di Guido Gay
ALCUNE TENDENZE DEL SISTEMA LOMBARDO
In termini comparativi, la Lombardia si pone tra le prime regioni
d'Europa.
Inoltre - e questo e' forse l'elemento piu' rilevante - la
performance economica della nostra regione e' stata nel
recente passato migliore di quella dei piu' accreditati
concorrenti. Con riferimento ai cosiddetti "quattro motori
d'Europa", la base dati regionale dell'Eurostat [3] indica
che la crescita del reddito procapite in Lombardia e' stata
superiore rispetto a quella realizzata dai nostri partner
europei. In particolare la posizione relativa della Lombardia
e' passata dal terzo al primo posto, superando cosi' nel 1991
anche il Baden-Wurttemberg, una delle regioni leader della
Comunita' Europea. Considerazioni di segno analogo possono
poi essere sviluppate anche per quanto riguarda le tendenze
del mercato del lavoro [4].
Non si e' invece in grado di utilizzare un'analoga base di
informazioni regionali per le tendenze della qualificazione
delle forze di lavoro. Nonostante cio', alcuni elementi
comparativi a livello nazionale possono essere trasferiti
senza grandi errori al contesto locale [10]:-nel 1991 il
grado di scolarizzazione della popolazione italiana era molto
inferiore rispetto a quello prevalente negli altri Paesi
europei; -la quota dei diplomati della scuola secondaria
inferiore sul totale della popolazione tra i 25 e i 64 anni
era nel 1991 pari al 12% in Spagna, al 22% in Italia, al 35%
in Francia e a ben il 60% in Germania;-la quota di chi aveva
ricevuto un'istruzione superiore universitaria e non
universitaria era del 6% nel nostro Paese, del 10% in Spagna,
del 15% in Francia e del 22% in Germania.
Al di la' delle sempre necessarie cautele quando si
confrontino informazioni relative a sistemi scolastici cosi'
differenti, questi dati indicano che la situazione del nostro
Paese era all'inizio degli anni Novanta del tutto anomala nel
consesso europeo.La posizione della Lombardia e'
sostanzialmente allineata a quella italiana e anzi
l'incidenza dei laureati e' significativamente minore che nel
resto del Paese [5].
Se a questi dati aggiungiamo la scarsa incidenza del sistema
professionale regionale, almeno nella sua parte piu'
istituzionale, sui livelli alti di qualificazione, siamo in
presenza di una situazione apparentemente contraddittoria: le
migliori performance economiche si sarebbero ottenute nelle
realta' territoriali piu' povere di risorse umane
qualificate.
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE MEDIE IMPRESE LOMBARDE
Le indagini empiriche effettuate negli ultimi anni lo
confermano: in Italia la formazione professionale nelle
imprese tende a essere di natura reattiva - relazionata cioe'
alle puntuali esigenze indotte dall'introduzione di nuove
macchine, alla riorganizzazione del ciclo produttivo e alla
messa a regime di nuove procedure organizzative [7,6,2,].
Con una formula molto accattivante, questa modalita' di
adeguamento dello stock di competenze professionali e' stata
chiamata lean training [9,1], un modello di formazione
professionale volto a contenere i costi monetari degli
interventi e il rischio di esiti formativi non funzionali
alle esigenze tecnico-organizzative delle imprese.Piu'
specificatamente, dallo studio di casi effettuato [6] sono
emersi alcuni elementi comuni che possono cosi' esser
sintetizzati:
-Organizzazione ad hoc degli interventi
strategici.Le decisioni piu' rilevanti sono di norma assunte ai massimi
livelli dell'impresa mentre quelle di minore spessore vengono
determinate nelle specifiche unita' di produzione (reparti,
uffici, team). La relativa informalita' non esclude la
capacita' di affrontare complessi momenti di riadeguamento
delle competenze interne ma piuttosto testimonia la volonta'
di non cristallizzare queste attivita' in un logica di
routine.
-Progettazione degli interventi formativi
utilizzando un mix di risorse interne ed esterne; forte
integrazione tra apprendimento teorico e applicazione
operativa.
Riportiamo di seguito alcune modalita' stilizzate di
organizzazione degli interventi formativi, che comunque non
possono dare pienamente conto della vasta gamma di soluzioni
adottate nelle imprese esaminate:
--nei progetti che coinvolgono una larga minoranza di dipendenti e' diffuso un
modello "a cascata".
Inizialmente un nucleo ristretto di dipendenti e' coinvolto
nel progetto con un impegno di lavoro rilevante e interventi
di formazione approfonditi; successivamente questi si fanno
promotori di un processo di diffusione del know-how tecnico e
organizzativo che assume di norma modalita' piu' informali.
Un esempio tipico e' quello dei progetti finalizzati
all'adeguamento delle competenze in occasione
dell'introduzione di sistemi di certificazione della
qualita'.
Ad esempio, in una delle imprese esaminate l'introduzione di
un sistema di qualita' aziendale ha comportato, oltre a una
rilevante spesa per l'acquisizione di beni strumentali,
software e consulenze specialistiche, l'attivazione di un
gruppo di lavoro di undici dipendenti qualificati
comprendenti un ingegnere e sei periti industriali.
A questo nucleo iniziale fortemente coinvolto nella
predisposizione e avvio del sistema e' subentrato, in una
fase successiva del progetto, un gruppo piu' numeroso di
ventinove persone coinvolte a vario grado in attivita'
formative specifiche con l'utilizzo di docenti esterni.
Moduli di formazione interna di durata contenuta sono poi
stati estesi a tutto il personale operaio per illustrare le
nuove modalita' di produzione;
--in progetti che nascono dall'esigenza di ridefinire le competenze di un ufficio o di
un reparto di produzione vengono di norma organizzati dei
corsi di formazione di durata media in collaborazione con
societa' esterne o singoli consulenti e in alcuni casi
cofinanziati dalla Regione attraverso il Fondo Sociale
Europeo.
Questi interventi tendono a essere maggiormente strutturati
in senso scolastico in quanto devono aggiornare le competenze
di base dei dipendenti integrandole con il loro patrimonio di
esperienza operativa. Un esempio puo' fornire le dimensioni
tipiche di questi tipi di interventi: a seguito dello
sviluppo della produzione di macchine speciali con specifico
adattamento alle esigenze di impiego del singolo cliente e'
stato organizzato un corso che ha interessato quattordici
operai con l'obiettivo di insegnare l'utilizzo dei nuovi
metodi di lavorazione su macchine utensili e centri di lavoro
ad automazione flessibile.
Il progetto, finanziato dal Fse, prevedeva complessivamente
550 ore di apprendimento tecnico e di addestramento pratico
per ogni partecipante;
--in progetti di minore entita' quantitativa spesso il ruolo di agenti attivi
dell'innovazione viene affidato a giovani neoassunti
opportunamente formati sulle problematiche tecniche
rilevanti. Ma nei casi studiati le soluzioni adottate possono
assumere contorni piu' sfumati.
Un esempio di un percorso di adeguamento delle competenze
professionali piuttosto articolato e' il seguente: in una
delle imprese esaminate, a seguito della decisione di
estendere le competenze nell'area della progettazione
assistita dal calcolatore, veniva assunto uno specialista di
Cad tridimensionale che provvedeva a formare in azienda tre
giovani tecnici diplomati con un intervento durato cinque
mesi; successivamente uno di questi giovani seguiva, per
consolidare la formazione ricevuta, un corso esterno di
specializzazione in modellistica solida.
In questo e altri casi non si pone pertanto una precisa
alternativa tra l'assunzione di personale gia' qualificato,
la formazione interna o quella esterna ma piuttosto tutti
questi strumenti vengono utilizzati in fasi diverse per lo
sviluppo delle competenze aziendali.
-Selettivita' della formazione professionale.
Gli interventi formativi riguardano essenzialmente la fascia
dei dirigenti, quadri, tecnici, capi-operai e, in misura meno
diffusa, degli operai specializzati.
In nessun caso si sono osservati interventi significativi per
gli operai comuni.
-Prevalenza della formazione professionale "tecnica".
In parte si tratta di un elemento che discende dalle
specificita' delle imprese analizzate, in cui gli elementi
tecnologici e organizzativi assumono un rilievo particolare.
Ma sembra di poter riconoscere un elemento differente in
questa focalizzazione della formazione professionale: la
socializzazione alla cultura d'impresa e la connessa
costruzione di rapporti di lungo periodo e' un elemento
centrale per il mantenimento dei vantaggi competitivi
aziendali e pertanto non viene demandata a interventi
formativi esterni ma viene affrontata attraverso una gamma
diversificata di politiche di gestione del personale
qualificato.
-Selezione dell'offerta formativa.
Le imprese destinano risorse reali alla ricerca di partner
affidabili anche nel campo della formazione professionale. In
questo settore e' sicuramente carente il ruolo della Regione
che dovrebbe operare per rendere maggiormente trasparente un
mercato in cui, per la scarsita' di barriere all'entrata, la
qualita' dell'offerta non e' sempre garantita.-Diffusione
della formazione sul lavoro.
L'addestramento mediante affiancamento e' il modello
tradizionale di sviluppo professionale degli operai
qualificati nelle imprese meccaniche lombarde ma la
formazione sul lavoro interessa molte altre figure
professionali che devono integrare l'istruzione generale con
le specifiche modalita' operative dell'impresa. L'aspetto
forse piu' da sottolineare e' la stretta interrelazione tra
momenti teorici e applicativi che suggerisce l'esistenza di
una sorta di continuum tra la formazione professionale di
tipo formalizzata e il training on-the-job.
-Ruolo rilevante dell'autoformazione.
L'autoformazione puo' essere effettuata in orario di lavoro -
a titolo d'esempio e' relativamente diffuso
l'autoapprendimento dei manuali tecnici - ma anche al di
fuori, frequentando ad esempio corsi serali.Come si vede, il
modello di lean training che caratterizza le imprese
meccaniche esaminate implica una notevole flessibilita' nei
livelli e modalita' di erogazione della formazione
professionale unita a una sostanziale selettivita' degli
interventi che vengono dimensionati sulle esigenze dei
dipendenti qualificati.
Questa flessibilita' viene facilitata dalla sostanziale
mancanza di contrattazione a livello collettivo degli impegni
formativi anche in imprese caratterizzate da buone relazioni
sindacali. Mentre non vi sono motivi per ritenere che la
formazione professionale non possa divenire un elemento
significativo dell'azione rivendicativa, e' verosimile
argomentare che le organizzazioni dei lavoratori tendano a
favorire modelli di adeguamento delle competenze poco
selettivi e in qualche misura eccedenti le puntuali esigenze
aziendali e pertanto, nelle condizioni attuali e in assenza
di una forte pressione, questa tematica rimane al margine
della contrattazione collettiva.Un elemento ulteriore che
permette il buon funzionamento del sistema e' l'esistenza di
un'offerta formativa specifica di qualita'.
Come ben illustrato da Asher Colombo e Ida Regalia [2], in
Lombardia non mancano le istituzioni che garantiscono
un'offerta adeguata alle esigenze del sistema economico,
semmai e' carente una informazione puntuale sugli snodi del
sistema formativo che faciliti le scelte delle imprese. Le
politiche di gestionedel personale Il modello del lean
training presenta degli effettivi vantaggi in termini di
costi e flessibilita' ma indubbiamente a priori non
garantisce un "ampio serbatoio di competenze, che puo' essere
sovrabbondante nell'immediato ma che costituisce una risorsa
a cui attingere per l'innovazione" e rischia "di produrre dei
veri e propri Ècolli di bottigliai che restringono il
ventaglio delle scelte per le imprese che intendono innovare"
[9].
Le soluzioni adottate dalle medie imprese lombarde per
fronteggiare questo rischio si basano sulla creazione di
rapporti di lungo periodo caratterizzati da un elevato
impegno di lavoro delle risorse umane qualificate nonche' da
una significativa flessibilita' nellierogazione della
prestazione lavorativa. L'emergere di questi orientamenti
sembra dipendere dall'esigenza di salvaguardare le competenze
distintive dell'impresa che sono originate in buona misura da
investimenti in capitale umano condivisi con i lavoratori.
Come e' noto, quando un investimento in capitale umano e'
specifico all'impresa genera un flusso di benefici potenziali
che verrebbe annullato ove si interrompesse il rapporto di
lavoro: questo elemento crea un interesse comune a
consolidare una relazione di lungo periodo che permetta di
recuperare la rendita generata dall'investimento.
Quando a questo elemento si aggiunga la relativa scarsita'
dell'offerta di lavoro in possesso di un adeguato titolo di
studio, si e' portati a ritenere che, dal punto di vista
dell'impresa, l'efficacia di un investimento in formazione
dipenda crucialmente dalla possibilita' di limitare le
separazioni unilaterali sollecitando al medesimo tempo un
impegno di lavoro quantitativamente rilevante e flessibile
con il minimo di risorse destinate al controllo delle
prestazioni di lavoro.I dipendenti - come emerge nelle
testimonianze raccolte nei casi di studio e con maggior
sistematicita' in una recente rilevazione sugli atteggiamenti
dei lavoratori metalmeccanici lombardi [8] - dal canto loro
annettono una grande importanza alla stabilita' del posto di
lavoro e in molti casi sono disponibili a una erogazione
flessibile dello sforzo di lavoro.
La trasformazione di quest'area di potenziale collaborazione
in una realta' operativa viene perseguita dalle imprese
mediante una pluralita' di politiche del personale;
rimandando al citato lavoro per una discussione piu'
articolata [6], in questa sede ci limitamo a elencarne gli
elementi principali.
-Selezione all'ingresso.
Le politiche di assunzione sembrano essere mirate alla
selezione di lavoratori disponibili a integrarsi nella
cultura aziendale. In linea di massima questo richiede una
disponibilita' ad accettare lo scambio tra retribuzione e
impegno sul lavoro tipico delle realta' produttive
analizzate. Quest'ultimo puo' assumere forme diverse ma in
generale si riferisce a elementi quali la disponibilita' ad
assumersi la responsabilita' per i risultati ottenuti, la
disponibilita' agli straordinari e ad altre forme di
flessibilita' della prestazione lavorativa, la disponibilita'
a collaborare con altri dipendenti.
La selezione all'ingresso assume forme diverse a seconda
della tipologia dell'impresa e della sua localizzazione: in
particolare nelle imprese localizzate fuori dall'area
milanese viene sottolineato il ruolo delle culture del lavoro
locali come fattori di garanzia nella selezione dei neo-
assunti; in quelle in cui il lavoro assume una dimensione
"professionale" viene valutato maggiormente il profilo
curriculare e si fa largo utilizzo dei contratti di
formazione e lavoro, uno strumento contrattuale che permette
di testare estensivamente caratteristiche dei neo-assunti
difficilmente verificabili a priori.
-Politiche di incentivazione.
I sistemi di incentivazione sono molto diffusi e presentano
differenti connotazioni, in quanto definiti puntualmente
rispetto alle caratteristiche produttive delle imprese e
all'osservabilita' di correlati empirici della produttivita'
individuale o di gruppo. In alcuni casi le politiche di
incentivazione sono state contrattate collettivamente, in
altri contrattate in modo informale con gruppi di dipendenti
o con i singoli.
Dagli studi di casi sembrerebbe di poter dire che non
sussiste una chiara preferenza per gli incentivi individuali
o per quelli di gruppo ma che le scelte effettuate sono
determinate essenzialmente dalle condizioni tecniche di
osservabilita' dell'output individuale.
-Politiche di "reputazione".
Se lo sviluppo di rapporti di collaborazione ha un valore
strategico per l'impresa, allora sara' per lei conveniente
sviluppare delle politiche che forniscano ai dipendenti
segnali credibili circa la propria volonta' di non agire
opportunisticamente nel futuro.
Senza la pretesa di esaurire un argomento cosi' controverso,
si puo' notare che nelle imprese esaminate sono diffuse
alcune politiche coerenti con il perseguimento del
consolidamento di una reputazione di "buon datore di lavoro":
-"correttezza" nella gestione dell'impresa e nei rapporti con
le rappresentanze dei lavoratori. Questo dato emerge con una
certa uniformita' nelle interviste con i delegati aziendali;
-ricorso del tutto marginale alla Cassa Integrazione Guadagni
anche in situazioni di riduzione dell'attivita' produttiva;
--politiche molto puntuali di rinnovo dello stock di beni
strumentali;
--significativo impegno degli imprenditori nella
conduzione dell'impresa.
Complessivamente dalle evidenze disponibili si puo'
concludere che l'ampia gamma di politiche di gestione delle
risorse umane sembra ottenere ritorni apprezzabili per le
imprese, concorrendo a contenere i rischi di mobilita'
esterna non voluta e a motivare il personale.
Bibliografia
[1]-R. Bahnmuller, Baden-Wurttemberg: il sistema duale di
fronte alla crisi, Impresa & Stato, 1995.[2]-A. Colombo, I.
Regalia, Lombardia: selettivita' e reattivita' degli
interventi formativi, Ires Lombardia, Milano, 1994.[3]-
Eurostat, Regional data base: Regio, Eurostat - Regional
Statistics and Accounts, 1993.[4]-G. Gay, La dinamica del
mercato del lavoro in quattro regioni europee negli anni i80,
in Rapporto Irer i91-i92, Irer, 1993.[5]-G. Gay, L'evoluzione
del mercato del lavoro dei laureati in Lombardia negli anni
'80, in Il diritto allo studio nel sistema universitario
lombardo, Rapporto i92, Franco Angeli, 1993.[6]-G. Gay, A.
Riva, Lo sviluppo delle risorse umane nell'industria
meccanica. Uno studio di casi sulle medie imprese in
Lombardia, Franco Angeli, Milano, 1994.[7]-Isfol, Formazione
professionale contrattata e politiche delle risorse umane,
Franco Angeli, Milano, 1990.[8]-Fiom Cgil Lombardia, I valori
dei metalmeccanici lombardi, Edizioni Meta, Milano, 1993.[9]-
M. Regini, Domanda di risorse umane e istituzioni formative,
Impresa & Stato, 1995.[10]-P. Trivellato, La scuola reale:
questioni critiche e condizioni per cambiare, Quaderni di
sociologia, (6): 5-25, 1993.