di Giuseppe Oliveri
NEI PRIMI DECENNI dell’Unità d’Italia il nostro Paese vive un periodo denso di trasformazioni
sociali ed economiche. I soggetti produttivi che, con il loro lavoro, hanno reso possibile l’evoluzione
dell’artigianato e dell’agricoltura, liberando gradualmente l’economia dalle arretratezze pre-
risorgimentali, hanno bisogno di capitali da investire nel proprio futuro. Sono gli anni, a cavallo del
secolo, in cui i piccoli o i piccolissimi operatori economici, discriminati in quanto soggetti deboli ed
esclusi dal credito, nei confronti del quale provavano spesso un senso di estraneità, manifestano
concretamente l’esigenza di disporre di capitali imposta dalla logica dello sviluppo. Attività che
avevano sempre fornito al lavoratore e alla sua famiglia soltanto lo stretto necessario per vivere, con
scarsi o scarsissimi margini di risparmio, impongono ora un accesso fisiologico ai finanziamenti.
Il riconoscimento, da parte degli imprenditori più modesti, della necessità di accedere al mercato del
denaro, per gestire e far funzionare le proprie aziende, solleva immediatamente due spinosi problemi: la
durata del credito da una parte e la sua distribuzione capillare dall’altra.
Per gli agricoltori infatti, il credito a breve termine praticato dagli istituti dell’epoca non è
assolutamente adeguato al loro ciclo produttivo. Gli artigiani d’altra parte, costretti dallo sviluppo
tecnologico ad adeguare le strutture e le attrezzature con investimenti sempre più onerosi hanno
bisogno di tempi lunghi per ripagare i beni a fecondità ripetuta. Anche l’ubicazione degli sportelli
bancari è un grave problema. Piccoli centri, villaggi e cascine lontani dagli sportelli dei grossi centri
sono come atolli isolati dalla terraferma del credito istituzionalizzato. La prossimità con privati che
offrono prestito in loco, ad personam innescano meccanismi di potere e di ricatto lontani da una sana
logica di mercato e i perversi meccanismi del prestito a usura prosperano divorando le risorse delle
comunità.
Questo fenomeno è tanto più esecrabile se si pensa al fatto che le piccole imprese del tempo soffrono
strutturalmente delle difficoltà del basso reddito. Per un capofamiglia il ricorso al prestito a usura
significa, in moltissimi casi, acquistare la corda con cui impiccarsi. Le cronache del tempo sono fitte di
episodi luttuosi di questo tipo.
In questa situazione aggravata da complicazioni politiche anche sul
fronte internazionale è inutile aspettarsi un intervento dall’alto: mentre è assolutamente necessario, per
gli imprenditori, trovare al proprio interno le forze per contrastare la durezza della realtà economica in
cui operano. Si conferma così la validità del motto cooperativo: "Se hai bisogno di una mano che ti aiuti, cercala all'estremità delle tue braccia".
Questa situazione è comune in Europa. In Inghilterra Rochdale lancia l’idea della cooperazione, oggi
più che mai vitale in tutto l’Occidente; una testa un voto. Raiffeisen ne deriva la cooperazione di
credito; la Germania vede nascere queste cooperative anti usura a migliaia. In Italia la prima Cassa
Rurale sorge nel 1883, in provincia di Padova, per iniziativa di Leone Wollemborg, ma già nel
decennio successivo le Casse sono più di cento. Sono gli anni in cui gli ambienti cattolici, coordinati
nell’Opera dei congressi, cominciano a muoversi in misura massiccia anche nel campo della
cooperazione creditizia.
Nel 1890 viene fondata, in provincia di Venezia, la prima Cassa Rurale "cattolica". Nel 1896 le casse
sono 378 di cui 287 aderiscono all’Opera dei congressi. Nel 1905 raggiungono il numero di 1.386 delle
quali 442 nel solo Veneto. Allo scoppio della prima guerra mondiale il numero sale a 2.594 unità di cui
2.002 appartenenti al sistema che i cattolici si sono dato. Nel 1922 si raggiunge il record di 3.540 Casse
Rurali e Artigiane su tutto il territorio nazionale. Poi negli anni del fascismo, per motivi legati sia al
mutato clima politico sia alle
difficoltà sollevate dalla crisi del ’29, il loro numero decresce. La crisi arreca danni gravissimi a tutto il
sistema bancario; si impone una nuova normativa in cui l’esercizio del credito viene considerato
un’attività di interesse pubblico.
L’attuazione di tale principio porta necessariamente alla razionalizzazione e al coordinamento tra i vari
istituti, allo scopo di dar vita a pochi e potenti organismi bancari. Le piccole banche e quindi anche le
Casse Rurali vengono danneggiate da questa normativa.
Nel 1937 le Casse scendono a 1.748 unità e
alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1947 sono soltanto 804. Ma il clima di ricostruzione e il
rinnovato slancio civile e morale del secondo dopoguerra favorisce decisamente la crescita del sistema
del credito cooperativo. Nel 1950 viene costituita la Federazione Italiana delle Casse Rurali e Artigiane
(Federcasse) e nel 1963 prende vita a Roma l’Istituto di Credito delle Casse Rurali e Artigiane (Iccrea).
Rispetto all’evoluzione di questi ultimi decenni è importante sottolineare il progressivo coagularsi delle
Casse intorno a organismi di grado sempre più elevato e con competenze territoriali sempre più ampie,
dalle associazioni provinciali a quelle interprovinciali, regionali e interregionali fino alla Federazione
nazionale, competente per tutto il territorio nazionale.
Le singole Federazioni regionali svolgono attività di rappresentanza delle Casse socie; di assistenza
tecnico-amministrativa nonché revisione; di miglioramento, incentivazione e organizzazione delle
associate attraverso attività promozionali; di assistenza economica e finanziaria nell’interesse delle
associate; di rappresentanza locale degli enti centrali e federativi; di assunzione del mandato di
rappresentanza di enti e di società di assicurazioni.
L’Iccrea oltre a svolgere una funzione di coordinamento e di integrazione finanziaria, a esercitare
operazioni di credito all’estero, operazioni in pool e crediti speciali di lunga durata, è depositario del
Fondo centrale di garanzia, gestito dalla Federcasse in coordinamento con le Federazioni regionali,
organismo deputato alla tutela delle singole Casse e teso a evitare la scomparsa di quelle unità che si
trovano in momentanee difficoltà.
Altre iniziative d’interesse comune sono oggi: la Società di leasing Agrileasing, tra le prime cinque in
Italia; la Società di gestione di Fondi Comuni Cogestioni; l’Istituto di ricerche orientato alla
macroeconomia di settore Ircel; la Società per l’elaborazione dei dati Iccra, che serve numerose Casse
attraverso l’attività di alcuni centri contabili; il Centro interregionale di servizi Ciscra, che cura
l’acquisto di carte valori, modulistica e materiali d’ufficio e propagandistici; la casa editrice delle Casse
Rurali Ecra, che cura il settore dell’editoria e della pubblicistica, sia nel settore del credito che in altri
rami d’attività; la società di assicurazione Assimoco; la società S&F, che organizza l’attività di
formazione del personale.
È utile ricordare infine che la Federcasse aderisce alla Confederazione Cooperative Italiane
(Confcooperative) che gestisce numerosi servizi di interesse comune.
La validità della struttura del sistema di credito cooperativo è dimostrata dai traguardi conseguiti negli
anni. Anni anche difficili durante i quali il sistema federativo ha permesso di tutelare i singoli federati e
il movimento nel suo complesso, armonizzando le gestioni senza intaccare il principio vitale delle
autonomie.
In questo quadro si inscrive il caso della Cassa Rurale e Artigiana di Binasco, un esempio fra i tanti
nella storia del Credito Cooperativo in Italia.
È il 1902 quando don Castoldi con alcuni muratori fonda a Binasco la Società di Mutuo Soccorso. Fra i
giovani della Società si distinguono coloro che aderiscono alle idee di Romolo Murri. Amilcare
Locatelli nel 1903 fonda, con un consistente numero di muratori, la prima Cooperativa di Consumo.
Nel 1909, in un clima politico piuttosto vivace si costituisce il Circolo Popolare Cattolico. Dopo il
primo conflitto mondiale la rinascita di Binasco è strettamente legata alla cooperazione.
L’OCCUPAZIONE AGRICOLA
Nel 1920 viene fondata la Cassa Rurale e Artigiana di Binasco. Dei 2.380 abitanti, oltre un terzo dei
quali vive e lavora la terra nelle cascine disseminate sul territorio comunale, appena 1.000 unità hanno
un lavoro e circa la metà sono salariati agricoli. Eccezion fatta per un centinaio di lavoratori addetti alle
attività terziarie, il resto è occupato nel settore dell’edilizia. L’industria è assente e l’artigianato assorbe
solo poche decine di lavoratori.
Quando alle soglie del ventennio, il Comune di Binasco viene ridotto al rango di agglomerato agricolo,
una famiglia di salariati può procurarsi con la spigolatura non più di un sacco di riso e solo le rinunce
nei mesi buoni consentono di mettere da parte il necessario per una piccola provvista di lardo per
l’inverno. Anche guadagnare soltanto i soldi per il pane è impresa per molti estremamente ardua; le
famiglie fanno "marcare" sul libretto delle provviste il debito, sperando di poterlo poi pagare in
primavera con l’arrivo della buona stagione.
Sono gli anni dell’occupazione delle fabbriche e le probabilità di entrare in complessi aziendali
occupati dalle maestranze sono praticamente nulle. Le mondine delle risaie, non iscritte alla Lega
vengono discriminate. Anche a Binasco le cose si complicano, alla Cooperativa Falegnami seguita da
quella dei muratori e dalla Cooperativa per la conduzione di aziende agricole, da poco fondate viene
ben presto a mancare il supporto finanziario. Scrive uno dei protagonisti di quegli anni: parmi in Cassa,
formando così, come gli affluenti di un fiume, una buona corrente finanziaria che serva ad aprirci
nuove vie nel commercio e nell’industria, tanto da rendere stabile e solido il regime cooperativistico per
il quale il concetto cristiano del lavoro si intreccia con quello della solidarietà».
Queste parole di
Giuseppe Attilio Gatti esprimono il pensiero consolidato di quel gruppo di 13 lavoratori, fra operai,
artigiani e contadini nullatenenti, che il 22 dicembre del 1920 fondano la Cassa Rurale Depositi e
Prestiti, poi Cassa Rurale e Artigiana di Binasco.
Nel secondo dopoguerra nascono numerose iniziative
come: la Scuola d’Arte e Mestieri per la formazione dei giovani, la Cooperativa Case Popolari, che
affronta i problemi abitativi; la Cooperativa Servizi Pubblici che costruisce una prima rete
dell’acquedotto; l’Api per il lavoro femminile a domicilio e il Centro Studi che si preoccupa di
razionalizzare il regime delle acque in un territorio dove le ricorrenti piene arrecano danni gravissimi.
L’esperienza del lavoro in cooperativa viene ben presto messa a frutto con la nascita di nuove imprese.
Si aprono officine e laboratori. Si organizzano fiere annuali di scambio e incontro. Aumenta
l’occupazione giovanile. Il fenomeno del pendolarismo verso Milano viene contenuto. Le condizioni
economiche delle famiglie migliorano e con esse i volumi del risparmio depositato presso la Cassa di
Binasco.
Una evoluzione testimoniata anche dalle analisi di C. Filippini e A. Canziani che nello studio I rapporti
banca impresa e territorio(1) evidenziano due elementi fondamentali dell’area di Binasco:
a) l’arretratezza economica che ha caratterizzato l’area fino agli anni Cinquanta (nel 1951 gli addetti all’industria e ai servizi sono il 19% della popolazione attiva contro il 74% della provincia di Milano);
b) le condizioni della tipica area aperta che ha caratteristiche strutturali che favoriscono la penetrazione di flussi economici secondo l’asse nord-sud e impediscono la definizione di barriere circoscritte.
"Essa può essere considerata - scrive Filippini - come la zona attualmente meno sviluppata nell’area
metropolitana milanese."(2)
E ancora: "Si può però ipotizzare che il processo di accumulazione originaria sia stato favorito in parte dal ruolo
svolto dalla Cassa Rurale Artigiana di Binasco che con la sua azione ha certamente migliorato le
condizioni ambientali della comunità, nel suo contesto economico e sociale, permettendo
quell’accumulo nel tempo di capitali produttivi e finanziari, ma anche l’accumulazione di esperienze
umane e di cultura sociale che hanno favorito tale profondo sviluppo."(3)
Questa consapevolezza di un ruolo di rilievo per la comunità, ha fatto sì che in questi anni crescesse
anche l’attenzione per i temi sociali come la solidarietà, l’assistenza e l’educazione giovanile. La Cassa
si è impegnata finanziariamente in questi anni su molteplici fronti di
mutualità sociale: dalla Comunità di recupero dei tossicodipendenti "Il Molino", alla Comunità di
pronta accoglienza per psicolabili "Cascina Nuova"; dal Centro Assistenza per la Famiglia, alla Croce
Bianca di Binasco; dalla costruzione del nuovo oratorio di Binasco, al Laboratorio di lingue di cui è
stata dotata la scuola media di Rosate. Sul versante del lavoro ha operato il Consorzio Binaschino
promuovendo infrastrutture e capannoni per le attività produttive. Del tempo libero si occupa
l’Associazione Ricreativa Culturale Arccra che supporta, tra l’altro, attività sportive di dilettanti, bocce,
basket, pallavolo, ginnastica, tennis. Fiore all’occhiello delle iniziative culturali della Cassa è infine il
recente restauro di preziosi codici miniati appartenenti alla tradizione rinascimentale lombarda, molto
sviluppata a suo tempo nel territorio di Binasco.
NOTE
1) In: A. Bertoni, A. Canziani, R. Cappelletto, C. Filippini, Studio
delle linee di evoluzione del sistema socio-economico nell’area di
Binasco, a cura del Centro Ricerche Economico Aziendale
dell’Università Bocconi, Milano, 1985, p. 104.
2) Ivi, p. 105.
3) Ivi, p. 106.