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Impresa & Stato N°32 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LA CAMERA DI COMMERCIO FRA INTERESSI E ISTITUZIONI

di Mario Unnia


QUESTO CONTRIBUTO si articola in tre capitoli. Nel primo descrivo le caratteristiche dell’arena, dei soggetti e delle logiche che li guidano. Nel secondo richiamo la Legge 580/93, e in particolare il ruolo della Camera di Commercio in quanto istituzione e il riconoscimento alle imprese di una "cittadinanza". Nel terzo descrivo il ruolo della Camera come attore e contenitore di comunicazioni.

CARATTERISTICHE DELL’ARENA, SOGGETTI E LOGICHE

La Legge 580/93 ha modificato i termini in cui si pone il problema della comunicazione per le Camere di Commercio? La risposta è sì.
Per comprendere la natura e la portata del cambiamento, conviene prendere le mosse da alcune riflessioni sociologiche.
In democrazia si compete per il consenso, e il territorio in cui ci si confronta ha le caratteristiche di una arena: di qui il termine "arena dell’influenzamento" per indicare il luogo virtuale in cui i protagonisti "scambiano" opinioni, proposte, risorse, tessono alleanze, vincono o sono soccombenti.
Negli anni recenti l’arena ha subìto delle profonde trasformazioni a seguito di cambiamenti intervenuti nella società: vediamone i tre principali.
Le classi sociali, nettamente differenziate tra loro, tendenzialmente oppositive, con referenti politici stabili, e poco propense alle alleanze, si sono frammentate in tanti ceti sociali, assai meno differenziati tra loro, concorrenti più che oppositivi, senza referenti politici stabilizzati, anzi caratterizzati dalla volatilità del voto, e portati a tessere alleanze strumentali ai loro obiettivi. Dunque, i soggetti che hanno occupato l’arena riflettono una diversa stratificazione sociale, caratterizzata dalla instabilità dei baricentri degli interessi e dalla provvisorietà delle alleanze.
Sono venuti in discussione i tre ruoli classici dello Stato. Si è ridimensionato lo Stato imprenditore, e in alcuni casi lo si è azzerato. Lo Stato redistributore, vale a dire allocatore di risorse alle famiglie e alle imprese, è in corso di ridimensionamento non potendosi sostenere l’onere dello Stato assistenziale. Anche lo Stato cliente, vale a dire acquirente di beni e servizi, viene ridimensionato per effetto del venir meno del suo ruolo di imprenditore, nonché per effetto delle politiche di disarmo, ambientali, energetiche eccetera.
A fronte di questi ruoli messi in discussione, si è venuto profilando lo Stato committente, che preleva risorse e le convoglia su progetti che fa poi eseguire e gestire dal mercato. Con lo stesso termine possiamo definire lo scorporo di intere attività, anche legislative, che lo Stato affida a istituzioni intermedie e periferiche. Uno Stato, dunque, che si muove (o dovrebbe muoversi) secondo una logica di decentramento funzionale e territoriale.
Il terzo cambiamento significativo per il nostro discorso riguarda la pubblica opinione. Innanzitutto, una maggiore sensibilità e interesse ai fatti economici: anche il piccolo risparmiatore si è familiarizzato con i concetti base dell’economia, e ha sostituito, nelle sue scelte politiche, l’approccio costi-ricavi all’approccio essere-dover essere. È altresì diminuita la fiducia in tutto ciò che è pubblico, nell’affidabilità della giustizia, nell’efficienza della Pubblica Amministrazione. Ma ciò che sembra caratterizzare in modo specifico il cambiamento è l’atteggiamento generale verso la vita collettiva, le aggregazioni e le appartenenze. Mi riferisco alla crisi delle associazioni e delle istituzioni che stentano a mantenere la presa sui loro membri, a influenzarne il comportamento, a rappresentarli garantendone il comportamento verso i terzi. Una crisi che ha radici molteplici, nella caduta dei legami ideologici, nel prevalere dei rapporti di scambio sulle aggregazioni programmatiche, nella già ricordata frammentazione degli interessi. L’apice del cambiamento è costituito dalla perdita di fiducia nella Politica con la P maiuscola, a favore di una politica intesa come buona amministrazione, e nel prevalere di movimenti one issue che perseguono obiettivi mirati.
L’insieme delle nuove condizioni che ho rapidamente rievocate delinea un profilo dell’"arena dell’influenzamento" iper affollata da gruppi di interesse che si muovono secondo logiche di scambio, nella quale lo Stato ha un ruolo in via di ridimensionamento, e l’opinione pubblica, parte principale dell’arena stessa, oscilla tra la debole adesione ai programmi e la forte attrazione per le soluzioni pragmatiche e transitorie. In un contesto siffatto, i rapporti tra gli interessi organizzati e le istituzioni cambiano, rispetto al passato, o meglio: devono essere ridefiniti e riaccettati. Il caso dei rapporti tra Camere di Commercio, Associazioni e Governi locali è emblematico di un processo di ricostruzione di cui si avverte la necessità. La comunicazione, va da sé, sarà finalizzata a questo fine.
LA CAMERA DI COMMERCIO E LA "CITTADINANZA DELLE IMPRESE"

Nei prossimi mesi le Associazioni di categoria saranno impegnate in una ulteriore fase di attuazione della Legge 580/93 che ha ridefinito la natura e i compiti delle Camere di Commercio. Si tratterà di varare gli statuti e riconfigurare i rapporti tra le imprese e le Camere di Commercio, intese non solo come Enti di servizio (se si voleva questo, forse non era necessario scomodare la legge), bensì come istituzioni che interpretano e tutelano gli interessi particolari organizzati.
Sarà questa un’occasione per verificare se il processo di ridefinizione dei rapporti tra interessi organizzati e istituzioni, secondo una logica diversa dal passato, ha preso corpo, oppure sussistono impedimenti che prima di trovare fondamento nelle ragioni pratiche, lo trovano nella cultura dei soggetti.
In passato l’iter legislativo della 580 aveva sollevato le riserve delle Associazioni, timorose di vedere riaffiorare il corporativismo e di essere concorrenziate sul terreno dei servizi alle imprese. Oggi l’impressione è che le diffidenze si stiano attenuando, e prenda corpo una diversa visione: un autorevole segnale è venuto dalla dichiarazione di Giorgio Fossa, vice presidente della Confindustria ("Il Sole-24 Ore", 21 giugno 1995 e ripetuta in altre occasioni e in altre sedi) a proposito della necessità di semplificare i rapporti tra le imprese e la Pubblica Amministrazione, mediante uno sportello unico collocato presso le Camere. Con significativa rapidità la Camera di Commercio di Milano ha raccolto la sollecitazione e ha offerto la sua disponibilità ad avviare studi e sperimentazioni.
Se si esamina la Legge 580 senza pregiudizi di parte, si vede che nelle intenzioni del legislatore viene riconosciuta alle imprese una particolare "cittadinanza", analoga alla cittadinanza dei cittadini: contestualmente le Camere di Commercio assumono il ruolo di istituzioni che rappresentano nel territorio la "popolazione delle imprese" così come le istituzioni locali e nazionali, dal Comune al Parlamento, rappresentano la "popolazione dei cittadini".
L’obbligatorietà del contributo e della registrazione sono alla base della cittadinanza delle imprese e della conseguente rappresentanza delle Camere di Commercio. E questo tipo di rappresentanza non è in conflitto con quello proprio delle Associazioni di categoria: il primo si fonda sul principio no taxation without rapresentation, il secondo sul mandato volontario.
Sembra dunque che il legislatore si sia orientato e si stia orientando a definire una pluralità di sfere di rappresentanza: le istituzioni che rappresentano gli interessi "generali" dei cittadini e quelle che rappresentano ciò che di generale c’è negli interessi "particolari" organizzati dalle Associazioni, dando quindi vita a una vera democrazia degli interessi e a una nuova statualità. Una struttura di questo tipo, che contempera il pluralismo associativo con la funzionalità pubblica, è ricca di implicazioni.
C’è innanzitutto l’idea che alle istituzioni che hanno competenza normativa per i diritti e i doveri fondamentali (i diritti di libertà, compresi quelli relativi all’intraprendere) possano affiancarsi altre istituzioni che hanno competenza sui modi e i mezzi dell’intraprendere (un esempio? l’anti-trust). Questa distinzione diviene sempre più necessaria per gestire le società complesse. Una forte delega di potere dallo Stato o dalle Regioni alle istituzioni di secondo tipo (le Camere di Commercio nel caso nostro, ma il principio è estendibile), alleggerisce il carico normativo delle Camere "generali" ed evita di dover trasferire troppo potere regolamentare al Governo e riconoscere troppa discrezionalità alla burocrazia. Siamo di fronte allo Stato che ho chiamato "committente", che si muove in una logica di federalismo funzionale, e non solo geografico. Al tempo stesso la delega di funzioni normative e sanzionatorie fa spazio all’autoregolazione degli interessi organizzati, considerando l’autoregolazione una modalità efficace ed efficiente: autoregolazione che può trovare proprio nelle istituzioni intermedie, quali le Camere di Commercio, un soggetto che la promuove e la coordina.
Si instaura dunque un rapporto particolare tra le Associazioni e le Camere di Commercio; semplificando, si potrebbe dire che le prime catturano e organizzano le domande delle diverse componenti della comunità degli affari, le seconde forniscono le risposte all’intera comunità degli affari, beninteso nell’ambito delle loro competenze, proprie e delegate. L’esempio citato dello sportello unico è emblematico: non è solo un servizio alle imprese, che è logico collocare nella sede alla quale tutte le imprese fanno capo, bensì può diventare il terminale di una nuova statualità, molto vicina agli operatori economici e ispirata a un sano principio di sussidiarietà.
La Legge 580, nel definire le Camere di Commercio come interfaccia tra le imprese e lo Stato, ha tracciato correttamente il confine tra le loro competenze e quelle delle Associazioni. Il mandato del legislatore sembra dunque quello di evitare le duplicazioni e le concorrenze, e di massimizzare l’uso delle risorse per obiettivi di interesse collettivo. Anche su questo terreno si misurerà la capacità collaborativa degli interessi organizzati a rendere più forti le Camere di Commercio nelle aree di competenza istituzionale, recuperando per contro l’intero spazio che compete alle Associazioni nelle aree dei mandati volontari e del mercato dei servizi.
L’esito di questo processo di democrazia degli interessi e di nuova statualità può portare molto lontano, a una lex mercatorum fondata su codici redatti dai corpi sociali in qualità di legislatori e magistrati di se stessi.
Corporativismo o neo corporativismo, dirà qualcuno. Niente di tutto questo: invece, riconoscimento della cittadinanza delle imprese, con un loro ambito di diritti e doveri rispondenti al "peso" che esse hanno nella società in quanto produttrici di valore aggiunto. Sotto questo aspetto, la Legge 580 tocca l’assetto istituzionale della società; essa innesca un processo di revisione del concetto di "soggettività politico-rappresentativa", chi ne sono i titolari e in che cosa si esprime.

ATTORE E CONTENITORE DI COMUNICAZIONI

L’analisi condotta nei paragrafi precedenti - sulle caratteristiche dell’"arena dell’influenzamento" e sul ruolo di nuova statualità che la 580/93 ha assegnato alle Camere - consente di affermare che la Camera di Commercio è al tempo stesso un attore e un contenitore di comunicazioni. Vediamo perché.
La sua missione primaria in termini di comunicazione è la nuova statualità. In quanto attore, la Camera di Commercio entra nell’arena dell’influenzamento e costruisce una nuova cultura dei rapporti tra interessi organizzati e istituzioni locali. Un’opera che si svolge lungo alcune direttrici.
Innanzitutto, la ricomposizione della frammentazione degli interessi, non in una logica autoritaria, quindi corporativa, ma secondo una visione sinergica che salva le differenze di ciascun gruppo sociale, e le finalizza al raggiungimento di obiettivi comuni. In secondo luogo, l’appropriazione di funzioni pubbliche, su delega dei Governi centrali e locali, da assolvere con criteri di efficacia ed efficienza perduti dalla burocrazia storica, in modo da riconquistare l’opinione pubblica delle imprese alla fiducia nel servizio collettivo. In terzo luogo, la promozione e gestione di iniziative utili al contesto territoriale, progettate e amministrate con criteri di economicità, in aderenza alla spiccata sensibilità per l’economico che costituisce un tratto distintivo della società contemporanea.
La comunicazione della Camera in quanto attore deve dunque essere finalizzata a dare corpo concreto all’espressione che abbiamo mutuato dal lessico anglosassone senza renderci ben conto del suo significato: mi riferisco alla "comunità degli affari".
In Italia non è mai esistita una vera e propria comunità degli affari, confrontabile con quella americana o francese o tedesca. Il sistema politico, da un lato, e l’oligarchia proprietaria dall’altro, non hanno consentito che si formasse: i politici hanno preferito rispondere alle richieste separate dei singoli ceti, soddisfacendole in cambio del consenso, secondo la logica del divide et impera, l’oligarchia ha indirizzato il vitalismo imprenditoriale diffuso verso la moltiplicazione dei piccoli soggetti, piuttosto che verso la crescita dimensionale dei medesimi. La burocrazia storica, dal canto suo, ha favorito la dipendenza delle imprese dai poteri amministrativi attraverso i permessi e le autorizzazioni, autentici lacci e laccioli scioglibili spesso solo con la corruzione.
Occorre dunque che la comunità degli affari prenda coscienza della distorsione storica di cui è stata vittima, talvolta compiacente, e veda nella Camera di Commercio l’istituzione che può concorrere a determinare il cambiamento. A sua volta occorre che la Camera si attivi in questa opera di convincimento, attraverso azioni proattive: compito della comunicazione dovrebbe essere quello di accoppiare alla informazione la presa di coscienza della filosofia neo statuale che ispira le singole iniziative, i singoli servizi. In una parola, fare consapevolezza.
C’è poi un ruolo della Camera di Commercio in quanto contenitore di comunicazioni. Mi riferisco alle "domande" che vengono dalle imprese e che devono trovare nella Camera la cassa di risonanza.
Viene dalle imprese una domanda di semplificazione dei rapporti tra gli operatori e la Pubblica Amministrazione, una richiesta di maggiori spazi di autoregolazione, in sintesi, una petizione di maggior libertà e minor tutela.
Ma viene altresì una domanda di "fare sistema", come usa dire oggi, a livello locale e settoriale. Ricordo tre esempi che sono emblematici: la nascita dei distretti industriali come soggetti collettivi, assistiti da una burocrazia che dovrà essere a un livello di efficienza pari a quello industriale; il cablaggio delle aree industriali e commerciali per una più efficiente integrazione d’affari e con la Pubblica Amministrazione (si pensi allo sportello unico telematico); la costituzione di giurì delle categorie che assolvano un ruolo di magistratura parallela, rapida ed efficace.
Ultima, ma non minore, la questione molto attuale del settore economico cosiddetto non profit. Questa forma di volontariato sta assumendo modelli organizzativi tali da rappresentare una realtà economica che può entrare in concorrenza con imprese a dichiarato obiettivo di profitto. Urge in questa area di attività chiarezza e trasparenza, affinché non abbia a ripetersi l’anomalia tutta italiana dei trattamenti preferenziali riservati alle cooperative. La Camera dovrebbe dare voce ai malumori che si levano dalla comunità degli affari verso una interpretazione troppo condiscendente e ingiustamente penalizzante per le imprese che agiscono con la logica del profitto, riconosciuta legittima dalla Costituzione.
In tutti i casi si tratta di dare corpo alla domanda e prendere l’iniziativa per approntare la risposta. Occorre un soggetto, la Camera, che assuma il ruolo di project manager nella fase iniziale e organizzi il decollo. Questo intendo per contenitore di comunicazioni: dare voce alla volontà di cambiamento che viene dal mondo delle imprese, e assecondarne in ogni modo l’esito concreto.
Quanto alle modalità di comunicazione, un tratto distintivo della Camera dovrebbe essere l’attitudine a usare i mezzi avanzati. Come è noto, siamo alla vigilia di grandi trasformazioni nelle comunicazioni grazie alla tecnologia. L’interazione tra i soggetti faciliterà il superamento della passività da parte dei riceventi e lo sviluppo di comunicazioni autoproliferanti, al di là della volontà e delle intenzioni dei comunicanti: le istituzioni dovranno tenerne conto se vorranno restare nell’arena o non essere emarginate.
Il grande processo di informatizzazione globale della società deve trovare le Camere di Commercio in prima fila, prima di tutto nell’opera di educazione all’uso dei mezzi.
Concludo. La Legge 580/93 incrocia lo sviluppo della società italiana e delle imprese in un momento particolarmente favorevole a mutamenti significativi. Nell’"arena dell’influenzamento" (che oggi sta in parte nel ciberspazio di Internet) è attesa la presenza delle Camere, le quali, attraverso una efficace comunicazione, concorrano a ricomporre la frammentazione degli interessi e a restituire alla comunità degli affari la fiducia nello Stato, o meglio, in una nuova statualità.