di Simonetta Carpo
LE RAGIONI DI UNA RICERCA
Tale progetto ha riguardato un campione di 273 enti pubblici lombardi, appartenenti a diversi comparti:
sanità, enti locali, stato, parastato e aziende (Vigili del Fuoco, Anas, Monopoli e Forestali).
La rilevazione è stata realizzata attraverso un ampio questionario, distribuito ai rappresentanti
sindacali di enti pubblici dei diversi comparti (Ronchi 1993).
A conclusione di questa prima fase di analisi quantitativa si è ritenuto di
dedicare alla realtà del Comune di Milano
un
approfondimento particolare, basando lo studio sulla metodologia del case study.(1)
La complessità sistemica e organizzativa di un ente locale che occupava, al momento della
rilevazione, quasi ventimila dipendenti, costituisce infatti uno scenario ideale per far emergere con
chiarezza molti nodi cruciali del sistema di relazioni sindacali nell’ambito del pubblico impiego.
Tale complessità costituisce infatti, come vedremo, una difficoltà ma, al contempo, anche una risorsa
per il dispiegarsi di un sistema di rapporti tra le parti che - coerentemente con il più recente
orientamento legislativo - possa condurre al superamento di
quell’immobilismo che costituisce un non invidiabile tratto distintivo del pubblico impiego nel nostro
Paese.
Prima dunque di entrare nel vivo dell’esperienza realizzata dal Comune di Milano, ricordiamo qui
brevemente il contesto normativo nell’ambito del quale gli attori della contrattazione si muovono,
quali sono gli strumenti a disposizione della contrattazione decentrata, e quali i limiti posti dal
legislatore.
IL QUADRO NORMATIVO
La contrattazione decentrata, formalmente normata con la legge quadro del 1983 (Legge 93/83), trae
la sua ragion d’essere dall’intento di stemperare il deciso verticismo che caratterizzava la
contrattazione collettiva nel pubblico impiego.
Tuttavia la legge nasce ampiamente condizionata dalla condivisibile preoccupazione, da parte del
legislatore, di contenere la
contrattazione integrativa soprattutto sui temi retributivi, lasciando al contempo più ampi margini di
manovra su materie di carattere organizzativo (Natullo 1990).
Questo orientamento di freno è sostanzialmente ribadito nei successivi contratti comportamentali,(2) e
solo con la Legge 142/90 di riforma dell’ordinamento delle autonomie locali vengono introdotti
nuovi elementi in base ai quali determinare il contenuto della
contrattazione.
Una novità rilevante introdotta proprio dalla Legge 142/90 è costituita da un primo passo verso la
delegificazione del rapporto di pubblico impiego (Cammelli, Recchione 1993). Lo status giuridico e il
trattamento economico dei dipendenti degli enti locali sono pertanto lasciati alla contrattazione in
modo più ampio di quanto previsto dalla Legge 93/83.
L’orientamento espresso dal legislatore soprattutto nell’ultimo
accordo di comparto (Dpr 333/90) - che è ovviamente quello che maggiormente informa la
contrattazione di cui ci stiamo occupando - è quello di incentivare il recupero dell’efficienza dei
servizi, delegando alla contrattazione decentrata maggiore discrezionalità nell’attribuire quote
monetarie integrative, purché esplicitamente connesse a elementi di produttività.
Come vediamo, dunque, già nel 1991 gli spazi a disposizione della contrattazione decentrata non
sono pochi. La concreta esperienza del
Comune di Milano, d’altro canto, ci aiuterà a comprendere come la traduzione della norma in sede
applicativa locale presenti una serie di difficoltà di non poco conto, scontrandosi con numerosi
ostacoli: alcuni oggettivamente legati alla complessità strutturale dell’Ente; altri dettati dalla
persistente vischiosità degli assetti precedenti, in grado di produrre forme di resistenza nei
confronti dell’innovazione da parte di tutti gli attori coinvolti: direzione, sindacato e lavoratori.
OCCUPAZIONE E ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI AL COMUNE DI MILANO: CENNI
Il Comune di Milano si presenta come realtà organizzativa estremamente complessa e articolata:
nell’anno cui si riferisce il nostro studio i dipendenti in ruolo dell’Ente erano, al 31 dicembre, circa
20.000, distribuiti su otto qualifiche funzionali e due livelli dirigenziali.
L’attività dell’Ente si articola
in oltre 60 settori, dove per settore si intende un’area produttiva destinata a funzioni o servizi
omogenei.
Il trend occupazionale evidenzia un tendenziale ridimensionamento della pianta organica:
dai primi anni Ottanta infatti il turn over non è più stato coperto integralmente. Solo nel 1991,
secondo quanto rilevato dall’indagine Ires "Le Relazioni Sindacali nel Pubblico Impiego" (Ronchi
1993), si sono verificate circa 2200 uscite di dipendenti, mentre le nuove assunzioni sono state solo
500.
La composizione della pianta organica rivela come le qualifiche più basse (terza, quarta e quinta)
raccolgano più della metà dei dipendenti (Finazzi 1993).
Questo sintetico scenario è in grado di introdurci ad alcune delle problematiche e dei nodi critici
che nel corso dell’esposizione potranno essere osservati con maggiore dettaglio.
Un tema di particolare rilevanza che condiziona in modo evidente la gestione corrente dell’Ente -
fornendo inoltre materia per la
contrattazione(3) - è infatti la tendenziale riduzione dell’organico, fenomeno che è accompagnato,
secondo fonte sindacale, da un incremento dei carichi di lavoro individuali.
La denunciata carenza degli organici viene infatti presentata come principale causa dell’uso
massiccio del lavoro straordinario. Per rendersi conto della rilevanza del fenomeno basti pensare che
per il 1991 il lavoro straordinario prestato all’interno dell’Ente arriva a 3.017.583 ore, suddiviso
mediamente in 162 ore pro capite annue, cifra che supera di fatto la quota consentita dal contratto.(4) La
questione relativa al lavoro straordinario è un tema discusso sia all’interno del sindacato che tra
sindacato e amministrazione dell’Ente,
soprattutto in relazione all’uso improprio o distorto che si è fatto di questo strumento nella pratica
quotidiana. Infatti, poiché la contrattazione decentrata - per precisa volontà del legislatore
(Natullo 1990) - dispone di pochi margini di discrezionalità nell’attribuzione di
riconoscimenti economici che non siano esplicitamente disposti dal contratto nazionale, è invalsa
la prassi di disporre dello straordinario in funzione di leva salariale discrezionale.
Il tema diviene poi particolarmente spinoso proprio a partire dal 1991, anno in cui, con l’entrata in
vigore del nuovo contratto di lavoro per i dipendenti delle Autonomie Locali (Dpr 333/90), viene
costituito il "Fondo per il miglioramento dell’efficienza dei servizi" (art. 5), che ricomprende al suo
interno tutte le voci di salario accessorio pagate in sede locale (indennità, produttività e
straordinario). Con l’istituzione del Fondo dunque, la crescita incontrollata della somma erogata
per straordinario finirebbe per erodere la
disponibilità economica destinata a incentivi alla
produttività e a indennità.
La costituzione del Fondo unico, che proprio nel 1991 vede la sua prima applicazione in sede
locale al Comune di Milano, risulta di particolare interesse; per questa ragione nel corso del lavoro
saranno
analizzate ampiamente quali prospettive vengano potenzialmente aperte da questa sperimentazione, e
quali nodi problematici emergano dalla sua applicazione.
Una seconda area problematica è legata alla composizione della pianta organica, come abbiamo detto
fortemente sbilanciata sulle qualifiche medie e basse. L’anzianità elevata e la bassa qualificazione
della maggioranza dei dipendenti pongono un comprensibile freno alla spinta verso l’innovazione
organizzativa e il recupero dell’efficienza, esigenza che anche il sindacato ragionevolmente avverte.
La politica di responsabilizzazione da parte del sindacato nei confronti delle esigenze del
servizio infatti rischia per queste ragioni di risultare penalizzante, sotto il profilo della capacità di
rappresentanza, quanto meno nel breve termine.
Questo è tanto più vero se si considera che le relazioni sindacali al Comune di Milano erano
fortemente condizionate - per unanime ammissione dei nostri interlocutori - da una rincorsa del
consenso attraverso politiche di distribuzione "a pioggia" di tutto quanto era possibile strappare nella
contrattazione in sede locale.
La rottura con una tradizione che vede l’azione sindacale ancorata in ogni caso all’ottenimento del
consenso da parte dei propri rappresentanti è problema ancora più spinoso se si considera come il
settore pubblico sia caratterizzato da una forte concorrenza tra organizzazioni di rappresentanza dei
lavoratori; concorrenza che si riscontra tanto all’interno del sindacato confederale quanto -
soprattutto - per la presenza di un sindacalismo autonomo in grado di amplificare la risonanza del
dissenso dei lavoratori (Regalia 1990).
Non è un caso infatti che al Comune di Milano la presenza
delle Rappresentanze di Base (RdB) si sia fatta sentire proprio a partire da alcuni episodi contrattuali
nell’ambito dei quali il sindacato confederale ha tentato una conciliazione tra diritti dei lavoratori e
interessi dell’utenza del servizio, conciliazione che una parte dei lavoratori ha evidentemente
avvertito come forzatura ai propri danni.
GLI ATTORI DELLA CONTRATTAZIONE
La direzione dell’Ente
Le trattative a livello di Ente, cioè le trattative inerenti a problematiche trasversali che
riguardano tutti i lavoratori, costituiscono il cosiddetto "tavolo centrale", il tavolo contrattuale più
completo e composito, anche per la rilevanza delle tematiche affrontate.
Per l’amministrazione dell’Ente i settori maggiormente coinvolti sono il settore personale e la
ragioneria: il primo interviene per gli aspetti inerenti alla congruità e alla legittimità rispetto alle
disponibilità di pianta organica; la ragioneria, ovviamente, per quanto riguarda le compatibilità
economiche.
Il tavolo centrale è quello che coinvolge il maggior numero di attori: oltre al direttore e all’assessore
al personale sono presenti il responsabile delle relazioni sindacali e, in relazione alla
problematica da trattare, il responsabile del settore coinvolto.
Per le organizzazioni sindacali sono presenti, nel 1991, solo le organizzazioni categoriali di Cgil,
Cisl e Uil;(5) più raramente, soltanto quando la trattativa coinvolge non soltanto la categoria, ma
riguarda in modo più ampio i diritti del cittadino (politiche degli orari dei servizi, tariffe ecc.) viene
invitato anche il sindacato confederale. In questi casi la prassi è quella di convocare tavoli separati:
uno rigorosamente di categoria, l’altro confederale.(6)
Ai tavoli di settore, che affrontano problematiche relative alle varie aree, siedono i dirigenti del settore
interessato con Cgil, Cisl e Uil. Separatamente, se il direttore di settore lo ritiene opportuno,
vengono convocate anche le RdB; anche i protocolli d’intesa vengono dunque di norma prodotti
separatamente.
Il problema più serio relativo ai tavoli di settore è costituito dall’assenza - al momento della
rilevazione - del direttore del
settore personale; in relazione a questa assenza, può accadere che accordi sottoscritti con il direttore
di settore finiscano per non trovare immediata applicazione per la successiva opposizione del
settore personale, che riscontra una incompatibilità con le normative contrattuali o con la disponibilità
delle risorse.
Data la rilevanza delle tematiche trattate, dunque, nei casi esaminati per il 1991 è stata
esplicitamente richiesta dai sindacati la presenza, anche al tavolo di settore, dell’assessore al
personale, oltre che dell’assessore per il settore interessato e dei due rispettivi dirigenti. Questa
presenza doveva infatti garantire che, una volta perfezionato l’accordo, questo potesse trovare
immediata applicazione.
Anche dalle informazioni forniteci dalla Ricerca Ires del 1991 possiamo osservare come tanto i
dirigenti quanto i politici siano soliti intervenire direttamente su di un’ampia gamma di tematiche,
quali piante organiche, mobilità, assunzioni, organizzazione del lavoro, orari, inquadramenti,
incentivi. In particolare, in materia di innovazione tecnologica e formazione professionale
l’amministrazione assume di solito autonomamente le proprie decisioni. La stessa indagine
tuttavia rileva un tendenziale ridimensionamento
dell’ingerenza politica nella gestione corrente, fenomeno che possiamo mettere in relazione con
l’intervento di responsabilizzazione della parte dirigenziale promosso con la Legge 142/90.
Dalla testimonianza dei nostri interlocutori emerge con chiarezza come sino ad allora la parte politica
svolgesse un ruolo essenziale di mediazione e composizione dei conflitti tra dirigenza e
organizzazioni sindacali, attività che evidentemente, nell’incertezza che connotava i rispettivi ruoli,
contribuiva ad aumentare la vischiosità delle dinamiche contrattuali.
Nel 1991 gli assessori erano sempre presenti ai tavoli, e vi assumevano un ruolo incisivo.
Nell’ambito delle riunioni di giunta venivano determinate le priorità, e queste venivano poi trasferite
in sede contrattuale.
Da questo insieme di informazioni è possibile ricostruire un quadro che testimonia di una modalità di
confronto tra le parti costante e capillare, ricca anche di momenti informali di informazione e
consultazione.
Le tematiche sulle quali veniva abitualmente sollecitato un confronto con la parte sindacale hanno
riguardato soprattutto la gestione ordinaria dei servizi, oltre alla progettazione e fissazione di
obiettivi inerenti a specifiche problematiche.
Le intese a carattere informale, ancora molto frequenti nel 1991, riguardavano invece soprattutto le
modalità delle nuove assunzioni, lo straordinario e altre problematiche legate all’orario di lavoro,
azioni positive, aspetti inerenti alla riorganizzazione produttiva e diritti sindacali.
Il sindacato
Al momento della rilevazione all’interno del Comune di Milano le organizzazioni sindacali sono
presenti per la Cgil con un Comitato degli Iscritti regolarmente eletto, e per le altre sigle con una
rappresentanza Sindacale d’Azienda, designata dalle Organizzazioni Sindacali. Il sindacato
confederale dunque non dispone di un organismo di rappresentanza unitario (Consiglio dei Delegati).
Sono inoltre presenti, in misura crescente negli ultimi anni, le Rappresentanze di Base, oltre ad
alcuni sindacati autonomi legati alle specificità professionali, i più rilevanti dei quali sono quello della
Vigilanza Urbana, aderente alla Cisal, e quello degli Assistenti Sociali (Sunas).
I dati sulla iscrizione ai sindacati nel 1988 e nel 1989 (Tabella 1), indicano una tendenza al
ridimensionamento delle adesioni al sindacato confederale.
La difficoltà sensibile nella capacità di rappresentanza del sindacato confederale al Comune di Milano
si rileva raffrontando la percentuale di sindacalizzazione per il 1991 del nostro Ente (39,7%) con il
tasso
di sindacalizzazione degli Enti Locali in Lombardia nel medesimo anno (59,8%; Fonte: Ires 1993).
In modo speculare al tendenziale ridimensionamento della rappresentanza sindacale
confederale troviamo una crescita non trascurabile, per quanto limitata in termini assoluti,
del sindacalismo autonomo, che proprio dal 1991 crescerà soprattutto nella componente delle
Rappresentanze di Base.
La difficoltà di rappresentanza in cui il sindacato confederale nel suo insieme si è trovato nel corso
degli ultimi anni può essere messa in relazione con l’andamento di alcune vicende contrattuali, e
segnatamente con due vertenze relative ai settori Educazione e Servizi Sociali, delle quali ci
occuperemo ampiamente più avanti. Non a caso infatti proprio in questi due settori le
Rappresentanze di Base trovano un cospicuo radicamento.
Nonostante la sensibile difficoltà denunciata da questi dati, le informazioni a nostra disposizioni
testimoniano di un rapporto tra sindacato e amministrazione dell’Ente inteso e in grado di spaziare ad
ampio raggio su di una ricca gamma di tematiche. Solo nel 1991 sono stati siglati sette accordi, e
anche la pratica di microcontrattazione attraverso contatti quotidiani tra sindacato e amministrazione
è frequente, così come sostanzialmente rispettati sono i diritti di informazione stabiliti
contrattualmente. Questa tenuta sostanziale della capacità di confronto è dunque in grado di contenere
gli episodi di aperta conflittualità: per il 1991, infatti, le ore di sciopero proclamate sono state
soltanto dodici.
LE RELAZIONI SINDACALI E LA CONTRATTAZIONE
La logica delle relazioni tra le parti
Il sistema delle relazioni sindacali al Comune di Milano si è consolidato, almeno sino al 1991,
secondo una logica che le parti interessate definiscono esplicitamente di cogestione dei rapporti di
lavoro. Per comprendere appieno il clima in cui le vicende
contrattuali di cui ci occupiamo si sono svolte è importante ricordare come la contrattazione fosse una
tradizione consolidata all’interno del nostro Ente - anche in tempi precedenti all’intervento della
Legge quadro (Dpr 93/83).
Gli elementi sui quali tale pratica si imperniava sono individuabili, da un lato, nella forza contrattuale
a disposizione di un sindacato saldamente presente all’interno dell’Ente; dall’altro nella
disponibilità e interesse, da parte dell’amministrazione, al costituirsi di un sistema di gestione
dei rapporti di lavoro apertamente consensuale.
Secondo l’opinione dei nostri interlocutori non è possibile
prescindere da queste considerazioni se si vuole comprendere la realtà della contrattazione al Comune
di Milano anche in tempi più recenti.
I contratti nazionali di comparto elaborati nello spirito della
Legge quadro (Dpr 347/83, 268/87, 333/90) infatti mandano un messaggio molto chiaro: in ambito di
contrattazione decentrata non deve essere trattato l’aspetto retributivo, se non in termini di
riconoscimento della produttività, e non si devono trattare gli inquadramenti, se non in casi molto
limitati. La contrattazione decentrata, in altri termini, non deve assumere il carattere di una vera
contrattazione integrativa, ma la sua funzione cardine deve essere quella di garantire
l’applicazione di alcuni istituti, oltre che assicurare i dovuti adeguamenti organizzativi.
L’intervento della legge quadro però, come abbiamo detto, si inserisce su di una realtà di
contrattazione piuttosto intensa, anche su temi salariali e sugli inquadramenti, proprio su quelle
materie cioè che nella volontà del legislatore dovevano trovare dei limiti nell’ambito della
contrattazione decentrata.
Lo spirito della legge quadro si trova cioè a sovrapporsi a una fitta rete di rapporti stratificata e
consolidata nel tempo, nell’ambito
della quale nessuno degli attori coinvolti sembra veramente disponibile a rinunciare alle
proprie prerogative conquistate sul campo, nella pratica contrattuale quotidiana e sulla base dei
rapporti di forza esistenti.
Le testimonianze raccolte rafforzano l’immagine di una sorta di contrapposizione tra il disegno
espresso dalla legge quadro e l’atteggiamento della parte sindacale, la quale riconosce formalmente
l’introduzione di limiti ai propri spazi contrattuali, senza tuttavia nei fatti esprimere compiutamente la
disponibilità a recedere dalle condizioni di favore che nel tempo erano state raggiunte.
L’esito di questo processo appare all’osservatore come un’opposizione da parte di alcune frange
sindacali, in grado di pregiudicare seriamente l’iniziativa nei confronti di una pratica contrattuale
innovativa sui temi dell’efficienza, della produttività e della organizzazione dei servizi.
L’equilibrio delle relazioni è reso tanto più delicato dal fatto che l’intero sistema risulta condizionato
dalla commistione e confusione delle rispettive competenze, al punto che ogni atto di gestione da
parte dell’amministrazione doveva essere compiuto all’interno di un vasto e complesso sistema di
consenso assicurato dalla controparte sindacale. Ogni spazio di incertezza nell’interpretazione delle
regole formali veniva presidiato dalla pratica di trovare accordi, giungendo al paradosso che la
mancanza di regole produceva in questo modo un sistema informale di regole ferree, (7) in grado di
portare a livelli intollerabili la vischiosità della gestione quotidiana dei rapporti di lavoro.
Questa particolare connotazione del sistema di relazioni sindacali ha contribuito a costituire col
tempo un rapporto organizzativo caratterizzato da un forte immobilismo, oltre che un serio vincolo
anche per un’azione sindacale più incisiva e innovativa.
Dalla nostra indagine emerge come proprio nel 1991 si avvertano i primi segnali di rottura rispetto a
questa tradizione.
Da parte del legislatore arriva un richiamo della parte dirigenziale alle proprie responsabilità, con la
Legge 142 già menzionata. Il sistema politico nel suo complesso si avvicina al suo tracollo, e a
Milano in modo particolare già nel 1991 la Giunta Pillitteri non costituisce più un referente politico
forte e credibile.
Da parte sindacale, il dibattito interno alla Cgil vede uscire rafforzate le posizioni che
maggiormente spingono verso un processo di rinnovamento complessivo della pratica sindacale, e ciò
si estrinseca anche in un ampio ricambio del gruppo dirigente dell’esecutivo al Comune di Milano.
È proprio del ’92 la decisione, fortemente voluta dalla Cgil, di abbandonare progressivamente tutti
quegli organismi bilaterali - commissioni di studio, di concorso, organi consultivi ecc. - che
maggiormente si prestavano a operazioni non trasparenti e
potenzialmente accrescevano l’ambiguità del ruolo sindacale nella gestione corrente dei rapporti di
lavoro.
Le vertenze del 1991
La nostra ricerca ha raccolto la documentazione relativa a tutti gli accordi firmati nel 1991. (8) Si tratta
cioè di accordi che applicano in sede locale quei dispositivi previsti dal contratto nazionale (Dpr
333/90) che garantiscono integrazioni salariali e legate alla produttività. Nel 1991 inoltre a
livello di Ente sono stati
contrattati dei reinquadramenti indotti da esigenze di adeguato riconoscimento della
professionalità, ed è stato applicato un
dispositivo chiamato Livello Economico Differenziato. Vedremo inoltre alcuni esempi significativi di
contrattazioni in ambito settoriale, relativi alle aree Educazione e Servizi Sociali. (9)
I sette accordi firmati al Comune di Milano nel corso del 1991 costituiscono una conferma della
intensa attività negoziale prodotta all’interno dell’Ente; a titolo comparativo si noti che dalla citata
rilevazione Ires sulle relazioni sindacali nel pubblico impiego emerge che il comparto Enti Locali, pur
essendo rispetto ai comparti Sanità e Stato maggiormente coinvolto in attività contrattuale, presenta
un numero medio di quattro accordi siglati nel corso del 1991.
La produttività
Il tema della produttività fa parte della classica contrattazione annuale che è stata introdotta con il
Dpr 347/83 e successivamente ribadita con i Dpr 268/87 e 333/90. L’elemento di novità introdotto
con il Dpr 333/90, cui fa riferimento la contrattazione del ’91, riguarda la costituzione del Fondo
per la migliore efficienza dei servizi (art. 5), che riorganizza in un unico contenitore la spesa per
straordinari, per indennità varie e la produttività vera e propria.
Il Dpr stabilisce dei criteri alquanto
rigidi per la costituzione del Fondo: una somma non superiore al corrispettivo delle ore di
straordinario effettuate nell’anno precedente, l’1,45 del monte salari dell’Ente, l’importo derivante
dalla corresponsione delle indennità previste dal contratto, e infine una quota pari al 50% delle
eventuali economie di gestione. Risulta evidente dunque che la quota sulla quale effettivamente si
contratta è proprio quella relativa alle economie di gestione, e questo pone difficoltà pratiche non
irrilevanti, dato che l’accertamento di tali economie è tutt’altro che trasparente. Inoltre, da parte del
sindacato si sottolinea come l’incertezza relativa all’ammontare di questa somma, che può essere
determinata solo ex post, renda difficoltosa una programmazione seria degli obiettivi di produttività
del servizio.
Nonostante questi rilievi critici la valutazione di questo nuovo istituto da parte
dei nostri interlocutori è complessivamente
positiva. Si rileva infatti come fino alla costituzione del Fondo unico il premio di produttività
venisse corrisposto sulla base di semplici criteri di presenza e livello, e si riducesse nei fatti a una
sorta di tredicesima, del tutto svincolata da qualunque tentativo di programmazione legata
all’efficienza del servizio.
Con l’introduzione del Fondo unico quindi la disponibilità economica dell’Ente deve essere destinata
in via prioritaria alla realizzazione di piani e progetti orientati alla migliore efficienza del servizio,
individuati con la contrattazione decentrata a livello di Ente.
La costituzione del Fondo unico inoltre dovrebbe andare incontro all’esigenza di contenere la
crescita incontrollata della spesa per straordinari, dato che tutto ciò che viene erogato in questa
forma risulta sottratto alla disponibilità complessiva del Fondo, e limita dunque la possibilità di
disporre di risorse per progetti finalizzati. L’accordo siglato nel 1991 perviene alla costituzione di un
Fondo pari a 96 miliardi, aumentando la quota prevista per la produttività vera e propria rispetto
all’accordo del ’90 da 32 a 41 miliardi, dei quali circa 38 poi effettivamente erogati.
Il vero punto dolente relativo all’introduzione di questa innovazione consta nel fatto che l’elaborazione
di piani e progetti inerenti alla produttività è stata obiettivamente scarsa, e la quota di produttività
continua a rimanere quel contenitore dal quale attingere a qualsiasi titolo tutte le integrazioni salariali
che non è possibile attribuire in altro modo in sede di contrattazione decentrata.
Di fatto, gli unici esempi significativi di erogazione di quote di produttività legate a progetto
riguardano accordi di settore relativi al funzionamento di asili nido e dei Centri per l’Assistenza ai
portatori di handicap (Ctr) nel mese di luglio, dei quali parleremo ampiamente più avanti. Tuttavia
va segnalato che il parere della direzione rispetto a questi progetti è stato critico, in base alla
constatazione che si sarebbe trattato in realtà di lavoro ordinario, per il quale è stato corrisposto un
incentivo sottratto in modo improprio al fondo di produttività.
I reinquadramenti e il Livello Economico Differenziato
La contrattazione relativa agli inquadramenti e l’applicazione del Livello Economico Differenziato
(Dpr 333/90 art. 35) costituiscono tematiche strettamente connesse. La piattaforma per il rinnovo
contrattuale presentata da Cgil, Cisl e Uil nel 1989 prevedeva infatti la richiesta di un numero
sostenuto di passaggi di livello e di riconoscimenti professionali. La richiesta si scontrò con
l’indisponibilità del Governo a concedere integrazioni salariali che
avrebbero potuto innescare rivendicazioni anche in altre categorie, e la mediazione cui
l’accordo pervenne fu appunto l’istituzione del
Livello Economico Differenziato. Questo istituto dispone che per ogni categoria venga individuata una
certa percentuale di dipendenti che ha diritto a una integrazione salariale, pari al 40% della differenza
tra la propria retribuzione di livello e quella relativa al livello superiore. La norma
contrattuale stabilisce in modo perentorio la
percentuale degli aventi diritto per ogni livello e la quota di integrazione dovuta, mentre i criteri di
attribuzione del Led sono lasciati ampiamente disponibili all’accordo in sede locale, in
considerazione (art. 35 comma 2).
La soluzione individuata al Comune di Milano è fortemente condizionata dalla preoccupazione di
individuare criteri quanto più possibile oggettivi, e per questa ragione è stato elaborato un
criterio praticamente automatico, mediante una graduatoria per anzianità e titoli, senza alcuna
valutazione dell’apporto del contributo individuale o collettivo, né delle posizioni di lavoro.
Anche in questo caso dunque, come per il Fondo unico per la produttività, ci troviamo di fronte
all’introduzione di un istituto potenzialmente
innovativo per la gestione dei rapporti di lavoro
all’interno dell’Ente, ma le opportunità offerte da questo strumento non vengono valorizzate al
meglio.
Proprio la libertà lasciata alla contrattazione decentrata di
individuare i criteri di attribuzione del Led avrebbe infatti
consentito qualche sperimentazione in direzione del riconoscimento di specificità professionali
"forti", (10) o addirittura del merito
individuale. (11) È invece prevalso il criterio dell’anzianità di
servizio per i livelli più bassi, solo leggermente bilanciata con titoli di studio e titoli culturali e
professionali per i livelli più alti.
Questa logica sindacale di tutela dell’uniformità dei trattamenti
retributivi viene rispecchiata anche dalla vicenda contrattuale dei reinquadramenti, che come
abbiamo ricordato è connessa alla
contrattazione del Livello Economico Differenziato. Una preoccupazione che ha orientato questa
trattativa è stata di assicurare qualche forma di riconoscimento al personale amministrativo, per il
quale più difficilmente hanno potuto in genere essere corrisposte indennità. L’accordo concluso nel
1991 è pervenuto a un reinquadramento molto corposo per i quarti livelli amministrativi i quali,
secondo quanto disposto dall’articolo 34 del Dpr 333/90 sono stati riconosciuti nella qualifica di
terminalisti e addetti alla registrazione dati nell’area informatica, ottenendo quindi il passaggio alla
quinta qualifica funzionale.
Accordi di settore
Per il 1991 nell’ambito della contrattazione settoriale, ci sono stati segnalati due esempi di accordi
nell’area Servizi Sociali e nell’area Educazione che ruotano attorno allo stesso problema organizzativo:
il funzionamento di alcuni servizi nel mese di luglio. Per quanto riguarda il settore Educazione si è
trattato dell’estensione a tutto il mese di luglio del funzionamento degli asili nido, mentre per il
settore Servizi Sociali sono stati interessati i Ctr, ovvero i Centri per l’Assistenza a portatori di
handicap in età post scolare. In entrambi i casi le vertenze hanno assunto una rilevanza e una
problematicità particolare, trattandosi di situazioni nelle quali i lavoratori dovevano dichiararsi
disponibili a rinunciare a un
calendario lavorativo ormai assestato, il cui regime era acquisito di diritto. (12)
Si è trattata dunque di una situazione nella quale era necessario conciliare i diritti dei lavoratori e la
necessità di garantire il funzionamento di un servizio tanto delicato secondo un calendario più
conforme alle esigenze della cittadinanza.
La trattativa si è rilevata in entrambi i casi alquanto spinosa,
poiché il sindacato ha spinto sulla valorizzazione della qualità ed essenzialità del servizio, forzando
la mano rispetto alla volontà espressa dai lavoratori di non modificare l’estensione del proprio
calendario lavorativo. Nel caso della trattativa nel settore Servizi Sociali - la quale per altro si è
trascinata per alcuni anni, dato che la prima piattaforma risale al 1988 - l’accordo cui il sindacato di
categoria perviene è stato sempre bocciato dai lavoratori e la frattura originata da quelle
incomprensioni è stata probabilmente una delle ragioni che hanno garantito, proprio in quel
settore, il radicamento delle RdB, che per l’appunto dal 1991 iniziano ad accrescere il loro
consenso tra i lavoratori.
In entrambi i casi l’accordo raggiunto è stato giudicato soddisfacente dal sindacato; si prevedeva che il
servizio fosse esteso solo a quella parte dell’utenza che ne faceva richiesta (corrispondente a un terzo
degli utenti complessivi); conseguentemente anche i lavoratori coinvolti sarebbero stati solo un
terzo dei dipendenti,
da
individuarsi primariamente su base volontaria. Solo nel caso che i candidati volontari non fossero in
numero sufficiente a garantire il funzionamento dell’attività, ogni dipendente avrebbe potuto essere
adibito al servizio, una volta ogni tre anni.
Per contro, il periodo di lavoro estivo viene retribuito in ragione di L. 800.000 oltre il normale
stipendio, oppure, a scelta, di L. 400.000 più 5 giorni di ferie da recuperare nel corso dell’anno.
Nonostante le condizioni dell’accordo appaiano vantaggiose per il personale coinvolto, in entrambi i
settori la frattura tra sindacato e lavoratori - come già abbiamo avuto modo di sottolineare - è stata
significativa.
È opportuno rilevare come in questa vicenda contrattuale emergano alcuni elementi di difficoltà nel
rapporto tra lavoratori e sindacati: da parte delle organizzazioni sindacali è individuabile una certa
impreparazione a mediare con fasce di lavoratori che sono portatori di domande complesse e articolate;
si tratta di lavoratori con un livello di scolarità medio-alta, per i quali il senso di indennità si sviluppa
nell’ambito della propria specificità professionale piuttosto che secondo una logica di appartenenza
sindacale. Da parte dei lavoratori, per contro, è emersa una certa preclusione ideologica nei confronti
del tentativo di arrivare a una conciliazione tra un proprio diritto e le esigenze di un servizio di ampia
rilevanza sociale.
LE INTESE INFORMALI
Come già abbiamo avuto modo di constatare, il modello di relazioni tra organizzazioni sindacali e
amministrazione dell’Ente non si esaurisce solo con il momento formale della vertenza. Si tratta infatti
di un sistema di relazioni molto intense su di una molteplicità di tematiche che coinvolgono
soprattutto la gestione quotidiana di problematiche organizzative ed episodi di microconflittualità tra
singoli lavoratori e amministrazione. Nel 1991 inoltre non era infrequente che singoli lavoratori si
rivolgessero direttamente all’amministrazione per risolvere questioni inerenti a inquadramenti,
trasferimenti, carichi di lavoro, questioni disciplinari, ferie eccetera. Tuttavia, l’amministrazione
si è sempre dimostrata propensa a coinvolgere le organizzazioni sindacali in tutte le questioni
relative all’attribuzione di incarichi, inquadramenti, passaggi di categoria.
La pratica di pervenire a
intese di carattere informale attraverso consultazioni con i rappresentanti sindacali nei luoghi di
lavoro è giustificata per altro anche dall’esigenza di garantire continuità nella prestazione di servizi
sociali essenziali. La presenza di questi canali di consultazione garantiva dunque un fluido
funzionamento del servizio, scongiurando tempestivamente il sorgere di situazioni di
microconflittualità.
Tuttavia in molti casi questa fitta rete di rapporti tra
organizzazioni sindacali e amministrazione ha posto seri problemi di identità per i rappresentanti
dei lavoratori, generando talvolta distorsioni e ambiguità nella gestione delle relazioni di lavoro.
Queste considerazioni sono oggi apertamente condivise dai nostri interlocutori, i quali
ritengono che il rinnovamento dell’amministrazione - con la quale oggi non esistono più i
canali
contrattuali informali del passato - possa essere una valida occasione per ripensare a un nuovo
sistema delle relazioni sindacali
maggiormente rispettose delle specifiche prerogative di ciascuna delle parti contraenti.
CONCLUSIONI
Riprendiamo in conclusione i fili del nostro discorso per richiamare quegli elementi che costituiscono
lo scenario nell’ambito del quale le relazioni sindacali al Comune di Milano prendono forma.
Abbiamo già sottolineato come l’analisi di un anno di vita sindacale al Comune di Milano si sia
focalizzata su di un cruciale momento di transizione, connotato da una particolare congiuntura di
eventi: alcuni interventi legislativi miranti alla riorganizzazione del sistema del pubblico impiego,
dei quali abbiamo già avuto modo di accennare nel corso dell’esposizione; i primi segnali di crisi
del sistema politico, che aveva sino ad allora assunto un ruolo essenziale di mediazione degli interessi
e di intervento della gestione corrente del Comune di Milano.
Per meglio comprendere le difficoltà che hanno connotato la vita sindacale in un momento tanto
delicato di transizione possiamo riproporre alcuni elementi attorno ai quali ruotano le questioni
principali delle quali ci siamo occupati.
In primo luogo è necessario considerare la complessità strutturale dell’Ente, all’interno del quale
vengono erogati una varietà di servizi delicati ed essenziali che coinvolgono una molteplicità di
figure professionali eterogenee, ognuna legata a proprie specificità e identità: dai semplici commessi,
che costituiscono per altro una massa molto imponente (sono circa 5000), agli operai specializzati,
agli educatori e insegnanti.
L’azione di mediazione e composizione di domande tanto diversificate comporta, per i rappresentanti
dei lavoratori, delle scelte di campo che difficilmente possono essere indolori.
Da un lato infatti l’azione sindacale è vincolata al consenso della maggioranza dei lavoratori, i quali
richiedono forme di tutela ancora piuttosto tradizionali, con le quali per altro il sindacato dimostra di
possedere, per cultura e tradizione, maggiore familiarità. D’altro canto i rappresentanti dei lavoratori
si trovano a incontrare anche domande più complesse che provengono da fasce minoritarie
ma
strategiche all’interno del servizio: sono le istanze che provengono dai lavoratori più giovani e
maggiormente scolarizzati, che pongono questioni inerenti alla valorizzazione della professionalità,
agli sviluppi di carriera, all’incentivazione più individualizzata. L’immagine della posizione sindacale
che si delinea attraverso la ricostruzione qui realizzata mediante testimonianze e materiale
documentario è in sintesi quella di una faticosa ricerca di equilibrio tra queste due culture.
Dal lato della controparte, gli elementi che condizionano la gestione dei rapporti di lavoro sono
riscontrabili nel quadro normativo, che solo a partire dal ’91 promuove la responsabilizzazione
della dirigenza, ridimensionando al contempo il ruolo di mediazione sul piano politico svolto dagli
assessori.
Lo scenario del 1991 è infatti caratterizzato da una dirigenza ancora poco responsabilizzata rispetto
alle proprie prerogative, elemento questo che produce alcune rilevanti ricadute sul piano della
gestione dell’Ente: in primo luogo la mediazione politica agisce nel senso di condurre la gestione
dell’Ente più come ricerca di consenso politico che non come ricerca di efficienza ed economicità
del servizio; secondariamente, la mediazione politica tende a coinvolgere la parte sindacale oltre le
sue prerogative, con il rischio di snaturarne il ruolo e le funzioni.
Nonostante dunque gli elementi per una profonda trasformazione del sistema delle relazioni di lavoro
siano presenti già nel 1991, si ha l’impressione che l’orientamento del legislatore, espresso nell’ultimo
accordo compartimentale (Dpr 333/90), e incentrato sull’obiettivo di
recuperare l’efficienza dei servizi anche attraverso politiche di incentivazione della produttività,
abbia trovato l’amministrazione dell’Ente, la controparte sindacale nonché i lavoratori ancora
sostanzialmente impreparati ad accoglierne lo spirito. Dall’analisi della contrattazione che vi fa
riferimento si può rilevare infatti come la potenzialità degli strumenti a disposizione non sia stata
valorizzata appieno, e come l’innovazione venga ancora vissuta come sostanzialmente destabilizzante
da ciascuno degli attori coinvolti.
Si tratterebbe dunque di un tentativo di rottura con la tradizione
solo parzialmente riuscito, o piuttosto di un momento difficile di transizione che richiede una
drastica ridefinizione dei ruoli e delle prerogative di ciascuno.
1988 | 1991 | |
---|---|---|
Cgil | 4.205 | 4.205 |
Cisl | 2.934 | 2.516 |
Uil | 2.037 | 2.304 |
Totale | 9.176 | 8.398 |
Sindacati autonomi | 159 | 807 |
Totale iscritti | 18.511 | 16.766 |
Fonte: Cgil Fp |
NOTE
1) La ricerca si è basata sull’analisi di un vasto materiale
documentario originale, inerente all’attività contrattuale svolta
dall’Ente nel corso del 1991. Inoltre sono stati condotti numerosi
colloqui in profondità con membri dell’esecutivo. Per la
controparte, è stato intervistato il dirigente responsabile per il
1991 della gestione delle relazioni sindacali.
2) Il Dpr 347/83, il primo contratto realizzato dopo l’entrata in
vigore della Legge quadro, il Dpr 268/87 e il Dpr 333/90.
3) Soprattutto a livello di settore, sede privilegiata per la
contrattazione inerente a problematiche di tipo organizzativo.
4) Secondo quanto disposto dal Dpr 333/90, art. 5, è parte costituente
del Fondo per il miglioramento dell’efficienza dei servizi da
destinare alla retribuzione di lavoro straordinario una somma non
superiore al corrispettivo del numero di ore di lavoro straordinario
effettuata nell’anno precedente, e comunque non superiore al
corrispettivo di 70 ore annue per ciascun dipendente. Si tratta
tuttavia di una norma ordinatoria che può essere derogata.
5) Con la nuova amministrazione della Lega Nord, a partire dal 1993, è
stato introdotto un tavolo comune per tutte le organizzazioni
sindacali: oltre a Cgil, Cisl e Uil, dunque negli incontri generali,
siedono al tavolo le Rappresentanze di Base (RdB), il Sal (il
sindacato della Lega Nord) e i sindacati di professione (particolare
rilevanza assume quello della Vigilanza Urbana), mentre alle
trattative partecipano solo le organizzazioni maggiormente
rappresentative.
6) Negli ultimi anni il sindacato ha cercato di superare questa
dicotomia tra politiche confederali e politiche di categoria;
frattura che poteva andare a detrimento di un’azione sindacale
incisiva ed efficace. La Cgil Fp ritiene che oggi le politiche della
categoria si stiano affrancando da pressioni di tipo corporativo, il
cui peso si era fatto sentire in passato. Vengono quindi meno le
ragioni di una diffidenza nei confronti delle politiche confederali,
tradizionalmente più attente alle compatibilità complessive che non
allo specifico interesse di categoria.
7) A titolo esemplificativo ricordiamo quanto ci è stato riferito da
un membro dell’esecutivo della Cgil Fp a proposito del sistema
relativo ai trasferimenti: stando alla normativa vigente esisterebbe
un diritto praticamente illimitato di trasferire, per esigenze di
servizio, i dipendenti tra diversi uffici, a parità di qualifica e
di profilo professionale. In realtà, esisteva un implicito accordo,
una regola non scritta, ma garantita dal sistema di consenso tra le
parti, che rendeva di fatto assai difficile qualunque tipo di
trasferimento.
8) Nel corso del 1991 sono stati siglati sette accordi, due a livello
di Ente e cinque settoriali: Accordi di Ente: 1) 6/3/91 Protocollo
d’intesa per la costituzione del Fondo per il miglioramento
dell’efficienza dei servizi (Art. 5 Dpr 333/90); 2) 4/7/91
Protocollo d’intesa per l’applicazione del Livello Economico
Differenziato (Art. 35 Dpr 333/90). Accordi di Settore: 1) Settore
Educazione: Ridefinizione dell’impegnativa oraria del personale ex
attività integrative; 2) Settore Educazione: Progetto Luglio Nidi
(apertura estiva degli asili); 3) Settore Personale: Situazione del
personale ex ruolo 34, assegnato temporaneamente al Settore Servizi
Sociali per attività educative presso i servizi per portatori di
handicap; 4) Settore Servizi Sociali: Area H (funzionalità dei
servizi socio-assistenziali rivolti a portatori di handicap); 5)
Settore Servizi Civici: Organizzazione servizi cimiteriali.
9) Si noti che non si intende dar conto - in questa esposizione -
della complessità di tutte le vicende contrattuali che hanno
coinvolto il Comune di Milano nel 1991, ma solo proporre alcuni
specifici episodi di contrattazione che hanno visto le
organizzazioni sindacali impegnate su fronti innovativi, quali ad
esempio gli incentivi alla produttività o la riorganizzazione di
alcuni servizi.
10) Ad esempio uno dei nostri interlocutori ipotizzava la possibilità
di attribuire il Led solo ad alcune categorie, come ad esempio gli
educatori dei carceri minorili, per le quali sono individuabili una
specificità e dei titoli professionali meritevoli di riconoscimento.
11) Va ricordato che già nel 1986 al
Comune di Milano si era tentata
una sperimentazione di valutazione individuale della produttività,
secondo un progetto che l’amministrazione aveva messo a punto
avvalendosi della consulenza dell’Università Bocconi. Secondo questo
progetto una quota della produttività (per il 1986 il 30%, da
portare al 40% nel 1987, mentre la parte rimanente restava
attribuita in relazione alla presenza in servizio) avrebbe dovuto
essere attribuita sulla base della valutazione del rendimento
individuale, secondo quattro parametri: professionalità, attitudine,
partecipazione e rispetto dei tempi e delle scadenze. L’applicazione
dell’accordo creò forti resistenze tra i lavoratori, e da allora il
tentativo di legare una parte della retribuzione al contributo
individuale non è mai stato rilanciato.
12) Per i Ctr il servizio terminava il primo venerdì del mese di
luglio, mentre per gli asili nido, il cui personale educativo è
equiparato contrattualmente a quello della scuola materna, il
servizio terminava il 30 giugno.
BIBLIOGRAFIA
M. Cammelli, S. Recchione, "Il sistema degli Enti locali" in Giornale di Diritto del Lavoro e delle
Relazioni Industriali, nn. 3,4, 1993.
L. Finazzi, L’insediamento sociale della Cgil nel Comune di
Milano, documento, 1993.
G. Natullo, "La contrattazione decentrata nel pubblico impiego" in Lavoro e Diritto, n. 1, 1990.
I. Regalia, Al posto del Conflitto, Il Mulino, Bologna, 1990.
R. Ronchi, Le Relazioni Sindacali nel Pubblico Impiego, Ires Papers, n. 35, Collana Ricerche,
1993.