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Impresa & Stato N°32 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

L'INFORMAZIONE ECONOMICA: LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE E I PROGRAMMI COMUNITARI

di Pietro Scalisi


L’INCOMPRENSIONE LINGUISTICA che avvertono diversi imprenditori quando cercano di reperire e di decodificare le informazioni fornite dalle Istituzioni europee in merito ai programmi comunitari di sviluppo costituisce un problema non certo di poco conto, se si considera il volume di opportunità di crescita economica sciupate a causa di una scarsa sensibilità delle organizzazioni preposte a rendere chiari e fruibili i contenuti informativi a riguardo.
Nel presente contributo intendiamo occuparci di questo problema, partendo dal presupposto che all’origine della scarsa partecipazione delle PMI (Piccole e Medie Imprese), in specie meridionali, ai programmi formulati per favorire lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica risiede una carenza di informazioni e una inadeguata disponibilità, manifestata sia dai soggetti proponenti che dai soggetti beneficiari, a comunicare su un piano di scambio e di reciproca intesa.
Così impostata la questione si inserisce nella più vasta problematica del ruolo della comunicazione nelle società post-moderne e investe, più specificatamente, il tema della domanda e dell’offerta di informazione economica.
Esiste un’ampia pubblicistica che ha affrontato questi argomenti, soffermandosi in particolare sulla comunicazione imprenditoriale: quella che si estende a partire dall’impresa verso i suoi due pubblici - quello "interno" e quello "esterno" - attraverso un unico processo circolare.
Di tale speculazione, ci interessa approfondire in questa sede l’analisi della comunicazione che intercorre tra le istituzioni pubbliche e le imprese,(2) nell’ottica di comprendere qual è l’informazione che le prime veicolano agli imprenditori e attraverso quali modalità esse inviano i loro input, tenendo conto che esiste un interesse limitato, da parte delle amministrazioni locali, a socializzare i propri contenuti.(3)
Nelle pagine che seguono terremo conto, inoltre, dell’esperienza maturata sul campo da diversi operatori dell’informazione, che con il tempo sono andati acquisendo una maggiore consapevolezza circa i modi più efficaci di comunicare agli imprenditori le opportunità messe in campo dall’Unione Europea.(4)
Dalla descrizione, seppure non esaustiva, del panorama esistente tenteremo, infine, di trarre alcune indicazioni per definire delle strategie di miglioramento dei canali informativi che collegano le imprese alle Pubbliche Amministrazioni, allo scopo di intensificare un legame ancora fragile e approssimativo e mettere le imprese in condizione di avvantaggiarsi pienamente delle risorse offerte dal sistema.

IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE NELL’ECONOMIA POST-INDUSTRIALE

Inserita in un contesto socioeconomico nel quale ha visto moltiplicarsi i propri interlocutori, l’impresa post-industriale ha posto al centro della propria strategia organizzativa la comunicazione.
Dall’originaria e quasi esclusiva attenzione rivolta ai consumatori, da una parte, e ai dipendenti, dall’altra, gli imprenditori si sono trovati a interagire con una tipologia molto più ampia e differenziata di soggetti, sforzandosi di intrattenere con ciascuno di essi uno scambio quanto più significativo e proficuo per lo sviluppo aziendale.
Il ruolo della comunicazione è divenuto a tal punto strategico nell’attività economica da configurare un vero e proprio modo di essere. Non a caso la nuova frontiera della cultura d’impresa è stata posta nella qualità dei rapporti intrattenuti con i suoi ambienti di riferimento: "rapporti che sono destinati a diventare sempre piu' interattivi, complessi e che dovranno instaurare un dialogo reciproco e continuo",(5) per cogliere le esigenze e le opportunità messe in campo dai diversi interlocutori: dai clienti alle istituzioni, dagli impiegati ai dirigenti, dai sindacati alle associazioni di categoria.
Interagendo con ciascuno di questi soggetti, l’impresa è sollecitata ad attivare di volta in volta le strategie adatte per instaurare una comunicazione efficace, fondata su un approccio quanto più personalizzato e differenziato possibile, in grado di valorizzare al massimo il momento relazionale.
Quanto più, poi, l’impresa post-industriale tende a decentrarsi, moltiplicando le proprie unità operative, tanto più essa avverte il bisogno di comunicare in maniera significativa, recependo gli stimoli provenienti dall’esterno e confrontando le diverse strategie implementabili.
Per avere una misura degli interlocutori con cui si interfaccia quotidianamente un’azienda, è sufficiente prendere a riferimento lo schema degli stake holder di un’organizzazione imprenditoriale proposto da Damascelli e Norsa.(6) I due autori, pur sottolineando la mobilità dei confini che separano in un’impresa l’ambiente interno da quello esterno, distinguono i "portatori di interessi" che appartengono all’organizzazione per motivi di lavoro da quelli che costituiscono il suo pubblico non strettamente aziendale: i soci, i finanziatori, i clienti, i fornitori, le associazioni di categoria, i partiti, gli enti locali eccetera.
Con entrambi questi pubblici la comunicazione diviene un efficace strumento di management, in grado di agevolare il perseguimento degli obiettivi aziendali e di cogliere nuove opportunità. È sufficiente pensare, a tale riguardo, alla comunicazione che interessa più da vicino il presente contributo, quella con le istituzioni pubbliche, attraverso la quale l’impresa ha accesso, ad esempio, alle informazioni riguardanti le risorse finanziarie per favorire lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica, o tramite la quale può esercitare un’azione di influenza (lobbying) nei riguardi degli organi di Governo. Ed è in questo contesto, soprattutto, che l’imprenditore investe la propria vocazione politica, nel tentativo di adattare la propria attività al sistema in cui si relaziona, di massimizzare i vantaggi e le opportunità messe a disposizione dall’ambiente e di condizionare, nei limiti del possibile, gli orientamenti della politica governativa.
Di recente è andata lievitando, parallelamente allo sviluppo degli studi organizzativi volti a enfatizzare e a migliorare il ruolo della comunicazione interna, l’attenzione degli studiosi sugli scambi che l’impresa intrattiene con l’esterno.
In entrambi i casi, come si può osservare, le modalità e gli strumenti che rendono più efficace l’agire comunicativo si basano sui medesimi princìpi: valorizzazione dell’ascolto della realtà circostante, capacità di veicolare con chiarezza i contenuti dell’azienda, flessibilità e personalizzazione nell’utilizzo dei codici di volta in volta adoperati nel linguaggio, e altri ancora. Si tratta di criteri che hanno origine da una concezione della comunicazione particolarmente attraente e che fino ad ora abbiamo trascurato, ma su cui è bene soffermarsi prima di procedere nella trattazione.
Per comunicazione si deve intendere la trasmissione di informazioni, di significati, di emozioni o di qualsiasi altra cosa, da un soggetto emittente a uno o più soggetti riceventi. Essa avviene nel momento in cui i suoi protagonisti si pongono in relazione per far circolare un contenuto informativo, alienandolo dalla dimensione individuale in cui è relegato in partenza.
Tenendo fede all’etimologia della parola, potremmo dire che la comunicazione si fonda su una precisa volontà di mettere in comune, di condividere, e presuppone, pertanto, una logica di scambio, di arricchimento reciproco.
"La comunicazione non ha la logica esclusiva della somma a zero caratteristica della proprieta' o del potere; ha la logica della partecipazione e della condivisione che implica sempre una somma maggiore di zero, un gioco a somma positiva."(7)
In questa luce, lo scambio comunicativo presuppone una volontà di intendersi e di sintonizzarsi sul medesimo linguaggio per rendere possibile la con-divisione. Sforzarsi di individuare un denominatore comune si trasforma in esigenza inalienabile nel processo della comunicazione, il presupposto per realizzare quel ponte che unisce i protagonisti della relazione, consentendogli di arricchirsi attraverso il confronto e lo scambio di contenuti.
Per questo la comunicazione, correttamente intesa, presuppone il riconoscimento dell’alterità e poggia sulla disponibilità dei protagonisti a mettersi in discussione, a modificare il proprio sé nella relazione. Per ciò, ancora, essa introduce la dimensione della reciprocità e sfida i soggetti in ascolto a lasciarsi contaminare e rinnovare da un dialogo autenticamente fecondo. A prescindere dai contenuti trattati, infatti, la sfida della comunicazione presuppone sempre una reale volontà di condivisione da parte degli interlocutori, e con essa una autentica disposizione a intendersi su un piano di corrispondenza.
Sono considerazioni che torneranno utili più avanti, quando si tratterà di delineare alcuni suggerimenti per rendere più incisivo ed efficace lo scambio tra gli imprenditori e le Istituzioni europee in merito ai programmi comunitari di sviluppo.

L’INFORMAZIONE ECONOMICA

Della complessa e articolata rete di comunicazioni che innerva il sistema economico consentendo alle imprese di veicolare la propria immagine e di mettersi in ascolto della realtà circostante, ci interessa approfondire, in questa sezione, alcuni nodi in particolare: quelli che smistano la domanda e l’offerta di informazione economica strettamente intesa.
In una società in costante mutamento, che gli studiosi del comportamento sociale non hanno esitato a definire dell’informazione,(8) le imprese hanno un’estrema necessità di tenere sotto controllo quante più variabili possibili e di orientare le proprie strategie in funzione delle conoscenze economiche in loro possesso.
Se, come si è visto, la comunicazione ha occupato un ruolo strategico nell’agire economico, l’informazione in essa veicolata ha assunto per i soggetti imprenditoriali un’importanza determinante "per conoscere i nuovi mercati in cui l'impresa opera, per confrontare le sue performance [...], per controllare la propria attivita' non piu' riducibile a una sola unita'".(9) A maggior ragione, poi, con la realizzazione del Mercato Unico Europeo, è divenuto prioritario per i soggetti economici fondare le proprie strategie decisionali sulla base di una conoscenza mirata e attendibile del panorama economico internazionale, pena la marginalizzazione o il fallimento delle proprie iniziative.
In altri termini, l’apertura di un mercato più ampio e potenzialmente illimitato, l’aumento dei competitori e degli standard richiesti ha inevitabilmente accresciuto il fabbisogno informativo delle imprese. Dove per aumento del fabbisogno informativo si deve intendere non solo la crescita del volume di informazioni e di statistiche richieste dagli attori economici, ma anche l’aumento di qualità dei contenuti stessi, in termini soprattutto di tempestività, attendibilità ed esaustività dei dati.
Il processo di globalizzazione dell’economia, del resto, si è evoluto in un contesto segnato da una profonda rivoluzione dei mezzi di comunicazione di massa; l’affermazione del "villaggio globale", preconizzata da McLuhan, ha supportato tecnicamente questo processo e alimentato una richiesta di informazioni sempre maggiore, finendo con l’ingenerare, semmai, il rischio opposto, quello di un black- out di senso e di orientamento per eccesso di contenuti.
In tale contesto informativo si deve registrare, pur tuttavia, un atteggiamento ambivalente manifestato dalle imprese. Se da una parte, infatti, è cresciuta l’esigenza di confrontarsi con un mercato più ampio e quindi di misurarsi con maggiori strumenti conoscitivi, dall’altra si è evidenziata una certa resistenza da parte dei soggetti imprenditoriali ad accogliere la sfida. Di conseguenza, l’interesse verso l’informazione economica a volte è risultato limitato o, perlomeno, non corrispondente al volume di opportunità e di osservazioni messo a disposizione degli operatori per avvantaggiarsi dell’integrazione economica.
La dimensione aziendale gioca a questo riguardo un ruolo determinante, dal momento che l’interesse maggiore a raccogliere informazione economica proviene, naturalmente, dalle grandi imprese, che possiedono i mezzi necessari per attrezzarsi sul versante conoscitivo e per sostenere la penetrazione dei mercati internazionali. Diversa è la situazione delle PMI, le quali, nella carenza di strutture adeguate allo scopo, o rinunciano in partenza a internazionalizzarsi, ignorando il problema di una conoscenza adeguata alla globalizzazione del mercato, o ricorrono a circuiti informativi confidenziali, segnati dall’approssimazione e dalla limitatezza dei contenuti disponibili.
Parimenti, non sempre si è registrata una presa in carico adeguata al rinnovamento dell’esigenze e delle condizioni di mercato da parte delle organizzazioni preposte alla distribuzione di dati economici. L’aspetto più evidente, a questo riguardo, è lo squilibrio ancora esistente tra la domanda di informazione - le imprese necessitano di dati inerenti alle altre aziende, di studi sullo sviluppo di specifiche aree settoriali o territoriali, di materiali legislativi, di normativa fiscale ecc. - e la qualità dell’offerta disponibile. Quest’ultima non sempre è risultata organizzata secondo criteri logici e operativi, né distribuita in modo efficace e tempestivo.
In Italia la situazione presenta ancora numerose zone d’ombra specialmente nell’ambito della comunicazione istituzionale, nonostante sia stato avviato da alcuni anni un processo di ammodernamento della Pubblica Amministrazione, che ha il suo centro nell’introduzione di mezzi informatici.
Stefano Rolando, uno dei maggiori esperti di informazione istituzionale, ha più volte sottolineato il ruolo strategico della pubblicità di Stato, che va intesa "come segno di trasparenza, vantaggio politico e sociale costruito attorno alla conoscenza delle leggi e delle normative, [...] sostegno alle attivita' commerciali e di servizio che pure lo Stato svolge, popolarizzazione delle istituzioni, [...] apertura di dialogo tra enti e cittadini".(10)
Quello che le Amministrazioni devono compiere, in sostanza, consiste in una maggiore presa in carico della loro funzione di collegamento tra lo Stato e la società civile, dal momento che l’informazione istituzionale è in grado di istruire, di sensibilizzare, di prevenire, ma anche di stimolare e promuovere nuovi comportamenti sociali ed economici.
Sul piano culturale, comincia a farsi strada la convinzione che una moderna democrazia deve comunicare in modo trasparente e propositivo con i cittadini, "informandoli di tutta l'attivita' dell'Amministrazione Pubblica e poi fornendo loro tutti gli strumenti necessari per utilizzare nel modo migliore i servizi che questa mette a punto".(11) L’insieme dei servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione risente ancora, invece, della carenza di quell’indispensabile orientamento al mercato, di quella " 'cultura d'impresa' necessaria al soddisfacimento dei bisogni di un'utenza aziendale differenziata".(12)
La comunicazione istituzionale, posta in questa luce, deve trasformarsi, e da mera attività di informazione, asettica e spersonalizzata, è chiamata a divenire autentico atto di servizio, misurato sui bisogni informativi espressi dalla gente.(13)
Ponendosi in ascolto di tali sollecitazioni, l’ISTAT, ad esempio, ha iniziato di recente a farsi carico di una richiesta di informazioni statistiche più esaurienti e differenziate, modificando alcune procedure di raccolta dei dati in funzione di un arricchimento dei censimenti economici e di una loro armonizzazione in chiave europea.
Accanto alle strutture preposte istituzionalmente alla raccolta e alla distribuzione di informazioni economiche - la rete camerale, l’INPS, le Anagrafi tributarie ecc. - si collocano, poi, numerose organizzazioni a capitale privato, il cui apporto contribuisce, almeno in parte, a integrare le carenze quantitative e qualitative dell’informazione cosiddetta "istituzionale". Si pensi, ad esempio, ai gruppi che gestiscono l’informazione economica business to business, cioè "sulle imprese per le imprese", fornendo strumenti, statistiche e banche dati (oltre a un significativo supporto di consulenza), in funzione delle esigenze del cliente; o si pensi agli stessi quotidiani economici, come "Il Sole-24 Ore" o "Italia oggi", o ai periodici, come "Mondo Economico", che ci vengono invidiati in diversi Paesi stranieri.(14)
In tutti questi casi, ai limiti dimensionali della informazione raccolta fa da contraltare la capacità di porsi realmente in ascolto delle esigenze degli imprenditori e di fornire loro dei contenuti selezionati e mirati a soddisfare le loro specifiche richieste. La risposta degli information provider al fabbisogno informativo, ad esempio, si va orientando vieppiù verso un innalzamento "del grado di personalizzazione dell'offerta, attraverso il passaggio dalla semplice fornitura di dati 'grezzi' alla prestazione di un servizio di brokeraggio informativo il piu' possibile 'tagliato su misura' ".(15)

L’OFFERTA DI INFORMAZIONE RIVOLTA ALL’EUROPA E LE ATTESE DEGLI IMPRENDITORI

L’offerta di informazione economica finalizzata specificamente a diffondere la conoscenza delle diverse forme di sostegno dell’Unione Europea risulta ancora limitata e frammentaria.
Il patrimonio informativo a disposizione degli imprenditori è, per certi versi, insufficiente, mentre, per altri, appare caotico e disomogeneo. Ciò è da addebitare in gran parte all’assenza di una cultura imprenditoriale in grado di ragionare nei termini imposti dalla crescente internazionalizzazione dell’economia e quindi sensibile a organizzare un’offerta informativa adeguata alle attuali esigenze di mercato.(16)
Allo stesso tempo, il panorama esistente risente degli effetti di una cronica disarticolazione comunicativa tra i protagonisti dell’informazione. Manca, in poche parole, la volontà di coordinare e di ottimizzare le poche risorse disponibili per diminuire il gap conoscitivo sui progetti comunitari che accusano gli imprenditori del nostro Paese, a differenza dei loro colleghi europei.
Ciò detto, esaminiamo le principali fonti di informazioni a cui è possibile fare riferimento per imparare come accedere alle risorse dell’Unione Europea, per poi passare a considerare le principali aspettative rivendicate a riguardo dai protagonisti del sistema economico.
Gli Eurosportelli,(17) che hanno il compito di assistere le PMI in merito alle attività comunitarie, fanno la parte del leone, appoggiandosi ora sulla rete camerale, ora sulle associazioni di categoria, ora, infine, sugli istituti preposti alla promozione industriale,(18) e attivando di volta in volta con questi referenti preziose sinergie.
La struttura "a rete" di molte di queste realtà informative agevola l’utilizzo di metodologie informatiche, che consentono una diffusione immediata ed efficace delle conoscenze riguardo i progetti comunitari.
La stessa Unione Europea sta puntando a una maggiore valorizzazione di queste reti,(19) attraverso la promozione di servizi telematici on-line e di banche dati disponibili su CD-ROM. Già a partire dal 1988, ad esempio, è operativo il progetto Business Cooperation Network (BC NET), un sistema informatizzato costituito da una rete di consulenti di impresa, che permette, tra le altre cose, di promuovere la partecipazione di PMI a programmi comunitari di ricerca e sviluppo (R&S). Di recente, invece, sono state ampliate e potenziate le banche dati EUR-OP - l’editore ufficiale delle Istituzioni europee - che consentono di ottenere tutte le informazioni necessarie, nella lingua prescelta, in merito a: legislazione comunitaria, comunicati stampa, riferimenti bibliografici, bandi di gara, statistiche, progetti e agevolazioni dell’Unione eccetera.
Le imprese attrezzate sul piano informatico rivelano una netta preferenza per l’acquisizione di dati tramite computer, in quanto molto rapida e quindi tempestiva. Tuttavia è necessario constatare come, specie al Sud, il numero di PMI dotate dei supporti tecnici necessari per accedere a questo tipo di informazioni risulti ancora sostanzialmente limitato.
Per questa ragione, la pubblicistica sui temi comunitari rappresenta ancora lo strumento informativo più utilizzato in seno alle PMI nazionali.(20) Numerose sono le guide che forniscono una chiave di accesso alla "selva" di agevolazioni e di programmi comunitari, come diverse sono le rubriche che appaiono sui quotidiani e sui periodici economici, o sui bollettini delle associazioni di categoria, che dedicano ampio spazio alle linee guida dei piani europei. Per non parlare della quantità di materiali divulgativi che illustrano e promuovono le modalità di accesso ai finanziamenti comunitari. L’eccesso di documentazione, in questo caso, finisce a volte per pregiudicare l’efficacia dell’offerta informativa, specialmente in presenza di pubblicazioni molto ampie ed eterogenee, e quindi dispersive, o, al contrario, estremamente specifiche e settoriali, e di conseguenza inutilizzabili.
Un’offerta più mirata e personalizzata è invece quella seminariale, predisposta in genere dalle associazioni di categoria o dagli istituti di promozione industriale. In questi contesti, esperti del settore si rivolgono al ceto imprenditoriale locale con l’obiettivo di diffondere e illustrare le procedure per accedere alle risorse comunitarie. I vantaggi risultano evidenti e concernono prevalentemente l’immediatezza della comunicazione,(21) la possibilità di approfondire specifici contenuti e l’opportunità di simulare lo svolgimento di alcuni progetti pilota. Di contro, i seminari incorrono in alcune limitazioni, attinenti alla scarsa ricettività da parte del pubblico, che non sempre possiede il know-how necessario per seguire la relazione di un esperto, nonché alle resistenze che alcuni imprenditori attuano alla prospettiva di chiedere delucidazioni o di esporre i propri problemi in presenza di amici e "concorrenti".
Per completare il panorama dell’offerta informativa volta a guidare le imprese oltre i confini nazionali, si deve fare riferimento alle numerose società private che predispongono servizi di consulenza finalizzati espressamente, oltre che a individuare e illustrare le opportunità esistenti a misura dei loro interlocutori, a seguirli step by step lungo tutto l’iter che intercorre tra la presentazione della domanda di finanziamento e il conseguimento degli obiettivi previsti dal progetto. In questi casi, sono ancora le PMI ad accedere con più difficoltà al servizio, costrette da bilanci che raramente presentano le disponibilità finanziarie necessarie per investire in forme di tutoraggio finalizzate all’ingresso in Europa, e ciò nonostante esse siano le meno preparate ad affrontare autonomamente la scalata alle risorse comunitarie.
Ed è proprio su questo paradosso, che concerne la specificità delle piccole e medie imprese, che bisogna riflettere, se si intende scongiurare il rischio che la sensibilità denotata dalle Istituzioni europee nel voler promuovere la crescita economica delle PMI si infranga in una inadeguata valutazione del loro status.
Se questa, in linea di massima, è l’offerta reale, consideriamo ora quali sono le caratteristiche ideali dell’informazione economica e quali le modalità di distribuzione auspicate dagli operatori che competono sul mercato europeo.
Si è ripetuto più volte che l’informazione economica costituisce un elemento determinante del processo decisionale, il perno attorno a cui ruotano le strategie degli imprenditori. Ciononostante, per corrispondere pienamente a tale ruolo, è necessario che l’informazione economica possieda alcuni requisiti particolari.
In primo luogo, deve essere immessa tempestivamente sul mercato, così da anticipare le scadenze che condizionano l’agire imprenditoriale e determinano il limite oltre il quale un’opportunità cessa di essere un’occasione. In secondo luogo, deve essere adeguata alle richieste dell’interessato, nel senso che in una società contraddistinta dalla sovrabbondanza di informazioni, è necessario che gli intermediari della comunicazione preselezionino i contenuti da inviare alle imprese, trasmettendo loro solamente quelli finalizzati a ottimizzare le scelte dell’azienda. In terzo luogo, deve essere affidabile e rispondere a criteri se non di scientificità, almeno di adeguatezza ai problemi conoscitivi messi in campo.(22)
In altre parole, si tratta di distribuire e di mettere in circolo, nei "nodi" della rete, una informazione "approfondita, strutturata, selezionata, specializzata, tempestiva, precisa, mirata e facilmente fruibile dall'utente; [...] [in grado di] dare una risposta ai bisogni specifici espressi dalle PMI".(23)
È questo un aspetto cruciale del problema, in quanto la maggiore difficoltà riscontrata dagli imprenditori nell’accedere all’informazione europea risiede proprio nella vastità e nella conseguente eterogeneità dei dati messi a loro disposizione. In presenza di esigenze imprenditoriali, al contrario, molto specifiche, legate inevitabilmente ai contesti territoriali e settoriali di appartenenza, nonché alle caratteristiche tecniche delle aziende e al loro particolare momento imprenditivo, gli utenti degli Eurosportelli - per fare un esempio - rischierebbero di "naufragare" se posti di fronte a una comunicazione ampia e indifferenziata. La loro attesa, viceversa, concerne una informazione mirata, fruibile agevolmente, che interpreti e traduca i dubbi e le aspettative personali. La conoscenza completa di un ambiente sempre più complesso e interrelato, del resto, non sarebbe realizzabile né tantomeno auspicabile, in quanto le imprese procedono ottimizzando la raccolta di informazioni, nel senso di procurarsi non più informazioni possibili ma quelle realmente rispondenti ai loro problemi conoscitivi.
Ecco perché l’impegno degli Enti preposti ad agevolare la recettività delle PMI agli incentivi comunitari deve saper riflettere, in primo luogo, un atteggiamento di ascolto, che sappia cogliere la peculiarità dell’imprenditore, per essere poi in grado di fornirgli le informazioni giuste, in modo semplice e accessibile.(24) Il linguaggio spesso contorto dei regolamenti europei, unito alla complessità delle procedure da espletare per accedere ai finanziamenti, rappresentano invece degli ostacoli molte volte insormontabili per l’imprenditore sprovveduto o poco allenato a confrontarsi con la burocrazia comunitaria.(25)

VERSO UNA METODOLOGIA DI SENSIBILIZZAZIONE DELLE IMPRESE AI PROGRAMMI COMUNITARI

Un ruolo decisivo nella crescita economica è svolto sempre più dall’alta tecnologia e dai servizi. Questa considerazione - che indirettamente affida al Terziario avanzato la leadership nei settori trainanti dell’economia - sottolinea l’urgenza con la quale le imprese, di ogni ambito e dimensione, sono chiamate a misurarsi con la ricerca e l’innovazione tecnologica.
Posti di fronte a questa sfida i piccoli e medi imprenditori, in particolare quelli delle regioni meridionali, scontano le maggiori difficoltà, costretti generalmente da una carenza di finanziamenti e da una politica imprenditoriale miope o, il più delle volte, diffidente.(26)
È in questo quadro, pertanto, che si giustifica la necessità di porre mano con decisione e tempestività a una politica volta a dilatare gli ambiti informativi - ancora confusi e limitati - riguardo la conoscenza delle agevolazioni comunitarie finalizzate a incentivare lo sviluppo tecnologico, in specie per le PMI. Da più parti si sottolinea che quello della carenza di informazioni rappresenta il problema principale che gli imprenditori devono affrontare per sfondare i confini nazionali: "l'informazione su quanto accade a Bruxelles non arriva purtroppo ancora in Italia come invece dovrebbe, ristagnando in circoli ristretti e non raggiungendo i potenziali usufruitori, tra i quali proprio le PMI".(27) La logica conseguenza di questo stato di cose è che le opportunità economiche, finanziarie e commerciali promosse dall’Unione Europea vengono colte da altri, dalle imprese di Paesi più preparati a fornire loro un’informazione tempestiva e mirata a riguardo.
Ma non è solo una questione di carenza di informazioni in senso stretto. A questa si aggiunge l’incertezza negli strumenti più idonei da utilizzare, la scarsa conoscenza dell’interlocutore più appropriato cui rivolgersi, l’insufficiente dimestichezza con le lingue straniere. Quello auspicato, il più delle volte, è un vero e proprio rapporto di consulenza e di tutoraggio, che guidi l’"euroimprenditore" con competenza e chiarezza lungo tutto l’iter che dovrà svolgere per accedere ai programmi comunitari e, successivamente, implementarli.
Sulla base delle considerazioni che sono state avanzate fino ad ora proviamo, dunque, a individuare una metodologia volta a potenziare e a migliorare l’offerta di informazione sull’Europa, tenendo d’occhio, in particolare, le aspettative e le difficoltà delle PMI delle aree meno sviluppate, laddove risulta notevolmente ridotto il volume di progetti presentati all’Unione Europea in tema di sviluppo e di innovazione tecnologica.
Per entrare nel cuore del problema è necessario partire da una valutazione del contesto in cui agisce il piccolo e il medio imprenditore delle regioni meridionali.
In queste aree è noto che le Istituzioni dello Stato, e a maggior ragione quelle europee, vengono considerate con una certa diffidenza,(28) dovuta in parte alla loro distanza, cioè all’assenza di politiche volte a promuovere realmente lo sviluppo delle zone depresse, e in parte alla presenza di economie parallele - in genere di carattere sommerso e illegale - che distolgono l’attenzione dagli incentivi e dalle opportunità messe in campo dalle Pubbliche Amministrazioni.
Il primo nodo da affrontare riguarda dunque la capacità di informare per rassicurare, nel senso di far giungere in questi luoghi quanta più comunicazione possibile per avvicinare le Istituzioni agli imprenditori e vincere quella atavica diffidenza che oscura le opportunità di sviluppo offerte dall’Europa e dallo Stato.
Molte volte è proprio la visione riduttiva dei pubblici amministratori - identificati esclusivamente nella loro funzione di esattori e di controllori - a ingenerare un clima di sfiducia e di conseguente lontananza da tutte le proposte che provengono dalle autorità centrali. Migliorare l’informazione a riguardo può significare, pertanto, aumentare il flusso di comunicazioni, evidentemente ancora limitato, e mirare opportunamente i contenuti veicolati, nel senso di indirizzarli a far conoscere meglio le possibilità di innovazione e a creare una sorta di rapporto confidenziale e personalizzato con gli imprenditori, che abbatta quel muro di diffidenza e di sospetto che ostacola il più delle volte il processo della comunicazione.
Il secondo nodo da sciogliere concerne le condizioni per accedere alle risorse comunitarie. L’accresciuta selettività operata dalle Istituzioni europee, finalizzata a ottimizzare la distribuzione dei finanziamenti, ha creato maggiori difficoltà ai proponenti nel presentare dei progetti in grado di assicurarsi il placet dell’Unione. Rispetto alla fase iniziale di sperimentazione dei programmi di sviluppo, oggi si può dire che i criteri di approvazione dei piani di ricerca e di innovazione tecnologica hanno generato una maggiore competizione tra le aziende, costringendole a predisporre delle proposte più accurate, più originali e corredate di una documentazione tecnico-manageriale decisamente più dettagliata e approfondita.
In questo quadro, la partecipazione delle PMI meridionali alle gare comunitarie sconta, inevitabilmente, il ritardo di sviluppo di questi soggetti rispetto ad altri competitori stranieri, nonché la carenza di risorse da investire nello studio per la predisposizione del progetto. Di conseguenza, l’intento dell’Unione - che mira apertamente ad avvantaggiare le zone depresse - rischia paradossalmente di aumentare il divario già esistente, imponendo degli standard di qualità a delle imprese che solo attraverso il loro aiuto potrebbero aspirare a raggiungere.
Il problema, che non deve ovviamente essere risolto a livello di Unione, abbassando la soglia di accesso ai finanziamenti, investe, ancora una volta, la sfera dell’informazione. È qui, infatti, che possono essere migliorati gli input da dare agli imprenditori, aiutandoli concretamente a predisporre un business plan adeguato ai criteri comunitari.
In primo luogo, si tratta di informare meglio sulle modalità di accesso alle risorse e sui criteri in base ai quali verranno giudicati i piani. In secondo luogo, si tratta di offrire una consulenza qualificata, che guidi l’imprenditore nella stesura del progetto, aiutandolo nella realizzazione di alcuni studi preliminari (indagini di mercato, analisi tecnologiche ecc.) che sono diventati indispensabili per mirare adeguatamente la proposta di finanziamento. In terzo luogo, si tratta di garantire un servizio di tutoraggio prolungato, che prosegua cioè l’assistenza all’impresa anche successivamente alla presentazione della domanda e soprattutto in caso di risposta negativa, così da affiancare l’imprenditore nella correzione del progetto in vista di una sua ripresentazione ed evitare la dispersione delle risorse fino allora impiegate.
La strada migliore per rendere operative queste indicazioni - che potremmo sintetizzare nello slogan informare per coadiuvare - consiste nel predisporre un piano di seminari che persegua sia un’azione di diffusione generale delle informazioni e dei suggerimenti di comune interesse, che una personalizzazione dei rapporti con gli imprenditori, da seguire caso per caso, volta a dettagliare e a specificare meglio i contenuti che riguardano più strettamente i singoli interlocutori.(29)
Se la predisposizione di un business plan è impresa ardua, se risulta indispensabile investire anticipatamente in studi e ricerche per perfezionare al meglio il progetto di innovazione, se il rischio di non vedere accolta la propria richiesta è reale, è indispensabile allora coadiuvare le imprese in modo adeguato: collaborando alla stesura del progetto, fornendo loro il know-how necessario per giustificare tecnicamente la richiesta e dimostrare la sua reale innovatività, minimizzando il rischio di una eventuale esclusione dai finanziamenti.
È evidente, del resto, che questo problema coinvolge principalmente le PMI, le quali, a differenza delle loro colleghe di maggiori dimensioni, non possiedono le risorse, le strutture e i tempi necessari da investire nella ricerca per predisporre al meglio le richieste.
Al tempo stesso, è sensato ipotizzare che solo attraverso un’autentica partnership individualizzata - che le strutture pubbliche preposte a fare da interfaccia tra le imprese e l’Europa dovrebbero attivare - si possano superare quegli indugi che rallentano ragionevolmente la partecipazione delle PMI del Mezzogiorno ai programmi di ricerca comunitari.(30)
Seguendo questa prospettiva le Pubbliche Amministrazioni sono chiamate a investire in formazione, per accrescere e qualificare la propria proposta e offrire alle imprese un servizio alternativo (a costi zero) a quello fornito al momento dalle sole società private, specializzate in european investment. È necessario preparare degli operatori dell’informazione, che si specializzino nelle materie comunitarie sia da un punto di vista economico-manageriale che da un punto di vista giuridico-procedurale e che sappiano, forti della loro competenza, guidare per mano gli imprenditori meno attrezzati su questi terreni.
Il terzo e ultimo nodo che rimane da sciogliere, per migliorare l’offerta informativa, richiama le tre parole d’ordine che sono ricorse con maggiore frequenza in questo contributo: selezione, chiarezza, tempestività.
Chi è chiamato a dare voce alle iniziative europee deve porsi costantemente tali obiettivi, se non vuole lasciare inascoltato il messaggio comunitario.
La numerosità e l’eterogeneità dei programmi di sviluppo messi in campo dall’Unione comporta, imprescindibilmente, una disponibilità a elaborare tale vastità e complessità di materiali per renderli fruibili in forme selezionate e calibrate sulle specifiche esigenze imprenditoriali. In presenza di X misure formulate per favorire la ricerca e l’innovazione e di Y potenziali PMI beneficiarie, occorre che il consulente in questione sappia valutare la combinazione più adeguata e presentare esclusivamente le informazioni sull’i-esimo progetto per la j-esima impresa.
Si tratta, ancora, di assecondare le esigenze degli imprenditori, che sollecitano un flusso informativo sempre aggiornato e facilmente applicabile alla loro realtà operativa. Il ché si traduce nella capacità di dotare le informazioni di un valore aggiunto, basato sulla chiarezza dell’esposizione e sulla tempestività dei dati,(31) nonché sulla disponibilità a mettersi in ascolto dei propri interlocutori, per una costruzione del mercato dell’informazione che parta "dal basso".
Accogliere questa prospettiva significa cambiare la lettura del tessuto economico e sociale che possiedono le Istituzioni, le quali molte volte ignorano le reali condizioni degli imprenditori o l’entità del loro agire economico (che molto spesso per le PMI significa, ad esempio, aziende a conduzione familiare). Solo sviluppando questa diversa sensibilità, questa attenzione prioritaria a conoscere la base produttiva, si riuscirà a informare per farsi capire.
Questi, dunque, i nodi da affrontare prioritariamente per rendere più incisiva la comunicazione e trainare davvero le PMI in Europa. Ma non è sufficiente l’impegno delle Amministrazioni a dotarsi degli strumenti tecnici e della cultura necessaria per offrire agli imprenditori concreti elementi di supporto e di assistenza lungo l’impervio percorso che li può condurre in Europa, occorre che le imprese stesse si assumano le proprie responsabilità.
Su due piani, in particolare, ci sembra possa dispiegarsi il loro contributo.
Il primo deriva dalla definizione di comunicazione che abbiamo dato all’inizio. Se comunicare vuol dire condividere, entrambi gli interlocutori sono soggetti attivi nella relazione e a entrambi spetta il compito di contribuire al processo in atto, condizionando con il proprio atteggiamento di ascolto o di trasmissione i contenuti e le modalità della relazione. Il mercato dell’informazione, invece, "continua a venire percepito dalle imprese come un qualcosa di esterno e dato e non come un circuito da loro stesse piu' o meno consapevolmente alimentato e influenzato".(32) In questo senso, se l’offerta informativa sull’Europa non rispecchia le aspettative delle aziende o risulta insufficiente a raggiungere l’intero tessuto produttivo, sarà bene che gli imprenditori stessi si attivino per condizionare il flusso di informazioni a loro rivolto. Attraverso l’informazione, del resto, si trasmettono messaggi che per diventare comunicativi hanno bisogno di una risposta attiva da parte di chi li riceve, che è in condizione di assimilarli e di rinviarli modificati.
Il secondo concerne l’impegno, che deve essere condiviso dalle imprese, a socializzare le conoscenze acquisite singolarmente. Specialmente in presenza di un’offerta di informazione insufficiente e confusa è indispensabile che gli imprenditori si sforzino di mettere in comune i dati in loro possesso e di fare chiarezza insieme sui contenuti dei progetti comunitari. Del resto, la progressiva globalizzazione dei mercati si va traducendo per le imprese in un aumento dei competitori e in una conseguente maggiore attenzione ai pericoli provenienti dall’esterno rispetto a quelli del più ristretto ambito di attività. Mettendosi in rete, le imprese hanno l’opportunità di condividere l’informazione e di avvantaggiarsi di benefici comuni. Da questo punto di vista, l’esperienza dei "distretti industriali" - sorti in risposta alla competizione globale come recupero della dimensione territoriale e per la costruzione di un’identità sociale ed economica - testimonia che nel mercato attuale è possibile e anzi auspicabile coniugare competizione e cooperazione.
"A livello locale la creazione di una rete di imprese permette di avvicinarsi a una situazione di trasparenza del mercato nel momento in cui mira a fare circolare l'informazione utile e 'buona', premiando tutti coloro che sono disposti effettivamente a condividerla e colpendo invece coloro che continuano a fornire informazioni inutili e di 'cattiva' qualita'." (33)
Informare per condividere rappresenta dunque l’ultimo degli slogan (questa volta rivolto alle imprese) con cui abbiamo inteso sintetizzare le linee guida per una metodologia di sensibilizzazione delle aziende e una loro maggiore partecipazione ai programmi dell’Unione Europea. Le resistenze e le difficoltà oggettive che potranno ostacolare questo percorso, verso una comunicazione più efficace e adeguata alle esigenze degli imprenditori, restano innumerevoli ma non insormontabili. Si tratta di verificare se sussiste una reale volontà di implementare gli intendimenti comunitari a trainare le piccole e le medie imprese delle aree depresse in Europa, per un’integrazione territoriale effettiva, priva degli attuali e ingiustificati squilibri.

NOTE

1) Il presente contributo rielabora alcune riflessioni condotte nell’ambito dell’indagine - realizzata dall’ECOTER per conto dell’ENEA - riguardo alla promozione dei programmi comunitari volti a favorire lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione tecnologica nelle piccole e medie imprese.
2) Nel farlo, non tralasceremo comunque di considerare l’offerta di informazione "privata" esistente sul mercato.
3) L’attività informativa realizzata dalle Istituzioni, infatti, non appare direttamente connessa a una dinamica economica, né, tantomeno, risulta condizionata da regole ferree di ritorno degli investimenti.
4) A tale riguardo si desidera qui ringraziare, per la cortese collaborazione prestata nella stesura dell’articolo: VALENTINO BOLIC (Istituto per la Promozione Industriale), MICHELE COLASANTO (Università Cattolica di Milano), LAURA COLOMBO ("Impresa & Stato"), BARBARA FIAMMERI ("Il Sole-24 Ore"), GIOVANNI GRASSI (Assofor), BENIAMINO LECCE (Manager della comunicazione e dell’editoria), MAURO MAGATTI (Camera di Commercio di Milano), ROSARIO MANCINO (Telecom Italia), LUIGI MARCIANO (Praxis Ingegneria e Informatica), MAURIZIO MARINELLI (Lega delle Cooperative e Mutue), GIORGIO MARTINI (Eurosportello), ADRIANO RUOCCO (Ministero del Tesoro), CARLO SPAGNOLI (UnionCamere) e ANDREA VECCHIA (Mediocredito Centrale).
5) R. TRABUCCHI, L’impresa-comunicazione fra politica e mercato, Milano, Franco Angeli, 1993, p.11.
6) N. DAMASCELLI e L. NORSA, Come fare comunicazione d’impresa, Milano, Sperling & Kupfer, 1993, pp.5-7.
7) R. TRABUCCHI, op.cit., p.85.
8) Tale definizione si fonda sul riconoscimento che nella società post-industriale il trattamento dell’informazione e l’elaborazione simbolica divengono attività prevalenti rispetto alla produzione materiale di beni.
9) I. CIPOLLETTA, I processi decisionali delle imprese e l’informazione statistica, in , n.15, 1991, p.51.
10) S. ROLANDO, Lo stato della pubblicità di Stato, Milano, Il Sole-24 ore, 1990, pp.11-12.
11) S. ROLANDO, op.cit., p.117.
12) F. COLUCCI, Terziario e informazione economica, in , n.15, 1991, p.61.
13) Riguardo questa concezione del comunicare si rinvia, inoltre, a S. ROLANDO, Il principe e la parola, Milano, Edizioni di Comunità, 1987.
14) Si veda, a riguardo, F. MORGANTI, L’informazione economica per le imprese, in , n.19, 1992.
15) F. BONIZZI, Reti di informazione e reti di impresa, in , n.15, 1991, p.80.
16) Per comprendere queste ultime è sufficiente sottolineare come la società post-industriale si presenti sostanzialmente in qualità di società senza frontiere, (F. GALGANO, Le istituzioni della società post- industriale, in Aa.Vv., , Bologna, Il Mulino, 1993, p.28). Sempre più, di conseguenza, si avverte il superamento di un’economia su scala nazionale e sempre meno hanno futuro strategie d’impresa rivolte esclusivamente ai mercati locali.
17) La rete degli Eurosportelli è nata nel 1987, su iniziativa di Abel Matutes, per garantire un servizio informativo adeguato, transnazionale, agli operatori economici riguardo alle iniziative e alle opportunità di sviluppo messe a disposizione dall’Unione Europea.
18) Come, ad esempio, la Società per l’imprenditorialità giovanile, l’Istituto per la Promozione Industriale o l’Istituto per il Commercio Estero.
19) Non a caso l’ultima riunione annuale degli operatori degli Eurosportelli, che si è tenuta a Palma di Maiorca il 14/9/1995, è stata incentrata sul ruolo delle reti telematiche nel mercato dell’informazione.
20) La produzione di stampati - secondo DAMASCELLI e NORSA (op.cit.) - costituisce ancora, malgrado l’avanzata delle tecnologie elettroniche, il mezzo principale per la comunicazione d’impresa.
21) La possibilità di utilizzare strumenti audiovisivi, tra l’altro, accresce l’efficacia dei seminari, dal momento che: (R. TRABUCCHI, op.cit., p.225).
22) L’ordine di priorità con cui sono stati indicati tali requisiti sottolinea che dei tre è la garanzia di affidabilità a essere più frequentemente trascurata, in quanto (I. CIPOLLETTA, op. cit., p.51).
23) M. PIURI, Comunità e informazione, in , n.15, 1991, p.77.
24) Non a caso CROZIER - nel suo libro L’impresa in ascolto (Milano, Il Sole-24 ore, 1990) - ha evidenziato come al primo posto nelle attese organizzative dei manager francesi risieda la richiesta di semplicità, la ferma volontà di gestire in modo chiaro e lineare i processi aziendali, a partire dalla raccolta di informazioni.
25) Lo testimonia, tra le altre, una ricerca condotta di recente dall’Osservatorio sulle PMI del Mediocredito Centrale, il quale, nel monitorare l’universo delle imprese manifatturiere, ha sottolineato la scarsa conoscenza dei programmi di agevolazione, giudicati troppo complessi e dalle procedure ingovernabili. Cfr. Indagine sulle piccole e medie imprese industriali, in , Roma 1995.
26) A tale riguardo, l’Osservatorio sulle PMI del Mediocredito Centrale, svolgendo un’analisi di profilo delle imprese manifatturiere agevolate nel triennio ’89/’91, si è espresso in questo modo: (Mediocredito Centrale, Un’analisi del profilo delle imprese agevolate nel triennio 1989-1991, in , Roma, 1995, p.54).
27) B. CALZIA, L’euroimprenditore, Milano, Il Sole-24 ore, 1992, p.11.
28) È da notare, comunque, che la percezione del "pubblico" avvertita al Sud amplifica soltanto una considerazione dello Stato come lontano dal cittadino e dalle sue esigenze diffusa indistintamente in tutto il Paese.
29) L’Istituto per la Promozione Industriale, ad esempio, ha già in atto una serie di incontri, concertati con le Associazioni di categoria, nei quali, dopo una relazione generale tenuta da un proprio esperto, per scongiurare il rischio di una scarsa ricaduta della comunicazione, consente agli imprenditori di riflettere a posteriori, in colloqui individuali con altri consulenti, sull’adattabilità della proposta ascoltata al proprio caso specifico.
30) Emerge da diverse ricerche, del resto, che le imprese chiedono un rapporto di consulenza e di collaborazione in luogo di asettici e parcellizzati pacchetti informativi, privi di contesto e delle condizioni di reale praticabilità.
31) L’Italia beneficia in modo rilevante dei fondi strutturali, ma spesso non riesce a utilizzarli compiutamente a causa dei suoi ritardi nel gestire, diffondere e implementare tali piani, facendo così perdere grosse opportunità di sviluppo alle imprese.
32) F. BONIZZI, op.cit., p.80.
33) Ibid., p.84.

BIBLIOGRAFIA

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