Impresa
& Stato n°48
L'ITALIA NEL NUOVO CONTESTO
COMPETITIVO EUROPEO
Il tema dello
sviluppo deve esser posto con forza, in modo che il nostro Paese sia in
grado di cogliere le opportunità che l'Euro offre.
di
CARLO
SECCHI
Gli
imminenti sviluppi dell'Unione Europea (UE) con l'attuazione dell'Unione
economica e monetaria (UEM) dal 1° gennaio 1999 genereranno in tutti
i sistemi nazionali un duplice trade off, rispetto all'esigenza di continuare
a garantire un certo margine operativo per le politiche economiche nazionali
per interventi anticiclici, alla luce di: - una politica monetaria centralizzata
e improntata alla stabilità dei prezzi, e una disciplina di bilancio
imposta dal Patto di Crescita e Stabilità; - l'esigenza di preservare
la competitività nazionale e locale a fronte della aumentata concorrenza
nel mercato interno. La prima questione riguarda l'impossibilità
di finanziare gli interventi di spesa per la politica economica attraverso
l'indebitamento, mentre il secondo tema implica che tale margine operativo
non può certo essere creato attraverso un aumento della pressione
fiscale, per non mettere a rischio la competitività dei sistemi
nazionali e locali. Per uscire da questa situazione di apparente impasse
occorre allora impostare una politica economica basata sui seguenti elementi:
- azioni di consolidamento e ristrutturazione della spesa corrente, al
fine di ridurla e di aumentarne l'efficienza; - progressiva ma decisa riduzione
della pressione fiscale sulle imprese per stimolare gli investimenti; -
attuazione di politiche dell'offerta in grado di generare economie esterne
che stimolino lo sviluppo economico. Questa ricetta di politica economica,
oltre ad essere l'unica compatibile con i vincoli che verranno progressivamente
imposti ai sistemi economici nazionali dalla partecipazione alla moneta
unica, è in grado di generare un ciclo virtuoso di crescita, e dunque
di creazione di occupazione, attraverso lo stimolo dato agli investimenti
privati e alla competitività delle imprese. In particolare, la messa
a punto di politiche dal lato dell'offerta che generino economie esterne
favorevoli allo sviluppo delle imprese risulta cruciale per preservare
e migliorare la competitività a livello europeo. Oltre alla predisposizione
di un quadro regolamentare che privilegi la semplificazione e la celerità
evitando ogni appesantimento burocratico, si sottolinea l'importanza dei
seguenti elementi. Infrastrutture: il Libro Bianco di Jacques Delors del
1993 indicava lo sviluppo infrastrutturale come una delle vie per raggiungere
obiettivi di crescita, competitività e occupazione. Migliori infrastrutture
implicano non solo minori costi operativi per le imprese, ma anche maggiori
possibilità di scambio di informazioni per diffondere i modelli
di successo e stimolare la concorrenza e l'efficienza. Tuttavia, il processo
di risanamento finanziario in vista della creazione dell'Euro ha portato
molti Stati membri a ritardare la realizzazione dei "progetti prioritari"
per lo sviluppo infrastrutturale. Una soluzione a questo problema passa
attraverso la mobilitazione di forme innovative di gestione e finanziamento,
in cui la componente pubblica viene affiancata da quella privata (project
financing). Ricerca e Sviluppo - Tecnologia: occorre prendere atto del
fatto che i vantaggi competitivi del "sistema Europa" si sono progressivamente
spostati da settori "tradizionali" a settori ad alto valore aggiunto (informatica,
telecomunicazioni, alta tecnologia), in cui la ricerca e lo sviluppo tecnologici
sono un fattore di successo cruciale. L'UE è attualmente all'avanguardia
come qualità della ricerca di base, ma in termini di brevetti depositati
e ricadute economiche per le imprese è dietro a Stati Uniti e Giappone.
Si deve quindi abbandonare la tendenza a privilegiare la ricerca disciplinare
su tecnologie generiche, a favore di approcci più concreti che coinvolgano
maggiormente le imprese. Investimenti in capitale umano: la salvaguardia
della competitività del "sistema Europa" passa soprattutto attraverso
uno sviluppo adeguato del capitale umano, che costituisce il principale
vantaggio competitivo nell'economia globalizzata. La formazione e la qualificazione
dei lavoratori consente in primo luogo di sfruttare in maniera efficiente
nuove e sempre più sofisticate tecniche produttive, mentre il sostegno
alla ricerca permette all'UE di mantenere un margine competitivo rispetto
ai principali concorrenti. In questo campo, l'Unione deve avere un approccio
flessibile al problema, evitando una gestione centralizzata e dirigistica
dei fondi destinati alla formazione del capitale umano, privilegiando al
contrario forme di sussidiarietà che possano tenere conto delle
caratteristiche o specializzazioni dei sistemi locali, e la valorizzazione
di ogni risorsa, anche privata. A tale proposito si può notare quanto
sia antistorico e ben lontano dai veri interessi del Paese il dibattito
in Italia sul finanziamento della scuola e della formazione non statali.
Infatti occorrerebbe trovare le modalità più idonee per mobilitare
ogni risorsa disponibile a tali fini, piuttosto che contrapporre barriere
ideologiche (per coprire interessi di parte) con il risultato di un impoverimento
generale del nostro Paese.
IL NUOVO CONTESTO
Se l'area dell'Euro sarà
caratterizzata, come si è detto, da un aumento del grado di concorrenza
non solo tra operatori economici, ma anche tra "sistemi Paese" e "sistemi
locali", il problema di fondo che si pone per L'Italia è quello
di affrontare la nuova realtà dopo un processo di risanamento finanziario
che ha avuto pesanti riflessi sulle imprese e sulla domanda interna per
l'uso non certo lieve che è stato fatto dello strumento tributario,
oltre che di trovarsi con i propri cronici problemi, nella migliore delle
ipotesi, allo stesso punto in cui sono stati accantonati. Il perdurare
di ampie zone territoriali arretrate, la generale carenza di infrastrutture,
la debolezza del sistema finanziario, l'inefficienza della Pubblica Amministrazione
e del sistema (lato sensu) dei servizi di pubblica utilità sono
fattori che appesantiscono le potenzialità competitive del "sistema
Italia", le cui imprese si troveranno a dover fronteggiare sia sul mercato
nazionale che su quello europeo una crescente concorrenza senza più
la valvola di sfogo della svalutazione e dell'inflazione. Quante saranno
in grado di aver successo nella non-price competition che caratterizzerà
in modo strutturale e permanente il mercato europeo, dati i fattori negativi
menzionati? Da un punto di vista strettamente macroeconomico, si impone
il tema dello sviluppo con quello speculare di attuare riforme di ampia
portata, soprattutto sul fronte della spesa pubblica, per riuscire ad un
tempo a liberare risorse per la crescita e l'occupazione (anche attraverso
una riduzione del carico tributario) e a garantire la sostenibilità
dell'equilibrio della finanza pubblica come richiesto dal Patto di Crescita
e Stabilità. Il nostro Paese inoltre, rispetto ad altri, è
gravato dal vincolo aggiuntivo del rientro dal debito pubblico. A fronte
di tale esigenza, occorre segnalare l'inderogabile urgenza di accelerare
le privatizzazioni che, oltre ad essere in primo luogo funzionali a rivitalizzare
il mercato, contribuiscono anche alla diminuzione dello stock di debito
pubblico. In generale, se L'Italia non riuscirà ad imboccare una
linea di politica economica simile a quella sopra descritta, l'alternativa
non potrà che essere un progressivo indebolimento e impoverimento
del sistema Paese, a causa del mantenimento del complesso di privilegi
e di rendite che ha fatto intravedere nell'inasprimento della pressione
fiscale l'unica strada per un rapido risanamento finanziario, al fine di
poter soddisfare i parametri di convergenza. Tale prospettiva è
particolarmente preoccupante, in quanto i suoi effetti negativi si farebbero
sentire con gradualità (quindi, senza suscitare ampie reazioni immediate),
mentre darebbe l'illusione di poter mantenere il consenso, quindi di essere
politicamente vincente. Da un punto di vista microeconomico, un altro aspetto
che merita attenzione nel riflettere sulla partecipazione dell'Italia all'area
dell'Euro si riferisce alla capacità di recepire gli aspetti "qualitativi"
del modello economico e sociale delineato dal Trattato di Maastricht, soprattutto
per quanto riguarda la cultura del mercato e della concorrenza, nonché
la capacità di rispettare le regole comuni. Da tale punto di vista,
L'Italia si trova ancora in una situazione abbastanza critica. In molti
ambiti cruciali (come nelle telecomunicazioni e nel settore elettrico)
il mercato e la concorrenza stentano a decollare, con penalizzazioni rispetto
alla situazione prevalente nei principali partner. Il mercato finanziario
e del credito non sembra ancora idoneo a reggere la sfida competitiva con
gli agguerriti concorrenti europei, e penalizza così lo sviluppo
delle imprese, soprattutto di piccola e media dimensione. Infine, il disegno
di legge sulle "trentacinque ore" dimostra che l'esigenza di maggiore flessibilità
e di meccanismi di mercato meglio funzionanti è lungi dall'essere
recepita, anche se il problema della flessibilità riguarda non solo
il mercato del lavoro, bensì l'intero sistema economico. Occorre
ribadire che flessibilità e competitività sono le due "parole
chiave" per mettere a fuoco le esigenze del nuovo contesto che caratterizzerà
l'area dell'Euro. Si deve riflettere con grande tempestività sulle
misure più adeguate per recuperare i margini di svantaggio, tenuto
conto del fatto che se da un lato le rigidità italiane sono ben
note, dal punto di vista della competitività la recente classifica
dell'IMD di Losanna ha assegnato il poco invidiabile trentesimo posto su
scala mondiale al "sistema Italia". Il problema della competitività
si rifletterà non solo attraverso un accentuarsi del gioco concorrenziale
tra i vari "sistemi Paese", ma riguarderà in misura marcata anche
i "sistemi locali", cioè aree omogenee sul piano territoriale (come
ad esempio i distretti industriali) che dovranno fronteggiare una ben più
elevata mobilità dei flussi economici, e quindi cercare di valorizzare
molto meglio che in passato i propri punti di forza e porre rimedio alle
proprie debolezze, al fine di evitare un impoverimento del proprio tessuto
economico e quindi dei propri livelli di benessere.
CONCLUSIONI
Nell’interesse
di lungo periodo dell’Italia sembra quindi assai importante che il tema
della competitività e dello sviluppo nell’Europa del “dopo-Euro”
venga posto con forza, anche alla luce del fatto che il tempo disponibile
per operare scelte fondamentali è veramente poco, mentre gli alibi
per rinviarle o sottacerle sono molti e facilmente spendibili. Solo così,
infatti, L’Italia sarà nelle condizioni di poter cogliere le opportunità
che l’UEM comporta.
In
aggiunta, è di fondamentale importanza che L’Italia partecipi
con maggiore attenzione e determinatezza ai processi decisionali in corso,
che riguardano alcuni ambiti da cui dipenderà l’evoluzione futura
della stessa Unione. Infatti, a parte le questioni relative all’Euro, al
mercato unico e quindi alla UEM, in questi mesi vengono messe a punto le
decisioni definitive per quanto riguarda l’allargamento verso Est e verso
Cipro, con la conseguente necessità di ristrutturare le politiche
interne, soprattutto per quanto riguarda quella agricola e gli interventi
dei fondi strutturali. Tali tematiche hanno sinora ricevuto scarsa attenzione
nel nostro Paese da parte della classe politica e dei mezzi di comunicazione.
Ciò è del tutto paradossale, sia alla luce delle ripercussioni
che ne deriveranno per L’Italia, sia tenuto conto che il nostro Paese è
un contributore netto al bilancio comunitario, e che quindi avrebbe pieno
titolo a pretendere una più incisiva difesa dei propri interessi.
In
particolare, la classe politica del nostro Paese sembra non avere assolutamente
colto la necessità di adattare il nostro assetto costituzionale
alla evoluzione in atto nell’UE, dove la progressiva cessione di sovranità
economica che l’UEM comporta rappresenta anche una spinta poderosa nella
direzione di una maggiore unità politica e di un più soddisfacente
assetto istituzionale. D’altro canto, i Trattati di Maastricht e di Amsterdam
sono un importante punto di partenza per la redazione di una vera e propria
“Costituzione europea”. Il fallimento del tentativo di riforma costituzionale
che si voleva attuare attraverso la “Commissione Bicamerale” sottolinea
in modo emblematico la scarsa consapevolezza del problema che esiste oggi
in Italia, come pure una valenza decisamente negativa rispetto ai processi
in corso e alle evoluzioni già acquisite avevano i tre scarni articoli
dedicati ai temi della partecipazione dell’Italia alla costruzione europea
nel progetto di modifica della Costituzione ormai affossato.
  
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