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Impresa & Stato N°32 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

L'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA COME SISTEMA DI MONITORAGGIO

di Michel Crozier


VORREI SPENDERE qualche parola sull’origine dei miei lavori che, come è noto, è di sociologia dell’organizzazione. Inizialmente, oggetto dei miei studi sono state le organizzazioni. Non una teoria normativa delle organizzazioni - come dovrebbero essere organizzate per funzionare bene - bensì un’analisi empirica, cosa accade in un’organizzazione.
Ho cominciato con lo studiare le organizzazioni amministrative. Il motivo è semplice: negli anni Cinquanta queste erano relativamente più aperte delle organizzazioni private che invece non amavano la trasparenza. Solo successivamente, a partire dai risultati di ricerca ottenuti e dalle discussioni avute con i vertici di molte imprese, cominciai a lavorare sul management privato, cogliendo così le diversità, pur trattandosi della stessa categoria di problemi.
Ecco quindi il mio punto di partenza. Da qui, lavorai anche a livello teorico con molti colleghi e amici americani, ma sempre a partire dalla conoscenza della realtà francese. Vorrei insistere su questo punto perché credo che una delle cose essenziali per avanzare in un mondo incerto, in un mondo che non possiamo prevedere, ma che dobbiamo non di meno anticipare, sia la conoscenza della realtà.
Tenuto conto di queste premesse, vi propongo quanto segue. Innanzitutto, cos’è la rivoluzione post-industriale? In secondo luogo cercherò di mostrare come si risponde ai problemi posti dall’avvento di questo tipo di società. Quindi vi parlerò dell’innovazione, che è divenuta il punto fondamentale dell’evoluzione delle nostre società. Infine parlerò dei rapporti tra lo Stato e le imprese, rapporti che sono mutati, ma che devono cambiare molto di più nel prossimo futuro. Questo è infatti un punto essenziale per le nostre vecchie società europee, le quali potranno svilupparsi solo attraverso nuovi rapporti tra lo Stato e le imprese.
Torniamo al primo punto: che cos’è la rivoluzione post-industriale? La parola in sé non mi interessa affatto; non è importante. Del resto molte persone hanno utilizzato termini diversi per indicare più o meno la stessa cosa. "Post-industriale" è quello più diffuso anche se non è appropriato. Tuttavia esso pone l’accento su qualcosa e io lo utilizzo in associazione col termine "rivoluzione". Si è parlato a lungo della rivoluzione industriale, che è stata il nodo centrale della riflessione socioeconomica del XIX e dell’inizio del XX secolo.
Al fine di caratterizzare il periodo in cui viviamo, tengo molto al termine rivoluzione perché mi pare che il periodo attuale sia ancora più rivoluzionario del precedente. Parliamo quindi di post-industriale semplicemente per avvicinarsi il più possibile alla rivoluzione industriale. Quella attuale è la rivoluzione delle comunicazioni e dei servizi. La società diviene una società di servizi, solo che non si sa molto bene cosa ciò significhi. Forse una società dell’informazione, della comunicazione, della relazione. Tutto ciò va bene, ma non basta perché la nostra società è tutto questo insieme e altro ancora. Una rivoluzione che tuttavia ha luogo in modo del tutto diverso da ciò che è stata la rivoluzione industriale.
Utilizzo la parola rivoluzione con una certa enfasi, dato che in questa fase il mutamento va più veloce perché a cambiare non è solo la politica. La democrazia che noi conosciamo è nata con la rivoluzione industriale. Stiamo scoprendo, fondando, sviluppando qualcosa che non conosciamo molto bene e che speriamo sia più democratico. Ma i timori non sono pochi perché non si tratta di un’impresa facile.
Si consideri la rivoluzione delle attività umane durante tutto il XIX secolo. Con più o meno ritardo, tutte le società europee e l’America settentrionale hanno conosciuto un esodo massiccio di persone dai campi alla fabbrica. Ebbene, l’abbandono delle industrie classiche o dei lavori industriali tradizionali è più rapido da 25 anni a questa parte rispetto all’esodo dalle campagne alle città del XIX e del XX secolo. E se le tendenze continueranno così, tra 15-20 anni non vi saranno più operai nel senso classico. Forse ciò non accadrà, ma la tendenza è impressionante. E questo ha enormi conseguenze sulle quali non voglio dilungarmi; certo è che i posti di lavoro non sono più, e non possono più essere lavori di esecuzione in un universo burocratico.
Il lavoro sulla materia lascia il posto al lavoro di relazione. È per questo motivo che si è parlato di società relazionale. Ciò pone notevoli problemi e su questo argomento è facile sorgano malintesi. Ad esempio, questo non significa che non vi saranno più delle differenze; tutti sanno che, al contrario, almeno in certi casi, le disuguaglianze sociali tendono ad aumentare.
Il problema è rappresentato dai "posti" di lavoro. Ad esempio, uno dei problemi che abbiamo in Francia è il problema dei cadres (quadri dirigenti). Il termine cadre è stato valorizzato dalla società francese e in un certo modo l’università ha fornito l’accesso al mondo dei quadri. Ebbene, se tutti vanno all’università, come possono diventare tutti dirigenti? Ciò non ha più alcun senso nella misura in cui nella coscienza profonda il quadro si riferisce all’idea di comando. Ma se tutti comandano, allora chi è che esegue gli ordini? Si dice: . Va bene, ma cosa vuol dire? Questo è il problema spinoso che c’è in Francia. Ma situazioni del genere le troviamo ormai dappertutto.
Nel passato, ciò che si affermava era un altro tipo di professionalità e una delle difficoltà connesse con la disoccupazione nei nostri Paesi è che non abbiamo bisogno di lavoratori che si trovino a loro agio in lavori semplici e che non richiedono una lunga formazione, ma di professionisti che uniscano alla capacità di lavorare sulla materia quella di gestire delle relazioni. La capacità di lavorare sulla materia rimane, ma è sempre più limitata e sempre correlata a quella relazionale. Abbiamo avuto una grande fase di sviluppo quantitativo che ha consentito alle nostre società di svilupparsi in modo eccezionale, ma questo stadio è ormai superato e mentre un tempo si credeva che la quantità determinasse la qualità, ora il rapporto si è invertito.
Vorrei dire ancora diverse cose su questo punto. Questo tipo di sviluppo va di pari passo con la crescita della libertà umana. Ci troviamo in un mondo in cui ogni persona non solo è più libera, ma chiede anche maggiore libertà. Più siamo liberi e più vorremmo esserlo, anche se dobbiamo sopportare il peso di tale libertà. È una libertà di scelta che è il risultato della ricchezza delle nostre società, del nostro sviluppo che ci dà la possibilità di scegliere tra beni diversi. Questo è anche il risultato della crescita delle comunicazioni e delle possibilità di relazione offerte dalla globalizzazione: oggi tutti possono accedere a cose che erano fuori portata per i nostri antenati. La conseguenza di ciò è che più vi è libertà di scelta, meno è possibile mantenere la gente nell’obbedienza, perché può sempre trovare dell’altro rispetto a ciò che ha già. La disoccupazione vincola le persone, ma anche in un tale stato le opportunità sono molto maggiori oggi di quanto non lo fossero un tempo.
Una seconda tendenza collegata con la società relazionale è la complessità. Un numero sempre maggiore di persone sono chiamate a comunicare, a interagire, a cooperare tra loro. Più un insieme è complesso, più le persone che ne fanno parte possono sfuggirvi; maggiore è la libertà che si raggiunge grazie alla complessità e più cresce tale complessità, perché più persone libere con un numero maggiore di persone libere determinano un livello di complessità superiore.
Se si guarda all’evoluzione delle curve, vedrete un cambiamento assai profondo, perché a un certo punto il sistema si modifica. Se oggi è molto più difficile gestire le imprese e se lo Stato salta, ciò non avviene per caso, né dipende dal fatto che i nostri dirigenti siano meno bravi. Il problema è che il compito è diventato molto più difficile e noi abbiamo costantemente delle reazioni in senso contrario. Vi sono delle persone che battono il pugno sul tavolo e dicono: "E' finita" . Bisogna tornare alla semplicità, bisogna che la gente obbedisca. Tenta e ogni volta fallisce. In alcuni casi - non parlo dell’Europa, ma degli Stati Uniti - la tentazione regressiva si ripresenta ogni 10-15 anni e ogni volta si arena. Anche il Presidente Reagan, che come tutti sanno aveva le idee molto avanzate in materia di qualità delle comunicazioni, e che era il Presidente comunicativo per eccellenza, ha fallito. Ha fallito su tutti i punti importanti che si era fissato come obiettivo. Non si può tornare indietro. Ecco un problema molto importante per tutti noi e che dobbiamo tenere presente quando pensiamo a ciò che dovrebbe essere una buona società e delle buone organizzazioni.
Anticipo un altro punto relativo al mutamento della logica economica. Lo sviluppo quantitativo - se posso usare questa espressione - si basava sul ciclo produzione di massa/consumo di massa. Alcuni dei nostri vecchi Paesi avevano resistito più di altri a questo modello che veniva soprattutto dall’America. Dico noi perché ritengo che, pur con delle differenze, la Francia, l’Italia e i Paesi latini si sono battuti per conservare questa visione antica delle cose: abbiamo sviluppato la produzione di massa e il consumo di massa come gli altri e bene o male ci siamo riusciti.

TECNOLOGIA E SERVIZI IN PRIMO PIANO

Ora però le cose sono cambiate. La locomotiva dello sviluppo economico non è più la produzione di massa e il consumo di massa, ma l’alta tecnologia e i servizi. È ovvio che non ci stiamo per fermare, ma le cose importanti non si trovano più qui. Mi spiego meglio per chiarire il mio pensiero: il modello produzione/consumo di massa si regge sul motore della razionalizzazione. Bisogna razionalizzare per produrre in massa e quando si produce in massa, si produce a prezzi inferiori, il che consente, con un consumo standardizzato di massa, di vendere molto, molto di più e quindi di guadagnare per alimentare il circuito. Poiché con un consumo standardizzato di massa si hanno delle serie più lunghe, è possibile essere meno cari e via di seguito.
Benché questo sistema esista ancora oggi, la locomotiva non è più la razionalizzazione, bensì l’innovazione; le cose cambiano così velocemente, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista sociale, che se vi lasciate impegolare nella razionalizzazione (cioè se vi attenete strettamente al controllo budgettario senza tener conto degli aspetti di apertura, di sviluppo, che sono aspetti qualitativi e umani; se contano solo i soldi), state certi che fallirete. Benché paradossale, ciò è quello che si è verificato o è stato sul punto di verificarsi per un certo numero di grandi imprese, poiché dato che la locomotiva è l’innovazione, se razionalizzate vi private della capacità di innovare.
Perché le grandi imprese americane, che erano quelle meglio gestite (pensate al modello della General Motors) hanno rallentato e si sono fatte raggiungere e superare dai giapponesi? È perché erano troppo ben gestite a livello di controllo budgettario mentre i nostri amici giapponesi, i loro amici giapponesi, ai quali essi chiedevano di trovare i mezzi per ridurre il deficit, già da 15 anni dicevano (ora le cose cominciano a cambiare un po’): "Se gestite a tre mesi con il controllo budgettario siete perfetti, siete battuti perche' la vita sola non e' l'esattezza nell'istante, e' lo sviluppo".
Naturalmente le cose sono molto diverse. Vediamo, ad esempio, che ora le case automobilistiche europee si sono rinnovate. Recentemente in Francia è stato studiato il rilancio della Renault che ha realizzato un modello molto più rapidamente (più o meno rapido come i giapponesi) grazie a questi metodi, dando molta più importanza agli aspetti umani. Per spiegare le cose un po’ più concretamente, ho parlato anche con dei responsabili dell’altra casa automobilistica francese, la Citröen-Peugeot e mi è stato spiegato che questa aveva appreso dai giapponesi un punto sostanziale: come ridurre il tempo necessario per la riattrezzatura di grandi presse. Si tratta di ingegneri estremamente appassionati al loro lavoro, assai efficienti e, come tutti gli europei, scoprono una dozzina di anni fa che mentre essi impiegano 8 ore per la riattrezzatura, i giapponesi ci impiegano mezz’ora. Allora vanno a vedere, guardano, viene loro spiegato, non capiscono: è il segreto giapponese, un segreto culturale. I giapponesi sono giapponesi ed è per questo che producono meglio.
Cosa c’è dietro? Per riuscire veramente a cambiare, essi posseggono l’umiltà di assumere un grande ingegnere consulente che li aiuta a identificare i problemi. Allora, quali sono questi problemi? Sono problemi umani di organizzazione e niente affatto problemi culturali. In altre parole, se formate i vostri addetti affinché siano in grado di compiere sul posto tutte le operazioni di manutenzione e riprogrammazione - cosa del tutto possibile - se eliminate l’intervento delle persone dei metodi o delle persone della tecnica industriale (dato che a questo livello non è affatto necessario), i vostri addetti sono in grado di fare. Ci si organizza e i francesi compiono la riattrezzatura in mezz’ora.
Le conseguenze sono che, con la riattrezzatura in mezz’ora, il ciclo di produzione diminuisce da 15 a 2 giorni. Da qui i guadagni finanziari. Si era cercato in tutti i modi di migliorare il controllo di gestione per guadagnare il 10% dei costi ed ecco il ribaltone, la trasformazione radicale. È questo il segreto dello sviluppo: bisogna innovare socialmente.
Consideriamo ora l’importanza dell’innovazione tecnica. Ho lavorato un po’ nella siderurgia francese che alla fine degli anni Settanta era quasi in fallimento e che è tornata ad essere competitiva dopo uno sforzo di ristrutturazione durato circa sei anni a metà degli anni Ottanta grazie alla rinnovata capacità di approfittare della trasformazione tecnica, la quale ha consentito di produrre acciaio con un terzo del personale. Si è riusciti a farlo ed è sembrato straordinario visto il clima sociale francese, ma lo si è fatto perché si è lavorato bene e ci si è appoggiati al personale con innovazioni sociali che hanno consentito di far approvare l’innovazione tecnica. Ridurre il personale non è un mezzo per essere competitivi. È un mezzo per essere competitivi se il personale che rimane ha la volontà e soprattutto la capacità di collaborare a una buona organizzazione. E la siderurgia francese è stata in grado di farlo, al punto che nel 1990 era diventata la prima siderurgia d’Europa.
Attualmente è in corso una nuova crisi e tutto il problema è di sapere, per la siderurgia come per altri settori, se riuscirà un’altra volta, perché la nuova ondata obbligherà a cambiare ancora. Il problema è che il personale diventi ancora più qualificato, ma soprattutto cooperativo. Ma tutto questo è possibile se si ricorre all’innovazione.
Passiamo ora a osservare come le organizzazioni reagiscono alla suddetta evoluzione. Punto primo: il modo di governo burocratico è superato e ciò costituisce un enorme problema. Non è superato o perché non ci piace o perché bisogna essere più democratici; è superato perché non funziona in quanto esso è incapace di gestire la complessità. La complessità viene ridotta nel modo peggiore e non ci si può neppure appoggiare al personale perché, a causa della libertà che ha acquisito, questo non è più in grado di obbedire come faceva un tempo. Ecco quindi il risultato. Si perde due tavoli: la burocrazia non può gestire la complessità, mentre la gente non obbedisce più.
Recentemente mi sono occupato di un problema estremamente difficile, vale a dire tentare di rilanciare Air France dopo gli scioperi catastrofici di un anno e mezzo fa. Il personale è stato ascoltato e i risultati di questi colloqui sono stati inviati al personale. Abbiamo lavorato con il personale, abbiamo creato un minimo di clima di fiducia per ricominciare. Non ci siamo riusciti, ma abbiamo superato il primo ostacolo, il più difficile. Ebbene, cos’è stato inviato al personale? L’analisi condotta mostrava quanto segue: Air France, compagnia statale. Si trattava di una compagnia amministrativa con molti livelli poco efficienti e molto costosi. Fintanto che anche gli altri si ponevano sullo stesso livello nessun problema. Ma nel momento in cui ha luogo la deregulation americana, si innesca la concorrenza mondiale globale. L’Air France perde sempre più denaro e il deficit diventa insostenibile.
Cosa accade? Negli anni precedenti si erano fatti venire degli specialisti ed era stato condotto un controllo gestionale per migliorare la produttività, cosa che si è fatta ovunque in Europa e soprattutto in Francia. Siamo così arrivati al seguente paradosso: dal punto di vista economico la Francia non va troppo male, ma nessuno è contento dell’andamento degli affari economici poiché la Francia non ha conquistato nuove quote di mercato. Tuttavia, insieme con il Giappone, siamo il Paese che in 20 anni ha avuto il maggior incremento di produttività e siamo il primo Paese per produttività individuale. Ma si è dimenticato che il risultato non è la diretta conseguenza della produttività individuale e che c’è una produttività collettiva, una produttività organizzativa, che non è la conseguenza né la somma di tutte le produttività individuali. Ciò sembra strano, ma è essenziale e prendo l’esempio della Air France per fare capire.
Quando abbiamo intervistato il personale della Air France - ed è questo che è importante - ci siamo accorti che prima dello sforzo di intensa produttività al quale era stato sottoposto, vi erano molte possibilità di miglioramenti. Uno dei punti critici per il decollo di un aeroplano era costituito dai passeggeri che costituivano il carico. Poiché è molto importante, gli aerei partivano a carico completo. Con la pressione della produttività individuale, i rapporti di produttività individuale erano notevolmente incrementati e gli aerei partivano mezzi vuoti perché il personale non era riuscito a mettersi d’accordo per caricare gli aerei. Per poterlo fare, poiché non c’era tempo e ognuno voleva avere il massimo rapporto, bisognava risalire la catena gerarchica e ridiscenderla. Ecco quindi che la burocrazia, obbligata a intervenire, interviene sempre troppo tardi. Ciò causa scontento e con il personale che dice: "Noi lavoriamo di piu' e i nostri risultati peggiorano, e' una follia, la gestione non vale nulla".
Ecco a cosa si arriva. Quali sono le risposte che si possono dare a questi problemi? È necessario inventare nuovi modelli organizzativi i quali sono da ricercarsi intorno al ripensamento del funzionamento delle organizzazioni. Tutto il periodo degli anni Ottanta è stato dominato dalla passione per le strategie, per gli affari finanziari e una passione mal orientata verso la globalizzazione. Un tema questo che non fa eccezione, benché si sia creduto di potervi rispondere con strategie razionali. In realtà la risposta è stata inadeguata. Quelli che hanno risposto meglio sono quelli più vicini all’effettivo funzionamento, come i giapponesi.
Allora che cosa porre al centro? È ciò che Taylor aveva sviluppato e che costituisce il fondamento del management moderno. Ciò che si sta facendo, ciò che si deve fare, è riprendere il problema facendo il contrario di quanto enunciato in molti princìpi di Taylor, e non perché Taylor avesse torto. Per la sua epoca aveva ragione e oggi il suo genio viene riconosciuto. Ma il nostro genio deve essere il suo esatto contrario. Priorità al funzionamento, ma un funzionamento fondato sulle risorse umane perché in un universo del qualitativo e dell’innovazione le risorse umane diventano decisive. È utilizzando bene le risorse umane che si sarà in grado di essere più efficienti senza mutilare le abilità del personale, approfittando delle sue possibilità di sviluppo.

LA SEMPLIFICAZIONE DELLE STRUTTURE

È su questo che abbiamo lavorato con l’Institut de l’Entreprise, come ho già accennato, e da ciò ho tratto il libro "L’impresa in ascolto". I punti critici sono innanzitutto la semplificazione delle strutture e delle procedure, essendo le procedure almeno altrettanto importanti delle strutture. Ci vogliono delle strutture e delle procedure, ma le più semplici sono le migliori. La cosa difficile è fare semplice: fare complicato è invece facile; tutti lo possono fare, ma "fare semplice" è assai difficile. Perché fare semplice non significa sopprimere dei livelli gerarchici a sproposito: significa creare un’organizzazione che consenta agli uomini di essere efficienti. E per fare ciò bisogna comprendere le relazioni che essi hanno gli uni con gli altri. Se capite bene ciò che è in gioco, potrete sopprimere i livelli nel modo giusto e semplificare le procedure. Se semplificate le procedure perché è di moda e perché costa meno, otterrete dei risultati catastrofici.
Ecco quindi uno sforzo molto importante che le imprese americane hanno iniziato a intraprendere a metà degli anni Ottanta. Non hanno ancora terminato, ma hanno cominciato ed è lecito sperare che ciò finisca col dare buoni risultati.
Un esempio interessante è quello delle Ferrovie francesi dopo il grande sciopero del 1986-1987. La crisi era talmente forte che si è potuto fare ciò che si voleva: "Non abbiamo soluzioni, ma vogliamo vedere il problema affinche' possiate vederlo voi. Siete voi che cambierete, non noi, quindi vi aiuteremo a vedere il problema. Problemi che non conosciamo, ma ascolteremo il personale". Abbiamo ascoltato il personale e abbiamo detto loro: "Affinche' sia possibile cambiare, bisogna che il personale capisca il problema quanto voi. Se siete voi a capirlo, ma non il personale, questo si opporra'. Ma se lo capisce come voi, ebbene si potra' affrontarlo" . La sola cosa che conta è che tutti siano d’accordo sul problema.
Siamo stati a sentire, abbiamo inviato i risultati al personale che era stato sentito, ne abbiamo discusso insieme, abbiamo indicato il problema a tutta la gerarchia e ai sindacati. Tutti hanno detto: "E' questo il problema poiche' gli uomini della base dicono che e' questo". Quindi siamo partiti da là e abbiamo fatto cambiare il management a partire dalla conoscenza del problema, nella convinzione che si potesse porre rimedio solo cambiando tutto il management e cambiandolo attraverso la base. E nell’arco di circa due anni molte cose cambiarono, soprattutto per quel che riguarda il punto che ho segnalato e sul quale si torna sempre perché è più semplice, più rapido e concreto: sono stati soppressi i due livelli chiave di questo sistema e questo è stato fatto senza alcuna protesta. Tutti si sono mossi e non vi sono stati oneri supplementari (che al contrario sono diminuiti benché generalmente la soppressione dei livelli comporta oneri maggiori per quelli che rimangono). Ecco un esempio di ciò che è possibile fare. Semplificare le procedure e le strutture. La regola generale è che strutture e procedure sono stupide; solamente gli esseri umani sono intelligenti. Strutture e procedure devono essere fatte per consentire alle persone di essere intelligenti ed eventualmente per aiutarle a divenire più intelligenti. Da questo punto di vista non bisogna essere troppo ambiziosi, non è che gli uomini non possano essere fatti diventare più intelligenti; lo diventano da soli. Se si vuole forzarli a essere più intelligenti, di solito si oppongono.
Secondo punto: autonomia delle unità operative. Per avere delle strutture semplici è necessario avere un’autonomia molto ampia delle unità operative. Ma abbiamo scoperto dell’altro: l’unità operativa ha dei padroni, ha una équipe dirigente. Queste persone avranno maggiori possibilità di essere intelligenti, ma allo stesso tempo si constata - soprattutto nei nostri Paesi latini, ma non solo - che quando si ha una decentralizzazione, si concede dell’autonomia, si creano immediatamente delle baronie. Ciò significa che al vertice non si sa più cosa accade. Si tratta di un meccanismo che si ritrova ovunque, non solo nei Paesi latini, e che è particolarmente forte nei nostri Paesi nella misura in cui vi è una focalizzazione sul potere e quindi, quando se ne ha, lo si prende e lo si mantiene. E per mantenere il potere non si dice ciò che accade.
Studiando qualche problema, abbiamo compreso il segreto del cambiamento. Il controllo tentato è stato un controllo con mezzi tecnici, un controllo di gestione. E ciò è assai pericoloso perché le persone vi si oppongono e sono in grado di sistemare le cose, il che finisce con l’essere vicinissimo alla truche. Si sistemano le cifre e c’è sempre il modo di mettere in risalto i guadagni, soprattutto in un contesto in cui le persone cambiano. Pertanto non è così difficile essere vincenti nel breve periodo, sapendo che sarà il successore a pagare. Sono giochi assai difficili che abbiamo studiato piuttosto da vicino.
Come rimediarvi? Non con i numeri, ma con una nuova concezione di quello che chiamiamo il pilotaggio. È il monitoraggio americano, ma con un tocco di qualitativo molto più forte. Vale a dire delle relazioni alle quali i vertici devono prestarsi perché sono più importanti del loro ruolo manageriale. E abbiamo potuto vedere i successi riportati da chi passava moltissimo tempo - la metà del suo tempo - semplicemente a ricevere i responsabili della propria unità operativa e a discutere con loro in modo molto informale e qualitativo.
Ultimo punto. Il governo degli uomini resta indispensabile, anzi diviene persino più importante. Ne ho parlato a proposito del pilotaggio: si tratta di governo, ma non più del comando per come trovare la giusta soluzione, prestare aiuto e verificare che tale aiuto sia ben utilizzato. È una comprensione e uno scambio. In certi casi in Francia oggi si parla di un quasi-contratto, un contratto tra i vertici e i capi delle unità operative.
Il rischio comunque è quello di avere delle divergenze interne. Nelle organizzazioni centralizzate tradizionali si ottiene una buona conformità attraverso l’uniformità di trattamento. Mediante delle regole, la normativa è molto sviluppata e con un controllo severo tutti sono riportati alla stessa posizione uniforme. Certo, le situazioni sono necessariamente diverse, soprattutto per quanto riguarda lo Stato. Abbiamo fatto ogni tipo di comparazione di confronto e sono sicuro che in Italia il controllo sia ancora più forte che in Francia.

LA CULTURA ASSUME UN’IMPORTANZA STRATEGICA

Come fare per mettere tutto insieme? Per alcuni è attraverso la cultura che si può ottenere coesione e coordinamento più che attraverso il comando gerarchico o l’arbitrato. Questa è stata la grande moda alla fine degli anni Ottanta di cui si è però visto anche il completo esaurimento, semplicemente perché gli imprenditori hanno creduto di dover dirigere la cultura. Ora, non vi è nulla di più difficile da gestire della cultura di un gruppo umano. Cosa si può dunque fare? Si può conoscere la cultura e, visto che la si conosce, approfittarne ed eventualmente mettere in condizione le persone di avanzare e fare meglio.
Tutto ciò ci porta a dare molta più importanza alla conoscenza e a predicare ai nostri amici manager di investire a tutti i costi in conoscenza se vogliono progredire, dirigere meglio le loro aziende, far fronte ai cambiamenti ed entrare nel XXI secolo. Conoscenza non della cultura in generale, ma della realtà di questa cultura.
Ho già parlato del ruolo specifico dell’innovazione. Insisto sul fatto che ormai l’innovazione sociale - l’innovazione nei rapporti umani - è importante tanto quanto l’innovazione tecnica. Solo la prima può consentire di mettere in opera la seconda. Il problema è di comprendere bene la catena dei rapporti umani che va dalla scoperta scientifica ai diversi aspetti dello sviluppo tecnologico e della messa in opera. È a seconda della misura in cui i diversi anelli della catena sono in grado di capirsi e cooperare che si possono avere delle innovazioni rapide, efficaci, che non causano catastrofi o comunque dei blocchi.
Ho appena parlato delle officine Renault che hanno messo a punto un nuovo modello in tempi record. Tutto il problema, che per una volta è stato ben compreso, era di fare collaborare i diversi anelli della catena tecnologica, perché ognuno di questi anelli dipendeva da una filiera burocratica e il coordinamento esigeva l’intervento dei livelli superiori. Si impiegavano 7 anni per mettere a punto un modello, dopo l’innovazione ce ne sono voluti 3.

L’ASPETTO UMANO DELL’INNOVAZIONE

Vorrei comunque precisare che l’innovazione nel mondo di oggi si basa non solo su scoperte scientifiche, ma anche su una conoscenza dei sistemi umani che possono permettere di realizzare ciò che è prodotto dallo sviluppo scientifico. E i modelli di messa in opera acquisiscono sempre maggiore importanza. Se ci abbandoniamo all’idea di uno sviluppo a cascata - uno sviluppo che inizia dalla scienza per poi passare alla tecnologia, fino a che tutto è trasformato - rischiamo di subire dei ritardi gravi.
Quali sono le innovazioni chiave? Ho parlato della messa in opera, ma c’è anche la dimensione concettuale che non è la scoperta scientifica, bensì il concetto di messa in opera contemporaneamente al concetto di impiego della scienza e della tecnica. Il problema in effetti è come i possibili futuri clienti possano imparare a servirsi di ciò che gli si offre. Se la vostra idea è quella di dar loro la merce e dire "arrangiatevi", allora siete fermi a cento anni fa. Bisogna che la gente impari e non è sicuro che lo farà. Bisogna che vi sia un valido concetto di apprendimento che si basi sulla conoscenza di ciò che le persone sono in grado di fare e dello sforzo necessario affinché possano apprendere più facilmente.
Lo Stato è intrappolato nello stesso vortice e deve assolutamente cambiare perché è un’impresa di servizi. È un’impresa più complessa delle altre perché opera in un contesto qualitativo e relazionale. Quindi è un’impresa di servizi per una società di servizi, che deve avere una logica molto diversa da quella di un’impresa. Lo Stato è fatto per comandare una società industriale avvalendosi quindi della legge e del controllo. Il problema, straordinariamente difficile è il passaggio da questo a un ruolo di analisi, basato sulla conoscenza delle realtà e delle strategie per aiutare la società a svilupparsi.
Ciò sembra del tutto astratto, ma mi sono convinto della sua fondatezza avendo lavorato con il Presidente dell’Air France, il quale all’epoca, nel 1991-1992, era a capo di una commissione per la modernizzazione dello Stato. Ebbene, si è potuto far accettare questa idea a una commissione composta da alti funzionari francesi, restii a questa visione. Ma i tempi sono cambiati ed è stato possibile far accettare questa idea così che il tutto si è concluso con un certo numero di raccomandazioni per creare uno Stato stratega, abbinando Stato normatore e controllore. So bene che a parole è facile, ma il problema è la realizzazione e a tal proposito abbiamo avanzato un certo numero di raccomandazioni.
È comunque già un progresso. Queste idee avanzano e si sviluppano a poco a poco. Bisogna che lo Stato si assuma l’onere di porsi al servizio della società e non più di regolamentarla e controllarla in funzione di un ideale superato che più nessuno è in grado di formulare. Bisogna sopratutto che esso crei le condizioni per l’innovazione poiché ci troviamo in un mondo di innovazioni. Vi sono molte cose da fare: eliminare le norme inutili, facilitare le cose, riavvicinare le persone, offrire una conoscenza concreta delle realtà per permettere di essere molto più efficaci quando si vuole innovare. Non si formano le persone per l’innovazione, esse innovano da sole. Il problema è che con i nostri mezzi statali e le nostre rigidità normative, impediamo alle persone di innovare. Il problema pertanto è di eliminare gli ostacoli, anziché obbligare la gente a innovare.
Tre punti finali. Primo: preparazione delle decisioni. L’attuale Stato legislatore francese, che è più efficiente di quello italiano, limita di più le persone. Ecco perché i francesi si stupiscono di dover far fronte alla concorrenza delle medie imprese italiane che sono molto più efficienti di quelle francesi. Il piccolo-medio imprenditore italiano ha più facilitazioni del francese perché lo Stato francese è troppo efficiente, sovrasta su tutti.
Questo non significa che non ci voglia lo Stato. Lo Stato è necessario perché sempre più questi problemi di sviluppo e di strategia sono essenziali e bisogna che lo Stato faccia la sua parte. Allora da questo punto di vista voi italiani potete lamentarvi d’avere uno Stato non all’altezza, ma anche il nostro non lo è in realtà. Le vostre idee sono migliori, ma siete carenti nella preparazione delle decisioni: si potrebbero preparare le decisioni in un modo molto più professionale (non dico scientifico). Vi sono diverse proposte, ma mi fermo qui per non entrare nel dettaglio.
Un secondo punto riguarda la valutazione dei risultati delle decisioni prese. Noi produciamo un enorme numero di decreti e di regolamenti ma non valutiamo mai i risultati di ciò che si è già fatto; non sappiamo affatto a che punto siamo. Si devono invece sviluppare delle tecniche migliori e più efficaci di valutazione. Vi sono altri Paesi - gli Stati Uniti d’America, la Svezia, l’Inghilterra - che hanno compreso il problema e stanno facendo degli sforzi in questa direzione.
Valutare i risultati, preparare meglio le decisioni, specializzare le persone affinché siano in grado di compiere delle scelte professionali. Abbiamo ancora delle preparazioni amatoriali. I nostri funzionari che preparano le decisioni sono degli amatori in materia di preparazione di decisioni per i problemi che devono trattare. Non conoscono la realtà. Conoscono il passato, conoscono i vincoli, ma non conoscono la realtà né le risorse.
Ultimo punto, la gestione degli uomini è uno dei punti essenziali nel definire questi nuovi rapporti tra lo Stato e le imprese. È necessario che lo Stato investa subito in modo considerevole per sviluppare le conoscenze e i metodi di preparazione delle decisioni e di valutazione. Occorre avere uno Stato in grado di prendere decisioni migliori per tutti. Uno Stato simile avrà relazioni migliori con le imprese perché le servirà anziché volerle regolamentare, perché offrirà loro conoscenze di cui esse hanno estremo bisogno dato che non possono fare tutto da sole. Il che non vuol dire che non possa lasciare a delle istituzioni private o semiprivate il compito di assicurare tali funzioni. Ma non è questo il passo più importante: è più importante cambiare l’orientamento e il modo di ragionare.