di Marinella Giovine
LE COMPONENTI DEL POLICENTRISMO
Vorrei sinteticamente riassumere quali sono tali fenomeni e
dispositivi.
-L'istruzione tecnica e professionale statale
Soffre delle carenze note della scuola italiana, ma
nell'insieme e' stata negli ultimi anni, anche in assenza di
una riforma organica, alquanto migliorata attraverso
programmi di sperimentazione a cui le scuole lombarde
partecipano ampiamente.
L'eventuale minore livello qualitativo delle strutture di
istruzione tecnica e professionale italiane, rispetto a
quelle degli altri Paesi (o regioni) oggetto di comparazione,
e' in parte compensata dalla maggiore durata dei cicli
formativi e dall'alta selettivita' del sistema.
- La formazione professionale regionale
Effettivamente, senza ripetere quanto gia' evidenziato
dall'Irer, l'offerta formativa regionale e' carente sia dal
punto di vista dell'impostazione che della gestione e,
soprattutto, e' in gran parte tarata sulla prima
qualificazione dei soggetti, e questo piu' per effetti
inerziali che per scelta. Su alcune delle ragioni di tale
situazione e su alcune ipotesi migliorative tornero' piu'
avanti.
Vorrei notare intanto che la funzione di recupero dei dropout
del sistema scolastico non e' da trascurarsi, non solo per
motivi di carattere sociale, ma anche perche' in un contesto
come quello lombardo, che va incontro a una contrazione degli
attivi, non e' forse il caso di "sprecare" in alcun modo la
futura offerta di lavoro giovanile, soprattutto se
disponibile per mansioni a medio-bassa, qualificazione. Essa
va pero' opportunamente formata (nel senso stretto del
termine) dal punto di vista della motivazione al lavoro e
delle cosiddette competenze di tipo relazionale e
comportamentale.
-L'ampia presenza, nell'ambito del terziario di servizio alle
imprese, di societa' in grado di offrire consulenza aziendale
e formazione
Anche se permane mediamente limitato il numero di aziende che
acquista servizi formativi, e' pur sempre significativo che
un'offerta qualificata esista, in Lombardia, almeno in
quantita' sufficiente da porsi sul mercato secondo logiche
concorrenziali che influiscono sul costo e la qualita' delle
prestazioni.
-L'impegno delle societa' fornitrici di attrezzature e
software nell'addestramento del personale delle aziende
clienti
E' noto come la competitivita' di queste imprese si giuochi
spesso su servizi marginali, quali l'adattamento della
fornitura alle esigenze specifiche del cliente, compreso
l'avviamento del personale alla fruizione dei nuovi
supporti.Nella misura in cui il tessuto produttivo lombardo
evolve e si rinnova si puo' ritenere che l'acquisizione delle
competenze connessa con l'acquisto di nuovi supporti sia
rilevante.
-L'apprendistato e i contratti di formazione lavoro
Sull'ambivalenza di questi strumenti si e' in passato
ampiamente discusso: da un lato essi contribuiscono al
contenimento del costo del lavoro e alla flessibilizzazione
delle assunzioni, dall'altro costituiscono una modalita' di
acquisizione di competenze specifiche.
Data questa seconda finalita' e' senzialtro opportuno
considerare tali dispositivi come facenti pienamente parte
del "sistema formativo". Infatti, anche se essi non sono
istituzionalmente inquadrabili (praticamente nessuno
controlla la valenza formativa di tali percorsi di
inserimento), tuttavia contribuiscono ampiamente alla
produzione di qualificazioni, mirate alle specifiche esigenze
aziendali.
L'apprendistato e i contratti formazione lavoro andrebbero
profondamente riformati al fine di consentire all'Italia di
dotarsi di un serio dispositivo di formazione in alternanza,
ma le resistenze in proposito sono rilevanti.
Alle imprese questi dispositivi convengono, in quanto
rispondono a quella opzione verso la produzione interna delle
qualificazioni che le aziende italiane hanno sempre
privilegiato, e la rendono possibile a costi notevolmente
contenuti per i datori di lavoro.
-Il surplus di competenze sostanziali rispetto a quelle
formali
Sappiamo che i titoli di studio e di qualificazione
certificata non riflettono appieno il livello di preparazione
generale o anche professionale dei soggetti. Il sistema di
istruzione e quello universitario "sprecano" molto. Cosė che
i soggetti con l'apparente licenza media hanno in verita'
frequentato anche spezzoni di studi secondari e molti
soggetti con il solo diploma hanno di fatto seguito, spesso,
anche un parziale percorso negli studi universitari. Inoltre,
anche se stime corrette se ne possono fare ben poche,
sappiamo che la fruizione a titolo individuale di servizi
formativi di tipo privato e' un fatto di una certa
consistenza, composto di complicati itinerari e mosaici di
corsi e corsetti (le lingue, l'informatica eccetera).Senza
contare infine che le stesse qualifiche o altre
certificazioni erogate dall'amministrazione regionale, o
dagli organismi che operano per la stessa, non vengono in
genere rilevate dalle normali indagini statistiche, ma
costituiscono pur sempre un input di qualificazione di un
certo rilievo, sul piano quantitativo.
-I dispositivi di fuoriuscita di personale dalle aziende
Sono molteplici, come sappiamo: Cig, mobilita',
prepensionamenti.
Hanno nel complesso permesso alle aziende,
oltre che di ridimensionare i propri organici, anche di
renderli qualitativamente coerenti con i nuovi assetti
produttivi.
Gli "ammortizzatori sociali" comportano in genere
contrazione degli organici, ma permettono anche un certo
turnover di personale e dunque di qualificazioni.
Da un punto di vista piu' generale, ovvero tenendo presente
l'insieme del territorio regionale piu' che la realta' delle
singole imprese, gli strumenti di incentivazione delle
fuoriuscite hanno "messo in movimento" anche un consistente
numero di soggetti competenti che, ben lungi (in
considerazione della loro eta' ancora giovane) dal rifluire
tra gli inattivi, si reinseriscono sul mercato del lavoro e
offrono le loro qualificazioni a un relativo "basso costo",
visti gli sgravi accordati dalle misure di incentivazione al
reimpiego.
- La mobilita' geografica
Si puo' stimare che la Lombardia sia importatrice netta di
qualificazioni. Anche se i flussi di mano diopera qualificata
dalle regioni del Centro-Sud verso il Nord non sono
agevolmente stimabili, si puo' ritenere che siano comunque
sufficienti a colmare buona parte dell'eventuale deficit di
qualificazioni presenti sul territorio lombardo.
L'ESIGENZA DI "FARE SISTEMA"
Per queste e altre ragioni
l'incontro tra domanda e offerta di qualificazioni in
Lombardia "funziona"; il problema e' di vedere se tale
funzionamento e' efficiente, quali dispersioni produce e fino
a che punto puo', in prospettiva, dare garanzie ai lavoratori
e alle imprese. Non e' infatti paradossale che il mercato
delle qualificazioni funzioni, lo sarebbe piuttosto il
contrario, viste le ingenti risorse finanziarie che vi si
impegnano.
Si tratta del funzionamento del sistema scolastico,
universitario e regionale, degli oneri per lo Stato derivanti
dagli sgravi sui contratti di apprendistato e formazione
lavoro, dei finanziamenti Fse alla formazione progettuale,
oltre ai costi privati sostenuti dalle imprese e dai
cittadini lavoratori e non.
Vi e' esigenza di fare in modo che
tanti spezzoni di intervento, che in qualche modo
contribuiscono a colmare il fabbisogno di qualificazioni,
facciano "sistema"; ma a tutti preme anche che il "fare
sistema" significhi razionalizzare senza sacrificare quel
policentrismo (o diversificazione di soggetti e interventi)
che attualmente ha una sua efficacia.
Intanto si puo' fare
"sistema" leggendo "sistematicamente" i fenomeni, ovvero
stabilendo determinati criteri per l'analisi e
l'interpretazione della situazione.
Normalmente nell'analizzare l'offerta formativa esistente in
un'area geografica si parte dalla lettura dell'offerta
istituzionale e si tratta tutto il resto come "residuale"
anche perche' non altrettanto chiaramente
decodificabile.
Probabilmente l'approccio inverso sarebbe piu'
realistico, in quanto l'acquisizione da parte delle imprese
di qualificazioni "dal mercato" avviene in seconda battuta
rispetto alle scelte che le stesse fanno sui mercati interni
e rispetto all'utilizzazione dei passaggi interaziendali.
L'apprendistato e i contratti di formazione lavoro si
collocano a meta' strada tra i processi di acquisizione di
mano diopera sul mercato e quelli di "promozione interna", in
quanto operano all'entrata meccanismi selettivi, ma le
qualificazioni vengono in gran parte conseguite in ambito
aziendale (salvo i casi di assunzione con contratti atipici
di giovani gia' in possesso delle necessarie qualificazioni).
Sono proprio tali opportunita', oltre alle convenienze di
costo del lavoro, che sollecitano il gradimento dei datori di
lavoro verso questo tipo di istituti.
Includere o non
includere l'output di qualificazioni che i contratti di
apprendistato e di formazione lavoro producono, nell'output
complessivo della realta' formativa regionale, cambia non
poco gli ordini di grandezza.
Circa 90.000 giovani in un anno, stimando sui dati piu'
recenti, acquisiscono una qualificazione "di fatto" (ovvero
non riconosciuta) attraverso i contratti di formazione e di
apprendistato. Si tratta di un numero di soggetti di gran
lunga superiore a quello dei frequentanti l'offerta formativa
del sistema regionale e quasi doppio rispetto alle uscite
terminali dagli istituti tecnici e professionali della
pubblica istruzione presenti in Lombardia.
Gli strumenti di cui parliamo non rientrano nell'ambito della
"formazione istituzionale" (non vi e' programmazione ne'
gestione e controllo da parte pubblica della componente
formativa di tali rapporti di lavoro), tuttavia e' pure vero
che con una stima approssimativa si puo' dire che per questi
istituti, e limitatamente alla Lombardia, lo Stato sostiene
un costo (minori entrate a fronte di prestazioni che comunque
devono essere garantite) dell'ordine di oltre 500 miliardi
all'anno. Anche se buona parte di tale importo e'
attribuibile alla finalita' "incentivazione delle assunzioni
e contenimento del costo del lavoro" la parte dovuta alla
compensazione degli oneri che le imprese sostengono per la
qualificazione dei soggetti rimane comunque molto rilevante.
L'offerta formativa istituzionale ha certo un ruolo
preminente ai fini di fornire la regione di risorse umane
adeguate; tuttavia essa deve "fare i conti" con tutti gli
altri istituti, strumenti, programmi, meccanismi che in
qualche modo le fanno concorrenza.
RUOLO DELLA REGIONE E DELLE PARTI SOCIALI: PROSPETTIVE
Piu' volte i ricercatori dell'Irer
mettono in evidenza la necessita', per l'amministrazione
regionale di liberarsi (delegare) dei compiti gestionali per
dedicarsi a ruoli di programmazione.
Bisogna tuttavia anche chiedersi quali sono le possibilita'
per l'amministrazione di adempiere a tale compito, vista
appunto la policentricita' ricordata che rende ben difficile,
a una singola istituzione, per quanto rilevante (in termini
di competenze formali), inserire il proprio intervento in
coerenza, o meglio, in integrazione con tutti gli altri
interventi siano anchiessi di carattere istituzionale o
semplicemente di tipo "spontaneo" seppure fortemente radicati
e dunque di fatto "istituzionalizzati".
Le Regioni elaborano sempre meno "piani" nel senso stretto
del termine. La stagione della programmazione si e' conclusa
con gli anni Ottanta in considerazione delle difficolta'
incontrate su due ordini di problemi: la definizione dei
fabbisogni di qualificazioni e professionalita' del sistema
produttivo, e l'individuazione del segmento specifico di tali
fabbisogni colmabile con l'intervento regionale.
I piani
formativi basati su studi previsionali degli andamenti
demografici, dell'occupazione settoriale, delle uscite
scolastiche, hanno fatto il loro tempo e non sono mai stati
in verita' di grande utilita' nella impostazione e
orientamento delle attivita' formative delle Regioni.
Tra le previsioni dell'occupazione "settoriale", quando
(raramente) fattibili, e le previsioni del fabbisogno in
professionalita' e qualificazioni vi e' un enorme gap, visto
che le qualifiche sono sempre di piu' trasversali ai diversi
settori produttivi.
Piu' utile risulta seguire altre strade o concentrare le
risorse su altri fronti, due in particolare:
-dedicare
attenzione piuttosto che alle analisi e previsioni di ordine
quantitativo a quelle di ordine qualitativo, per una corretta
definizione dei profili professionali, dei loro contenuti di
qualificazione e dei relativi percorsi formativi;
-sollecitare
la "committenza"; ovvero perseguire in ogni modo l'obiettivo
di allestire i programmi di formazione in funzione di quanto
esplicitamente esprimono e richiedono le parti in causa.
Il rapporto dell'Irer mette in evidenza come il problema di
una certa latitanza delle parti sociali sui temi della
formazione esista anche in Lombardia, nonostante la solidita'
delle relazioni industriali e lo sviluppo dell'economia
attraverso tutte quelle fasi che in altri Paesi hanno portato
al consolidamento della presenza e della contrattazione delle
parti in materia di formazione.
L'Italia e' l'unico Paese in
Europa ad avere regioni forti in cui le parti sociali sono
soggetti deboli dei sistemi formativi.
Certo, non mancano alcune iniziative e nemmeno mancano le
sedi di consultazione, ma tutto questo non produce al momento
effetti di rilievo.
Tale assenza non significa tuttavia
"mancanza di strategie" da parte delle imprese nel
reperimento e produzione delle qualificazioni di cui
necessitano.
Forse l'amministrazione regionale potrebbe venire
incontro, "accompagnare", alcune di queste "strategie" o
preferenze. Abbiamo ad esempio visto come le aziende
favoriscano la promozione e produzione interna di
qualificazioni alle "entrate laterali" dal mercato del
lavoro.
Le attivita' di formazione in alternanza dovrebbero dunque
essere sostenute, andando pero' ben aldila' del "timido"
stage aziendale che attualmente integra, ma solo
marginalmente, una parte delle azioni formative.
Occorre
pensare a opportune sensibilizzazioni e forse incentivazioni
da proporre alle rappresentanze delle parti sociali senza
escludere la validita' di qualche eventuale "azione
forzante".
In Francia, ad esempio, la formazione continua ha
preso avvio da una norma dello Stato che stabilė (nel 1971)
una "imposta deduzione" per la formazione, proporzionale alla
massa salariale di ogni impresa. Le imprese francesi dedicano
oggi alla formazione una quota della propria massa salariale
quasi doppia rispetto a quella imposta per legge.
L'amministrazione regionale potrebbe anche favorire lo
sviluppo della formazione "progettuale" sollecitando quanto
piu' soggetti e' possibile a presentare proposte formative
opportunamente corredate di istruttoria sui fabbisogni
(versante della domanda economica oltre che sociale) che
vorrebbero colmare.
Questo impone pero' anche l'allestimento
di un valido sistema valutativo che permetta alla Regione:
-
una valutazione preventiva dei progetti, di carattere
sostanziale e non solo di conformita';
-un monitoraggio delle
azioni, utile a verificare che a "buoni progetti"
corrispondano "validi interventi";
-di effettuare verifiche a
conclusione e differite tali da: reperire le azioni efficaci
da reiterare, formulare giudizi di affidabilita' o meno dei
proponenti, da acquisire per le successive attivita' di
progettazione, valutazione e selezione.
Diverse Regioni si stanno orientando in tale direzione in
particolare per la gestione dei finanziamenti del Fse. Quasi
dovunque pero' convivono "due corpi separati" nei sistemi
formativi regionali, quello della "formazione strutturata"
che sembra in gran parte sfuggire a ogni disegno
programmatorio e quello, appunto, della "formazione per
progetti", che si sta sviluppando, sia pure tra molte
esitazioni delle amministrazioni che temono di perdere il
controllo della situazione.
Probabilmente e' necessario, per
le Regioni, non tanto elaborare programmi rigidi, quanto
fissare alcuni macro-obiettivi, priorita', tendenze di medio
termine dell'intervento settoriale, nonche' regole chiare e
trasparenti che permettano un ampio concorso di idee e di
proposte con la partecipazione, soprattutto, di quei soggetti
che sono maggiormente in grado di rappresentare le esigenze
dello sviluppo economico locale.
In un periodo di apparente "non decisione" per quanto
riguarda l'istruzione e la formazione, di fatto i dispositivi
e canali che producono qualificazioni, o quanto meno gli
sportelli "finanziari" per queste attivita', si sono
moltiplicati.
La differenziazione delle proposte formative e'
senza dubbio un fattore di ricchezza se viene incontro alle
esigenze altrettanto diversificate delle varie categorie di
fruitori. Occorre pero' anche tener presente i numerosi
effetti di "spiazzamento".
A partire dalla meta' degli anni Ottanta i contratti di
formazione e lavoro hanno spiazzato l'apprendistato e
l'abbinata dei due dispositivi ha in parte "tolto utenza"
all'offerta formativa tradizionale. Fenomeni simili gia' si
intravedono anche nella formazione di secondo livello.
I diplomati del post secondario faranno concorrenza a quelli
in uscita dalla scuola secondaria, e i tre possibili canali
di offerta formativa a questo livello (gli istituti tecnici e
professionali, le universita', le Regioni) rischiano di
intervenire su utenze e fabbisogni del tutto analoghi.
Non
basta dunque che le Regioni diano un assetto adeguato al
proprio sistema formativo, ma occorre anche che si dotino di
una lettura organica di tutto quanto succede nel territorio
sul versante della domanda e offerta di qualificazioni.
L'intervento pubblico dovrebbe soprattutto essere finalizzato
a incentivare le iniziative spontanee di intervento dei
soggetti economici e compensare situazioni di inerzia e di
svantaggio che possono caratterizzare sia segmenti di
popolazione che segmenti del sistema produttivo.