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Impresa & Stato n°48 

L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA FINANZIARIO ITALIANO 

di
CARLO SALVATORI
La portata e il contenuto innovativo della realtà che si va formando dipendono dalle risposte che i soggetti che partecipano al gioco sono in grado o sono interessati a fornire.

L'introduzione dell’Euro costituisce un evento di portata storica notevole ed è in qualche modo il simbolo di un processo di globalizzazione che coinvolge in misura esponenzialmente crescente le imprese europee.
L’avvio della terza fase dell’Unione Monetaria condurrà alla nascita di un mercato di quasi 300 milioni di consumatori, ma molti di più se si tiene conto delle già programmate affiliazioni (i 4 out e i paesi dell’est europeo).
L’impatto di questa nuova realtà è certamente dirompente ma va letto, come tutte le rivoluzioni sistemiche, nel senso dell’interazione tra soggetti e ambiente: la novità costituisce una occasione di sviluppo e rinnovamento per il settore finanziario europeo (e, in generale, per tutti i soggetti economici del vecchio continente). La portata e il contenuto innovativo della realtà che si va formando dipendono dalle risposte che i soggetti che partecipano al gioco sono in grado o sono interessati a fornire. 
Innanzitutto una piccola riflessione su alcune condizioni di contorno: l’attuale evoluzione dell’economia mondiale porta ulteriore evidenza all’idea che l’Euro possa nascere come moneta forte e che all’Europa possa spettare un ruolo di stabilizzazione delle prospettive macroeconomiche e di stimolo per un recupero dell’economia mondiale.
Mentre però la prima affermazione è naturale conseguenza della situazione congiunturale, la seconda presuppone anche in qualche modo una volontà veramente “comunitaria” che ancora deve manifestarsi fattivamente.
Occorre aggiungere che le recenti turbolenze nei mercati finanziari hanno evidenziato un mutamento nella percezione e nella valutazione del rischio da parte degli operatori. La conseguenza è stata un brusco calo nelle quotazioni azionarie e un ampliamento sensibile dei differenziali di rendimento richiesto in termini di merito di credito.

L’OTTICA STATICA...
Il primo modo di valutare l’impatto dell’Euro lo potremmo definire “statico”: l’introduzione della moneta unica avrà effetti positivi sul sistema bancario italiano che dovrà adeguare le proprie capacità al nuovo contesto domestico europeo dove l’accresciuta competizione spingerà necessariamente ad una maggiore efficienza.
Tutto ciò favorirà un ampliamento delle opportunità di finanziamento e di investimento. I processi di razionalizzazione delle attività e di riorganizzazione interna potranno tradursi in un contenimento dei prezzi nell’erogazione dei servizi alle imprese e in una loro più elevata qualità.
Nel breve termine l’accresciuta concorrenza si manifesterà soprattutto a livello di wholesale banking che diverrà via via più integrato in ragione delle economie di scala presenti e del venir meno delle barriere all’entrata legate all’esistenza di differenti valute. Gli istituti di grosse dimensioni dovrebbero dunque acquisire quote di mercato crescenti. 
L’impatto sarà invece più contenuto nelle attività di retail che godranno ancora dei vantaggi in termini di fidelizzazione della clientela. In ogni caso, anche se la forza della rete commerciale, e quindi la stabilità della quota di mercato, restano fattori di successo cruciali, la capacità competitiva si sostanzierà nella capacità di confrontarsi con una domanda crescente di prodotti validi per l’intera area Euro.

...LA VISIONE DINAMICA
Ma, come si sottolineava all’inizio, è importante guardare all’Euro con una prospettiva più “dinamica”. La dinamica prende avvio dalla storia, e, ripercorrendo quella del sistema finanziario italiano, si nota come questo sia in evoluzione dall’inizio degli anni ’90: dapprima la liberalizzazione dei movimenti di capitale ha consentito agli italiani l’accesso agli strumenti finanziari offerti da intermediari internazionali; poi l’applicazione della Seconda Direttiva sulle istituzioni bancarie (1992) ha permesso l’allargamento dello spettro di operatività delle banche italiane, avvicinandole al modello della banca universale; infine la liberalizzazione dei servizi finanziari (Gennaio 1993) ha consentito alle istituzioni creditizie europee di fornire servizi in tutta l’Unione. 
Negli ultimi tempi, la prospettiva dell’introduzione dell’Euro ha spinto alla crescita dimensionale dei competitors nazionali, e questo aspetto lo possiamo ricollegare alla prospettiva “statica”.
La crescita è avvenuta sostanzialmente attraverso tre canali. All’espansione delle reti di sportelli si sono affiancate infatti una sostenuta accelerazione dei fenomeni di concentrazione e un crescente ricorso da parte delle banche di minori dimensioni all’outsourcing.
Le forme di concentrazione risultano estremamente diversificate, andando dalle fusioni e incorporazioni; alle acquisizioni di pacchetti di maggioranza o di minoranza qualificata, alla costituzione di holding e strutture di partecipazione complesse, uno schema particolarmente frequente nel settore delle casse di risparmio.
Sulla spinta della necessità di realizzare investimenti in IT caratterizzati da veloce obsolescenza e costi fissi elevati, il ricorso all’outsourcing - spesso accompagnato dalla costituzione di società consortili per la fornitura di servizi - ha consentito infine alle banche di minori dimensioni di conseguire rilevanti benefici di scala, pur evitando il ricorso a forme forti di integrazione e controllo.
Un confronto tra le dimensioni dei maggiori gruppi bancari italiani rispetto ai concorrenti europei induce a ritenere che il processo di ristrutturazione del nostro sistema bancario sia destinato a proseguire nel tempo, nel tentativo di fronteggiare il calo del margine della gestione denaro attraverso un più ampio sfruttamento delle economie di scala.
Anche in riferimento al problema della rischiosità del portafoglio crediti, il ricorso a tecniche sofisticate di risk management potrà costituire una soluzione soltanto per gli istituti di maggiori dimensioni. Le banche minori - oltre a registrare difficoltà nella diversificazione dei rischi in portafoglio - difficilmente potranno ricorrere a strumenti finanziari a più elevato contenuto di sofisticazione, come i credit derivatives e/o tecniche di cartolarizzazione del passivo, considerata la dimensione più ridotta dei volumi intermediati.
Se questa è la situazione attuale, alcune delle prospettive in senso “dinamico” sono già state sottolineate, ma possono emergere con più chiarezza guardando alle modalità di sviluppo del mercato da prendere a ovvio riferimento, cioè il mercato americano. I fattori di diversità che emergono in maniera più forte rispetto al mercato europeo sono la diffusione della cartolarizzatione (securitization) e il peso delle emissioni corporate sul totale del mercato obbligazionario. 
Per entrambi gli aspetti il sistema finanziario italiano ed europeo in generale saranno sollecitati al cambiamento e, auspicabilmente, l’adattamento sarà del tipo descritto nella premessa: sarà cioè importante che il sistema finanziario sia in grado di restituire un feedback qualitativo alla nascente Unione. 
Per quanto riguarda il primo aspetto, il ricorso alla cartolarizzazione presenta due vantaggi: il primo per gli istituti finanziari, cui offre un’opportunità di ampliare la gamma delle forme di raccolta e di trasformazione di attività illiquide in strumenti commerciabili, rendendo così più agile la gestione patrimoniale; il secondo è per l’investitore, cui si consente una maggiore diversificazione degli investimenti. Ad esempio la cartolarizzazione del debito di piccole imprese del settore delle costruzioni consentirebbe di partecipare agli investimenti verso quel settore, altrimenti poco accessibile. 
Per quanto concerne invece le emissioni corporate, negli Usa lo stock di obbligazioni corporate ammontava a fine 1996 a circa il 20% del totale del mercato obbligazionario; in Italia la stessa percentuale a metà del 1998 è di circa l’1,5%, quindi lo spazio per l’espansione è notevole.
La possibilità di conferire un sostegno più qualificato all’attività di investimento delle imprese, facilitando loro il collocamento del debito presso il pubblico, passa per l’acquisizione di skills di valutazione delle prospettive imprenditoriali e settoriali di livello elevato.
Le recenti crisi finanziarie (in particolare quella dei paesi asiatici, sicuramente esacerbata da un problema di overinvestment avallato dal sistema finanziario locale e internazionale) rendono testimonianza di questa necessità, e in qualche modo costituiscono un buon bagaglio di esperienze su cui costruire questi skills.
L’assenza di un diffuso sistema di assegnazione di ratings per le imprese europee da parte di agenzie indipendenti richiama alla necessità di selezionare autonomamente la qualità delle iniziative imprenditoriali. La presenza di un sistema finanziario non in grado di assolvere a questa funzione si è dimostrata, nel contesto sempre più globale in cui siamo chiamati ad operare, marcatamente e pericolosamente prociclica. Lo sviluppo invece delle competenze sopra descritte e della capacità di valutare in modo obiettivo il merito di credito consentirebbe al sistema finanziario di giocare un ruolo fondamentale nel consentire una crescita economica equilibrata.

LE AREE DI BUSINESS
Un ulteriore aspetto che contraddistingue il mercato europeo, e quello italiano in modo ancora più evidente, è quello delle potenzialità di sviluppo dell’investimento a scopo previdenziale (anche perché sarà incentivato in modo crescente dall’operatore pubblico). Ciò rende il nostro mercato un possibile terreno di conquista per le compagnie estere che credono nelle sue potenzialità di sviluppo e nella necessità di una presenza diversificata nei paesi dell’Unione. 
Indagini recenti (cfr. Eurisko e Prometeia, Osservatorio sui risparmi delle famiglie, febbraio 1998) mostrano che le compagnie bancarie “...possiedono una struttura distributiva già predisposta per il conseguimento di ampi volumi di vendita. La crescita dei flussi di premi è legata alla graduale affermazione delle competenze assicurative del personale di sportello, oltre a derivare dalla messa a punto di prodotti competitivi”.
Sotto quest’ultimo aspetto - e considerato l’elevato contenuto finanziario che attualmente caratterizza i prodotti assicurativi - un fattore fondamentale di successo è rappresentato dalla disponibilità di skills nel campo dell’ingegneria finanziaria, che consentano di effettuare il salto di qualità dalla semplice distribuzione alla produzione in via autonoma dei prodotti e servizi offerti alla clientela.
Ancora una volta però - richiamandosi a quanto detto sopra a proposito dello sfruttamento delle economie di scala - la transizione da “supermercato” a “fabbrica” appare possibile soltanto laddove siano presenti masse elevate di fondi intermediati, che consentano agli operatori di gestire la complessità sotto il profilo delle competenze, della tecnologia, dell’acquisizione e trattamento delle informazioni.

LA NOSTRA ESPERIENZA
Per calare nel concreto quanto sopra espresso, voglio aggiungere qualcosa sull’esperienza della nostra banca e cioè sul progetto (la realtà) Banca Intesa. Pur essendo consapevoli dell’importanza della dimensione operativa, l’abbiamo considerata una condizione non sufficiente per l’efficienza e la profittabilità.
Per questo motivo all’integrazione delle diverse realtà che confluiscono in Intesa viene dedicata molta attenzione, cercando di valorizzare i business ritenuti strategici (con la creazione o la conferma di business unit separate) e di accentrare le funzioni che necessitano di una gestione coordinata, nel rispetto comunque dell’esperienza delle singole realtà. È chiaro dunque, come testimoniano le più recenti aggregazioni, che questo è un progetto aperto.  
In ultima analisi, il panorama finanziario italiano, pur partendo da posizioni di relativo ritardo rispetto ad altre realtà continentali, si sta attrezzando per essere in grado di giocare un ruolo rilevante e dinamicamente propositivo nella nuova realtà europea ormai alle porte.