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Impresa & Stato n°48 

IL SETTORE AGRICOLO PER UNA MAGGIORE COMPETITIVITÀ 

di
DUCCIO CASTELLOTTI
Le proposte di Agenda 2000 e la riforma delle politiche comunitarie, variabili importanti, oltre alle  questioni tecnico-finanziarie, nel determinare vantaggi e svantaggi della moneta unica.




L'appuntamento dell’Italia con l’Unione Economica e Monetaria (UEM) rappresenta un momento di enorme importanza per le imprese agricole nazionali. Come per tutte le imprese degli altri settori produttivi, per le varie componenti sociali, per le stesse istituzioni e i singoli cittadini, indubbiamente anche per le imprese agricole l’avvento dell’Euro determina un “impatto”.
Si è già lungamente parlato, ad esempio, di tutti gli adeguamenti necessari in termini di mentalità, formazione professionale, sistemi informativi, contabilità e bilanci, sottolineando come già solo queste voci rappresentino un ingente costo e richiedano l’adozione di una vera e propria “strategia” di pianificazione della transizione all’Euro.
È indubbio che il bilancio tra vantaggi e svantaggi dell’Euro non dipenderà solo dal livello di efficienza delle imprese e dalla loro capacità di adattamento, ma anche dalla capacità dell’intero nostro sistema istituzionale e dei servizi (già alle prese con le riforme recate dalle Leggi Bassanini e dai processi di delega di competenze agli Enti locali) di prepararsi e assestarsi in modo razionale per sostenere l’economia interna nelle competizioni cui è chiamata a livello internazionale.
L’introduzione dell’Euro, poi, dispiegherà tutta una serie di effetti che possiamo chiamare “diretti”, con vantaggi e svantaggi che dipendono da molte variabili, oggi molto difficili da stimare e prevedere.
Oltre alle variabili puramente tecnico-finanziarie (ad esempio i tassi di conversione che saranno adottati), molto dipenderà anche da altri fattori importanti che agiranno contestualmente, come le proposte di Agenda 2000 e la riforma della PAC (Politica Agricola Comunitaria).
Per le nostre imprese agricole vi sono, inoltre, altre sfide internazionali direttamente collegate a quella posta dalla moneta unica e dalla riforma della PAC.
Tra queste basti citare l’allargamento dell’Ue ai Paesi PECO (Paesi Europa Centro Orientale) e la riapertura delle trattative WTO (World Trade Organisation) sul commercio mondiale .
Si tratta di un problema globale che coinvolge aspetti politici, sociali, giuridici, economici e anche agricoli.
Comunque è prevedibile che l’Euro determinerà svantaggi immediati e vantaggi solo nel medio-lungo periodo.
L’Euro potrebbe anche rappresentare una grande occasione, a condizione di non andare a questo appuntamento disarmati ma dotati di adeguati strumenti operativi che ne minimizzino gli svantaggi e, al contrario, ne massimizzino i vantaggi, tenendo in considerazione alcuni aspetti peculiari del settore agricolo.

DALL’ECU VERDE ALL’EURO
Un primo grande problema sarà posto dalla transizione dall’ECU verde all’Euro, il cui tasso di conversione, in rapporto uno a uno, sarà fissato il prossimo 31 dicembre.
Infatti, come è noto, sia i prezzi agricoli istituzionali, sia gli aiuti comunitari, attualmente vengono decisi in ECU ma versati in moneta nazionale utilizzando un tasso di conversione agricolo Lira-ECU (la così detta “Lira verde”) che è svalutato rispetto all’ECU-contabile.
Il nuovo tasso per i Paesi aderenti all’UEM avrà un valore più vicino a quello di mercato e, per le monete come la Lira italiana che si trovano in una fase di rivalutazione, si dovrà eliminare il divario positivo.
Ciò, ovviamente, comporterà una riduzione dei prezzi istituzionali e degli aiuti al momento della conversione in moneta nazionale che avverrà ancora fino al mese di luglio del 2002.
Tale cambiamento sarà ancora più brutale per quegli aiuti che attualmente godono del così detto “gelo del tasso di conversione agricolo” (seminativi, carni, strutture e ambiente).
Nel caso dei seminativi in Italia da un tasso di 2030 Lire per un ECU, di cui ancora si beneficerà per la campagna 1998/99, si passerà ad un tasso, presumibile, di 1915-1930 Lire per un Euro. 
Per il complesso dell’agricoltura italiana, ipotizzando un tasso di cambio di 1950 Lire/Euro, nostre stime prevedono che questo “giochetto” verrebbe a costare oltre 450 miliardi di riduzione degli aiuti comunitari.
Bisogna riconoscere che, proprio per affrontare questi problemi, la Commissione europea, nella riunione del 10 giugno u.s., ha adottato formalmente le proposte relative al nuovo regime agromonetario dell’Euro e alle misure transitorie per l’introduzione dell’Euro nella PAC.
Giustamente la Commissione prevede la compensazione delle eventuali perdite nel caso in cui il valore dell’Euro risulti inferiore a quello del tasso verde in vigore a fine 1998, ma non tutti i problemi sono in questo modo risolti. 
Tali provvedimenti rappresentano la logica conseguenza dell’adozione della moneta unica il 1° gennaio 1999 da solo 11 Stati membri dell’Unione europea (i così detti Paesi IN) su 15, poiché Danimarca, Grecia, Gran Bretagna e Svezia (i così detti Paesi OUT), sia pure per motivi diversi, inizialmente resteranno fuori dall’UEM. 
Infatti, secondo tali proposte, l’ECU e il tasso di conversione agricolo specifico (o tasso verde) verrebbe soppresso per tutti (IN e OUT), ma per gli Stati membri partecipanti alla moneta unica la conversione in unità monetaria nazionale dei prezzi e degli importi comuni riferiti alla PAC verrebbe effettuata per mezzo della parità - fissa e irrevocabile - nei confronti dell’Euro che sarà stabilita il 1° gennaio 1999, mentre per gli Stati membri non partecipanti verrebbe utilizzato il tasso di cambio di mercato.
La proposta della Commissione presenta poi una incomprensibile distinzione tra misure dirette e indirette in merito alla partecipazione finanziaria degli Stati membri: viene ipotizzata la corresponsione agli agricoltori di un complemento finanziario agli aiuti diretti (come quelli per i seminativi e per le carni bovine) finanziato al 100% dai fondi comunitari, mentre per gli aiuti indiretti il pagamento compensativo sarebbe accordato solo nel caso in cui si verificasse uno scarto tra tasso verde ed Euro superiore al 2,6 % (in pratica viene introdotta una franchigia).
Inoltre per tali aiuti indiretti e per i prezzi di intervento le compensazioni non saranno obbligatorie per lo Stato membro e l’Ue finanzierà solo un importo pari all’aiuto effettivamente versato dal singolo Stato.
A queste condizioni, con gli attuali tassi, solo gli aiuti ai seminativi e alla zootecnia verrebbero compensati, mentre nessuna compensazione sarebbe accordata per gli aiuti indiretti in quanto lo scarto sarebbe inferiore al 2,6 % ma pur sempre causa di significative e insostenibili riduzioni.
Questa disparità di trattamento potrebbe non consentire all’Italia di beneficiare delle compensazioni previste.
Si aggraverebbero così gli squilibri fra i livelli di sostegno all’agricoltura mediterranea, caratterizzati soprattutto da strumenti di sostegno indiretti, e quelli alle agricolture continentali caratterizzate, invece, da sistemi di aiuto diretto.
Ma vi sono anche altri svantaggi immediati da tamponare.

L’ACCETTAZIONE DELLA COMPETITIVITÀ
La moneta unica accentuerà il confronto competitivo tra le imprese a livello internazionale, impedendo la riduzione dei prezzi in valuta estera per accrescere la penetrazione commerciale e spostando la competitività interamente sui costi di produzione che nel nostro Paese sono elevati e a cui bisogna aggiungere i problemi legati alle questioni strutturali e alla pressione fiscale e previdenziale.
Bisogna ricordare che già all’atto del rientro della Lira nello Sme e, quindi, al cambiamento della parità con l’ECU verde, le aziende agricole subirono perdite rilevanti di reddito che diedero luogo a lunghe trattative con la Commissione sulla quantità degli importi compensativi.
In generale la minore competitività riguarderà, quindi, soprattutto i settori che esportano (come, ad esempio, il vitivinicolo, l’ortofrutticolo o il florovivaistico), mentre qualche vantaggio potrebbe derivare da una minor convenienza ad importare (soprattutto per la zootecnia e il settore lattiero-caseario).
Se l’Euro sarà “forte”, c’è anche la possibilità di dover fronteggiare, almeno temporaneamente, una maggiore competitività dei Paesi OUT, soprattutto di Grecia e Danimarca, che potrebbero avere vantaggi nelle esportazioni, rispettivamente, di olio d’oliva e ortofrutta e di carni suine, latte e latticini.
Di conseguenza, assume particolare importanza la regolamentazione europea in corso di definizione soprattutto per i rapporti valutari tra Paesi IN e OUT.
In questo contesto si pone l’esigenza di una forte iniziativa nazionale a livello comunitario per apportare i correttivi necessari ad evitare una brusca e rilevante decurtazione dei redditi agricoli.

LE PRODUZIONI ITALIANE
Per le produzioni Italiane, fatto salvo il generale obiettivo di qualità, identificazione e certificazione, è comunque presumibile la necessità di distinguere quelle che assumono il carattere di commodities poco differenziate e con ampio mercato internazionale da quelle con forti connotati qualitativi (legame con il territorio, tipicità, tradizione).
Le prime saranno più fortemente influenzate dal fattore prezzo che assumerà importanza sempre crescente, imponendo adeguati interventi a sostegno di una armonizzazione dei costi di produzione a livello europeo.
Per le seconde, notevoli possibilità di competizione si possono aprire o migliorare attraverso rinnovate politiche di differenziazione, valorizzazione, tutela e promozione, nonché di riorganizzazione economico-commerciale (concentrazione del prodotto, continuità degli approvvigionamenti, ecc.).
Puntando di più sulle produzioni di qualità potremo cercare di recuperare il tempo perduto nei confronti degli altri Paesi sul terreno della specializzazione.
In generale, comunque, alla ricerca di una maggiore competitività, sia per gli effetti di riduzione dei costi di produzione attuabili con adeguate economie di scala, sia per quelli a livello di rapporti interprofessionali di filiera, è necessario puntare su una più efficiente e generalizzata Organizzazione Economica dei produttori.
Questo obiettivo è perseguibile migliorando e rinnovando forme già sperimentate, quali le Associazioni dei Produttori, le Cooperative o i Consorzi, nonché definendo nuovi assetti societari o di compartecipazione dei produttori agricoli anche per avventurarsi in fasi successive come la trasformazione e la commercializzazione.
Possiamo azzardarci a prevedere alcuni vantaggi dell’Euro a medio-lungo termine nell’abbattimento delle frontiere economiche e psicologiche agli investimenti legate ai rischi di cambio, nella maggiore trasparenza di mercato e facilità di confronto tra prezzi, tassazione ed efficienza dei singoli Paesi.
Per le imprese, se si creeranno condizioni di reale stabilità e di ulteriore riduzione dei tassi d’interesse, nonché più ampi accessi ai mercati finanziari e dei servizi internazionali, miglioreranno le condizioni di operatività sui mercati europei, si faciliteranno le transazioni e si semplificheranno le procedure per l’export e l’import.
Quindi, come già detto parlando dei prevedibili svantaggi, opportunamente attrezzate le imprese agricole italiane saranno sicuramente in grado di affrontare la sfida dell’Euro.
Per questo la Coldiretti, oltre a rivedere la propria struttura organizzativa adeguandola ai nuovi contesti operativi e a favorire il processo di organizzazione economica dei produttori, ha definito e proposto alle competenti istituzioni, attraverso i tavoli di concertazione costituiti a livello nazionale e regionale, un vero e proprio progetto di sviluppo per l’agricoltura nazionale, in grado di aumentare la competitività delle imprese, fondato sulla innovazione, la valorizzazione qualitativa delle produzioni, l’integrazione di filiera, l’armonizzazione dei costi di produzione a livello europeo e la sostenibilità ambientale.