di Michel Crozier
TECNOLOGIA E SERVIZI IN PRIMO PIANO
Ora però le cose sono cambiate. La locomotiva dello sviluppo economico non è più la produzione di
massa e il consumo di massa, ma l’alta tecnologia e i servizi. È ovvio che non ci stiamo per fermare,
ma le cose importanti non si trovano più qui. Mi spiego meglio per chiarire il mio pensiero: il
modello produzione/consumo di massa si regge sul motore della razionalizzazione. Bisogna
razionalizzare per produrre in massa e quando si produce in massa, si produce a prezzi inferiori, il che
consente, con un consumo standardizzato di massa, di vendere molto, molto di più e quindi di
guadagnare per alimentare il circuito. Poiché con un consumo standardizzato di massa si hanno delle
serie più lunghe, è possibile essere meno cari e via di seguito.
Benché questo sistema esista ancora oggi, la locomotiva non è più la razionalizzazione, bensì
l’innovazione; le cose cambiano così velocemente, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di
vista sociale, che se vi lasciate impegolare nella razionalizzazione (cioè se vi attenete strettamente al
controllo budgettario senza tener conto degli aspetti di apertura, di sviluppo, che sono aspetti qualitativi
e umani; se contano solo i soldi), state certi che fallirete. Benché paradossale, ciò è quello che si è
verificato o è stato sul punto di verificarsi per un certo numero di grandi imprese, poiché dato che la
locomotiva è l’innovazione, se razionalizzate vi private della
capacità di innovare.
Perché le grandi imprese americane, che erano quelle meglio gestite (pensate al modello della General
Motors) hanno rallentato e si sono fatte raggiungere e superare dai giapponesi? È perché erano troppo
ben gestite a livello di controllo budgettario mentre i nostri amici giapponesi, i loro amici
giapponesi, ai quali essi chiedevano di trovare i mezzi per ridurre il deficit, già da 15 anni dicevano
(ora le cose cominciano a cambiare un po’): "Se gestite a tre mesi con il controllo budgettario siete perfetti, siete battuti perche' la vita sola non e' l'esattezza nell'istante, e' lo sviluppo".
Naturalmente le cose sono molto diverse. Vediamo, ad esempio, che ora le case automobilistiche
europee si sono rinnovate. Recentemente in Francia è stato studiato il rilancio della Renault che ha
realizzato un modello molto più rapidamente (più o meno rapido come i giapponesi) grazie a questi
metodi, dando molta più importanza agli aspetti umani. Per spiegare le cose un po’ più concretamente,
ho parlato anche con dei responsabili dell’altra casa automobilistica francese, la Citröen-Peugeot e mi
è stato spiegato che questa aveva appreso dai giapponesi un punto sostanziale: come ridurre il
tempo necessario per la riattrezzatura di grandi presse. Si tratta di ingegneri estremamente
appassionati al loro lavoro, assai efficienti e, come tutti gli europei, scoprono una dozzina di anni
fa che mentre essi impiegano 8 ore per la riattrezzatura, i giapponesi ci impiegano mezz’ora. Allora
vanno a vedere, guardano, viene loro spiegato, non capiscono: è il segreto giapponese, un segreto
culturale. I giapponesi sono giapponesi ed è per questo che producono meglio.
Cosa c’è dietro? Per riuscire veramente a cambiare, essi posseggono l’umiltà di assumere un grande
ingegnere consulente che li aiuta a
identificare i problemi. Allora, quali sono questi problemi? Sono problemi umani di organizzazione
e niente affatto problemi culturali. In altre parole, se formate i vostri addetti affinché siano in grado di
compiere sul posto tutte le operazioni di manutenzione e
riprogrammazione - cosa del tutto possibile - se eliminate l’intervento delle persone dei metodi
o delle persone della tecnica industriale (dato che a questo livello non è affatto necessario), i
vostri addetti sono in grado di fare. Ci si organizza e i francesi compiono la riattrezzatura in
mezz’ora.
Le conseguenze sono che, con la riattrezzatura in mezz’ora, il ciclo di produzione diminuisce da 15
a 2 giorni. Da qui i guadagni finanziari. Si era cercato in tutti i modi di migliorare il controllo di
gestione per guadagnare il 10% dei costi ed ecco il ribaltone, la trasformazione radicale. È questo il
segreto dello sviluppo: bisogna innovare socialmente.
Consideriamo ora l’importanza dell’innovazione tecnica. Ho lavorato un po’ nella siderurgia francese
che alla fine degli anni Settanta era quasi in fallimento e che è tornata ad essere competitiva dopo
uno sforzo di ristrutturazione durato circa sei anni a metà degli anni Ottanta grazie alla
rinnovata capacità di approfittare della
trasformazione tecnica, la quale ha consentito di produrre acciaio con un terzo del personale. Si è
riusciti a farlo ed è sembrato straordinario visto il clima sociale francese, ma lo si è fatto perché si è
lavorato bene e ci si è appoggiati al personale con innovazioni sociali che hanno consentito di far
approvare l’innovazione tecnica. Ridurre il personale non è un mezzo per essere competitivi. È un
mezzo per essere competitivi se il personale che rimane ha la volontà e
soprattutto la capacità di collaborare a una buona organizzazione. E
la siderurgia francese è stata in grado di farlo, al punto che nel 1990 era diventata la prima siderurgia
d’Europa.
Attualmente è in corso una nuova crisi e tutto il problema è di sapere, per la siderurgia come per
altri settori, se riuscirà un’altra volta, perché la nuova ondata obbligherà a cambiare ancora. Il
problema è che il personale diventi ancora più qualificato, ma soprattutto cooperativo. Ma tutto
questo è possibile se si ricorre all’innovazione.
Passiamo ora a osservare come le organizzazioni reagiscono alla suddetta evoluzione. Punto
primo: il modo di governo burocratico è
superato e ciò costituisce un enorme problema. Non è superato o perché non ci piace o perché
bisogna essere più democratici; è superato perché non funziona in quanto esso è incapace di
gestire la
complessità. La complessità viene ridotta nel modo peggiore e non ci si può neppure appoggiare al
personale perché, a causa della libertà che ha acquisito, questo non è più in grado di obbedire come
faceva un tempo. Ecco quindi il risultato. Si perde due tavoli: la burocrazia non può gestire la
complessità, mentre la gente non obbedisce più.
Recentemente mi sono occupato di un problema
estremamente difficile, vale a dire tentare di rilanciare Air France dopo gli scioperi catastrofici di
un anno e mezzo fa. Il personale è stato ascoltato e i risultati di questi colloqui sono stati inviati al
personale. Abbiamo lavorato con il personale, abbiamo creato un minimo di clima di fiducia per
ricominciare. Non ci siamo riusciti, ma abbiamo superato il primo ostacolo, il più difficile. Ebbene,
cos’è stato inviato al personale? L’analisi condotta mostrava quanto segue: Air France, compagnia
statale. Si trattava di una compagnia amministrativa con molti livelli poco efficienti e molto costosi.
Fintanto che anche gli altri si ponevano sullo stesso livello nessun problema. Ma nel momento in cui
ha luogo la deregulation americana, si innesca la concorrenza mondiale globale. L’Air France perde
sempre più denaro e il deficit diventa insostenibile.
Cosa accade? Negli anni precedenti si erano fatti venire degli specialisti ed era stato condotto
un controllo gestionale per
migliorare la produttività, cosa che si è fatta ovunque in Europa e
soprattutto in Francia. Siamo così arrivati al seguente paradosso: dal punto di vista economico la
Francia non va troppo male, ma nessuno è
contento dell’andamento degli affari economici poiché la Francia non
ha conquistato nuove quote di mercato. Tuttavia, insieme con il Giappone, siamo il Paese che in 20
anni ha avuto il maggior incremento di produttività e siamo il primo Paese per produttività
individuale. Ma si è dimenticato che il risultato non è la diretta conseguenza della produttività
individuale e che c’è una produttività collettiva, una produttività organizzativa, che non è la
conseguenza né la somma di tutte le produttività individuali. Ciò sembra strano, ma è essenziale
e prendo l’esempio della Air France per fare capire.
Quando abbiamo intervistato il personale della
Air France - ed è questo che è importante - ci siamo accorti che prima dello sforzo di intensa
produttività al quale era stato sottoposto, vi erano molte possibilità di miglioramenti. Uno dei punti
critici per il decollo di un aeroplano era costituito dai passeggeri che costituivano il carico. Poiché è
molto importante, gli aerei partivano a carico completo. Con la
pressione della produttività individuale, i rapporti di
produttività individuale erano notevolmente incrementati e gli aerei partivano mezzi vuoti perché il
personale non era riuscito a mettersi d’accordo per caricare gli aerei. Per poterlo fare, poiché non
c’era tempo e ognuno voleva avere il massimo rapporto, bisognava risalire la catena gerarchica e
ridiscenderla. Ecco quindi che la burocrazia, obbligata a intervenire, interviene sempre troppo tardi.
Ciò causa scontento e con il personale che dice: "Noi lavoriamo di piu' e i nostri risultati peggiorano, e' una follia, la gestione non vale nulla".
Ecco a cosa si arriva. Quali sono le risposte che si possono dare a questi problemi? È necessario
inventare nuovi modelli organizzativi i quali sono da ricercarsi intorno al ripensamento del
funzionamento delle organizzazioni. Tutto il periodo degli anni Ottanta è stato dominato dalla
passione per le strategie, per gli affari finanziari e una passione mal orientata verso la globalizzazione.
Un tema questo che non fa eccezione, benché si sia creduto di potervi rispondere con strategie
razionali. In realtà la risposta è stata inadeguata. Quelli che hanno risposto meglio sono quelli più
vicini all’effettivo funzionamento, come i giapponesi.
Allora che cosa porre al centro? È ciò che Taylor aveva sviluppato e che costituisce il fondamento del
management moderno. Ciò che si sta facendo, ciò che si deve fare, è riprendere il problema facendo
il contrario di quanto enunciato in molti princìpi di Taylor, e non perché Taylor avesse torto. Per la
sua epoca aveva ragione e oggi il suo genio viene riconosciuto. Ma il nostro genio deve essere il suo
esatto contrario. Priorità al funzionamento, ma un funzionamento fondato sulle risorse umane
perché in un universo del qualitativo e dell’innovazione le risorse umane diventano decisive. È
utilizzando bene le risorse umane che si sarà in grado di essere più efficienti senza mutilare le
abilità del personale, approfittando delle sue possibilità di sviluppo.
LA SEMPLIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
È su questo che abbiamo lavorato con l’Institut de l’Entreprise, come ho già accennato, e da ciò ho
tratto il libro "L’impresa in ascolto". I punti critici sono innanzitutto la semplificazione delle strutture e
delle procedure, essendo le procedure almeno altrettanto importanti delle strutture. Ci vogliono delle
strutture e delle procedure, ma le più semplici sono le migliori. La cosa difficile è fare semplice: fare
complicato è invece facile; tutti lo possono fare, ma "fare semplice" è assai difficile. Perché fare
semplice non significa sopprimere dei livelli gerarchici a sproposito: significa creare
un’organizzazione che consenta agli uomini di essere efficienti. E per fare ciò bisogna comprendere le
relazioni che essi hanno gli uni con gli altri. Se capite bene ciò che è in gioco, potrete sopprimere i
livelli nel modo giusto e semplificare le procedure. Se semplificate le procedure perché è di moda
e perché costa meno, otterrete dei risultati catastrofici.
Ecco quindi uno sforzo molto importante che le imprese americane hanno iniziato a intraprendere a
metà degli anni Ottanta. Non hanno ancora
terminato, ma hanno cominciato ed è lecito sperare che ciò finisca col dare buoni risultati.
Un esempio interessante è quello delle Ferrovie francesi dopo il grande sciopero del 1986-1987. La
crisi era talmente forte che si è
potuto fare ciò che si voleva: "Non abbiamo soluzioni, ma vogliamo vedere il problema affinche' possiate vederlo voi. Siete voi che cambierete, non noi, quindi vi aiuteremo a vedere il problema. Problemi che non conosciamo, ma ascolteremo il personale". Abbiamo ascoltato il personale e
abbiamo detto loro: "Affinche' sia possibile cambiare, bisogna che il personale capisca il problema quanto voi. Se siete voi a capirlo, ma non il personale, questo si opporra'. Ma se lo capisce come voi, ebbene si potra' affrontarlo" . La sola cosa che conta è che tutti siano d’accordo sul problema.
Siamo stati a sentire, abbiamo inviato i risultati al personale che era stato sentito, ne abbiamo
discusso insieme, abbiamo indicato il problema a tutta la gerarchia e ai sindacati. Tutti hanno detto: "E' questo il problema poiche' gli uomini della base dicono che e' questo".
Quindi siamo partiti da là e abbiamo fatto cambiare il management a
partire dalla conoscenza del problema, nella convinzione che si potesse porre rimedio solo
cambiando tutto il management e cambiandolo attraverso la base. E nell’arco di circa due anni
molte cose cambiarono, soprattutto per quel che riguarda il punto che ho segnalato e sul quale
si torna sempre perché è più semplice, più rapido e concreto: sono stati soppressi i due livelli chiave
di questo sistema e questo è stato fatto senza alcuna protesta. Tutti si sono mossi e non vi sono stati
oneri supplementari (che al contrario sono diminuiti benché generalmente la soppressione dei livelli
comporta oneri maggiori per quelli che rimangono). Ecco un esempio di ciò che è possibile fare.
Semplificare le procedure e le strutture. La regola generale è che strutture e procedure sono stupide;
solamente gli esseri umani sono intelligenti. Strutture e procedure devono essere fatte per
consentire alle persone di essere intelligenti ed
eventualmente per aiutarle a divenire più intelligenti. Da questo punto di vista non bisogna essere
troppo ambiziosi, non è che gli uomini non possano essere fatti diventare più intelligenti; lo
diventano da soli. Se si vuole forzarli a essere più intelligenti, di solito si oppongono.
Secondo punto: autonomia delle unità operative. Per avere delle strutture semplici è necessario
avere un’autonomia molto ampia delle unità operative. Ma abbiamo scoperto dell’altro: l’unità
operativa ha dei padroni, ha una équipe dirigente. Queste persone avranno maggiori possibilità di
essere intelligenti, ma allo stesso tempo si constata - soprattutto nei nostri Paesi latini, ma non solo -
che quando si ha una decentralizzazione, si concede dell’autonomia, si creano
immediatamente delle baronie. Ciò significa che al vertice non si sa più cosa accade. Si tratta di un
meccanismo che si ritrova ovunque, non solo nei Paesi latini, e che è particolarmente forte nei nostri
Paesi nella misura in cui vi è una focalizzazione sul potere e quindi, quando se ne ha, lo si prende e lo
si mantiene. E per mantenere il potere non si dice ciò che accade.
Studiando qualche problema, abbiamo compreso il segreto del
cambiamento. Il controllo tentato è stato un controllo con mezzi tecnici, un controllo di gestione. E
ciò è assai pericoloso perché le persone vi si oppongono e sono in grado di sistemare le cose, il che
finisce con l’essere vicinissimo alla truche. Si sistemano le cifre e
c’è sempre il modo di mettere in risalto i guadagni, soprattutto in un contesto in cui le persone
cambiano. Pertanto non è così difficile essere vincenti nel breve periodo, sapendo che sarà il
successore a
pagare. Sono giochi assai difficili che abbiamo studiato piuttosto da vicino.
Come rimediarvi? Non con i numeri, ma con una nuova concezione di quello che chiamiamo il
pilotaggio. È il monitoraggio americano, ma con un tocco di qualitativo molto più forte. Vale a
dire delle relazioni alle quali i vertici devono prestarsi perché sono più importanti del loro ruolo
manageriale. E abbiamo potuto vedere i
successi riportati da chi passava moltissimo tempo - la metà del suo tempo - semplicemente a
ricevere i responsabili della propria unità operativa e a discutere con loro in modo molto
informale e
qualitativo.
Ultimo punto. Il governo degli uomini resta indispensabile, anzi diviene persino più importante.
Ne ho parlato a proposito del pilotaggio: si tratta di governo, ma non più del comando per come
trovare la giusta soluzione, prestare aiuto e verificare che tale
aiuto sia ben utilizzato. È una comprensione e uno scambio. In certi casi in Francia oggi si parla di un
quasi-contratto, un contratto tra i vertici e i capi delle unità operative.
Il rischio comunque è quello di avere delle divergenze interne. Nelle organizzazioni centralizzate
tradizionali si ottiene una buona
conformità attraverso l’uniformità di trattamento. Mediante delle regole, la normativa è molto
sviluppata e con un controllo severo tutti sono riportati alla stessa posizione uniforme. Certo, le
situazioni sono necessariamente diverse, soprattutto per quanto riguarda lo Stato. Abbiamo fatto
ogni tipo di comparazione di confronto e sono sicuro che in Italia il controllo sia ancora più forte
che in Francia.
LA CULTURA ASSUME UN’IMPORTANZA STRATEGICA
Come fare per mettere tutto insieme? Per alcuni è attraverso la cultura che si può ottenere
coesione e coordinamento più che attraverso il comando gerarchico o l’arbitrato. Questa è stata la
grande moda alla fine degli anni Ottanta di cui si è però visto anche il completo esaurimento,
semplicemente perché gli imprenditori hanno creduto di dover dirigere la cultura. Ora, non vi è nulla
di più difficile da gestire della cultura di un gruppo umano. Cosa si può dunque fare? Si può
conoscere la cultura e, visto che la si conosce, approfittarne ed eventualmente mettere in condizione
le persone di avanzare e fare meglio.
Tutto ciò ci porta a dare molta più importanza alla conoscenza e a predicare ai nostri amici manager
di investire a tutti i costi in conoscenza se vogliono progredire, dirigere meglio le loro aziende, far
fronte ai cambiamenti ed entrare nel XXI secolo. Conoscenza non della cultura in generale, ma della
realtà di questa cultura.
Ho già parlato del ruolo specifico dell’innovazione. Insisto sul fatto che ormai l’innovazione sociale -
l’innovazione nei rapporti umani - è importante tanto quanto l’innovazione tecnica. Solo la prima
può consentire di mettere in opera la seconda. Il problema è di
comprendere bene la catena dei rapporti umani che va dalla scoperta scientifica ai diversi aspetti
dello sviluppo tecnologico e della messa in opera. È a seconda della misura in cui i diversi anelli della
catena sono in grado di capirsi e cooperare che si possono avere delle innovazioni rapide, efficaci, che
non causano catastrofi o comunque dei blocchi.
Ho appena parlato delle officine Renault che hanno messo a punto un nuovo modello in tempi record.
Tutto il problema, che per una volta è stato ben compreso, era di fare collaborare i diversi anelli
della catena tecnologica, perché ognuno di questi anelli dipendeva da una filiera burocratica e il
coordinamento esigeva l’intervento dei livelli superiori. Si impiegavano 7 anni per mettere a
punto un modello, dopo l’innovazione ce ne sono voluti 3.
L’ASPETTO UMANO DELL’INNOVAZIONE
Vorrei comunque precisare che l’innovazione nel mondo di oggi si basa non solo su scoperte
scientifiche, ma anche su una conoscenza dei sistemi umani che possono permettere di realizzare ciò
che è prodotto dallo sviluppo scientifico. E i modelli di messa in opera acquisiscono sempre maggiore
importanza. Se ci abbandoniamo all’idea di uno sviluppo a cascata - uno sviluppo che inizia dalla
scienza per poi passare alla tecnologia, fino a che tutto è trasformato - rischiamo di subire dei ritardi
gravi.
Quali sono le innovazioni chiave? Ho parlato della messa in opera, ma
c’è anche la dimensione concettuale che non è la scoperta scientifica, bensì il concetto di messa in
opera contemporaneamente al concetto di impiego della scienza e della tecnica. Il problema in effetti è
come i possibili futuri clienti possano imparare a servirsi di ciò che gli si offre. Se la vostra idea è
quella di dar loro la merce e dire "arrangiatevi", allora siete fermi a cento anni fa. Bisogna che la
gente impari e non è sicuro che lo farà. Bisogna che vi sia un valido concetto di apprendimento che si
basi sulla conoscenza di ciò che le persone sono in grado di fare e dello sforzo necessario affinché
possano apprendere più facilmente.
Lo Stato è intrappolato nello stesso vortice e deve assolutamente cambiare perché è un’impresa di
servizi. È un’impresa più complessa delle altre perché opera in un contesto qualitativo e relazionale.
Quindi è un’impresa di servizi per una società di servizi, che deve avere una logica molto diversa da
quella di un’impresa. Lo Stato è fatto per comandare una società industriale avvalendosi quindi della
legge e del controllo. Il problema, straordinariamente difficile è il passaggio da questo a un ruolo di
analisi, basato sulla conoscenza delle realtà e delle strategie per aiutare la società a svilupparsi.
Ciò
sembra del tutto astratto, ma mi sono convinto della sua fondatezza avendo lavorato con il
Presidente dell’Air France, il quale all’epoca, nel 1991-1992, era a capo di una commissione per la
modernizzazione dello Stato. Ebbene, si è potuto far accettare questa idea a una commissione
composta da alti funzionari francesi, restii a questa visione. Ma i tempi sono cambiati ed è stato
possibile far accettare questa idea così che il tutto si è concluso con un certo numero di
raccomandazioni per creare uno Stato stratega, abbinando Stato normatore e controllore. So bene che
a parole è facile, ma il problema è la realizzazione e a tal proposito abbiamo avanzato un certo
numero di raccomandazioni.
È comunque già un progresso. Queste idee avanzano e si sviluppano a poco a poco. Bisogna che lo
Stato si assuma l’onere di porsi al servizio della società e non più di regolamentarla e controllarla in
funzione di un ideale superato che più nessuno è in grado di formulare. Bisogna sopratutto che
esso crei le condizioni per l’innovazione poiché ci troviamo in un mondo di innovazioni. Vi sono
molte cose da fare: eliminare le norme inutili, facilitare le cose, riavvicinare le persone, offrire una
conoscenza concreta delle realtà per permettere di essere molto più efficaci quando si vuole innovare.
Non si formano le persone per l’innovazione, esse innovano da sole. Il problema è che con i nostri
mezzi statali e le nostre rigidità normative, impediamo alle persone di innovare. Il problema pertanto
è di eliminare gli ostacoli, anziché obbligare la gente a innovare.
Tre punti finali. Primo: preparazione
delle decisioni. L’attuale Stato legislatore francese, che è più efficiente di quello italiano, limita di più
le persone. Ecco perché i francesi si stupiscono di dover far fronte alla concorrenza delle medie
imprese italiane che sono molto più efficienti di quelle francesi. Il piccolo-medio imprenditore
italiano ha più facilitazioni del francese perché lo Stato francese è troppo efficiente, sovrasta su tutti.
Questo non significa che non ci voglia lo Stato. Lo Stato è necessario perché sempre più questi
problemi di sviluppo e di strategia sono essenziali e bisogna che lo Stato faccia la sua parte. Allora
da questo punto di vista voi italiani potete lamentarvi d’avere uno Stato non all’altezza, ma anche il
nostro non lo è in realtà. Le vostre idee sono migliori, ma siete carenti nella preparazione delle
decisioni: si potrebbero preparare le decisioni in un modo molto più professionale (non dico
scientifico). Vi sono diverse proposte, ma mi fermo qui per non entrare nel dettaglio.
Un secondo punto riguarda la valutazione dei risultati delle decisioni prese. Noi produciamo un enorme
numero di decreti e di regolamenti ma non valutiamo mai i risultati di ciò che si è già fatto; non
sappiamo affatto a che punto siamo. Si devono invece sviluppare delle tecniche migliori e più efficaci
di valutazione. Vi sono altri Paesi - gli Stati Uniti d’America, la Svezia, l’Inghilterra - che hanno
compreso il problema e stanno facendo degli sforzi in questa direzione.
Valutare i risultati, preparare meglio le decisioni, specializzare le persone
affinché siano in grado di compiere delle scelte
professionali. Abbiamo ancora delle preparazioni amatoriali. I nostri funzionari che preparano le
decisioni sono degli amatori in materia di preparazione di decisioni per i problemi che devono
trattare. Non conoscono la realtà. Conoscono il passato, conoscono i vincoli, ma non conoscono la
realtà né le risorse.
Ultimo punto, la gestione degli uomini è uno dei punti essenziali nel definire questi nuovi rapporti tra
lo Stato e le imprese. È necessario che lo Stato investa subito in modo considerevole per sviluppare le
conoscenze e i metodi di preparazione delle decisioni e
di
valutazione. Occorre avere uno Stato in grado di prendere decisioni migliori per tutti. Uno Stato
simile avrà relazioni migliori con le imprese perché le servirà anziché volerle regolamentare,
perché offrirà loro conoscenze di cui esse hanno estremo bisogno dato che non possono fare tutto da
sole. Il che non vuol dire che non possa lasciare a delle istituzioni private o semiprivate il compito
di assicurare tali funzioni. Ma non è questo il passo più importante: è più importante cambiare
l’orientamento e il modo di ragionare.