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Impresa & Stato N°28 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

FORMAZIONE E QUALIFICAZIONI: VITALITA' E LIMITI DEL POLICENTRISMO

di Marinella Giovine


La ricerca dell'IRER mette in evidenza un apparente paradosso: il sistema formativo e' inefficiente e disorganico, forse non e' neppure un "sistema", tuttavia le capacita' di incontro tra domanda e offerta di qualificazioni si realizza, tutto sommato, in modo positivo. E questo non e' poco in una regione vasta e complessa come la Lombardia in cui le performances sul piano economico e del lavoro rimangono notevoli se comparate con l'andamento medio nazionale.La spiegazione del paradosso e' dovuta al forte "policentrismo" della formazione in Lombardia, dove operano una grande quantita' di dispositivi formali e meccanismi informali che hanno nel loro insieme effetti, diretti o indiretti, rilevanti ai fini della qualificazione delle risorse umane nella regione.

LE COMPONENTI DEL POLICENTRISMO
Vorrei sinteticamente riassumere quali sono tali fenomeni e dispositivi.
-L'istruzione tecnica e professionale statale
Soffre delle carenze note della scuola italiana, ma nell'insieme e' stata negli ultimi anni, anche in assenza di una riforma organica, alquanto migliorata attraverso programmi di sperimentazione a cui le scuole lombarde partecipano ampiamente.
L'eventuale minore livello qualitativo delle strutture di istruzione tecnica e professionale italiane, rispetto a quelle degli altri Paesi (o regioni) oggetto di comparazione, e' in parte compensata dalla maggiore durata dei cicli formativi e dall'alta selettivita' del sistema.
- La formazione professionale regionale
Effettivamente, senza ripetere quanto gia' evidenziato dall'Irer, l'offerta formativa regionale e' carente sia dal punto di vista dell'impostazione che della gestione e, soprattutto, e' in gran parte tarata sulla prima qualificazione dei soggetti, e questo piu' per effetti inerziali che per scelta. Su alcune delle ragioni di tale situazione e su alcune ipotesi migliorative tornero' piu' avanti.
Vorrei notare intanto che la funzione di recupero dei dropout del sistema scolastico non e' da trascurarsi, non solo per motivi di carattere sociale, ma anche perche' in un contesto come quello lombardo, che va incontro a una contrazione degli attivi, non e' forse il caso di "sprecare" in alcun modo la futura offerta di lavoro giovanile, soprattutto se disponibile per mansioni a medio-bassa, qualificazione. Essa va pero' opportunamente formata (nel senso stretto del termine) dal punto di vista della motivazione al lavoro e delle cosiddette competenze di tipo relazionale e comportamentale.
-L'ampia presenza, nell'ambito del terziario di servizio alle imprese, di societa' in grado di offrire consulenza aziendale e formazione
Anche se permane mediamente limitato il numero di aziende che acquista servizi formativi, e' pur sempre significativo che un'offerta qualificata esista, in Lombardia, almeno in quantita' sufficiente da porsi sul mercato secondo logiche concorrenziali che influiscono sul costo e la qualita' delle prestazioni.
-L'impegno delle societa' fornitrici di attrezzature e software nell'addestramento del personale delle aziende clienti
E' noto come la competitivita' di queste imprese si giuochi spesso su servizi marginali, quali l'adattamento della fornitura alle esigenze specifiche del cliente, compreso l'avviamento del personale alla fruizione dei nuovi supporti.Nella misura in cui il tessuto produttivo lombardo evolve e si rinnova si puo' ritenere che l'acquisizione delle competenze connessa con l'acquisto di nuovi supporti sia rilevante.
-L'apprendistato e i contratti di formazione lavoro
Sull'ambivalenza di questi strumenti si e' in passato ampiamente discusso: da un lato essi contribuiscono al contenimento del costo del lavoro e alla flessibilizzazione delle assunzioni, dall'altro costituiscono una modalita' di acquisizione di competenze specifiche.
Data questa seconda finalita' e' senzialtro opportuno considerare tali dispositivi come facenti pienamente parte del "sistema formativo". Infatti, anche se essi non sono istituzionalmente inquadrabili (praticamente nessuno controlla la valenza formativa di tali percorsi di inserimento), tuttavia contribuiscono ampiamente alla produzione di qualificazioni, mirate alle specifiche esigenze aziendali.
L'apprendistato e i contratti formazione lavoro andrebbero profondamente riformati al fine di consentire all'Italia di dotarsi di un serio dispositivo di formazione in alternanza, ma le resistenze in proposito sono rilevanti.
Alle imprese questi dispositivi convengono, in quanto rispondono a quella opzione verso la produzione interna delle qualificazioni che le aziende italiane hanno sempre privilegiato, e la rendono possibile a costi notevolmente contenuti per i datori di lavoro.
-Il surplus di competenze sostanziali rispetto a quelle formali
Sappiamo che i titoli di studio e di qualificazione certificata non riflettono appieno il livello di preparazione generale o anche professionale dei soggetti. Il sistema di istruzione e quello universitario "sprecano" molto. Cosė che i soggetti con l'apparente licenza media hanno in verita' frequentato anche spezzoni di studi secondari e molti soggetti con il solo diploma hanno di fatto seguito, spesso, anche un parziale percorso negli studi universitari. Inoltre, anche se stime corrette se ne possono fare ben poche, sappiamo che la fruizione a titolo individuale di servizi formativi di tipo privato e' un fatto di una certa consistenza, composto di complicati itinerari e mosaici di corsi e corsetti (le lingue, l'informatica eccetera).Senza contare infine che le stesse qualifiche o altre certificazioni erogate dall'amministrazione regionale, o dagli organismi che operano per la stessa, non vengono in genere rilevate dalle normali indagini statistiche, ma costituiscono pur sempre un input di qualificazione di un certo rilievo, sul piano quantitativo.
-I dispositivi di fuoriuscita di personale dalle aziende
Sono molteplici, come sappiamo: Cig, mobilita', prepensionamenti.
Hanno nel complesso permesso alle aziende, oltre che di ridimensionare i propri organici, anche di renderli qualitativamente coerenti con i nuovi assetti produttivi.
Gli "ammortizzatori sociali" comportano in genere contrazione degli organici, ma permettono anche un certo turnover di personale e dunque di qualificazioni. Da un punto di vista piu' generale, ovvero tenendo presente l'insieme del territorio regionale piu' che la realta' delle singole imprese, gli strumenti di incentivazione delle fuoriuscite hanno "messo in movimento" anche un consistente numero di soggetti competenti che, ben lungi (in considerazione della loro eta' ancora giovane) dal rifluire tra gli inattivi, si reinseriscono sul mercato del lavoro e offrono le loro qualificazioni a un relativo "basso costo", visti gli sgravi accordati dalle misure di incentivazione al reimpiego.
- La mobilita' geografica
Si puo' stimare che la Lombardia sia importatrice netta di qualificazioni. Anche se i flussi di mano diopera qualificata dalle regioni del Centro-Sud verso il Nord non sono agevolmente stimabili, si puo' ritenere che siano comunque sufficienti a colmare buona parte dell'eventuale deficit di qualificazioni presenti sul territorio lombardo.

L'ESIGENZA DI "FARE SISTEMA"
Per queste e altre ragioni l'incontro tra domanda e offerta di qualificazioni in Lombardia "funziona"; il problema e' di vedere se tale funzionamento e' efficiente, quali dispersioni produce e fino a che punto puo', in prospettiva, dare garanzie ai lavoratori e alle imprese. Non e' infatti paradossale che il mercato delle qualificazioni funzioni, lo sarebbe piuttosto il contrario, viste le ingenti risorse finanziarie che vi si impegnano. Si tratta del funzionamento del sistema scolastico, universitario e regionale, degli oneri per lo Stato derivanti dagli sgravi sui contratti di apprendistato e formazione lavoro, dei finanziamenti Fse alla formazione progettuale, oltre ai costi privati sostenuti dalle imprese e dai cittadini lavoratori e non.
Vi e' esigenza di fare in modo che tanti spezzoni di intervento, che in qualche modo contribuiscono a colmare il fabbisogno di qualificazioni, facciano "sistema"; ma a tutti preme anche che il "fare sistema" significhi razionalizzare senza sacrificare quel policentrismo (o diversificazione di soggetti e interventi) che attualmente ha una sua efficacia.
Intanto si puo' fare "sistema" leggendo "sistematicamente" i fenomeni, ovvero stabilendo determinati criteri per l'analisi e l'interpretazione della situazione.
Normalmente nell'analizzare l'offerta formativa esistente in un'area geografica si parte dalla lettura dell'offerta istituzionale e si tratta tutto il resto come "residuale" anche perche' non altrettanto chiaramente decodificabile.
Probabilmente l'approccio inverso sarebbe piu' realistico, in quanto l'acquisizione da parte delle imprese di qualificazioni "dal mercato" avviene in seconda battuta rispetto alle scelte che le stesse fanno sui mercati interni e rispetto all'utilizzazione dei passaggi interaziendali.
L'apprendistato e i contratti di formazione lavoro si collocano a meta' strada tra i processi di acquisizione di mano diopera sul mercato e quelli di "promozione interna", in quanto operano all'entrata meccanismi selettivi, ma le qualificazioni vengono in gran parte conseguite in ambito aziendale (salvo i casi di assunzione con contratti atipici di giovani gia' in possesso delle necessarie qualificazioni). Sono proprio tali opportunita', oltre alle convenienze di costo del lavoro, che sollecitano il gradimento dei datori di lavoro verso questo tipo di istituti.
Includere o non includere l'output di qualificazioni che i contratti di apprendistato e di formazione lavoro producono, nell'output complessivo della realta' formativa regionale, cambia non poco gli ordini di grandezza. Circa 90.000 giovani in un anno, stimando sui dati piu' recenti, acquisiscono una qualificazione "di fatto" (ovvero non riconosciuta) attraverso i contratti di formazione e di apprendistato. Si tratta di un numero di soggetti di gran lunga superiore a quello dei frequentanti l'offerta formativa del sistema regionale e quasi doppio rispetto alle uscite terminali dagli istituti tecnici e professionali della pubblica istruzione presenti in Lombardia.
Gli strumenti di cui parliamo non rientrano nell'ambito della "formazione istituzionale" (non vi e' programmazione ne' gestione e controllo da parte pubblica della componente formativa di tali rapporti di lavoro), tuttavia e' pure vero che con una stima approssimativa si puo' dire che per questi istituti, e limitatamente alla Lombardia, lo Stato sostiene un costo (minori entrate a fronte di prestazioni che comunque devono essere garantite) dell'ordine di oltre 500 miliardi all'anno. Anche se buona parte di tale importo e' attribuibile alla finalita' "incentivazione delle assunzioni e contenimento del costo del lavoro" la parte dovuta alla compensazione degli oneri che le imprese sostengono per la qualificazione dei soggetti rimane comunque molto rilevante. L'offerta formativa istituzionale ha certo un ruolo preminente ai fini di fornire la regione di risorse umane adeguate; tuttavia essa deve "fare i conti" con tutti gli altri istituti, strumenti, programmi, meccanismi che in qualche modo le fanno concorrenza.

RUOLO DELLA REGIONE E DELLE PARTI SOCIALI: PROSPETTIVE
Piu' volte i ricercatori dell'Irer mettono in evidenza la necessita', per l'amministrazione regionale di liberarsi (delegare) dei compiti gestionali per dedicarsi a ruoli di programmazione.
Bisogna tuttavia anche chiedersi quali sono le possibilita' per l'amministrazione di adempiere a tale compito, vista appunto la policentricita' ricordata che rende ben difficile, a una singola istituzione, per quanto rilevante (in termini di competenze formali), inserire il proprio intervento in coerenza, o meglio, in integrazione con tutti gli altri interventi siano anchiessi di carattere istituzionale o semplicemente di tipo "spontaneo" seppure fortemente radicati e dunque di fatto "istituzionalizzati".
Le Regioni elaborano sempre meno "piani" nel senso stretto del termine. La stagione della programmazione si e' conclusa con gli anni Ottanta in considerazione delle difficolta' incontrate su due ordini di problemi: la definizione dei fabbisogni di qualificazioni e professionalita' del sistema produttivo, e l'individuazione del segmento specifico di tali fabbisogni colmabile con l'intervento regionale.
I piani formativi basati su studi previsionali degli andamenti demografici, dell'occupazione settoriale, delle uscite scolastiche, hanno fatto il loro tempo e non sono mai stati in verita' di grande utilita' nella impostazione e orientamento delle attivita' formative delle Regioni.
Tra le previsioni dell'occupazione "settoriale", quando (raramente) fattibili, e le previsioni del fabbisogno in professionalita' e qualificazioni vi e' un enorme gap, visto che le qualifiche sono sempre di piu' trasversali ai diversi settori produttivi.
Piu' utile risulta seguire altre strade o concentrare le risorse su altri fronti, due in particolare:
-dedicare attenzione piuttosto che alle analisi e previsioni di ordine quantitativo a quelle di ordine qualitativo, per una corretta definizione dei profili professionali, dei loro contenuti di qualificazione e dei relativi percorsi formativi;
-sollecitare la "committenza"; ovvero perseguire in ogni modo l'obiettivo di allestire i programmi di formazione in funzione di quanto esplicitamente esprimono e richiedono le parti in causa.
Il rapporto dell'Irer mette in evidenza come il problema di una certa latitanza delle parti sociali sui temi della formazione esista anche in Lombardia, nonostante la solidita' delle relazioni industriali e lo sviluppo dell'economia attraverso tutte quelle fasi che in altri Paesi hanno portato al consolidamento della presenza e della contrattazione delle parti in materia di formazione.
L'Italia e' l'unico Paese in Europa ad avere regioni forti in cui le parti sociali sono soggetti deboli dei sistemi formativi. Certo, non mancano alcune iniziative e nemmeno mancano le sedi di consultazione, ma tutto questo non produce al momento effetti di rilievo.
Tale assenza non significa tuttavia "mancanza di strategie" da parte delle imprese nel reperimento e produzione delle qualificazioni di cui necessitano.
Forse l'amministrazione regionale potrebbe venire incontro, "accompagnare", alcune di queste "strategie" o preferenze. Abbiamo ad esempio visto come le aziende favoriscano la promozione e produzione interna di qualificazioni alle "entrate laterali" dal mercato del lavoro. Le attivita' di formazione in alternanza dovrebbero dunque essere sostenute, andando pero' ben aldila' del "timido" stage aziendale che attualmente integra, ma solo marginalmente, una parte delle azioni formative.
Occorre pensare a opportune sensibilizzazioni e forse incentivazioni da proporre alle rappresentanze delle parti sociali senza escludere la validita' di qualche eventuale "azione forzante".
In Francia, ad esempio, la formazione continua ha preso avvio da una norma dello Stato che stabilė (nel 1971) una "imposta deduzione" per la formazione, proporzionale alla massa salariale di ogni impresa. Le imprese francesi dedicano oggi alla formazione una quota della propria massa salariale quasi doppia rispetto a quella imposta per legge.
L'amministrazione regionale potrebbe anche favorire lo sviluppo della formazione "progettuale" sollecitando quanto piu' soggetti e' possibile a presentare proposte formative opportunamente corredate di istruttoria sui fabbisogni (versante della domanda economica oltre che sociale) che vorrebbero colmare.
Questo impone pero' anche l'allestimento di un valido sistema valutativo che permetta alla Regione:
- una valutazione preventiva dei progetti, di carattere sostanziale e non solo di conformita';
-un monitoraggio delle azioni, utile a verificare che a "buoni progetti" corrispondano "validi interventi";
-di effettuare verifiche a conclusione e differite tali da: reperire le azioni efficaci da reiterare, formulare giudizi di affidabilita' o meno dei proponenti, da acquisire per le successive attivita' di progettazione, valutazione e selezione.
Diverse Regioni si stanno orientando in tale direzione in particolare per la gestione dei finanziamenti del Fse. Quasi dovunque pero' convivono "due corpi separati" nei sistemi formativi regionali, quello della "formazione strutturata" che sembra in gran parte sfuggire a ogni disegno programmatorio e quello, appunto, della "formazione per progetti", che si sta sviluppando, sia pure tra molte esitazioni delle amministrazioni che temono di perdere il controllo della situazione.
Probabilmente e' necessario, per le Regioni, non tanto elaborare programmi rigidi, quanto fissare alcuni macro-obiettivi, priorita', tendenze di medio termine dell'intervento settoriale, nonche' regole chiare e trasparenti che permettano un ampio concorso di idee e di proposte con la partecipazione, soprattutto, di quei soggetti che sono maggiormente in grado di rappresentare le esigenze dello sviluppo economico locale.
In un periodo di apparente "non decisione" per quanto riguarda l'istruzione e la formazione, di fatto i dispositivi e canali che producono qualificazioni, o quanto meno gli sportelli "finanziari" per queste attivita', si sono moltiplicati.
La differenziazione delle proposte formative e' senza dubbio un fattore di ricchezza se viene incontro alle esigenze altrettanto diversificate delle varie categorie di fruitori. Occorre pero' anche tener presente i numerosi effetti di "spiazzamento". A partire dalla meta' degli anni Ottanta i contratti di formazione e lavoro hanno spiazzato l'apprendistato e l'abbinata dei due dispositivi ha in parte "tolto utenza" all'offerta formativa tradizionale. Fenomeni simili gia' si intravedono anche nella formazione di secondo livello. I diplomati del post secondario faranno concorrenza a quelli in uscita dalla scuola secondaria, e i tre possibili canali di offerta formativa a questo livello (gli istituti tecnici e professionali, le universita', le Regioni) rischiano di intervenire su utenze e fabbisogni del tutto analoghi.
Non basta dunque che le Regioni diano un assetto adeguato al proprio sistema formativo, ma occorre anche che si dotino di una lettura organica di tutto quanto succede nel territorio sul versante della domanda e offerta di qualificazioni. L'intervento pubblico dovrebbe soprattutto essere finalizzato a incentivare le iniziative spontanee di intervento dei soggetti economici e compensare situazioni di inerzia e di svantaggio che possono caratterizzare sia segmenti di popolazione che segmenti del sistema produttivo.