di Giancarlo Lunati
PROGETTARE PER SOPRAVVIVERE
È in questo quadro di rinnovamento che si pone il problema del rapporto fra lo Stato e le imprese, fra gli
uomini operanti sull’una e sull’altra area e incidenti tutti in quell’area comune che è l’innovazione
tecnologica. Le identità devono sussistere accanto alle differenze. Nuove tecnologie e linguaggi comuni
devono essere al servizio di categorie differenti di operatori.
In molti enti pubblici, organici al concetto medesimo di Stato, devono operare uomini dello Stato col
senso dello Stato, senza alcun complesso di inferiorità nei confronti del manager privato. Ma tutti,
privati e pubblici, aggiornati sui nuovi linguaggi e sulle nuove straordinarie opportunità offerte dalla
tecnologia. Si è parlato recentemente della "Città invisibile", come spazio sociale telematico; s’è anche
ipotizzata una società delle comunicazioni a così basso costo da avvicinarsi a tariffa zero. La spinta a
una trasformazione radicale dei costumi e dei comportamenti sarebbe così forte da essere oggi
difficilmente percepibile. Ci potrà essere un 20% di lavoratori a svolgere attività di telelavoro per alcuni
giorni alla settimana, ci sarà un abbattimento del tempo dedicato alle riunioni, sostituite da
videoconferenze. Le conseguenze saranno ovviamente molteplici: 10-15% di traffico automobilistico in
meno; 20% di traffico aereo in meno. Si prevede una trasformazione urbanistica in funzione dei nuovi
modi di lavorare, con proliferazione di centri sparsi lontani dalle città tradizionali. Il pendolo in tal caso
oscillerà in direzione opposta all’attuale tendenza all’inurbamento e alla congestione di traffico ed
edilizia nei vecchi centri storici. Anche la politica potrà cambiare, con l’ausilio di controlli diretti e
continui dei cittadini sulle Pubbliche Amministrazioni.
Nella società dell’informazione l’intelligenza conoscitiva prende il posto delle materie prime e delle
fonti energetiche attuali. Ma sulle autostrade informatiche potranno circolare veicoli in gran numero solo
se ci saranno altrettanti piloti. Quindi si presenta indispensabile una nuova concezione della scuola e
della formazione permanente. Questo scenario, tutt’altro che fantascientifico, apre un nuovo diffuso
approccio all’impresa e agli affari. Il mercato si allargherà e si aprirà a tutti quelli che sapranno entrarvi.
Sarà in difficoltà la logica dei monopoli, ma saranno anche in difficoltà coloro che per pigrizia o
disinformazione rimarranno fuori dal gioco. L’Amministrazione Pubblica dovrà adeguarsi rapidamente;
quella periferica in particolare che è sul campo a contatto diretto e quotidiano con gli utenti. Le Camere
di Commercio potranno svolgere un ruolo primario, se saranno autonome e sostanzialmente
autosufficienti. Ipotesi realistica perché i trasferimenti dello Stato nel 1991 erano già quasi scomparsi,
mentre ancora nel 1986 il sistema camerale era sovvenzionato per circa la metà dalla finanza pubblica.
Con la Legge 580 del dicembre 1993 si sono ammesse ampie possibilità di progettare e gestire strutture
atte alla promozione dell’attività imprenditoriale e complementari all’operatività dove essa è limitata o
carente.
Lo Stato non deve infatti gestire enti economici produttivi, ma creare il tessuto più adatto perché gli enti
privati crescano e si sviluppino. Si è già fatto molto da parte di enti camerali di grosso peso, ma il più è
ancora da fare.
A monte di tutti questi discorsi c’è la formazione dei pubblici funzionari, ancora orientata al controllo di
processo piuttosto che al controllo di prodotto, mancando in modo cospicuo la predisposizione alla
promozione del risultato. Gli addetti del settore pubblico sono aumentati in Italia di più di un milione
negli ultimi vent’anni, record percentuale assoluto nei Paesi della CEE. Ma come disse l’ex ministro
Cassese: "Sono poche, nel mondo, le Amministrazioni Pubbliche nelle quali le leggi impongono in misura pari a quella italiana, il coordinamento. Ma sono poche le Amministrazioni Pubbliche nelle quali le amministrazioni siano meno coordinate che in Italia".
Ci attendono anni impegnativi: "Progettare per sopravvivere" era il titolo di un libro di un architetto
americano, Richard Neutra, tradotto in Italia nel 1956. Già quarant’anni fa qualcuno capì che c’era poco
tempo disponibile. Se in tempi di desiderato e sperato cambiamento, come sono gli attuali, è lecito
chiedere di più, oggi ci sarebbe spazio per alzare la voce sulla spesso scarsa professionalità non solo dei
politici, ma anche dei pubblici funzionari. È ritornata in campo la polemica sulla tecnocrazia e sui tecnici
e perciò è bene parlarne.
La tecnologia modifica i rapporti fra la società reale, le imprese in primo piano, e lo Stato. Quindi ci si
chiede se non sia poi così disdicevole tecnicizzare di più la Pubblica Amministrazione e di converso
spoliticizzarla. Un governo tecnico che funzioni bene e ottenga risultati sarebbe preferibile a un governo
politico rissoso e inefficiente. È un vecchio discorso condito di molti equivoci. Non esiste infatti uno
stereotipo di politico fermo nel tempo. O piuttosto, se esiste, è nel negativo, nelle cattive abitudini e
nella propensione alla corruzione. E non esiste uno stereotipo di burocrate prigioniero di leggi e
regolamenti. Se il funzionario ha fantasia progettuale, deborda forse dai suoi compiti? E se il politico ha
preparazione tecnica scende forse di livello?
La nuova statualità chiede una classe dirigente complessivamente diversa dall’attuale. Sarà possibile
averla? Nel nostro inguaribile ottimismo pensiamo di sì, perché la forza delle cose lo imporrà, a meno di
uscire dai mercati, dall’Europa, da ogni consorzio civile. Il tempo che abbiamo davanti è poco e la
prospettiva di essere travolti esiste. Abbiamo minori speranze che sia l’amministrazione centrale il
domus del rinnovamento, molte speranze invece che siano alcuni enti periferici, come le Camere di
Commercio a farsi interpreti della necessità urgente di innovazioni ampie e profonde.
Gli enti camerali sono infatti tra i pochi enti pubblici a vivere in frontiera a contatto diretto e quotidiano
con le imprese e con tutta l’effervescenza reale dei fattori economici in movimento e in sviluppo.