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Impresa & Stato N°28 - Rivista della Camera di Commercio di Milano

LA VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE NELLE MEDIE IMPRESE LOMBARDE

di Guido Gay


Secondo le piu' recenti risultanze censuarie, tra il 1981 e il 1991 l'occupazione in Lombardia e' aumentata di circa 115mila unita'; contemporaneamente il prodotto interno lordo e' cresciuto in termini reali quasi del 25 per cento.
Questi dati indicano che il sistema produttivo lombardo ha saputo affrontare con successo la ristrutturazione industriale che ha caratterizzato l'inizio degli anni Ottanta, uscendone complessivamente rafforzato.A questa performance economica molto positiva non ha pero' corrisposto un pieno adeguamento del grado di scolarizzazione della popolazione residente ai livelli prevalenti nelle regioni piu' evolute d'Europa; inoltre, secondo molti osservatori, negli anni Ottanta il sistema di formazione professionale regionale non ha saputo giocare un ruolo incisivo nell'adeguamento delle risorse umane, essendo essenzialmente finalizzato a favorire l'inserimento professionale delle fasce deboli dell'offerta di lavoro.
Poiche' non si puo' negare che sempre piu' le competenze rappresentino una risorsa strategica nella competizione globale, le dinamiche lombarde suggeriscono l'esistenza di circuiti di valorizzazione delle risorse umane aggiuntivi rispetto al ruolo giocato dall'educazione generale e dalla formazione professionale di natura istituzionale.
In questo lavoro esploreremo, sulla base di uno studio di casi effettuato recentemente [6], uno di questi meccanismi con riferimento alle medie imprese meccaniche lombarde, un segmento produttivo che assume nel contesto dell'economia regionale una particolare rilevanza per il suo peso e l'elevata apertura alla concorrenza internazionale.
Le imprese esaminate tendono a generare degli efficaci processi di valorizzazione delle risorse umane combinando momenti di formazione professionale con appropriate politiche di gestione del personale volte a consolidare rapporti di lungo periodo con i dipendenti qualificati. Il risultato e' un modello di formazione "snello" che si coniuga con un utilizzo estensivo e flessibile delle competenze disponibili.

ALCUNE TENDENZE DEL SISTEMA LOMBARDO
In termini comparativi, la Lombardia si pone tra le prime regioni d'Europa.
Inoltre - e questo e' forse l'elemento piu' rilevante - la performance economica della nostra regione e' stata nel recente passato migliore di quella dei piu' accreditati concorrenti. Con riferimento ai cosiddetti "quattro motori d'Europa", la base dati regionale dell'Eurostat [3] indica che la crescita del reddito procapite in Lombardia e' stata superiore rispetto a quella realizzata dai nostri partner europei. In particolare la posizione relativa della Lombardia e' passata dal terzo al primo posto, superando cosi' nel 1991 anche il Baden-Wurttemberg, una delle regioni leader della Comunita' Europea. Considerazioni di segno analogo possono poi essere sviluppate anche per quanto riguarda le tendenze del mercato del lavoro [4].
Non si e' invece in grado di utilizzare un'analoga base di informazioni regionali per le tendenze della qualificazione delle forze di lavoro. Nonostante cio', alcuni elementi comparativi a livello nazionale possono essere trasferiti senza grandi errori al contesto locale [10]:-nel 1991 il grado di scolarizzazione della popolazione italiana era molto inferiore rispetto a quello prevalente negli altri Paesi europei; -la quota dei diplomati della scuola secondaria inferiore sul totale della popolazione tra i 25 e i 64 anni era nel 1991 pari al 12% in Spagna, al 22% in Italia, al 35% in Francia e a ben il 60% in Germania;-la quota di chi aveva ricevuto un'istruzione superiore universitaria e non universitaria era del 6% nel nostro Paese, del 10% in Spagna, del 15% in Francia e del 22% in Germania.
Al di la' delle sempre necessarie cautele quando si confrontino informazioni relative a sistemi scolastici cosi' differenti, questi dati indicano che la situazione del nostro Paese era all'inizio degli anni Novanta del tutto anomala nel consesso europeo.La posizione della Lombardia e' sostanzialmente allineata a quella italiana e anzi l'incidenza dei laureati e' significativamente minore che nel resto del Paese [5].
Se a questi dati aggiungiamo la scarsa incidenza del sistema professionale regionale, almeno nella sua parte piu' istituzionale, sui livelli alti di qualificazione, siamo in presenza di una situazione apparentemente contraddittoria: le migliori performance economiche si sarebbero ottenute nelle realta' territoriali piu' povere di risorse umane qualificate.

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE MEDIE IMPRESE LOMBARDE
Le indagini empiriche effettuate negli ultimi anni lo confermano: in Italia la formazione professionale nelle imprese tende a essere di natura reattiva - relazionata cioe' alle puntuali esigenze indotte dall'introduzione di nuove macchine, alla riorganizzazione del ciclo produttivo e alla messa a regime di nuove procedure organizzative [7,6,2,].
Con una formula molto accattivante, questa modalita' di adeguamento dello stock di competenze professionali e' stata chiamata lean training [9,1], un modello di formazione professionale volto a contenere i costi monetari degli interventi e il rischio di esiti formativi non funzionali alle esigenze tecnico-organizzative delle imprese.Piu' specificatamente, dallo studio di casi effettuato [6] sono emersi alcuni elementi comuni che possono cosi' esser sintetizzati:
-Organizzazione ad hoc degli interventi strategici.Le decisioni piu' rilevanti sono di norma assunte ai massimi livelli dell'impresa mentre quelle di minore spessore vengono determinate nelle specifiche unita' di produzione (reparti, uffici, team). La relativa informalita' non esclude la capacita' di affrontare complessi momenti di riadeguamento delle competenze interne ma piuttosto testimonia la volonta' di non cristallizzare queste attivita' in un logica di routine.
-Progettazione degli interventi formativi utilizzando un mix di risorse interne ed esterne; forte integrazione tra apprendimento teorico e applicazione operativa.
Riportiamo di seguito alcune modalita' stilizzate di organizzazione degli interventi formativi, che comunque non possono dare pienamente conto della vasta gamma di soluzioni adottate nelle imprese esaminate:
--nei progetti che coinvolgono una larga minoranza di dipendenti e' diffuso un modello "a cascata".
Inizialmente un nucleo ristretto di dipendenti e' coinvolto nel progetto con un impegno di lavoro rilevante e interventi di formazione approfonditi; successivamente questi si fanno promotori di un processo di diffusione del know-how tecnico e organizzativo che assume di norma modalita' piu' informali.
Un esempio tipico e' quello dei progetti finalizzati all'adeguamento delle competenze in occasione dell'introduzione di sistemi di certificazione della qualita'.
Ad esempio, in una delle imprese esaminate l'introduzione di un sistema di qualita' aziendale ha comportato, oltre a una rilevante spesa per l'acquisizione di beni strumentali, software e consulenze specialistiche, l'attivazione di un gruppo di lavoro di undici dipendenti qualificati comprendenti un ingegnere e sei periti industriali.
A questo nucleo iniziale fortemente coinvolto nella predisposizione e avvio del sistema e' subentrato, in una fase successiva del progetto, un gruppo piu' numeroso di ventinove persone coinvolte a vario grado in attivita' formative specifiche con l'utilizzo di docenti esterni.
Moduli di formazione interna di durata contenuta sono poi stati estesi a tutto il personale operaio per illustrare le nuove modalita' di produzione;
--in progetti che nascono dall'esigenza di ridefinire le competenze di un ufficio o di un reparto di produzione vengono di norma organizzati dei corsi di formazione di durata media in collaborazione con societa' esterne o singoli consulenti e in alcuni casi cofinanziati dalla Regione attraverso il Fondo Sociale Europeo.
Questi interventi tendono a essere maggiormente strutturati in senso scolastico in quanto devono aggiornare le competenze di base dei dipendenti integrandole con il loro patrimonio di esperienza operativa. Un esempio puo' fornire le dimensioni tipiche di questi tipi di interventi: a seguito dello sviluppo della produzione di macchine speciali con specifico adattamento alle esigenze di impiego del singolo cliente e' stato organizzato un corso che ha interessato quattordici operai con l'obiettivo di insegnare l'utilizzo dei nuovi metodi di lavorazione su macchine utensili e centri di lavoro ad automazione flessibile.
Il progetto, finanziato dal Fse, prevedeva complessivamente 550 ore di apprendimento tecnico e di addestramento pratico per ogni partecipante;
--in progetti di minore entita' quantitativa spesso il ruolo di agenti attivi dell'innovazione viene affidato a giovani neoassunti opportunamente formati sulle problematiche tecniche rilevanti. Ma nei casi studiati le soluzioni adottate possono assumere contorni piu' sfumati.
Un esempio di un percorso di adeguamento delle competenze professionali piuttosto articolato e' il seguente: in una delle imprese esaminate, a seguito della decisione di estendere le competenze nell'area della progettazione assistita dal calcolatore, veniva assunto uno specialista di Cad tridimensionale che provvedeva a formare in azienda tre giovani tecnici diplomati con un intervento durato cinque mesi; successivamente uno di questi giovani seguiva, per consolidare la formazione ricevuta, un corso esterno di specializzazione in modellistica solida.
In questo e altri casi non si pone pertanto una precisa alternativa tra l'assunzione di personale gia' qualificato, la formazione interna o quella esterna ma piuttosto tutti questi strumenti vengono utilizzati in fasi diverse per lo sviluppo delle competenze aziendali.
-Selettivita' della formazione professionale. Gli interventi formativi riguardano essenzialmente la fascia dei dirigenti, quadri, tecnici, capi-operai e, in misura meno diffusa, degli operai specializzati.
In nessun caso si sono osservati interventi significativi per gli operai comuni.
-Prevalenza della formazione professionale "tecnica". In parte si tratta di un elemento che discende dalle specificita' delle imprese analizzate, in cui gli elementi tecnologici e organizzativi assumono un rilievo particolare.
Ma sembra di poter riconoscere un elemento differente in questa focalizzazione della formazione professionale: la socializzazione alla cultura d'impresa e la connessa costruzione di rapporti di lungo periodo e' un elemento centrale per il mantenimento dei vantaggi competitivi aziendali e pertanto non viene demandata a interventi formativi esterni ma viene affrontata attraverso una gamma diversificata di politiche di gestione del personale qualificato.
-Selezione dell'offerta formativa. Le imprese destinano risorse reali alla ricerca di partner affidabili anche nel campo della formazione professionale. In questo settore e' sicuramente carente il ruolo della Regione che dovrebbe operare per rendere maggiormente trasparente un mercato in cui, per la scarsita' di barriere all'entrata, la qualita' dell'offerta non e' sempre garantita.-Diffusione della formazione sul lavoro.
L'addestramento mediante affiancamento e' il modello tradizionale di sviluppo professionale degli operai qualificati nelle imprese meccaniche lombarde ma la formazione sul lavoro interessa molte altre figure professionali che devono integrare l'istruzione generale con le specifiche modalita' operative dell'impresa. L'aspetto forse piu' da sottolineare e' la stretta interrelazione tra momenti teorici e applicativi che suggerisce l'esistenza di una sorta di continuum tra la formazione professionale di tipo formalizzata e il training on-the-job.
-Ruolo rilevante dell'autoformazione. L'autoformazione puo' essere effettuata in orario di lavoro - a titolo d'esempio e' relativamente diffuso l'autoapprendimento dei manuali tecnici - ma anche al di fuori, frequentando ad esempio corsi serali.Come si vede, il modello di lean training che caratterizza le imprese meccaniche esaminate implica una notevole flessibilita' nei livelli e modalita' di erogazione della formazione professionale unita a una sostanziale selettivita' degli interventi che vengono dimensionati sulle esigenze dei dipendenti qualificati.
Questa flessibilita' viene facilitata dalla sostanziale mancanza di contrattazione a livello collettivo degli impegni formativi anche in imprese caratterizzate da buone relazioni sindacali. Mentre non vi sono motivi per ritenere che la formazione professionale non possa divenire un elemento significativo dell'azione rivendicativa, e' verosimile argomentare che le organizzazioni dei lavoratori tendano a favorire modelli di adeguamento delle competenze poco selettivi e in qualche misura eccedenti le puntuali esigenze aziendali e pertanto, nelle condizioni attuali e in assenza di una forte pressione, questa tematica rimane al margine della contrattazione collettiva.Un elemento ulteriore che permette il buon funzionamento del sistema e' l'esistenza di un'offerta formativa specifica di qualita'.
Come ben illustrato da Asher Colombo e Ida Regalia [2], in Lombardia non mancano le istituzioni che garantiscono un'offerta adeguata alle esigenze del sistema economico, semmai e' carente una informazione puntuale sugli snodi del sistema formativo che faciliti le scelte delle imprese. Le politiche di gestionedel personale Il modello del lean training presenta degli effettivi vantaggi in termini di costi e flessibilita' ma indubbiamente a priori non garantisce un "ampio serbatoio di competenze, che puo' essere sovrabbondante nell'immediato ma che costituisce una risorsa a cui attingere per l'innovazione" e rischia "di produrre dei veri e propri Ècolli di bottigliai che restringono il ventaglio delle scelte per le imprese che intendono innovare" [9].
Le soluzioni adottate dalle medie imprese lombarde per fronteggiare questo rischio si basano sulla creazione di rapporti di lungo periodo caratterizzati da un elevato impegno di lavoro delle risorse umane qualificate nonche' da una significativa flessibilita' nellierogazione della prestazione lavorativa. L'emergere di questi orientamenti sembra dipendere dall'esigenza di salvaguardare le competenze distintive dell'impresa che sono originate in buona misura da investimenti in capitale umano condivisi con i lavoratori.
Come e' noto, quando un investimento in capitale umano e' specifico all'impresa genera un flusso di benefici potenziali che verrebbe annullato ove si interrompesse il rapporto di lavoro: questo elemento crea un interesse comune a consolidare una relazione di lungo periodo che permetta di recuperare la rendita generata dall'investimento.
Quando a questo elemento si aggiunga la relativa scarsita' dell'offerta di lavoro in possesso di un adeguato titolo di studio, si e' portati a ritenere che, dal punto di vista dell'impresa, l'efficacia di un investimento in formazione dipenda crucialmente dalla possibilita' di limitare le separazioni unilaterali sollecitando al medesimo tempo un impegno di lavoro quantitativamente rilevante e flessibile con il minimo di risorse destinate al controllo delle prestazioni di lavoro.I dipendenti - come emerge nelle testimonianze raccolte nei casi di studio e con maggior sistematicita' in una recente rilevazione sugli atteggiamenti dei lavoratori metalmeccanici lombardi [8] - dal canto loro annettono una grande importanza alla stabilita' del posto di lavoro e in molti casi sono disponibili a una erogazione flessibile dello sforzo di lavoro.
La trasformazione di quest'area di potenziale collaborazione in una realta' operativa viene perseguita dalle imprese mediante una pluralita' di politiche del personale; rimandando al citato lavoro per una discussione piu' articolata [6], in questa sede ci limitamo a elencarne gli elementi principali.
-Selezione all'ingresso. Le politiche di assunzione sembrano essere mirate alla selezione di lavoratori disponibili a integrarsi nella cultura aziendale. In linea di massima questo richiede una disponibilita' ad accettare lo scambio tra retribuzione e impegno sul lavoro tipico delle realta' produttive analizzate. Quest'ultimo puo' assumere forme diverse ma in generale si riferisce a elementi quali la disponibilita' ad assumersi la responsabilita' per i risultati ottenuti, la disponibilita' agli straordinari e ad altre forme di flessibilita' della prestazione lavorativa, la disponibilita' a collaborare con altri dipendenti.
La selezione all'ingresso assume forme diverse a seconda della tipologia dell'impresa e della sua localizzazione: in particolare nelle imprese localizzate fuori dall'area milanese viene sottolineato il ruolo delle culture del lavoro locali come fattori di garanzia nella selezione dei neo- assunti; in quelle in cui il lavoro assume una dimensione "professionale" viene valutato maggiormente il profilo curriculare e si fa largo utilizzo dei contratti di formazione e lavoro, uno strumento contrattuale che permette di testare estensivamente caratteristiche dei neo-assunti difficilmente verificabili a priori.
-Politiche di incentivazione. I sistemi di incentivazione sono molto diffusi e presentano differenti connotazioni, in quanto definiti puntualmente rispetto alle caratteristiche produttive delle imprese e all'osservabilita' di correlati empirici della produttivita' individuale o di gruppo. In alcuni casi le politiche di incentivazione sono state contrattate collettivamente, in altri contrattate in modo informale con gruppi di dipendenti o con i singoli.
Dagli studi di casi sembrerebbe di poter dire che non sussiste una chiara preferenza per gli incentivi individuali o per quelli di gruppo ma che le scelte effettuate sono determinate essenzialmente dalle condizioni tecniche di osservabilita' dell'output individuale.
-Politiche di "reputazione". Se lo sviluppo di rapporti di collaborazione ha un valore strategico per l'impresa, allora sara' per lei conveniente sviluppare delle politiche che forniscano ai dipendenti segnali credibili circa la propria volonta' di non agire opportunisticamente nel futuro.
Senza la pretesa di esaurire un argomento cosi' controverso, si puo' notare che nelle imprese esaminate sono diffuse alcune politiche coerenti con il perseguimento del consolidamento di una reputazione di "buon datore di lavoro":
-"correttezza" nella gestione dell'impresa e nei rapporti con le rappresentanze dei lavoratori. Questo dato emerge con una certa uniformita' nelle interviste con i delegati aziendali;
-ricorso del tutto marginale alla Cassa Integrazione Guadagni anche in situazioni di riduzione dell'attivita' produttiva;
--politiche molto puntuali di rinnovo dello stock di beni strumentali;
--significativo impegno degli imprenditori nella conduzione dell'impresa.
Complessivamente dalle evidenze disponibili si puo' concludere che l'ampia gamma di politiche di gestione delle risorse umane sembra ottenere ritorni apprezzabili per le imprese, concorrendo a contenere i rischi di mobilita' esterna non voluta e a motivare il personale.
Bibliografia
[1]-R. Bahnmuller, Baden-Wurttemberg: il sistema duale di fronte alla crisi, Impresa & Stato, 1995.[2]-A. Colombo, I. Regalia, Lombardia: selettivita' e reattivita' degli interventi formativi, Ires Lombardia, Milano, 1994.[3]- Eurostat, Regional data base: Regio, Eurostat - Regional Statistics and Accounts, 1993.[4]-G. Gay, La dinamica del mercato del lavoro in quattro regioni europee negli anni i80, in Rapporto Irer i91-i92, Irer, 1993.[5]-G. Gay, L'evoluzione del mercato del lavoro dei laureati in Lombardia negli anni '80, in Il diritto allo studio nel sistema universitario lombardo, Rapporto i92, Franco Angeli, 1993.[6]-G. Gay, A. Riva, Lo sviluppo delle risorse umane nell'industria meccanica. Uno studio di casi sulle medie imprese in Lombardia, Franco Angeli, Milano, 1994.[7]-Isfol, Formazione professionale contrattata e politiche delle risorse umane, Franco Angeli, Milano, 1990.[8]-Fiom Cgil Lombardia, I valori dei metalmeccanici lombardi, Edizioni Meta, Milano, 1993.[9]- M. Regini, Domanda di risorse umane e istituzioni formative, Impresa & Stato, 1995.[10]-P. Trivellato, La scuola reale: questioni critiche e condizioni per cambiare, Quaderni di sociologia, (6): 5-25, 1993.