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Impresa & Stato N28 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

DOMANDA DI RISORSE UMANE E ISTITUZIONI FORMATIVE

di Marino Regini


Nel marzo 1994, il summit del G7 a Detroit e' stato dedicato ai problemi della disoccupazione e agli strumenti per combatterla.
Due ricette, benche' certamente non nuove, hanno attratto l'attenzione dei partecipanti e dell'opinione pubblica internazionale.
La prima e' quella di una maggiore flessibilita' del mercato del lavoro. Ma su di essa, nonostante gli innegabili successi occupazionali dell'economia americana che la pratica in modo esteso, si sono manifestate perplessita' di molti dei partecipanti, riserve, e un sostanziale disaccordo relativamente alle modalita' e ai limiti. La seconda, che ha invece raccolto il sostegno entusiastico e pressoche' incondizionato di tutti, consiste nell'aumentare in modo rilevante gli investimenti in capitale umano, o direttamente, attraverso le politiche educative e formative pubbliche, o attraverso incentivi e sanzioni alle imprese.
Anche se e' difficile non essere d'accordo in via di principio con questa seconda ricetta, occorre rilevare che essa si basa, implicitamente, su due assunti parzialmente arbitrari, che la ricerca qui presentata mette in discussione: il primo riguarda le imprese, in quanto datori di lavoro che utilizzano risorse umane; il secondo i sistemi di istruzione e formazione professionale, in quanto istituzioni che producono tali risorse.

Gli assunti arbitrari del dibattito attuale
Se la ricetta di investire in capitale umano e di puntare a una qualificazione piu' elevata della forza lavoro, non gia' per realizzare piu' ampi diritti di cittadinanza bensi' per combattere la disoccupazione, fosse stata avanzata nell'epoca "fordista", sarebbe stata subito respinta come un'assurda utopia (questo e' stato in effetti il destino di proposte quali quelle della Svimez negli anni Sessanta in Italia).
In quel periodo, le imprese richiedevano infatti, per la stragrande maggioranza, personale non qualificato per svolgere mansioni ripetitive, ed erano molto restie ad assumere manodopera istruita, che avrebbe probabilmente accumulato frustrazioni nei confronti del lavoro o richiesto riconoscimenti retributivi e di qualifica per le proprie competenze non utilizzate.
L'assunto implicito che oggi la domanda di lavoro sia radicalmente mutata rispetto a quella fase, e che le imprese, industriali o terziarie, abbiano sempre piu' bisogno di personale altamente qualificato e quindi con un livello di formazione elevato, si basa sull'idea che la crisi del fordismo abbia portato a una traiettoria convergente dei sistemi post-fordisti; una traiettoria nella quale le "risorse umane" sono diventate un fattore cruciale della competitivita' aziendale (lo stesso uso di tale termine al posto di quelli tradizionali di forza lavoro o di manodopera e' del resto strettamente legato a quell'idea).
L'implicazione e' che piu' la forza lavoro e' addestrata, qualificata e coinvolta nell'impresa, migliore sara' la performance dell'impresa stessa. Per questo motivo le aziende tenderebbero sempre piu' ad assumere personale con queste caratteristiche e a disfarsi invece della manodopera a bassa qualificazione.
Un assunto analogo e' riscontrabile in molte concezioni della crescente terziarizzazione dell'economia, secondo le quali alla terziarizzazione sarebbe connesso un aumento della qualificazione della forza lavoro. Proprio per il settore dei servizi, tuttavia, alcune analisi comparative hanno avanzato dubbi sulla fondatezza di quella tesi.
Sia quando l'espansione dell'occupazione terziaria si ha nel settore privato, come negli Usa, sia quando avviene nel settore pubblico, come in Svezia, la maggior parte dei posti di lavoro creati sono infatti a bassa qualificazione (Esping-Andersen 1990).
Per cia' che riguarda il settore industriale, invece, vi e' stata maggiore confusione e anche maggiore ideologia sull'impatto positivo dei sistemi post-fordisti sulla qualificazione complessiva, nonostante le ricerche piu' serie delineassero un quadro complesso (Kern e Schumann 1991).
Come mostrera' piu' avanti, tuttavia, si possono distinguere diversi tipi di sistemi produttivi post-fordisti, ciascuno dei quali richiede caratteristiche e competenze diverse alla forza lavoro, e ciascuno dei quali implica modelli di utilizzazione delle risorse umane assai differenti.
Il secondo assunto parzialmente arbitrario e' che un maggiore investimento in formazione e istruzione produca di per se' l'effetto atteso di rendere piu' adeguata l'offerta di risorse umane.
Questo assunto si basa su due convinzioni contraddittorie.
Da un lato, vi e' l'idea che sia sufficiente allocare una maggiore percentuale del Pil alla formazione e all'istruzione - o costringere le imprese a investire in esse una certa percentuale della massa salariale, come in Francia - per ottenere un'offerta piu' adeguata di personale qualificato, indipendentemente dal tipo di istituzioni che svolgono le funzioni formative ed educative, dai loro obiettivi, destinatari eccetera.
Dall'altro, vi e' una tendenza sempre piu' diffusa all'imitazione istituzionale, cioe' la convinzione che si possano e si debbano semplicemente copiare le istituzioni formative che appaiono piu' efficienti (il recente dibattito in due Paesi cosi' diversi fra loro come la Spagna e la Svezia sull'opportunita' di imitare il sistema duale di apprendistato tedesco costituisce un buon esempio di tale convinzione).
I risultati della ricerca qui presentata dimostrano invece con chiarezza che, se non e' vero che qualunque investimento in capitale umano produce risorse umane adeguate, non e' vero neppure che esista un sistema di istruzione e formazione piu' efficiente in tutte le situazioni, e quindi semplicemente da imitare.
A parte l'impossibilita' di scegliere a' la carte istituzioni che sono radicate in una particolare struttura sociale e in una rete di inter-relazioni con altre istituzioni, il problema e' che l'efficienza di un sistema formativo ed educativo e' sempre relativa, essendo connessa al tipo di vantaggi competitivi di cui dispone il sistema economico che gli corrisponde, e alle strategie di mercato che le imprese in esso operanti possono e vogliono perseguire.
Gli assunti arbitrari del dibattito politico sulla disoccupazione appena ricordati derivano in larga misura da corrispondenti ipotesi diffuse nel dibattito scientifico. Si tratta di ipotesi, spesso attraenti ma altrettanto fuorvianti, che prevalgono sia in filoni di letteratura specialistici quali quelli sui nuovi regimi produttivi e sui sistemi formativi rispettivamente, sia nel dibattito teorico sul ruolo delle istituzioni nella performance economica.
Pur non essendo questa la sede per discutere tali assunti, si pua' comunque notare che essi hanno in qualche modo a che fare con un'attenzione eccessiva agli aspetti di convergenza (convergenza verso un unico modello di produzione post-fordista; invito alla convergenza - nel senso di invito alla imitazione - verso un tipo di sistema formativo piu' efficiente) anziche' alla varieta' delle soluzioni possibili, agli equivalenti funzionali, e cosi' via (Regini 1991).
Un esempio di tale tendenza e' il dibattito fra studiosi quali Streeck (1992), Piore e Sabel (1984), Boyer (1988), Kern e Schumann (1991), che ha come oggetto del contendere quale sia il modo piu' adeguato di concettualizzare il regime di produzione emerso dalla crisi del fordismo, anziche' riconoscere che ve ne sono varieta' diverse. O, ancora, il fatto che studiosi quali Finegold e Soskice (1988), Dore (1990) e Streeck (1988) siano interessati a indagare il rapporto fra sistemi formativi e performance economica piu' al fine di individuare i sistemi piu' efficienti che per comprendere come sistemi differenti possano o meno fornire soluzioni diverse a esigenze diverse.
All'interno del quadro delineato, l'obiettivo di questo saggio comparativo e', in primo luogo, quello di individuare sia i diversi modelli di utilizzazione delle risorse umane da parte delle imprese delle regioni considerate, sia i diversi tipi di sistema formativo-educativo che producono tali risorse.
In secondo luogo, si cerchera' di comprendere i rapporti, di coerenza o di non congruenza, che intercorrono fra i primi e i secondi; per arrivare, infine, a individuare i vantaggi e i limiti propri di ciascuna configurazione costituita da un determinato regime di produzione, un certo assetto del mercato del lavoro e un dato tipo di istituzioni formative.I diversi modelli di utilizzazione delle risorse umaneI 36 studi del caso di impresa che costituiscono la principale base conoscitiva della ricerca qui presentata mostrano modelli di utilizzazione delle risorse umane assai diversi fra loro, anche all'interno della stessa regione.
Tali studi consentono tuttavia una conclusione relativamente univoca: cioe' che l'adozione di un modello anziche' di un altro dipende dalle strategie di mercato dell'impresa; piu' precisamente, dipende dal modo specifico in cui un'impresa sceglie di competere.
Contrariamente alle apparenze, non si tratta di una conclusione viziata da un certo determinismo tecnologico. Anzi, come vedremo piu' avanti, essa assegna un ruolo determinante alle istituzioni. Per illustrare questa conclusione generale, cominciamo col dire che le imprese post-fordiste possono scegliere fra un numero di potenziali strategie competitive non cosi' limitato come la letteratura prevalente indurrebbe a ritenere. Considerarle semplicemente come imprese che si attrezzano a competere non soltanto sul prezzo ma anche sulla qualita', dunque, e' troppo semplicistico.
Esse possono infatti riuscire a competere principalmente sulla qualita', oppure sulla diversificazione del prodotto, oppure ancora sulla flessibilita', nel senso di versatilita' e di aggiustamento rapido ai mutamenti della domanda.
Per gli scopi di questa discussione, possiamo chiamare -produzione diversificata di qualita'' (Pdq) la prima di queste strategie di mercato innovative, seguendo la terminologia di Streeck (1992); "produzione di massa flessibile" (Pmf) la seconda, per riprendere le distinzioni proposte da Boyer (1988) - anche se sarebbe piu' adeguato definirla come "produzione automatizzata diversificata"; e "specializzazione flessibile" (Sf) la terza, anche se questo concetto, nell'accezione originaria di Piore e Sabel (1984), indicava l'alternativa tout court al sistema fordista di produzione. E, poiche' la crisi del fordismo non ha naturalmente significato una completa scomparsa delle imprese fordiste o neo- fordiste (Nf), che rimangono una realta' consistente in alcuni Paesi, settori o regioni, ci ritroviamo con quattro principali tipi ideali di strategie di mercato, ai quali possono teoricamente corrispondere altrettanti modelli di utilizzo delle risorse umane.
I risultati di questa ricerca, sintetizzati nei quattro "rapporti regionali" che seguono, consentono di individuare un numero elevato di modi di utilizzare le risorse umane. Tuttavia, essi sono in effetti riconducibili a quattro modelli principali, in corrispondenza con i quattro tipi ideali di strategie competitive delle imprese indicati.
A) La strategia della Pdq e' propria di imprese che puntano a competere sulla qualita' dei prodotti piu' che sul prezzo.
L'obiettivo e' quello di evitare la concorrenza delle economie a bassi salari puntando su segmenti di mercato piu' elevati, sulla capacita' di rispondere alla maggiore sofisticazione e volatilita' della domanda con la semi-customizzazione dei prodotti eccetera.
La qualita' cosi' intesa e' resa possibile da diversi fattori, come le rilevanti capacita' organizzative e di coordinamento; ma un ruolo cruciale e' svolto dalla elevata e ampia qualificazione della forza lavoro a tutti i livelli, dalla sua capacita' di integrare diversi compiti nello svolgimento del proprio lavoro nonche' di cambiare e imparare rapidamente nuove mansioni, e dal suo coinvolgimento negli obiettivi aziendali di miglioramento costante e di innovazione incrementale.
Da cia' consegue il modello di utilizzo delle risorse umane, che e' basato sull'esistenza di una quota molto ampia di forza lavoro con una formazione professionale - sia di base sia specifica all'azienda - estesa, con skills sociali quali iniziativa, atteggiamento di problem solving e capacita' di lavorare con gli altri, e con una buona dose di identificazione con la cultura aziendale.
B) La strategia di Pmf e' invece basata sulla produzione di massa di una varieta' di beni (anziche' di beni standard come nel fordismo classico), per rispondere alla variabilita' della domanda senza rinunciare a contenere i prezzi.
La capacita' di competere contemporaneamente sul prezzo e sulla diversificazione del prodotto e' resa possibile dall'automazione programmabile, che consente di produrre in massa un'ampia gamma di prodotti, e che riduce drasticamente la domanda sia di figure a medio-bassa qualificazione (operai di produzione e impiegati amministrativi) sia di competenze tecniche per molti dei ruoli che rimangono, per i quali vengono crescentemente richiesti adattabilita' al mutamento e cooperazione.
La domanda di qualificazioni elevate si concentra invece su tre gruppi cruciali, come hanno messo in luce i risultati della ricerca: i quadri, i tecnici e il personale dell'area commerciale (vendita, marketing, rapporto con i clienti).
Il modello di utilizzazione delle risorse umane che ne consegue e' basato sulla segmentazione fra una parte del personale (in special modo quello appartenente ai tre gruppi occupazionali indicati) con una qualificazione elevata, e il personale a bassa qualificazione o con competenze rese obsolete dall'innovazione tecnologica.
All'intera forza lavoro e' richiesta una flessibilita' elevata, prevalentemente di tipo funzionale e temporale (polivalenza e orario flessibile) per i gruppi occupazionali centrali e di tipo anche numerico (contratti di formazione-lavoro, cassa integrazione o istituti analoghi) per quelli a bassa qualificazione.
Per tale motivo sta diventando diffusa per tutti i ruoli una domanda di scolarita' piu' elevata, che viene vista come garanzia di maggiore versatilita'. Ma gli investimenti formativi e la cura nella selezione, come vedremo meglio piu' avanti, si concentrano quasi esclusivamente sui gruppi occupazionali indicati.
A questi ultimi in via prioritaria vengono inoltre richieste capacita' relazionali, quali il saper coordinare il lavoro di altri e interagire con colleghi e clienti, e un coinvolgimento diretto negli obiettivi aziendali.
C) La strategia di Sf, nella quale la principale arma della competizione e' costituita da una estrema flessibilita' industriale - nel senso di versatilita' e di rapidita' di aggiustamento dell'impresa ai mutamenti della domanda, e non soltanto di flessibilita' del lavoro come nei tipi precedenti - e' particolarmente, anche se non esclusivamente, diffusa nelle piccole imprese.
Sono infatti proprio le piccole imprese, caratterizzate da bassissimi costi di organizzazione e bassi costi di errore, quelle naturalmente piu' capaci di rispondere alle variazioni quantitative e qualitative della domanda, o addirittura di anticiparle immettendo sul mercato una grande varieta' di prodotti e lasciando a questo il compito di selezionare quelli -giusti'.
La risorsa umana cruciale in questo tipo di imprese e' quella dello stesso imprenditore, che deve saper svolgere una pluralita' di funzioni - produttive, commerciali, amministrative ecc. - avvalendosi di consulenti esterni (quali ad esempio i commercialisti) ma spesso di pochissimi dipendenti. In molte imprese di medie dimensioni, d'altro canto, questo ruolo viene svolto da figure polivalenti tecnico-commerciali - naturalmente in misura e in modi diversi a seconda del settore considerato - accanto o in sostituzione dell'imprenditore. Le implicazioni sui meccanismi formativi, come vedremo meglio piu' avanti, sono radicali.
L'imprenditore e i "tecnici-commerciali" devono infatti possedere competenze tecniche vaste e variate, anche se non necessariamente molto approfondite, e skills sociali che difficilmente si acquisiscono nei percorsi formativi formali e mirati a fornire una qualificazione specifica.
Queste possono invece essere garantite da percorsi di apprendimento compiuti in qualita' di dipendenti di grandi imprese, che precedono la scelta di "mettersi in proprio" (per quanto riguarda il piccolo imprenditore) o di cambiare impresa per ricoprire mansioni di maggiore responsabilita' (per quanto riguarda i -tecnici-commerciali') e sfruttare le esperienze professionali cosi' accumulate.
Tali competenze vanno frequentemente aggiornate, ma, dato il costo proibitivo per imprese di piccole dimensioni di organizzare internamente l'aggiornamento, risulta cruciale l'offerta di programmi formativi organizzati da strutture esterne, siano queste di tipo associativo, consortile, o pubblico. Per il limitato numero di dipendenti di queste imprese, invece, i requisiti fondamentali sono quelli della flessibilita' temporale e funzionale, della capacita' di adattamento pragmatico e della disponibilita' a cooperare.
Nei casi in cui, oltre a cia', occorrono anche competenze tecniche, la strategia quasi necessitata per imprese piccole che non possono offrire percorsi di carriera e' quella di un ricorso al mercato del lavoro esterno.
D) Infine, le strategie di Nf ricalcano, con alcune variazioni, il ben noto modello organizzativo fordista, sul quale non e' necessario dilungarsi.
La capacita' competitiva si basa sul prezzo, tenuto basso dalla possibilita' di ammortizzare i costi fissi mediante la produzione in grandi serie di beni standard.
Come e' ben noto, l'utilizzo delle risorse umane risponde qui ai princi'pi taylor-fordisti della netta separazione tra funzioni di progettazione e di esecuzione, della scomposizione di queste ultime in operazioni semplici e parcellizzate, eseguibili da lavoratori semi-qualificati, e del controllo su questi ultimi esercitato con semplici strumenti di autorita', senza alcun tentativo di coinvolgimento attivo.
Come si e' gia' osservato, quelli sopra delineati sono tipi ideali di strategie competitive, a cui corrispondono altrettanti e diversi modelli di utilizzazione delle risorse umane. I case studies di imprese condotti in questa ricerca mostrano naturalmente una pluralita' di soluzioni intermedie, casi misti e meno netti di quelli presentati precedentemente in modo stilizzato.
Tuttavia, anche nei casi concreti analizzati, la corrispondenza fra strategia competitiva e utilizzo delle risorse umane appare piuttosto stretta. In ciascuna delle regioni studiate, in ciascun settore e per ciascuna classe dimensionale, infatti, se un'impresa adotta una determinata strategia di mercato, essa tende a utilizzare anche le risorse umane in modo corrispondente, a prescindere in larga misura dalle peculiarita' istituzionali e culturali della regione o del Paese (naturalmente con le eccezioni che i successivi articoli metteranno in luce, nonche' con la riserva che i casi studiati sono troppo pochi per consentire un vero e proprio disegno degli esperimenti che tenga conto di tutte le dimensioni considerate).
Si tratta di un risultato di ricerca importante e nient'affatto scontato, che non va pera' interpretato in senso deterministico.
E' sufficiente, per rendersene conto, considerare la questione dal lato dell'offerta di risorse umane, anziche' da quello della domanda come abbiamo fatto sin qui.
Poiche' la disponibilita' di personale qualificato, i tipi di competenze disponibili, e gli strumenti possibili di gestione delle risorse umane dipendono in larghissima misura da istituzioni regionali o nazionali quali il sistema educativo e formativo e quello delle relazioni industriali, si pua' prevedere che in ciascun Paese o in ciascuna regione considerata vi sia una diversa distribuzione dei quattro modelli sopra discussi, in conseguenza di una differente presenza delle imprese che li adottano.In realta', ciascuna delle quattro regioni considerate in questo studio presenta una combinazione fra modelli diversi, e le imprese studiate spesso non sono classificabili con nettezza nell'uno o nell'altro.
Tuttavia, appare possibile affermare che ciascuna di esse mostra una certa prevalenza di alcuni modelli di impresa rispetto ad altri: il primo (quello associato alle strategie di Pdq) predomina in Baden-Wurttemberg, il secondo (Pmf) in Rhone-Alpes, mentre la Catalogna appare caratterizzata da una compresenza del quarto e del terzo (Nf e Sf) e la Lombardia del terzo e del secondo (Sf e Pmf).
La prevalenza di alcuni tipi di impresa - e dei conseguenti modelli di utilizzazione delle risorse umane - in una regione si spiega con il fatto che le imprese che adottano le strategie di mercato corrispondenti godono di un vantaggio competitivo rispetto alle loro concorrenti di altre regioni, le cui istituzioni producono un'offerta di risorse umane diversa.
Sono le imprese che sfruttano al meglio cia' che le istituzioni producono - e che si organizzano in modo da minimizzare gli effetti delle loro carenze - quelle che ottengono la migliore performance e che quindi si riproducono meglio in un determinato ambiente istituzionale.
Le altre, come appare chiaro anche dai casi studiati, sopravvivono piu' stentatamente, cercando dei sostituti funzionali ai meccanismi assenti nel loro ambiente, o, se sono abbastanza forti, esercitando pressioni sulle istituzioni per cercare di provocarne il cambiamento.

I tipi di sistema formativo ed educativo
Passiamo ora a esaminare la seconda variabile cruciale - quella che si riferisce al secondo assunto discusso all'inizio - vale a dire i tipi di sistema di istruzione e formazione professionale presenti nelle diverse regioni, ai quali dovrebbe spettare il compito di produrre le risorse umane necessarie ai rispettivi sistemi economici.
Poiche' i sistemi di istruzione, nonche' una parte variabile delle funzioni di formazione professionale, sono in tutti i casi considerati di competenza prevalente degli stati nazionali, mentre altre funzioni formative dipendono in misura diversa dalle istituzioni regionali e dall'azione delle imprese, la discussione che segue non pua', almeno nelle sue linee generali, che riguardare contemporaneamente le quattro regioni studiate e i rispettivi Paesi.
I punti di divergenza fra assetti regionali e assetti nazionali sono invece brevemente discussi nei quattro articoli sulle singole regioni che seguono, ai quali si rinvia.
Diversamente dai modelli di utilizzazione delle risorse umane, i sistemi di istruzione e formazione professionale sono stati discussi nella letteratura con una prevalente impostazione tipologica, cioe' per metterne in luce le caratteristiche che li differenziano. Ma le tipologie disponibili hanno intenti classificatori diversi da quelli utili per interpretare i dati della presente ricerca.
Cosi', le dimensioni lungo le quali tali tipologie vengono solitamente costruite riguardano aspetti quali l'agente istituzionale che fornisce la formazione (cioe' lo Stato, l'impresa, o forme associative), o il grado di generalita' o specificita' dei curricula (istruzione generale, addestramento professionale specifico all'impresa, o forme intermedie) (Crouch e Finegold s.d.).
A parte la relativa ovvieta' di tali distinzioni, non paiono queste le dimensioni utili a interpretare i dati di ricerca, a mettere cioe' in relazione i meccanismi formativi presenti nelle quattro regioni con il punto discusso nel paragrafo precedente, vale a dire con l'entita' e con la configurazione di risorse umane che ciascuno di tali meccanismi fornisce al proprio sistema economico.
Da questo punto di vista, i risultati dell'indagine ci consentono di individuare due tipi principali, naturalmente assai ampi, di sistemi di istruzione e formazione professionale. Il primo pua' essere caratterizzato come -orientato alla ridondanza', cioe' capace di, e mirato a, produrre un'offerta di lavoro qualificato sovrabbondante, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, rispetto alla domanda effettiva.
Si tratta di un sistema in cui una parte assai numerosa della forza lavoro riceve una formazione di tipo ampio, vuoi mediante un sistema duale di apprendistato (come in Germania), volto a fornire sia conoscenze di base sia competenze professionali specifiche prima dell'ingresso a pieno titolo nel mercato del lavoro, vuoi mediante un sistema di istruzione generale con rilevanti componenti tecniche (qual e' il caso degli istituti secondari di istruzione tecnica e professionale francesi e italiani), a cui si affianca poi (in Francia) uno sforzo quantitativamente imponente di formazione continua a cui le imprese sono costrette dalla legge.
A questo tipo di sistema educativo e formativo se ne contrappone un secondo, che pua' essere definito come "orientato all'appropriatezza" anziche' alla ridondanza, ovvero al (relativo) adeguamento ex post ai bisogni esplicitamente avvertiti dalle imprese anziche' alla capacita' di anticiparli.
Cio' che caratterizza questo secondo tipo e' la selettivita' e la concentrazione degli interventi formativi delle imprese sui segmenti della forza lavoro volta a volta ritenuti piu' cruciali, il carattere specifico all'azienda, ad hoc e reattivo rispetto ai mutamenti che hanno tali interventi, e il sostanziale disinteresse per la formazione del resto del personale. Per quanto riguarda quest'ultimo, ci si affida al training-on-the-job ovvero all'affiancamento per sviluppare le scarse competenze tecniche richieste, e all'intuito di chi effettua la selezione per reclutare personale capace di integrarsi nell'organizzazione, cioe' con doti sociali-relazionali preesistenti. In analogia con la nozione, oggi di moda, di lean production o produzione snella, potremmo definire questo tipo di sistema educativo e formativo lean training.
In Paesi come l'Italia, questo sistema di -formazione snella' per lo piu' si integra, come si e' detto, con l'acquisizione di conoscenze teoriche di base nel sistema scolastico, particolarmente per quella quota crescente di giovani che vengono assunti solo se dispongono di un diploma (preferibilmente di un istituto tecnico) o addirittura di una laurea; ma non e' cosi' ovunque, come mostrano i casi - peraltro al di fuori dell'ambito della nostra ricerca - inglese e americano (Osterman 1994; Capecchi 1993).
Ciascuno di questi due tipi generali di sistema educativo- formativo produce non solo una diversa quantita' di risorse umane, ma soprattutto differenti configurazioni di queste; configurazioni che si attagliano in maggiore o minore misura all'uno o all'altro dei modelli produttivi discussi nel paragrafo precedente. Cosi' che l'"efficienza" di un sistema di istruzione e formazione professionale non pua' essere valutata in generale, ma soltanto in rapporto alla variabile e mutevole struttura economica di una regione o di un Paese.
Da questo punto di vista, l'osservazione - confermata dalle opinioni degli intervistati in questa ricerca - che, ad esempio, il sistema formativo del Baden-Wurttemberg appare piu' efficiente di quello di Rhone-Alpes, nonostante i gravi problemi manifestatisi di recente, pua' ricevere una spiegazione differente da quella tradizionale. Il fattore che viene normalmente citato come responsabile del successo del primo sistema e' il carattere duale della formazione iniziale tedesca basata sull'alternanza fra lezioni in aula e apprendistato in azienda, contrapposto al carattere generico e astratto dell'istruzione impartita dal sistema scolastico francese.
Ma, interpretando nel senso indicato i risultati di questa ricerca, si pua' ritenere che la ragione principale stia invece nel fatto che un sistema educativo-formativo orientato alla ridondanza presenta rilevanti vantaggi per il modello di Pdq che prevale in Baden-Wrttemberg, mentre comporta un certo mismatch fra domanda e offerta quando predomina un modello di Pmf come in Rhone-Alpes.
Analogamente, le carenze delle istituzioni formative lombarde e catalane appaiono gravi in rapporto alla scarsa capacita' di sostenere l'ulteriore sviluppo di imprese basate sulla Sf, assai piu' che a causa della loro lontananza dal sistema duale tedesco, che viene impropriamente assunto - specialmente nel dibattito spagnolo - quale pietra di paragone dell'efficienza. L'indicazione che si pua' trarre dall'analisi condotta in questo articolo introduttivo a livello volutamente generale e tipologico e' quella di mettere in guardia contro le impressioni superficiali di convergenza spontanea fra modelli di sviluppo e fra istituzioni che invece riproducono continuamente differenze fra di loro, e contro le ancora piu' superficiali ricette di imitazione dei casi di successo.
Questa non vuol essere una conclusione di tipo funzionalistico, ispirata cioe' alla convinzione che ciascun sistema educativo- formativo regionale o nazionale serve i bisogni della propria economia ed e' quindi funzionale a essa; ne' ancor peggio indulgere a un generico relativismo culturale, per il quale alla fine i diversi sistemi si equivalgono e nessuno e' superiore agli altri.
La ricerca mette invece in luce come alcune soluzioni istituzionali siano valutate dagli stessi soggetti economici come altamente positive e appropriate, mentre altre soluzioni sono considerate sufficientemente negative da spingere le imprese a spendere energie o quantomeno argomentazioni per cercare di trasformarle. Con tutti i limiti mostrati di recente, ad esempio, il sistema educativo-formativo del Baden-Wurttemberg svolge indubbiamente per la propria economia funzioni piu' positive di quanto riescano a fare quello catalano e quello lombardo.
Tuttavia, occorre considerare i rispettivi vantaggi e svantaggi nel quadro delle diverse strategie di mercato e conseguentemente di utilizzazione delle risorse umane che, come abbiamo visto, caratterizzano le diverse regioni. Il vantaggio di un sistema formativo "snello" e' indubbiamente quello di evitare a imprese che puntano tutto sulla rapidita' di adattamento e sull'assenza di costi organizzativi le rigidita' e anche i costi che il mantenimento di un sistema di formazione generale, fortemente regolato e orientato alla ridondanza, indubbiamente comporta.
D'altro canto, lo svantaggio piu' evidente e' quello di non riuscire cosi' a produrre un ampio serbatoio di competenze, che pua' essere si' sovrabbondante nell'immediato ma che costituisce una risorsa a cui attingere per l'innovazione; anzi di produrre dei veri e propri "colli di bottiglia" che restringono il ventaglio delle scelte per le imprese che intendono innovare.
Vi sono poi numerosi effetti secondari connessi alla presenza dell'uno o dell'altro assetto istituzionale. Il piu' importante consiste nel fatto che il fornire formazione all'interno di un sistema duale (che comporta cioe' rilevanti interventi formativi attivi da parte delle imprese prima dell'assunzione di nuovo personale) costringe le imprese stesse a programmare i propri bisogni formativi.
Dall'altro lato, una formazione che consiste essenzialmente in interventi limitati e ad hoc, spesso finalizzati semplicemente a tener dietro alle trasformazioni tecnologiche e organizzative, consente una maggiore reattivita' alla congiuntura, anche se impedisce alle imprese di sviluppare la capacita' di anticipare i propri bisogni.
Non esistono dunque ricette in cui i benefici non siano accompagnati da svantaggi. La ricerca ha messo chiaramente in luce quali siano gli uni e gli altri nelle diverse situazioni regionali; ma la scelta fra i diversi trade-offs rimane appunto una scelta, non una soluzione ovvia e scontata.

BIBLIOGRAFIA
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