Impresa
& Stato n°48
NUOVE PROSPETTIVE MONETARIE
E FINANZIARIE
Punti strategici
per le imprese nell’ambiente “Euro”: definire una “visione futura”, sfruttare
il periodo di transizione per cogliere opportunità e fronteggiare
minacce.
di
MARIO
TALAMONA
E'
abbastanza noto che il passaggio alla moneta unica nell’Europa degli Undici,
il 1° gennaio 1999, con una fase di transizione che durerà fino
agli inizi del 2002, comporta una sfida per molti aspetti senza precedenti.
In generale, la moneta unica costituisce il coronamento del mercato unico
interno europeo e, per questa sola ragione, implica un innalzamento della
posta in gioco, ma anche un corrispondente aumento dei rischi per le economie
che vi partecipano. Soprattutto sotto il profilo della concorrenza e dell’efficienza
produttiva, l’Euro corrisponde a prospettive di possibili e rilevanti vantaggi,
ma anche a rischi derivanti dalla eventuale incapacità di sostenere
una adeguata competitività di tutti i soggetti, privati e pubblici,
partecipanti alle nuove dimensioni del mercato europeo.
Dal punto di vista macroeconomico,
la moneta unica significa ovviamente l’eliminazione dei rischi di cambio
connessi con i rapporti economici interni alla “euro-zona”, una maggiore
trasparenza nelle condizioni di domanda e offerta sui mercati di beni e
servizi, prodotti e fattori della produzione, e quindi condizioni concorrenziali
più accentuate. D’altra parte, la moneta unica, l’Euro, avrà
il suo presidio in un’unica Banca Centrale, la B.C.E., vertice a sua volta
di un Sistema Europeo di Banche Centrali che comporterà naturalmente
un’unica politica monetaria per l’intera Unione a 11.
LA FORZA DELL'EURO
Uno dei problemi aperti
sarà naturalmente quello della “forza relativa” dell’Euro rispetto
alle altre valute, a cominciare dal dollaro ma senza dimenticare del tutto
lo yen. Poiché la missione della B.C.E. corrisponde all’obiettivo
della stabilità monetaria e del minimo tasso possibile di inflazione,
qualcuno già pronostica alla moneta unica europea un avvenire di
tutto riguardo con prospettive di tassi di interesse permanentemente bassi,
ma addirittura col “pericolo” che l’Euro finisca per essere anche “troppo
forte”, con eventuale pregiudizio della competitività complessiva
dei prodotti europei rispetto ai concorrenti esterni.
Resta comunque il fatto
che un’unica politica monetaria per l’intera area dell’Euro corrisponderà
necessariamente a un elemento di uniformità e, in questo senso,
di rigidità per l’economia europea nel suo complesso. Non potranno
essere rilevanti, ai fini della politica monetaria, condizioni congiunturali,
strutturali, settoriali o “regionali” eventualmente tali da richiedere
specifici aggiustamenti della stessa politica monetaria, secondo le precedenti
esperienze delle diverse Banche Centrali nazionali. Poiché l’Europa
della moneta unica e del mercato unico (con una politica monetaria unica)
resta tuttavia caratterizzata da profonde differenze strutturali, fra l’altro,
nei livelli di produttività e quindi nella competitività,
sarà indispensabile che le diverse economie nazionali o, forse,
soprattutto “regionali” ricerchino sufficienti gradi di flessibilità
al di fuori dei margini precedentemente consentiti dalle manovre e dagli
aggiustamenti monetari.
In altri termini, così
come viene meno la variabile del tasso di cambio, la tendenziale uniformità
dei tassi di interesse - suscettibili di variazione soltanto in funzione
del “rischio emittente” (si tratti di stati, regioni, comuni o, naturalmente,
imprese) - costituisce una grande opportunità di lungo periodo in
condizioni di inflazione molto bassa o nulla, ma implica anche un minor
grado di flessibilità competitiva per le singole parti del sistema
europeo. Da questa premessa si può facilmente arguire che, sotto
la sferza della concorrenza e per far fronte alle esigenze di competitività
in condizioni di rapido cambiamento, le singole economie saranno necessariamente
spinte, volenti o nolenti, a ricercare l’indispensabile flessibilità
produttiva là dove questa rimane possibile, nonostante le difficoltà
di carattere politico e sociale.
Questo significa guardare
in direzione dei mercati dei fattori della produzione, essenzialmente a
quelli del lavoro e del capitale. Per queste ragioni, guardando al passaggio
all’Euro e, più in generale, ai meccanismi competitivi impliciti
nel mercato unico, secondo le prescrizioni dei trattati di Maastricht e
di Amsterdam, non pochi osservatori hanno individuato come assolutamente
probabile l’affermarsi di tendenze volte, in un certo senso, al superamento
non soltanto e ovviamente del “modello italiano”, ma anche e soprattutto
dello stesso “modello renano” (cioè tedesco) di economia sociale
di mercato con ampi interventi pubblici e garanzie sociali radicate e robuste.
IL MODELLO ANGLOSASSONE
Per
quanto riguarda il mercato del lavoro si tratta di realizzare condizioni
di flessibilità corrispondenti, se non all’esperienza degli Stati
Uniti, almeno a quella degli stessi Paesi europei che (dall’Irlanda alla
Spagna, dall’Olanda al Regno Unito) per questa via hanno realizzato, anche
in vista della moneta unica, i maggiori progressi nel tasso di crescita
dell’economia e nella riduzione della disoccupazione. Un tema centrale
resta naturalmente quello del welfare-state e soprattutto dei trattamenti
previdenziali e pensionistici.
Una
analoga spinta verso la crescente affermazione di una sorta di “modello
anglosassone” dovrebbe realizzarsi anche per quanto attiene specificatamente
al mercato dei capitali, in conseguenza della formazione in questo settore
di un unico mercato finanziario europeo con la caratteristica di un maggior
ricorso, da parte delle imprese, al capitale di rischio, a nuovi prodotti
e servizi finanziari, soprattutto alla ricerca di mezzi in condizioni di
concorrenza. Una tendenza, quest’ultima, che dovrebbe a sua volta accentuare
le trasformazioni del sistema finanziario e creditizio, da un lato, ma
anche accelerare, dall’altro, i cambiamenti nella struttura proprietaria
delle imprese, attraverso un graduale passaggio di molte fra esse da assetti
individuali o familiari ai diversi livelli delle società di capitale.
Tutto questo con un generale spostamento verso comportamenti e strategie
orientati alla “creazione di valore” per gli azionisti, pur con qualche
rischio per le prospettive delle imprese stesse a più lungo termine,
dal punto di vista della loro crescita.
Si
tratta, peraltro, di ipotesi su tendenze effettivamente implicite nella
logica della moneta unica (e del mercato unico), coerenti con le impostazioni
derivanti dalla “costituzione economica” europea (quella che promana dai
Trattati europei), ispirata nettamente a favore dell’iniziativa privata
e soprattutto della concorrenza, sotto il vincolo di un minimo di solidarietà
sociale. Naturalmente, non può escludersi qualche scostamento eventuale
da questi principi e da queste tendenze, soprattutto se la nuova configurazione
politica della maggior parte dei governi europei attuali - diversa da quella
degli ispiratori dei Trattati di Maastricht - dovesse più vigorosamente
incidere nel senso di qualche “reinterpretazione” dei Trattati medesimi
e, per esempio, di un “controllo politico” delle scelte monetarie affidate
alla Banca Centrale Europea.
Su
questo sfondo e con queste prospettive di larga massima, proprio perché
la moneta unica comporterà, al tempo stesso, maggiori opportunità
e maggiori rischi, è chiaro che le imprese debbono prepararsi, in
maniera non soltanto accurata, ma agguerrita, a un quadro di operatività
che sarà profondamente influenzato in tutti i suoi aspetti.
Specialmente
con riguardo alla fase di transizione fra il 1° gennaio (anzi il 4
gennaio, lunedì) 1999 e l’inizio del 2002, quando cesserà
la circolazione delle monete nazionali, le imprese dovrebbero definire
i seguenti punti strategici: 1) la loro “visione futura” sul modo in cui
riterranno di operare in un ambiente di moneta unica europea; 2) le opportunità
e le minacce che si prospettano, rispettivamente, per ciascuna delle loro
linee di attività e in riferimento ai diversi Paesi, per quel che
concerne mercati di sbocco e/o concorrenti all’importazione; 3) il modo
in cui sapranno utilizzare la fase di transizione sia per cogliere nuove
opportunità, sia per fronteggiare nuove minacce.
Tutto
questo riguarderà soprattutto, verosimilmente, i problemi di marketing
e di fissazione dei prezzi, i sistemi informatici e le comunicazioni (compreso
il “linguaggio” della comunicazione commerciale, tecnica e finanziaria
nell’Europa della moneta unica), la finanza e la contabilità, le
attività di tesoreria e i rapporti con le banche, le questioni legali
soprattutto per quel che concerne i contratti. Si tratta essenzialmente,
in via immediata e concreta, di avere piena consapevolezza della crescente
necessità di prepararsi ad operare in Euro, anziché in Lire
e in altre valute, nel caso di rilevanti rapporti con l’estero, che diviene
parte soltanto del mercato unico interno europeo.
Il
grado di urgenza può naturalmente variare a seconda dei casi, a
cominciare dalle banche, che devono essere necessariamente pronte per l’Euro
a partire dal 1° gennaio 1999. Ma si tratta, in generale, di adattare
alle nuove prospettive - fra l’altro, piani di comunicazione e di formazione
del personale, di adeguamento dei prezzi e delle strategie di marketing
- preparando il passaggio dei conti e della contabilità all’Euro.
La transizione alla moneta unica costituisce infatti un evento di grandissima
importanza non soltanto per le banche, per i servizi finanziari e per gli
operatori commerciali, ma per tutte le imprese di ogni tipo. L’obiettivo
impone di utilizzare la transizione per migliorare la capacità delle
imprese di diventare maggiormente competitive e quindi più redditizie.
Per tutte le imprese, grandi o piccole, raccogliere la sfida significa
decidere di valutare da subito in maniera approfondita l’impatto dell’Euro
su tutte le attività.
Con
gradi diversi di tempestività e di approfondimento, le grandi imprese
si sono in generale poste almeno parte degli interrogativi fondamentali
concernenti il loro futuro con la moneta unica, nell’ambito del mercato
unico.
Le
difficoltà maggiori riguardano di sicuro le P.M.I., che forse non
hanno ancora potuto o saputo valutare fino in fondo l’importanza della
posta in gioco. Che però le coinvolge in primissima linea e che
richiede pertanto uno sforzo, anche associativo e di sistema, inteso a
metterle rapidamente nelle condizioni migliori per adeguarsi alla irreversibile
sfida competitiva implicita nel passaggio all’Euro.
  
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