vai al sito della Camera di Commercio di Milano

Impresa & Stato N°28 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LOMBARDIA: SELETTIVITA' E REATTIVITA' DEGLI INTERVENTI FORMATIVI

di Asher Colombo


Uno sguardo generale alla domanda di risorse umane espressa dalle imprese suggerisce l'operare di alcune tendenze comuni.
Nonostante differenze anche marcate che attraversano le imprese lombarde per collocazione settoriale, segmenti di mercato in cui operano, e dimensioni, sono riconoscibili due direzioni di cambiamento.
In primo luogo, infatti, le imprese necessitano di professionalita' con profili nuovi e piu' elevati, definiti da alti corredi di competenze tecniche. Se l'obsolescenza dei profili professionali non e' insolita nel sistema produttivo, recente sembra essere il bisogno di professionalita' molto definite e dotate di expertise.
Queste assumono particolare importanza per quelle imprese la cui competitivita' viene affidata sempre piu' alla qualita', piuttosto che al (solo) prezzo. Tuttavia questo percorso avviene, a volte anche dentro la stessa impresa, congiuntamente a un approfondimento della separazione tra figure altamente professionali e figure dequalificate, ovvero soggette a processi di dequalificazione.
In secondo luogo, spesso non in alternativa ma in funzione complementare a queste professionalita', si assiste a un incremento della domanda di conoscenze meno formalmente definibili, di carattere metodologico e in grado di assumere forme diverse a seconda delle imprese e/o delle situazioni: capacita' di apprendere e di trasferire le conoscenze apprese ai vari livelli dell'intera organizzazione; capacita' di interagire in forma appropriata con i soggetti operanti all'interno (colleghi, figure sovra - e subordinate) e all'esterno (clienti, fornitori...) dell'impresa; disponibilita' ad assumere responsabilita' eccetera.
Si tratta di capacita' di natura generalizzata e polivalente, attitudinale e comportamentale, "culturale" in alcuni casi, in grado di costituire una risorsa utilizzabile in molte circostanze e condizioni. Come nel caso dell'aumento della domanda di professionalita' elevate descritto sopra, anche in questo caso e' possibile riconoscere un meccanismo di segmentazione. Per le figure che sono state esposte a processi di dequalificazione, e conseguentemente di deresponsabilizzazione, infatti, l'esigenza delle imprese si limita alla disponibilita' dei lavoratori a un rapido adattamento a mutamenti di ordine organizzativo, temporale, funzionale o altro.

LA DOMANDA DI RISORSE UMANENELLE IMPRESE STUDIATE
Restringendo il campo d'osservazione ai settori studiati, possiamo specificare meglio questi mutamenti nella domanda di risorse umane da parte delle imprese.Nel settore bancario emergono professionalita' nuove, mentre altre sono interessate da processi in cui i contenuti della mansione svolta vengono rinnovati.
In particolare, l'adozione di strategie di decentramento e di "orientamento al mercato" rende cruciali i direttori di filiale, piu' responsabilizzati oltreche' sensibilizzati alla gestione delle risorse umane fino all'attribuzione di compiti formalmente o informalmente formativi.
La segmentazione del mercato e la turbolenza dell'ambiente istituzionale esterno rendono cruciali varie figure consulenziali, esperti, professionisti nei vari settori e campi dell'azione di queste imprese. A livello esecutivo le figure addette alla vendita (front-office) diventano piu' importanti di quelle amministrative (back-office).Cambiano anche le competenze richieste a queste figure.
Una maggiore scolarizzazione e' considerata una base irrinunciabile per poter successivamente dotare, in percorsi formativi aderenti a specifiche esigenze aziendali, il dipendente di competenze molto ampie, che gli consentano di soddisfare la piu' vasta gamma possibile di richieste del cliente. Sono poi le abilita' relazionali, sociali, comportamentali a essere particolarmente richieste dall'azienda.
Queste tuttavia vengono inserite entro specifiche "culture" aziendali. Puo' essere utile riportare come esempio il fatto che, se nelle grosse banche urbane all'operatore e' richiesto di operare in modo formale e di trasmettere un'immagine austera della banca, nelle piccole casse rurali e' ritenuto piu' utile uno stile conviviale e attento allo specifico modo di vita e di relazione locale.Anche il settore tessile vede l'emergere di professionalita' nuove.
L'esigenza della qualita' come dimensione cruciale della concorrenza nei segmenti piu' alti del settore rende preziose le professionalita' intellettuali e professionali dei "creativi" e degli stilisti, delle figure legate alla progettazione delle linee di prodotto, ma anche delle figure a cui vengono assegnati i controlli e le verifiche della qualita'.
Importanza crescente viene anche attribuita agli addetti al marketing, segnatamente ai venditori, a cui nella relazione col cliente viene affidata anche l'immagine dell'azienda. Qui conta molto un mix di competenze tecniche - legate sia al marketing che alle specificita' del settore - e di competenze sociali, legate alla capacita' di condurre la relazione venditore-cliente.
Tuttavia, il tessile appare anche il settore in cui piu' marcati risultano i processi di dequalificazione del lavoro, un portato del primato dell'innovazione tecnologica che ha dominato il comportamento delle imprese nel corso degli anni Ottanta. Nel caso della grande azienda tessile completamente verticalizzata da noi studiata, la "de-specializzazione" diventa la parola diordine.
Si tratta di processi che spesso vanno di pari passo con tradizionali percorsi di "segregazione" di genere dei mercati del lavoro interni.Limitati, ma non assenti e - cosa piu' interessante - recenti e in fase di diffusione, appaiono tuttavia processi di valorizzazione delle risorse umane legate all'implementazione dei programmi di qualita', di cui un caso emblematico e singolare allo stesso tempo e' costituito dalla piccola azienda di tessitura studiata.
Qui il decentramento della responsabilita' e' in atto e la trasmissione delle conoscenze lungo le linee gerarchiche e' continua e istituzionalizzata.Il settore della produzione delle macchine utensili costituisce anch'esso, seppur in forma diversa, un mix di tradizione e innovazione.
L'introduzione della produzione su commessa e il confinamento della produzione in serie a segmenti secondari rendono dinamica la funzione della progettazione e dell'ideazione delle macchine - un'area in cui sono diverse le competenze tecniche richieste: idraulica, elettronica, meccanica.
Inoltre, l'introduzione dell'informatica implica conoscenze inedite che riguardano l'impiego di software anche complessi, che richiedono capacita' di concettualizzazione e simbolizzazione nuove.
Cosė risulta essenziale la capacita' di agire in cooperazione con altre professionalita' aziendali.Anche qui il controllo di qualita' e' spesso un corollario indispensabile.
I manutentori e gli addetti all'assistenza al cliente sono le altre figure professionali considerate decisive dalle direzioni aziendali. Anch'esse devono possedere competenze non dissimili da quelle richieste ai progettisti.Spesso sono gli stessi montatori delle macchine utensili a fornire l'addestramento, a volte complesso, alle imprese clienti; una prestazione questa che ormai fa parte del contratto stesso diacquisto del bene.
Anche qui non sono tuttavia assenti processi di dequalificazione, contestuali a quelli sopra descritti e che coincidono con una diversa distribuzione delle opportunita' di formazione.

L'OFFERTA DI RISORSE UMANE NEL MERCATO DEL LAVORO LOMBARDO
Fin qui la domanda espressa dalle imprese. Ma in che misura essa trova soddisfazione? La risposta non e' univoca, e per affrontare l'argomento dobbiamo rivolgerci a mutamenti piu' vasti avvenuti nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni.
Questi possono essere illustrati in quattro punti, che riassumono altrettanti processi.
-Una generale contrazione delle forze di lavoro dovuta a processi demografici e - forse - a variazioni nei comportamenti di ingresso sul mercato del lavoro e nelle preferenze delle famiglie. A questo processo ha fatto da contraltare l'aumento della componente delle forze di lavoro, e dell'occupazione, femminile.n-L'aumento generale della scolarita' delle forze di lavoro (e degli occupati), che tuttavia, rispetto al resto del Paese, ha riguardato piu' i titoli intermedi che le lauree.
-Una diffusione, soprattutto da parte delle componenti piu' giovanili e scolarizzate dell'offerta, di aspettative di relativa coerenza tra collocazione nella struttura occupazionale e profili scolastici e formativi.-Una debolezza, o quanto meno un ritardo, nei processi di adeguamento del contenuto delle conoscenze acquisite nei percorsi scolastici e professionali alle mutate esigenze del sistema produttivo.
Questi cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro interagiscono con altri, avvenuti all'interno delle imprese, nel rendere problematico l'incontro tra domanda e offerta di risorse umane. A tale problematicita' contribuisce infatti il dinamismo tecnologico di molte delle imprese considerate che ha reso obsolete alcune professionalita'.

SELETTIVITA' E REATTIVITA' DELLE IMPRESE
Dato questo mismatch tra domanda e offerta, in che modo le aziende affrontano il problema di dotarsi di risorse umane adeguate? Si possono sinteticamente indicare tre momenti:Politiche selettive all'ingresso. Dato che la corrispondenza tra domanda e offerta di risorse umane e' problematica e "a macchia di leopardo", le imprese tendono a collocare i primi meccanismi di intervento sull'offerta al momento stesso dell'assunzione. In generale, per le figure piu' qualificate si precisano e si formalizzano i titoli, si adottano criteri formali di selezione come test, esami scritti (per le banche per esempio).
Alcune imprese si affidano per una prima "scrematura" a societa' specializzate. Successivamente la valutazione si basa su criteri di "compatibilita'" all'ambiente aziendale o anche di integrazione nella cultura locale del lavoro. Per le figure dequalificate, diventano invece importanti criteri quali l'eta' o il sesso. In due delle tre aziende tessili studiate, i lavori meno qualificati sono fortemente femminilizzati.
In una si e' fatto ricorso a forza lavoro immigrata, abbondante sul mercato del lavoro lombardo.Internalizzazione dei mercati del lavoro. La strategia dell'internalizzazione dei mercati del lavoro e' tradizionale in un contesto come quello italiano, in cui operano diversi fattori che la incoraggiano o che la rendono a volte una scelta obbligata, dati i vincoli di tutela del dipendente. Tuttavia essa e' in qualche modo funzionale e coerente con la debolezza dell'offerta formativa da parte del sistema pubblico.
Il modello di utilizzo delle risorse umane in cui e' prevalente il ricorso ai mercati interni del lavoro e' dunque dominante, particolarmente nel settore bancario e nelle grandi imprese industriali. Fanno eccezione le figure a elevata professionalita' e consulenziali, oltre alle fasce piu' alte della dirigenza. Non mancano tuttavia varianti anche significative a questo modello prevalente. Sono soprattutto le imprese industriali di dimensioni piccole e medio-piccole a cercare all'esterno personale qualificato.
Questo avviene in particolare per la difficolta' di sostenere i costi connessi alla formazione, soprattutto nelle situazioni di mutamento.
In queste aziende i tempi di percorrenza delle carriere appaiono piu' lunghi di quanto non accada in quelle in cui piu' saldi sono i mercati interni del lavoro, dato che le posizioni elevate vengono occupate da personale che arriva dall'esterno. In questo caso e' possibile anche che venga incoraggiato il turn-over delle figure qualificate inizialmente inquadrate ai livelli bassi, che non vedono opportunita' di avanzamenti di carriera.
Ma cio' puo' anche finire per ostacolare la trasmissione di competenze tra i dipendenti posti a diversi livelli nella struttura funzionale delle aziende, rendendo ancor piu' determinante l'intervento delle figure manageriali per l'integrazione e lo sviluppo - anche formativo - delle risorse umane.Strategie associative tra imprese e/o tra imprese e altre istituzioni. Come vedremo piu' dettagliatamente, le carenze dell'offerta vengono superate dalla formazione aziendale.
Questa viene tradizionalmente erogata da scuole professionali aziendali nei casi delle aziende piu' grosse, una realta' questa ormai largamente limitata al settore bancario per il quale non e' tuttavia sufficiente a coprire l'intera domanda.
Viene invece erogata da istituzioni formative consortili per imprese piu' piccole, o in distretti industriali come quello serico comasco e quello cotoniero bustese.

MUTAMENTI NELLE ISTITUZIONI E NEI PROGRAMMI FORMATIVI REGIONALI
Prima di analizzare come le imprese intervengono direttamente nei processi di sviluppo delle risorse umane attraverso l'attivita' formativa, vediamo qual e' lo stato dell'offerta formativa pubblica. Questo ci consente di riprendere e sviluppare i temi relativi alle caratteristiche dell'offerta locale di risorse umane. Infatti, coloro che per la prima volta si affacciano al mercato del lavoro lo fanno con quel corredo di conoscenze che sono state trasmesse loro nei percorsi di scolarizzazione e professionalizzazione previsti dal sistema istituzionale pubblico.
L'offerta formativa prodotta all'esterno delle imprese si caratterizza in Lombardia per la varieta' dei soggetti attivi, istituzionali e non, oltre che per i diversi gradi di coerenza che tale offerta riesce a stabilire con la domanda espressa dal sistema produttivo. Questa varieta' puo' essere ricondotta a due circuiti alternativi.
Il primo e' quello costituito dall'offerta formativa istituzionale e pubblica. Si tratta di un settore molto ampio, la cui ossatura e' costituita dalle strutture permanenti dei Centri per la formazione professionale gestiti dall'amministrazione regionale.
Al circuito appartengono anche segmenti del sistema scolastico - come gli Istituti Professionali di Stato - e universitario - come i Diplomi Universitari di recente istituzione. Questo circuito mostra alcuni limiti, sintetizzabili (secondo quanto rilevato sia da esperti e operatori di vario livello intervistati che da studi condotti dall'Isfol) in:-un ritardo della Regione Lombardia rispetto ad altre amministrazioni regionali nel passaggio da una funzione prevalentemente istituzionale, di gestione diretta del prodotto formativo, a una di progettazione, valutazione e controllo del prodotto formativo;-un prevalente orientamento a una formazione di stampo piu' propriamente scolastico, o comunque di primo livello, rispetto a una formazione e a un addestramento di secondo livello e di tipo ricorrente;-una separazione temporale e istituzionale tra momento delliapprendimento e momento dell'applicazione e qualificazione delle competenze acquisite: il sistema istituzionale della formazione professionale e' infatti privo di meccanismi di formazione sul lavoro.
Tuttavia, sempre secondo le stesse fonti, questo sistema e' anche stato in grado di stabilire una certa coerenza con quello produttivo, sia per la riconosciuta capacita' di fornire a quest'ultimo diplomati e laureati dotati di una buona preparazione di base, sia per la relativa efficienza nello svolgere un ruolo socio-assistenziale per favorire la ristrutturazione delle imprese.
Nonostante i limiti indicati, il sistema d'istruzione pubblico ha dunque continuato, tutto sommato, a dar buona prova di se'.Accanto al sistema istituzionale pubblico opera il circuito privato, o extraistituzionale, della formazione.
In esso sono riconoscibili due modalita' formative vitali perl'economia regionale, a cui si aggiungono esperienze di minore rilevanza economica, che pero' contribuiscono a tratteggiare per la regione un quadro estremamente differenziato in cui molto peso hanno le strategie attuate dalle imprese, dagli Enti locali e dalle associazioni degli interessi.
La prima modalita' e' costituita dalle esperienze associative tra imprese che hanno dato vita a Enti formativi consortili, sostenuti peraltro anche dalle istituzioni pubbliche e dalle organizzazioni di rappresentanza degli interessi. Questi hanno avuto successo particolarmente nel settore tessile, dove - sulla spinta a livello locale di imprese del settore e delle loro associazioni, ma anche dei sindacati, delle Camere di Commercio e di alcuni livelli del governo locale particolarmente sensibili - sono nati centri di formazione orientati a coprire le esigenze formative specifiche lasciate scoperte dal sistema pubblico.2
La seconda e' rappresentata da quel fenomeno che potremmo definire di "imprenditoria della formazione", che ha dato vita nel corso degli ultimi ventianni a un variegato insieme di societa' di formazione e consulenza, in parte organizzato in forma reticolare, e regolato da un'associazione professionale che riunisce le diverse categorie di soggetti impegnati.
Infine, ma costituisce una fascia in forte declino, persiste l'offerta formativa delle scuole professionali private, orientate tipicamente alle fasce operative della forza lavoro, specie in campi quali i lavori d'ufficio, l'informatica, l'estetica e l'acconciatura, la moda e la sartoria.
L'offerta formativa lombarda appare dunque articolata in due grossi segmenti, la cui tendenza sembra essere quella a una relativa separazione e specializzazione funzionale. Il settore pubblico svolge soprattutto funzioni sociali e assistenziali e copre la formazione di base, non senza significativi segmenti di eccellenza, mentre il circuito privato serve soprattuttol'industria a livello locale e si specializza in una formazione piu' mirata.
In modo complementare essi coprono la formazione esterna alle imprese. Per quella on-the-job dobbiamo rivolgerci alle forme di sviluppo delle risorse umane realizzate dalle imprese.

FORMAZIONE E SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE NELLE IMPRESE LOMBARDE
La scarsa congruenza tra le capacita' acquisite nei percorsi formativi che precedono l'ingresso sul mercato del lavoro e quelle effettivamente richieste dalle imprese, e l'ambivalenza del sistema educativo, che incorpora strumenti di politica sociale e strumenti di politica economica, rendono difficile per le imprese trovare nel sistema di formazione professionale una risposta soddisfacente alle loro esigenze di capacita' professionali.
La produzione di conoscenze specifiche e' dunque largamente demandata alla formazione a livello di impresa.Gli studi di caso condotti profilano due soluzioni prevalenti, di cui la prima, molto diffusa ed evidente soprattutto nelle aziende operanti nel settore propriamente industriale, puo' essere per semplicita' definita tradizionale, mentre la seconda presenta margini di innovazione.
Nelle aziende identificate nel primo modello, esiste un'accentuata separazione tra i meccanismi e i contenuti della formazione per le fasce operaie a meno elevata professionalita', o comunque esecutive, della forza lavoro, da un lato, e quelli impiegati per le fasce qualificate, professionali o direttive, dall'altro. Nel caso della formazione per figure esecutive, le direzioni e gli osservatori privilegiati intervistati preferiscono utilizzare il termine meno impegnativo di "addestramento".
I meccanismi prevalenti in questo caso sono infatti la formazione on-the-job fornita da operai esperti mediante l'affiancamento sul posto di lavoro, l'addestramento all'uso dei macchinari condotto dai fornitori delle macchine stesse, o una breve socializzazione al lavoro curata dal caporeparto.
E' solo per le fasce piu' elevate dei dipendenti che le imprese perseguono di norma modalita' piu' strutturate e formalizzate di sviluppo del personale. Mentre per queste figure vengono erogati investimenti anche ingenti in formazione, nei confronti delle figure escluse le strategie variano da forme di addestramento molto brevi e informali a vere e proprie scelte di dequalificazione (come accade nel caso dell'impresa tessile di grandi dimensioni) connesse all'adozione di strategie di innovazione tecnologica.
Da ultimo, l'immagine della formazione diffusa in queste aziende e' quella di un costo, della "prima spesa da tagliare in caso di crisi". Si tratta peraltro di uniimmagine diffusa in tutte le aziende studiate e che presenta pochissime ma significative eccezioni.
Tra queste puo' essere utile segnalare a moi di esempio il caso della piccola impresa tessile, in cui l'introduzione dei circoli della qualita', in una versione "tradotta" e frutto di un adattamento rispetto allo stereotipo del circolo della qualita' giapponese, ha spinto all'adozione di un atteggiamento di sensibilita' e attenzione alla formazione.
Cosė viene selezionata una quota di dipendenti da avviare a una formazione mirata alla qualita' e che al rientro animeranno i circoli, trasmettendo in un meccanismo "a pioggia" le conoscenze apprese. In un altro caso, relativo a una tintoria di medie dimensioni, i dipendenti da formare sono stati in parte eletti dagli stessi lavoratori (e in parte selezionati dall'azienda) e la rappresentanza aziendale e' stata coinvolta attivamente nel progetto.
Dal modello sopra tratteggiato si discostano i casi delle aziende bancarie, dove il carattere tipicamente terziario del lavoro richiede al dipendente, oltre alla semplice acquisizione della capacita' di eseguire la prestazione in modo conforme ed efficiente, conoscenze specifiche sia di carattere tecnico che professionale. Per la formazione di tali qualita' vengono previsti corsi che, oltre ai tradizionali contenuti di natura tecnico-professionale, affrontano temi come il marketing, la comunicazione, le tecniche di vendita e la gestione aziendale.
Per queste ragioni la formazione per i neoassunti tende ad allontanarsi progressivamente dal training on-the-job e ad assumere connotati sempre piu' formalizzati e strutturati.
Questi interventi sono erogati da diversi meccanismi e organizzazioni: centri formativi, consorzi tra imprese, o societa' esterne. Un ruolo non limitato svolge anche l'autoformazione.
Nelle banche di grandi dimensioni (come nel caso della grande banca studiata) e nei nascenti raggruppamenti bancari (come nel caso di quella media), sono in corso processi di internalizzazione della formazione, che si concretizzano nella nascita di scuole professionali aziendali, le quali provvedono alla totalita' della formazione iniziale e a buona parte degli interventi di riqualificazione, aggiornamento, sviluppo delle competenze e delle capacita' del proprio personale.
In questa prospettiva possiamo agevolmente riconoscere due modelli distinti di interventi formativi. Il primo e' quello adottato dalle grandi banche (Comit, Cariplo, Ambro-Veneto), che hanno al loro interno centri di formazione completamente autonomi, in grado di fornire un ampio ventaglio di servizi.
La sede principale in cui le banche fanno formazione e' dunque qualcosa di molto simile al modello della scuola aziendale tipica del mondo industriale degli anni Sessanta e Settanta.
Viceversa le imprese bancarie di piccole e medie dimensioni tendono a ricorrere ai servizi prestati all'esterno dalle organizzazioni settoriali, che da qualche tempo hanno posto attenzione al problema e offrono una molteplicita' di risposte a esigenze specifiche.

IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI E DELLE ISTITUZIONI LOCALI NELLE ATTIVITA' FORMATIVE
Date queste caratteristiche dell'offerta formativa regionale e queste strategie di formazione delle risorse umane da parte delle imprese, che ruolo giocano le rappresentanze aziendali dei lavoratori e i sindacati? E le associazioni imprenditoriali e le istituzioni locali?
In Lombardia, come nel resto del Paese, per lungo tempo la tematica della formazione e' rimasta sostanzialmente estranea alla contrattazione collettiva. Al consolidamento di questo orientamento avrebbero contribuito, nelle opinioni degli intervistati, sia le direzioni aziendali, tradizionalmente ostili a coinvolgere il sindacato in queste tematiche, sia le rappresentanze sindacali ideologicamente legate a un'interpretazione dei temi della formazione e dello sviluppo delle risorse umane come di "...un terreno del nemico, cioe' del padrone...", come un poi ironicamente ha commentato un sindacalista diventato uno specialista di questi problemi. Le rilevazioni regionali sulla contrattazione aziendale hanno evidenziato una sostanziale assenza di questi temi, tranne laddove essi siano inseriti in intese piu' ampie. Sono invece i confronti, spesso informali, tra le parti che avvengono nelle imprese ad aver rilanciato la problematica. Questo e' confermato dagli studi di caso, dai quali e' possibile individuare due tendenze.
Nelle aziende in cui maggiormente la formazione viene vista come risorsa strategica interna (ossia nel settore del credito e nelle aziende manifatturiere maggiormente innovative), e' piu' probabile che le rappresentanze dei lavoratori assumano compiti di partecipazione al processo decisionale su questa problematica sotto forma di contrattazione-consultazione piu' o meno proceduralizzata.
Nelle aziende in cui invece la direzione ha un'impostazione piu' tradizionale sul tema (perche' ricorre prevalentemente all'innovazione tecnologica e/o al mercato esterno, come abbiamo illustrato nei paragrafi precedenti), il ruolo delle rappresentanze interne e del sindacato, se attivo, tendera' a essere prevalentemente di stimolo e/o di controllo dall'esterno.
Per quanto riguarda il ruolo svolto dalle istituzioni locali, esso viene tradizionalmente descritto come debole. Tuttavia un'analisi piu' attenta mostra un quadro articolato e abbastanza ricco di esperienze. Alcune organizzazioni imprenditoriali sono diventate infatti soggetti diretti dell'offerta formativa.
Tra i vari esempi si puo' citare il caso dell'Ucimu, che prepara giovani alla produzione specializzata di qualita' per il settore delle macchine utensili.Ma soprattutto si hanno interventi a opera di piu' istituzioni.
I gia' citati Centri tessili costituiscono una prima variante. A essi si affiancano esperienze di collegamento piu' o meno istituzionalizzato tra organizzazioni imprenditoriali - ma anche singole imprese - e circuito dell'istruzione (scuole professionali, istituti tecnici, ma anche universita'), che in alcuni casi rappresentano segmenti innovativi e di particolare eccellenza. Una terza variante e' infine quella della definizione, per iniziativa congiunta di piu' parti, di spazi stabili per la promozione, il coordinamento, l'indirizzo delle attivita' formative per le imprese. Si collocano qui le intese e le esperienze degli osservatori e degli Enti bilaterali, promossi congiuntamente dalle parti sociali secondo una logica di corresponsabilizzazione reciproca intorno a un tema di interesse comune Ne sono esempi concreti "Milanolavora" (costituito alla meta' degli anni Ottanta da Confapi e sindacati), e il piu' recente "Elba" (costituito dalle organizzazioni artigiane e dai sindacati).
Le specificita' nella gestione e nello sviluppo delle risorse umane: un confronto Lombardia-ItaliaLianalisi delle caratteristiche della domanda e dell'offerta sul mercato del lavoro mostrano che cio' che caratterizza il panorama regionale e' un'accentuata varieta' di competenze e profili richiesti dalle imprese dal lato della domanda, e un innalzamento generale dei livelli di scolarizzazione, che rimane tuttavia mediamente inferiore a quello di altre regioni, dal lato dell'offerta.
Il primo aspetto e' da collegare alla notevole varieta' (settoriale, dimensionale) del tessuto economico e produttivo della regione; mentre il secondo puo' essere almeno in parte un risultato della situazione di quasi pieno impiego, e piu' in generale di condizioni mediamente piu' favorevoli all'offerta, che ha a lungo caratterizzato il mercato del lavoro lombardo.
In questo contesto il sistema di formazione professionale regionale ha tentato di inserirsi negli anni Settanta con un ambizioso progetto di gestione centralizzata e focalizzata sul capoluogo regionale. Nel corso degli anni Ottanta e' emersa un'offerta formativa piuttosto eterogenea e diversificata e con caratteri anche marcatamente variabili nel tempo.
Non si tratta di una pura e semplice contrapposizione di un'iniziativa privata dinamica all'inerzia pubblica: molte di queste iniziative sono spesso esiti felici di mix pubblico- privato, come accade nel caso dei Centri tessili.
In un contesto caratterizzato poi da una domanda crescente di formazione all'esterno dell'impresa, si sviluppa rapidamente una nebulosa di societa' e specialisti nel campo formativo. Recentemente essa ha dato luogo alla costituzione di uniassociazione formatori, che e' passata in pochi anni da una dozzina di associati a oltre un migliaio.
Ulteriore tratto peculiare e' infine il relativamente elevato grado di cooperazione tra le organizzazioni degli interessi sul tema della valorizzazione delle risorse umane, e il ruolo positivo spesso giocato in proposito dalle relazioni industriali, che si legge al di la' di molte indicazioni di rito di segno diverso.
In definitiva, il sistema lombardo puo' essere descritto, mutando l'espressione di un rappresentante dell'Assolombarda, come un complesso sistema policentrico, che e' in cerca di un coordinamento: coordinamento che allo stato dei fatti non viene svolto da nessun attore (neppure dalla Regione) e la cui assenza viene sempre piu' percepita come fattore di inefficienza e di spreco.

VALUTAZIONI CONCLUSIVE: TENDENZE REGIONALI, POSSIBILI SCENARI E RUOLO DELLE ISTITUZIONI
Il quadro fin qui delineato mostra un aspetto problematico. Da un lato, infatti, il sistema pubblico e' generalmente valutato come inefficiente, insufficiente, obsoleto, rigido.
Dall'altro, domanda e offerta di risorse umane sembrano incontrarsi in maniera nel complesso positiva, come sottolineato da molti interlocutori e come indirettamente suggerito dalla perfomance economica e dagli andamenti del mercato del lavoro regionale.
Una prima spiegazione e' costituita dalla capacita' di sostenere lo sviluppo delle risorse umane esercitata dalle imprese con modalita' tradizionali della formazione on-the- job: l'affiancamento e l'addestramento da parte dei piu' esperti, come avviene nelle imprese meccaniche.
Tuttavia questa spiegazione risulta parziale quando si consideri che le imprese hanno dovuto affrontare bisogni inediti di competenze, come avvenuto nei settori della produzione meccanica di qualita', nel tessile e soprattutto nelle banche. Dobbiamo allora rivolgerci a un'altra costellazione di fattori.
In primo luogo viene allora segnalata una buona capacita' da parte del sistema educativo di fornire competenze metodologiche, vale a dire quegli strumenti di base che consentono l'apprendimento.
In secondo luogo, vengono segnalate esperienze specifiche di istituti tecnici o professionali che hanno compiuto significative sperimentazioni, innovazioni di programmi, forme di collegamento col sistema produttivo inedite, fino a esperienze, pur limitate, di modelli di alternanza scuola- lavoro.
In terzo luogo, viene sottolineato il ruolo propulsivo giocato dal sistema delle relazioni industriali, sia a livello di azienda che a livello territoriale.Anche la formazione erogata dalle imprese che forniscono tecnologia fa ormai parte integrante del sistema formativo, pur con modalita' molto discrete e "appartate". Cosė molte societa' di consulenza e servizi esterni alle imprese definiscono i percorsi e i programmi formativi di figure specifiche e particolarmente cruciali. Trainato dalla domanda, il sistema svela marcate capacita' reattive.
Si crea dunque un "sistema policentrico" che ha il pregio di disporre di molti punti di forza, nessuno dei quali in posizione nettamente dominante o di monopolio, e che sono distribuiti settorialmente sul territorio anziche' gerarchicamente ordinati; e che puo' quindi trasformarsi con piu' facilita' e velocita' dei sistemi strutturati e assestati da tempo.
La stessa immagine indica d'altro lato che il sistema non e' coordinato a sufficienza. Su questo punto i pareri sono concordi. Cosė come vi e' accordo sul fatto che in questo modo si da' adito a duplicazioni di sforzi e di iniziative, quindi a sprechi. Ma a cio' bisognerebbe anche aggiungere che in questo modo e' probabile che vi siano domande che rimangono latenti, e a cui non si da' risposta perche' non diventano esplicite.
Non solo, ma che in questo modo sono le esigenze a breve, e magari le "mode" (come piu' di un esperto sottolinea), a essere incoraggiate, piu' che le possibilita' di impostare programmi e trasformazioni di ampio respiro. E, ancora, che i limiti di informazione e conoscenza delle esperienze che e' probabile che ne derivino non consentono ne' di valorizzare le esperienze migliori, ne' di accumulare know-how, ne' di attribuire formale validita' ai percorsi formativi, facilitando invece il diffondersi di pregiudizi e diffidenze.
Si puo' pertanto concludere che, per le sue attuali caratteristiche, il sistema da un lato puo' abbastanza agevolmente riaggiustarsi e rinnovarsi in diversi punti, ma senza poter d'altro lato sviluppare appieno le proprie potenzialita'.
E' per questo che sono particolarmente importanti le ipotesi di riforma che vadano nel senso di prevedere una qualche forma di coordinamento delle attivita' formative. In proposito si possono distinguere diverse prospettive.
Vi e' quella di un potenziamento del ruolo di istituzioni locali (in primo luogo della Regione), che assumano funzioni di impostazione, promozione, collegamento delle iniziative e degli interventi, facendo da tramite anche con le fonti di finanziamento comunitarie, e mettendo progressivamente da parte invece i compiti di tipo gestionale, per puntare piuttosto allo sviluppo di compiti di controllo e quindi di certificazione delle competenze raggiunte.O vi possono essere ipotesi di coordinamento del sistema da ottenere (di fatto) mediante l'iniziativa congiunta delle parti sociali, in supplenza di quella insufficiente dell'attore pubblico.
Almeno in parte il progetto degli Enti bilaterali puo' essere letto in questo senso. Esso si e' tuttavia presto arenato di fronte ai problemi e alle asimmetrie di rappresentanza delle organizzazioni degli interessi.Terza prospettiva e' infine quella della creazione di un tavolo triangolare, in cui trovino sede stabile di confronto le organizzazioni degli interessi e le istituzioni pubbliche.
Cio' e' stato in effetti qualche tempo fa oggetto di intese preliminari di tipo sperimentale tra le parti sociali e la giunta regionale, in un momento in cui sembrava essere interesse di tutte le parti cercare di rafforzare le proprie posizioni adottando strategie di concertazione. Ma cio' non ha poi sortito alcun effetto tangibile.
Quale possa dunque essere la strada piu' probabile per una riforma del sistema attraverso lo sviluppo di funzioni di coordinamento rimane una questione del tutto aperta.
Note
1)-Come negli altri studi regionali, anche in quello lombardo sono stati presi in considerazione tre settori: produzione di macchine utensili, tessile, bancario.
2)-Questi Centri dimostrano anche la capacita' di assolvere al ruolo di promotori dello sviluppo del settore. Il Centro tessile bustese ad esempio e' competente nella certificazione della conformita' della produzione cotoniera alle norme di qualita' Uni. Di conseguenza risulta uno stimolo per le imprese del bacino cotoniero ad adeguarsi alle norme, destinando fondi alla formazione delle maestranze.
Le aziende tessili della Lombardia e del Piemonte risultano oggi dunque all'avanguardia rispetto alle altre regioni nella produzione di qualita' (al 31/11/94 tutte le 17 aziende certificate risultano essere lombarde o piemontesi).
All'adozione di quest'orientamento contribuisce anche, secondo le informazioni raccolte, l'azione del sindacato.