dunque, già nel 1991 gli spazi a disposizione della contrattazione decentrata non sono pochi. La concreta esperienza del Comune di Milano, d’altro canto, ci aiuterà a comprendere come la traduzione della norma in sede applicativa locale presenti una serie di difficoltà di non poco conto, scontrandosi con numerosi ostacoli: alcuni oggettivamente legati alla complessità strutturale dell’Ente; altri dettati dalla persistente vischiosità degli assetti precedenti, in grado di produrre forme di resistenza nei confronti dell’innovazione da parte di tutti gli attori coinvolti: direzione, sindacato e lavoratori.

OCCUPAZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI AL COMUNE DI MILANO: CENNI

Il Comune di Milano si presenta come realtà organizzativa estremamente complessa e articolata: nell’anno cui si riferisce il nostro studio i dipendenti in ruolo dell’Ente erano, al 31 dicembre, circa 20.000, distribuiti su otto qualifiche funzionali e due livelli dirigenziali.
L’attività dell’Ente si articola in oltre 60 settori, dove per settore si intende un’area produttiva destinata a funzioni o servizi omogenei.
Il trend occupazionale evidenzia un tendenziale ridimensionamento della pianta organica: dai primi anni Ottanta infatti il turn over non è più stato coperto integralmente. Solo nel 1991, secondo quanto rilevato dall’indagine Ires "Le Relazioni Sindacali nel Pubblico Impiego" (Ronchi 1993), si sono verificate circa 2200 uscite di dipendenti, mentre le nuove assunzioni sono state solo 500.
La composizione della pianta organica rivela come le qualifiche più basse (terza, quarta e quinta) raccolgano più della metà dei dipendenti (Finazzi 1993).
Questo sintetico scenario è in grado di introdurci ad alcune delle problematiche e dei nodi critici che nel corso dell’esposizione potranno essere osservati con maggiore dettaglio.
Un tema di particolare rilevanza che condiziona in modo evidente la gestione corrente dell’Ente - fornendo inoltre materia per la contrattazione(3) - è infatti la tendenziale riduzione dell’organico, fenomeno che è accompagnato, secondo fonte sindacale, da un incremento dei carichi di lavoro individuali.
La denunciata carenza degli organici viene infatti presentata come principale causa dell’uso massiccio del lavoro straordinario. Per rendersi conto della rilevanza del fenomeno basti pensare che per il 1991 il lavoro straordinario prestato all’interno dell’Ente arriva a 3.017.583 ore, suddiviso mediamente in 162 ore pro capite annue, cifra che supera di fatto la quota consentita dal contratto.(4) La questione relativa al lavoro straordinario è un tema discusso sia all’interno del sindacato che tra sindacato e amministrazione dell’Ente, soprattutto in relazione all’uso improprio o distorto che si è fatto di questo strumento nella pratica quotidiana. Infatti, poiché la contrattazione decentrata - per precisa volontà del legislatore (Natullo 1990) - dispone di pochi margini di discrezionalità nell’attribuzione di riconoscimenti economici che non siano esplicitamente disposti dal contratto nazionale, è invalsa la prassi di disporre dello straordinario in funzione di leva salariale discrezionale.
Il tema diviene poi particolarmente spinoso proprio a partire dal 1991, anno in cui, con l’entrata in vigore del nuovo contratto di lavoro per i dipendenti delle Autonomie Locali (Dpr 333/90), viene costituito il "Fondo per il miglioramento dell’efficienza dei servizi" (art. 5), che ricomprende al suo interno tutte le voci di salario accessorio pagate in sede locale (indennità, produttività e straordinario). Con l’istituzione del Fondo dunque, la crescita incontrollata della somma erogata per straordinario finirebbe per erodere la disponibilità economica destinata a incentivi alla produttività e a indennità.
La costituzione del Fondo unico, che proprio nel 1991 vede la sua prima applicazione in sede locale al Comune di Milano, risulta di particolare interesse; per questa ragione nel corso del lavoro saranno analizzate ampiamente quali prospettive vengano potenzialmente aperte da questa sperimentazione, e quali nodi problematici emergano dalla sua applicazione.
Una seconda area problematica è legata alla composizione della pianta organica, come abbiamo detto fortemente sbilanciata sulle qualifiche medie e basse. L’anzianità elevata e la bassa qualificazione della maggioranza dei dipendenti pongono un comprensibile freno alla spinta verso l’innovazione organizzativa e il recupero dell’efficienza, esigenza che anche il sindacato ragionevolmente avverte.
La politica di responsabilizzazione da parte del sindacato nei confronti delle esigenze del servizio infatti rischia per queste ragioni di risultare penalizzante, sotto il profilo della capacità di rappresentanza, quanto meno nel breve termine.
Questo è tanto più vero se si considera che le relazioni sindacali al Comune di Milano erano fortemente condizionate - per unanime ammissione dei nostri interlocutori - da una rincorsa del consenso attraverso politiche di distribuzione "a pioggia" di tutto quanto era possibile strappare nella contrattazione in sede locale.
La rottura con una tradizione che vede l’azione sindacale ancorata in ogni caso all’ottenimento del consenso da parte dei propri rappresentanti è problema ancora più spinoso se si considera come il settore pubblico sia caratterizzato da una forte concorrenza tra organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori; concorrenza che si riscontra tanto all’interno del sindacato confederale quanto - soprattutto - per la presenza di un sindacalismo autonomo in grado di amplificare la risonanza del dissenso dei lavoratori (Regalia 1990).
Non è un caso infatti che al Comune di Milano la presenza delle Rappresentanze di Base (RdB) si sia fatta sentire proprio a partire da alcuni episodi contrattuali nell’ambito dei quali il sindacato confederale ha tentato una conciliazione tra diritti dei lavoratori e interessi dell’utenza del servizio, conciliazione che una parte dei lavoratori ha evidentemente avvertito come forzatura ai propri danni.

GLI ATTORI DELLA CONTRATTAZIONE

La direzione dell’Ente

Le trattative a livello di Ente, cioè le trattative inerenti a problematiche trasversali che riguardano tutti i lavoratori, costituiscono il cosiddetto "tavolo centrale", il tavolo contrattuale più completo e composito, anche per la rilevanza delle tematiche affrontate.
Per l’amministrazione dell’Ente i settori maggiormente coinvolti sono il settore personale e la ragioneria: il primo interviene per gli aspetti inerenti alla congruità e alla legittimità rispetto alle disponibilità di pianta organica; la ragioneria, ovviamente, per quanto riguarda le compatibilità economiche.
Il tavolo centrale è quello che coinvolge il maggior numero di attori: oltre al direttore e all’assessore al personale sono presenti il responsabile delle relazioni sindacali e, in relazione alla problematica da trattare, il responsabile del settore coinvolto.
Per le organizzazioni sindacali sono presenti, nel 1991, solo le organizzazioni categoriali di Cgil, Cisl e Uil;(5) più raramente, soltanto quando la trattativa coinvolge non soltanto la categoria, ma riguarda in modo più ampio i diritti del cittadino (politiche degli orari dei servizi, tariffe ecc.) viene invitato anche il sindacato confederale. In questi casi la prassi è quella di convocare tavoli separati: uno rigorosamente di categoria, l’altro confederale.(6)
Ai tavoli di settore, che affrontano problematiche relative alle varie aree, siedono i dirigenti del settore interessato con Cgil, Cisl e Uil. Separatamente, se il direttore di settore lo ritiene opportuno, vengono convocate anche le RdB; anche i protocolli d’intesa vengono dunque di norma prodotti separatamente.
Il problema più serio relativo ai tavoli di settore è costituito dall’assenza - al momento della rilevazione - del direttore del settore personale; in relazione a questa assenza, può accadere che accordi sottoscritti con il direttore di settore finiscano per non trovare immediata applicazione per la successiva opposizione del settore personale, che riscontra una incompatibilità con le normative contrattuali o con la disponibilità delle risorse.
Data la rilevanza delle tematiche trattate, dunque, nei casi esaminati per il 1991 è stata esplicitamente richiesta dai sindacati la presenza, anche al tavolo di settore, dell’assessore al personale, oltre che dell’assessore per il settore interessato e dei due rispettivi dirigenti. Questa presenza doveva infatti garantire che, una volta perfezionato l’accordo, questo potesse trovare immediata applicazione.
Anche dalle informazioni forniteci dalla Ricerca Ires del 1991 possiamo osservare come tanto i dirigenti quanto i politici siano soliti intervenire direttamente su di un’ampia gamma di tematiche, quali piante organiche, mobilità, assunzioni, organizzazione del lavoro, orari, inquadramenti, incentivi. In particolare, in materia di innovazione tecnologica e formazione professionale l’amministrazione assume di solito autonomamente le proprie decisioni. La stessa indagine tuttavia rileva un tendenziale ridimensionamento dell’ingerenza politica nella gestione corrente, fenomeno che possiamo mettere in relazione con l’intervento di responsabilizzazione della parte dirigenziale promosso con la Legge 142/90.
Dalla testimonianza dei nostri interlocutori emerge con chiarezza come sino ad allora la parte politica svolgesse un ruolo essenziale di mediazione e composizione dei conflitti tra dirigenza e organizzazioni sindacali, attività che evidentemente, nell’incertezza che connotava i rispettivi ruoli, contribuiva ad aumentare la vischiosità delle dinamiche contrattuali.
Nel 1991 gli assessori erano sempre presenti ai tavoli, e vi assumevano un ruolo incisivo. Nell’ambito delle riunioni di giunta venivano determinate le priorità, e queste venivano poi trasferite in sede contrattuale.
Da questo insieme di informazioni è possibile ricostruire un quadro che testimonia di una modalità di confronto tra le parti costante e capillare, ricca anche di momenti informali di informazione e consultazione.
Le tematiche sulle quali veniva abitualmente sollecitato un confronto con la parte sindacale hanno riguardato soprattutto la gestione ordinaria dei servizi, oltre alla progettazione e fissazione di obiettivi inerenti a specifiche problematiche.
Le intese a carattere informale, ancora molto frequenti nel 1991, riguardavano invece soprattutto le modalità delle nuove assunzioni, lo straordinario e altre problematiche legate all’orario di lavoro, azioni positive, aspetti inerenti alla riorganizzazione produttiva e diritti sindacali.

Il sindacato

Al momento della rilevazione all’interno del Comune di Milano le organizzazioni sindacali sono presenti per la Cgil con un Comitato degli Iscritti regolarmente eletto, e per le altre sigle con una rappresentanza Sindacale d’Azienda, designata dalle Organizzazioni Sindacali. Il sindacato confederale dunque non dispone di un organismo di rappresentanza unitario (Consiglio dei Delegati).
Sono inoltre presenti, in misura crescente negli ultimi anni, le Rappresentanze di Base, oltre ad alcuni sindacati autonomi legati alle specificità professionali, i più rilevanti dei quali sono quello della Vigilanza Urbana, aderente alla Cisal, e quello degli Assistenti Sociali (Sunas).
I dati sulla iscrizione ai sindacati nel 1988 e nel 1989 (Tabella 1), indicano una tendenza al ridimensionamento delle adesioni al sindacato confederale.
La difficoltà sensibile nella capacità di rappresentanza del sindacato confederale al Comune di Milano si rileva raffrontando la percentuale di sindacalizzazione per il 1991 del nostro Ente (39,7%) con il tasso di sindacalizzazione degli Enti Locali in Lombardia nel medesimo anno (59,8%; Fonte: Ires 1993).
In modo speculare al tendenziale ridimensionamento della rappresentanza sindacale confederale troviamo una crescita non trascurabile, per quanto limitata in termini assoluti, del sindacalismo autonomo, che proprio dal 1991 crescerà soprattutto nella componente delle Rappresentanze di Base.
La difficoltà di rappresentanza in cui il sindacato confederale nel suo insieme si è trovato nel corso degli ultimi anni può essere messa in relazione con l’andamento di alcune vicende contrattuali, e segnatamente con due vertenze relative ai settori Educazione e Servizi Sociali, delle quali ci occuperemo ampiamente più avanti. Non a caso infatti proprio in questi due settori le Rappresentanze di Base trovano un cospicuo radicamento.
Nonostante la sensibile difficoltà denunciata da questi dati, le informazioni a nostra disposizioni testimoniano di un rapporto tra sindacato e amministrazione dell’Ente inteso e in grado di spaziare ad ampio raggio su di una ricca gamma di tematiche. Solo nel 1991 sono stati siglati sette accordi, e anche la pratica di microcontrattazione attraverso contatti quotidiani tra sindacato e amministrazione è frequente, così come sostanzialmente rispettati sono i diritti di informazione stabiliti contrattualmente. Questa tenuta sostanziale della capacità di confronto è dunque in grado di contenere gli episodi di aperta conflittualità: per il 1991, infatti, le ore di sciopero proclamate sono state soltanto dodici.

LE RELAZIONI SINDACALI E LA CONTRATTAZIONE

La logica delle relazioni tra le parti

Il sistema delle relazioni sindacali al Comune di Milano si è consolidato, almeno sino al 1991, secondo una logica che le parti interessate definiscono esplicitamente di cogestione dei rapporti di lavoro. Per comprendere appieno il clima in cui le vicende contrattuali di cui ci occupiamo si sono svolte è importante ricordare come la contrattazione fosse una tradizione consolidata all’interno del nostro Ente - anche in tempi precedenti all’intervento della Legge quadro (Dpr 93/83).
Gli elementi sui quali tale pratica si imperniava sono individuabili, da un lato, nella forza contrattuale a disposizione di un sindacato saldamente presente all’interno dell’Ente; dall’altro nella disponibilità e interesse, da parte dell’amministrazione, al costituirsi di un sistema di gestione dei rapporti di lavoro apertamente consensuale.
Secondo l’opinione dei nostri interlocutori non è possibile prescindere da queste considerazioni se si vuole comprendere la realtà della contrattazione al Comune di Milano anche in tempi più recenti.
I contratti nazionali di comparto elaborati nello spirito della Legge quadro (Dpr 347/83, 268/87, 333/90) infatti mandano un messaggio molto chiaro: in ambito di contrattazione decentrata non deve essere trattato l’aspetto retributivo, se non in termini di riconoscimento della produttività, e non si devono trattare gli inquadramenti, se non in casi molto limitati. La contrattazione decentrata, in altri termini, non deve assumere il carattere di una vera contrattazione integrativa, ma la sua funzione cardine deve essere quella di garantire l’applicazione di alcuni istituti, oltre che assicurare i dovuti adeguamenti organizzativi.
L’intervento della legge quadro però, come abbiamo detto, si inserisce su di una realtà di contrattazione piuttosto intensa, anche su temi salariali e sugli inquadramenti, proprio su quelle materie cioè che nella volontà del legislatore dovevano trovare dei limiti nell’ambito della contrattazione decentrata.
Lo spirito della legge quadro si trova cioè a sovrapporsi a una fitta rete di rapporti stratificata e consolidata nel tempo, nell’ambito della quale nessuno degli attori coinvolti sembra veramente disponibile a rinunciare alle proprie prerogative conquistate sul campo, nella pratica contrattuale quotidiana e sulla base dei rapporti di forza esistenti.
Le testimonianze raccolte rafforzano l’immagine di una sorta di contrapposizione tra il disegno espresso dalla legge quadro e l’atteggiamento della parte sindacale, la quale riconosce formalmente l’introduzione di limiti ai propri spazi contrattuali, senza tuttavia nei fatti esprimere compiutamente la disponibilità a recedere dalle condizioni di favore che nel tempo erano state raggiunte.
L’esito di questo processo appare all’osservatore come un’opposizione da parte di alcune frange sindacali, in grado di pregiudicare seriamente l’iniziativa nei confronti di una pratica contrattuale innovativa sui temi dell’efficienza, della produttività e della organizzazione dei servizi. L’equilibrio delle relazioni è reso tanto più delicato dal fatto che l’intero sistema risulta condizionato dalla commistione e confusione delle rispettive competenze, al punto che ogni atto di gestione da parte dell’amministrazione doveva essere compiuto all’interno di un vasto e complesso sistema di consenso assicurato dalla controparte sindacale. Ogni spazio di incertezza nell’interpretazione delle regole formali veniva presidiato dalla pratica di trovare accordi, giungendo al paradosso che la mancanza di regole produceva in questo modo un sistema informale di regole ferree, (7) in grado di portare a livelli intollerabili la vischiosità della gestione quotidiana dei rapporti di lavoro.
Questa particolare connotazione del sistema di relazioni sindacali ha contribuito a costituire col tempo un rapporto organizzativo caratterizzato da un forte immobilismo, oltre che un serio vincolo anche per un’azione sindacale più incisiva e innovativa.
Dalla nostra indagine emerge come proprio nel 1991 si avvertano i primi segnali di rottura rispetto a questa tradizione.
Da parte del legislatore arriva un richiamo della parte dirigenziale alle proprie responsabilità, con la Legge 142 già menzionata. Il sistema politico nel suo complesso si avvicina al suo tracollo, e a Milano in modo particolare già nel 1991 la Giunta Pillitteri non costituisce più un referente politico forte e credibile.
Da parte sindacale, il dibattito interno alla Cgil vede uscire rafforzate le posizioni che maggiormente spingono verso un processo di rinnovamento complessivo della pratica sindacale, e ciò si estrinseca anche in un ampio ricambio del gruppo dirigente dell’esecutivo al Comune di Milano.
È proprio del ’92 la decisione, fortemente voluta dalla Cgil, di abbandonare progressivamente tutti quegli organismi bilaterali - commissioni di studio, di concorso, organi consultivi ecc. - che maggiormente si prestavano a operazioni non trasparenti e potenzialmente accrescevano l’ambiguità del ruolo sindacale nella gestione corrente dei rapporti di lavoro.

Le vertenze del 1991

La nostra ricerca ha raccolto la documentazione relativa a tutti gli accordi firmati nel 1991. (8) Si tratta cioè di accordi che applicano in sede locale quei dispositivi previsti dal contratto nazionale (Dpr 333/90) che garantiscono integrazioni salariali e legate alla produttività. Nel 1991 inoltre a livello di Ente sono stati contrattati dei reinquadramenti indotti da esigenze di adeguato riconoscimento della professionalità, ed è stato applicato un dispositivo chiamato Livello Economico Differenziato. Vedremo inoltre alcuni esempi significativi di contrattazioni in ambito settoriale, relativi alle aree Educazione e Servizi Sociali. (9)
I sette accordi firmati al Comune di Milano nel corso del 1991 costituiscono una conferma della intensa attività negoziale prodotta all’interno dell’Ente; a titolo comparativo si noti che dalla citata rilevazione Ires sulle relazioni sindacali nel pubblico impiego emerge che il comparto Enti Locali, pur essendo rispetto ai comparti Sanità e Stato maggiormente coinvolto in attività contrattuale, presenta un numero medio di quattro accordi siglati nel corso del 1991.

La produttività
Il tema della produttività fa parte della classica contrattazione annuale che è stata introdotta con il Dpr 347/83 e successivamente ribadita con i Dpr 268/87 e 333/90. L’elemento di novità introdotto con il Dpr 333/90, cui fa riferimento la contrattazione del ’91, riguarda la costituzione del Fondo per la migliore efficienza dei servizi (art. 5), che riorganizza in un unico contenitore la spesa per straordinari, per indennità varie e la produttività vera e propria.
Il Dpr stabilisce dei criteri alquanto rigidi per la costituzione del Fondo: una somma non superiore al corrispettivo delle ore di straordinario effettuate nell’anno precedente, l’1,45 del monte salari dell’Ente, l’importo derivante dalla corresponsione delle indennità previste dal contratto, e infine una quota pari al 50% delle eventuali economie di gestione. Risulta evidente dunque che la quota sulla quale effettivamente si contratta è proprio quella relativa alle economie di gestione, e questo pone difficoltà pratiche non irrilevanti, dato che l’accertamento di tali economie è tutt’altro che trasparente. Inoltre, da parte del sindacato si sottolinea come l’incertezza relativa all’ammontare di questa somma, che può essere determinata solo ex post, renda difficoltosa una programmazione seria degli obiettivi di produttività del servizio.
Nonostante questi rilievi critici la valutazione di questo nuovo istituto da parte dei nostri interlocutori è complessivamente positiva. Si rileva infatti come fino alla costituzione del Fondo unico il premio di produttività venisse corrisposto sulla base di semplici criteri di presenza e livello, e si riducesse nei fatti a una sorta di tredicesima, del tutto svincolata da qualunque tentativo di programmazione legata all’efficienza del servizio.
Con l’introduzione del Fondo unico quindi la disponibilità economica dell’Ente deve essere destinata in via prioritaria alla realizzazione di piani e progetti orientati alla migliore efficienza del servizio, individuati con la contrattazione decentrata a livello di Ente.
La costituzione del Fondo unico inoltre dovrebbe andare incontro all’esigenza di contenere la crescita incontrollata della spesa per straordinari, dato che tutto ciò che viene erogato in questa forma risulta sottratto alla disponibilità complessiva del Fondo, e limita dunque la possibilità di disporre di risorse per progetti finalizzati. L’accordo siglato nel 1991 perviene alla costituzione di un Fondo pari a 96 miliardi, aumentando la quota prevista per la produttività vera e propria rispetto all’accordo del ’90 da 32 a 41 miliardi, dei quali circa 38 poi effettivamente erogati. Il vero punto dolente relativo all’introduzione di questa innovazione consta nel fatto che l’elaborazione di piani e progetti inerenti alla produttività è stata obiettivamente scarsa, e la quota di produttività continua a rimanere quel contenitore dal quale attingere a qualsiasi titolo tutte le integrazioni salariali che non è possibile attribuire in altro modo in sede di contrattazione decentrata.
Di fatto, gli unici esempi significativi di erogazione di quote di produttività legate a progetto riguardano accordi di settore relativi al funzionamento di asili nido e dei Centri per l’Assistenza ai portatori di handicap (Ctr) nel mese di luglio, dei quali parleremo ampiamente più avanti. Tuttavia va segnalato che il parere della direzione rispetto a questi progetti è stato critico, in base alla constatazione che si sarebbe trattato in realtà di lavoro ordinario, per il quale è stato corrisposto un incentivo sottratto in modo improprio al fondo di produttività.

I reinquadramenti e il Livello Economico Differenziato
La contrattazione relativa agli inquadramenti e l’applicazione del Livello Economico Differenziato (Dpr 333/90 art. 35) costituiscono tematiche strettamente connesse. La piattaforma per il rinnovo contrattuale presentata da Cgil, Cisl e Uil nel 1989 prevedeva infatti la richiesta di un numero sostenuto di passaggi di livello e di riconoscimenti professionali. La richiesta si scontrò con l’indisponibilità del Governo a concedere integrazioni salariali che avrebbero potuto innescare rivendicazioni anche in altre categorie, e la mediazione cui l’accordo pervenne fu appunto l’istituzione del Livello Economico Differenziato. Questo istituto dispone che per ogni categoria venga individuata una certa percentuale di dipendenti che ha diritto a una integrazione salariale, pari al 40% della differenza tra la propria retribuzione di livello e quella relativa al livello superiore. La norma contrattuale stabilisce in modo perentorio la percentuale degli aventi diritto per ogni livello e la quota di integrazione dovuta, mentre i criteri di attribuzione del Led sono lasciati ampiamente disponibili all’accordo in sede locale, in considerazione (art. 35 comma 2).
La soluzione individuata al Comune di Milano è fortemente condizionata dalla preoccupazione di individuare criteri quanto più possibile oggettivi, e per questa ragione è stato elaborato un criterio praticamente automatico, mediante una graduatoria per anzianità e titoli, senza alcuna valutazione dell’apporto del contributo individuale o collettivo, né delle posizioni di lavoro. Anche in questo caso dunque, come per il Fondo unico per la produttività, ci troviamo di fronte all’introduzione di un istituto potenzialmente innovativo per la gestione dei rapporti di lavoro all’interno dell’Ente, ma le opportunità offerte da questo strumento non vengono valorizzate al meglio.
Proprio la libertà lasciata alla contrattazione decentrata di individuare i criteri di attribuzione del Led avrebbe infatti consentito qualche sperimentazione in direzione del riconoscimento di specificità professionali "forti", (10) o addirittura del merito individuale. (11) È invece prevalso il criterio dell’anzianità di servizio per i livelli più bassi, solo leggermente bilanciata con titoli di studio e titoli culturali e professionali per i livelli più alti.
Questa logica sindacale di tutela dell’uniformità dei trattamenti retributivi viene rispecchiata anche dalla vicenda contrattuale dei reinquadramenti, che come abbiamo ricordato è connessa alla contrattazione del Livello Economico Differenziato. Una preoccupazione che ha orientato questa trattativa è stata di assicurare qualche forma di riconoscimento al personale amministrativo, per il quale più difficilmente hanno potuto in genere essere corrisposte indennità. L’accordo concluso nel 1991 è pervenuto a un reinquadramento molto corposo per i quarti livelli amministrativi i quali, secondo quanto disposto dall’articolo 34 del Dpr 333/90 sono stati riconosciuti nella qualifica di terminalisti e addetti alla registrazione dati nell’area informatica, ottenendo quindi il passaggio alla quinta qualifica funzionale.

Accordi di settore
Per il 1991 nell’ambito della contrattazione settoriale, ci sono stati segnalati due esempi di accordi nell’area Servizi Sociali e nell’area Educazione che ruotano attorno allo stesso problema organizzativo: il funzionamento di alcuni servizi nel mese di luglio. Per quanto riguarda il settore Educazione si è trattato dell’estensione a tutto il mese di luglio del funzionamento degli asili nido, mentre per il settore Servizi Sociali sono stati interessati i Ctr, ovvero i Centri per l’Assistenza a portatori di handicap in età post scolare. In entrambi i casi le vertenze hanno assunto una rilevanza e una problematicità particolare, trattandosi di situazioni nelle quali i lavoratori dovevano dichiararsi disponibili a rinunciare a un calendario lavorativo ormai assestato, il cui regime era acquisito di diritto. (12)
Si è trattata dunque di una situazione nella quale era necessario conciliare i diritti dei lavoratori e la necessità di garantire il funzionamento di un servizio tanto delicato secondo un calendario più conforme alle esigenze della cittadinanza.
La trattativa si è rilevata in entrambi i casi alquanto spinosa, poiché il sindacato ha spinto sulla valorizzazione della qualità ed essenzialità del servizio, forzando la mano rispetto alla volontà espressa dai lavoratori di non modificare l’estensione del proprio calendario lavorativo. Nel caso della trattativa nel settore Servizi Sociali - la quale per altro si è trascinata per alcuni anni, dato che la prima piattaforma risale al 1988 - l’accordo cui il sindacato di categoria perviene è stato sempre bocciato dai lavoratori e la frattura originata da quelle incomprensioni è stata probabilmente una delle ragioni che hanno garantito, proprio in quel settore, il radicamento delle RdB, che per l’appunto dal 1991 iniziano ad accrescere il loro consenso tra i lavoratori.
In entrambi i casi l’accordo raggiunto è stato giudicato soddisfacente dal sindacato; si prevedeva che il servizio fosse esteso solo a quella parte dell’utenza che ne faceva richiesta (corrispondente a un terzo degli utenti complessivi); conseguentemente anche i lavoratori coinvolti sarebbero stati solo un terzo dei dipendenti, da individuarsi primariamente su base volontaria. Solo nel caso che i candidati volontari non fossero in numero sufficiente a garantire il funzionamento dell’attività, ogni dipendente avrebbe potuto essere adibito al servizio, una volta ogni tre anni. Per contro, il periodo di lavoro estivo viene retribuito in ragione di L. 800.000 oltre il normale stipendio, oppure, a scelta, di L. 400.000 più 5 giorni di ferie da recuperare nel corso dell’anno. Nonostante le condizioni dell’accordo appaiano vantaggiose per il personale coinvolto, in entrambi i settori la frattura tra sindacato e lavoratori - come già abbiamo avuto modo di sottolineare - è stata significativa.
È opportuno rilevare come in questa vicenda contrattuale emergano alcuni elementi di difficoltà nel rapporto tra lavoratori e sindacati: da parte delle organizzazioni sindacali è individuabile una certa impreparazione a mediare con fasce di lavoratori che sono portatori di domande complesse e articolate; si tratta di lavoratori con un livello di scolarità medio-alta, per i quali il senso di indennità si sviluppa nell’ambito della propria specificità professionale piuttosto che secondo una logica di appartenenza sindacale. Da parte dei lavoratori, per contro, è emersa una certa preclusione ideologica nei confronti del tentativo di arrivare a una conciliazione tra un proprio diritto e le esigenze di un servizio di ampia rilevanza sociale.

LE INTESE INFORMALI

Come già abbiamo avuto modo di constatare, il modello di relazioni tra organizzazioni sindacali e amministrazione dell’Ente non si esaurisce solo con il momento formale della vertenza. Si tratta infatti di un sistema di relazioni molto intense su di una molteplicità di tematiche che coinvolgono soprattutto la gestione quotidiana di problematiche organizzative ed episodi di microconflittualità tra singoli lavoratori e amministrazione. Nel 1991 inoltre non era infrequente che singoli lavoratori si rivolgessero direttamente all’amministrazione per risolvere questioni inerenti a inquadramenti, trasferimenti, carichi di lavoro, questioni disciplinari, ferie eccetera. Tuttavia, l’amministrazione si è sempre dimostrata propensa a coinvolgere le organizzazioni sindacali in tutte le questioni relative all’attribuzione di incarichi, inquadramenti, passaggi di categoria.
La pratica di pervenire a intese di carattere informale attraverso consultazioni con i rappresentanti sindacali nei luoghi di lavoro è giustificata per altro anche dall’esigenza di garantire continuità nella prestazione di servizi sociali essenziali. La presenza di questi canali di consultazione garantiva dunque un fluido funzionamento del servizio, scongiurando tempestivamente il sorgere di situazioni di microconflittualità.
Tuttavia in molti casi questa fitta rete di rapporti tra organizzazioni sindacali e amministrazione ha posto seri problemi di identità per i rappresentanti dei lavoratori, generando talvolta distorsioni e ambiguità nella gestione delle relazioni di lavoro.
Queste considerazioni sono oggi apertamente condivise dai nostri interlocutori, i quali ritengono che il rinnovamento dell’amministrazione - con la quale oggi non esistono più i canali contrattuali informali del passato - possa essere una valida occasione per ripensare a un nuovo sistema delle relazioni sindacali maggiormente rispettose delle specifiche prerogative di ciascuna delle parti contraenti.

CONCLUSIONI

Riprendiamo in conclusione i fili del nostro discorso per richiamare quegli elementi che costituiscono lo scenario nell’ambito del quale le relazioni sindacali al Comune di Milano prendono forma.
Abbiamo già sottolineato come l’analisi di un anno di vita sindacale al Comune di Milano si sia focalizzata su di un cruciale momento di transizione, connotato da una particolare congiuntura di eventi: alcuni interventi legislativi miranti alla riorganizzazione del sistema del pubblico impiego, dei quali abbiamo già avuto modo di accennare nel corso dell’esposizione; i primi segnali di crisi del sistema politico, che aveva sino ad allora assunto un ruolo essenziale di mediazione degli interessi e di intervento della gestione corrente del Comune di Milano.
Per meglio comprendere le difficoltà che hanno connotato la vita sindacale in un momento tanto delicato di transizione possiamo riproporre alcuni elementi attorno ai quali ruotano le questioni principali delle quali ci siamo occupati.
In primo luogo è necessario considerare la complessità strutturale dell’Ente, all’interno del quale vengono erogati una varietà di servizi delicati ed essenziali che coinvolgono una molteplicità di figure professionali eterogenee, ognuna legata a proprie specificità e identità: dai semplici commessi, che costituiscono per altro una massa molto imponente (sono circa 5000), agli operai specializzati, agli educatori e insegnanti.
L’azione di mediazione e composizione di domande tanto diversificate comporta, per i rappresentanti dei lavoratori, delle scelte di campo che difficilmente possono essere indolori.
Da un lato infatti l’azione sindacale è vincolata al consenso della maggioranza dei lavoratori, i quali richiedono forme di tutela ancora piuttosto tradizionali, con le quali per altro il sindacato dimostra di possedere, per cultura e tradizione, maggiore familiarità. D’altro canto i rappresentanti dei lavoratori si trovano a incontrare anche domande più complesse che provengono da fasce minoritarie ma strategiche all’interno del servizio: sono le istanze che provengono dai lavoratori più giovani e maggiormente scolarizzati, che pongono questioni inerenti alla valorizzazione della professionalità, agli sviluppi di carriera, all’incentivazione più individualizzata. L’immagine della posizione sindacale che si delinea attraverso la ricostruzione qui realizzata mediante testimonianze e materiale documentario è in sintesi quella di una faticosa ricerca di equilibrio tra queste due culture.
Dal lato della controparte, gli elementi che condizionano la gestione dei rapporti di lavoro sono riscontrabili nel quadro normativo, che solo a partire dal ’91 promuove la responsabilizzazione della dirigenza, ridimensionando al contempo il ruolo di mediazione sul piano politico svolto dagli assessori.
Lo scenario del 1991 è infatti caratterizzato da una dirigenza ancora poco responsabilizzata rispetto alle proprie prerogative, elemento questo che produce alcune rilevanti ricadute sul piano della gestione dell’Ente: in primo luogo la mediazione politica agisce nel senso di condurre la gestione dell’Ente più come ricerca di consenso politico che non come ricerca di efficienza ed economicità del servizio; secondariamente, la mediazione politica tende a coinvolgere la parte sindacale oltre le sue prerogative, con il rischio di snaturarne il ruolo e le funzioni.
Nonostante dunque gli elementi per una profonda trasformazione del sistema delle relazioni di lavoro siano presenti già nel 1991, si ha l’impressione che l’orientamento del legislatore, espresso nell’ultimo accordo compartimentale (Dpr 333/90), e incentrato sull’obiettivo di recuperare l’efficienza dei servizi anche attraverso politiche di incentivazione della produttività, abbia trovato l’amministrazione dell’Ente, la controparte sindacale nonché i lavoratori ancora sostanzialmente impreparati ad accoglierne lo spirito. Dall’analisi della contrattazione che vi fa riferimento si può rilevare infatti come la potenzialità degli strumenti a disposizione non sia stata valorizzata appieno, e come l’innovazione venga ancora vissuta come sostanzialmente destabilizzante da ciascuno degli attori coinvolti.
Si tratterebbe dunque di un tentativo di rottura con la tradizione solo parzialmente riuscito, o piuttosto di un momento difficile di transizione che richiede una drastica ridefinizione dei ruoli e delle prerogative di ciascuno.

Tab. 1 - Iscrizione ai sindacati confederali e autonomi
19881991
Cgil4.2054.205
Cisl 2.9342.516
Uil 2.0372.304
Totale 9.1768.398
Sindacati autonomi 159807
Totale iscritti18.51116.766
Fonte: Cgil Fp

NOTE

1) La ricerca si è basata sull’analisi di un vasto materiale documentario originale, inerente all’attività contrattuale svolta dall’Ente nel corso del 1991. Inoltre sono stati condotti numerosi colloqui in profondità con membri dell’esecutivo. Per la controparte, è stato intervistato il dirigente responsabile per il 1991 della gestione delle relazioni sindacali.
2) Il Dpr 347/83, il primo contratto realizzato dopo l’entrata in vigore della Legge quadro, il Dpr 268/87 e il Dpr 333/90.
3) Soprattutto a livello di settore, sede privilegiata per la contrattazione inerente a problematiche di tipo organizzativo.
4) Secondo quanto disposto dal Dpr 333/90, art. 5, è parte costituente del Fondo per il miglioramento dell’efficienza dei servizi da destinare alla retribuzione di lavoro straordinario una somma non superiore al corrispettivo del numero di ore di lavoro straordinario effettuata nell’anno precedente, e comunque non superiore al corrispettivo di 70 ore annue per ciascun dipendente. Si tratta tuttavia di una norma ordinatoria che può essere derogata.
5) Con la nuova amministrazione della Lega Nord, a partire dal 1993, è stato introdotto un tavolo comune per tutte le organizzazioni sindacali: oltre a Cgil, Cisl e Uil, dunque negli incontri generali, siedono al tavolo le Rappresentanze di Base (RdB), il Sal (il sindacato della Lega Nord) e i sindacati di professione (particolare rilevanza assume quello della Vigilanza Urbana), mentre alle trattative partecipano solo le organizzazioni maggiormente rappresentative.
6) Negli ultimi anni il sindacato ha cercato di superare questa dicotomia tra politiche confederali e politiche di categoria; frattura che poteva andare a detrimento di un’azione sindacale incisiva ed efficace. La Cgil Fp ritiene che oggi le politiche della categoria si stiano affrancando da pressioni di tipo corporativo, il cui peso si era fatto sentire in passato. Vengono quindi meno le ragioni di una diffidenza nei confronti delle politiche confederali, tradizionalmente più attente alle compatibilità complessive che non allo specifico interesse di categoria.
7) A titolo esemplificativo ricordiamo quanto ci è stato riferito da un membro dell’esecutivo della Cgil Fp a proposito del sistema relativo ai trasferimenti: stando alla normativa vigente esisterebbe un diritto praticamente illimitato di trasferire, per esigenze di servizio, i dipendenti tra diversi uffici, a parità di qualifica e di profilo professionale. In realtà, esisteva un implicito accordo, una regola non scritta, ma garantita dal sistema di consenso tra le parti, che rendeva di fatto assai difficile qualunque tipo di trasferimento.
8) Nel corso del 1991 sono stati siglati sette accordi, due a livello di Ente e cinque settoriali: Accordi di Ente: 1) 6/3/91 Protocollo d’intesa per la costituzione del Fondo per il miglioramento dell’efficienza dei servizi (Art. 5 Dpr 333/90); 2) 4/7/91 Protocollo d’intesa per l’applicazione del Livello Economico Differenziato (Art. 35 Dpr 333/90). Accordi di Settore: 1) Settore Educazione: Ridefinizione dell’impegnativa oraria del personale ex attività integrative; 2) Settore Educazione: Progetto Luglio Nidi (apertura estiva degli asili); 3) Settore Personale: Situazione del personale ex ruolo 34, assegnato temporaneamente al Settore Servizi Sociali per attività educative presso i servizi per portatori di handicap; 4) Settore Servizi Sociali: Area H (funzionalità dei servizi socio-assistenziali rivolti a portatori di handicap); 5) Settore Servizi Civici: Organizzazione servizi cimiteriali.
9) Si noti che non si intende dar conto - in questa esposizione - della complessità di tutte le vicende contrattuali che hanno coinvolto il Comune di Milano nel 1991, ma solo proporre alcuni specifici episodi di contrattazione che hanno visto le organizzazioni sindacali impegnate su fronti innovativi, quali ad esempio gli incentivi alla produttività o la riorganizzazione di alcuni servizi.
10) Ad esempio uno dei nostri interlocutori ipotizzava la possibilità di attribuire il Led solo ad alcune categorie, come ad esempio gli educatori dei carceri minorili, per le quali sono individuabili una specificità e dei titoli professionali meritevoli di riconoscimento.
11) Va ricordato che già nel 1986 al Comune di Milano si era tentata una sperimentazione di valutazione individuale della produttività, secondo un progetto che l’amministrazione aveva messo a punto avvalendosi della consulenza dell’Università Bocconi. Secondo questo progetto una quota della produttività (per il 1986 il 30%, da portare al 40% nel 1987, mentre la parte rimanente restava attribuita in relazione alla presenza in servizio) avrebbe dovuto essere attribuita sulla base della valutazione del rendimento individuale, secondo quattro parametri: professionalità, attitudine, partecipazione e rispetto dei tempi e delle scadenze. L’applicazione dell’accordo creò forti resistenze tra i lavoratori, e da allora il tentativo di legare una parte della retribuzione al contributo individuale non è mai stato rilanciato.
12) Per i Ctr il servizio terminava il primo venerdì del mese di luglio, mentre per gli asili nido, il cui personale educativo è equiparato contrattualmente a quello della scuola materna, il servizio terminava il 30 giugno.

BIBLIOGRAFIA

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