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Impresa & Stato n°48 

EURO E IMPRESE: VISIONE OPERATIVA O STRATEGICA?

di
GUIDO BORGHESI
Il passaggio alla moneta unica non si deve ridurre a un problema di applicazione di regole di conversione, ma può essere occasione di ridefinizione delle strategie.

Nel corso degli ultimi 12 mesi - e con una decisa accelerazione a partire da maggio di quest’anno - si è assistito al moltiplicarsi delle attività di informazione e sensibilizzazione sulle problematiche inerenti l’adozione della moneta unica europea. In queste prime battute di avvio dell’Unione Economica e Monetaria, tali azioni hanno qualificato il mondo imprenditoriale come interlocutore attento, oltre che portatore delle esigenze di quei soggetti economici che si troveranno ad operare in un contesto competitivo in rapida evoluzione, con operatori che potranno effettuare scelte differenti in materia di calendario di adozione dell’Euro.
Sull’argomento, come è noto, il principio nessun obbligo nessuno divieto lascia piena libertà a cittadini e imprese - nel corso del periodo transitorio - di regolare i reciproci rapporti sulla base delle propria autonomia negoziale, con la conseguenza che alcuni operatori potranno optare per l’adozione dell’Euro già a partire dal 1° gennaio del ’99.
Le diverse attività di sensibilizzazione, promosse autonomamente dalle singole imprese o - a livello istituzionale - da Associazioni di Categoria e Camere di Commercio, sono riuscite a porre efficacemente in evidenza un buon numero di effetti “trasversali” dell’Euro, mettendone correttamente in rilievo gli impatti di medio e lungo periodo legati alla gestione d’impresa.
Infatti, sebbene a livello operativo le differenti funzioni aziendali - pur in maniera variabile - mostrino in maniera più “leggibile” gli effetti della transizione al nuovo metro monetario, non è corretto, né possibile, stralciare dall’analisi preliminare l’individuazione di possibili impatti strategici dell’Euro sulle diverse attività.
In aggiunta, le attività di informazione condotte negli ultimi mesi hanno correttamente posto l’accento sulla necessità di un approccio metodologico alla transizione con la definizione, in primo luogo, di un gruppo Euro dedicato, in ragione della potenziale complessità e pervasività degli aspetti da valutare all’interno dell’organizzazione e rispetto ai possibili scenari di riferimento. 
La maggioranza delle imprese in fase di transizione ha quindi opportunamente dato vita a tale gruppo di lavoro, come punto di partenza per la “mappatura” degli impatti dell’Euro e per la successiva definizione di un calendario complessivo di transizione (masterplan) articolato in azioni specifiche da intraprendere (taskplan): si tratta di attività fondamentali non soltanto per la corretta valutazione della tempistica di transizione della singola impresa, ma per la quantificazione delle risorse da allocare al progetto Euro.
Per quanto attiene poi alla valutazione delle diverse aree d’impatto, va da sé che sono facilmente individuabili aspetti della gestione d’impresa che risentono in maniera diretta ed evidente dell’adozione dell’Euro: si pensi, ad esempio, agli impatti sulla funzione amministrativa (in primo luogo sulla tenuta della contabilità e sulla stesura del bilancio) o sui sistemi informativi aziendali.
Al tempo stesso, il contatto quotidiano e la costante collaborazione con il mondo imprenditoriale mostrano che in materia di problematiche generali derivanti dall’adozione dell’Euro molti operatori appaiono in seria difficoltà nella corretta valutazione dei suoi possibili impatti strategici, con - in alcuni casi - una piccola nota polemica a margine: esistono veramente impatti strategici sull’organizzazione d’impresa direttamente imputabili all’Euro?

UN FORMIDABILE CATALIZZATORE
Il punto d’avvio per l’individuazione di una risposta corretta al quesito risiede in una constatazione molto semplice e cioè che l’Euro può rappresentare un formidabile catalizzatore di eventi già in atto e collegati - da un punto di vista storico e logico - alla creazione, al funzionamento e al consolidamento del mercato comunitario. In tale ottica l’Euro, quale ulteriore tassello dell’integrazione comunitaria, ha sicuramente impatti strategici sui diversi settori produttivi.
Volendo poi ricondurre le valutazioni macroeconomiche a concreti impatti sulla gestione d’impresa, si pensi, ad esempio, all’attesa intensificazione della concorrenza nell’area dell’Euro o alla spesso citata (ma non sempre condivisa) maggiore trasparenza e convergenza dei prezzi a livello comunitario, in ragione della loro diretta confrontabilità.
A questo proposito, è opportuno fare alcune considerazioni. Da più parti si obietta che si tratta di un falso problema dal momento che nessun consumatore è disposto a spostarsi, poniamo, dalla Germania all’Italia per acquistare beni di suo gradimento pur potendo rilevare, in seguito ad un viaggio o in altro modo, un certo differenziale di prezzo. 
Al riguardo va precisato che, se è vero che il consumatore troverebbe antieconomico spostarsi da una nazione all’altra per l’acquisto di un bene di valore unitario contenuto, è altrettanto vero che le reti telematiche consentono di superare il vincolo dello spostamento fisico del consumatore per l’acquisto di beni e, al dà della propensione individuale all’acquisto elettronico e all’uso di Internet, le reti telematiche rappresentano sicuramente uno strumento di informazione sul livello europeo dei prezzi in Euro.
Il commercio elettronico - al momento - non ha in Europa il medesimo sviluppo riscontrabile nel Nord America, ma - di nuovo - la confrontabilità dei prezzi in Euro potrebbe rappresentare un fattore incentivante per le transazioni on-line che, sempre negli USA, sono frequenti per molte categorie di beni legate all’informatica e all’elettronica.
Analogamente, i vincoli geografici non sono rilevanti per i grossi dealer e per le principali imprese della distribuzione che possono diversificare le proprie fonti di approvvigionamento a livello europeo (e già lo fanno) nel momento in cui rilevano per lo stesso bene, o categoria di beni, delle differenze sostanziali nelle quotazioni sui mercati comunitari, a parità di casa produttrice. 
Non è un caso, quindi, se alcuni grandi produttori europei stanno valutando possibili strategie di convergenza dei prezzi in ambito comunitario. Ciò non comporterà il loro assoluto livellamento, ma dovrebbe progressivamente eliminare le disparità più evidenti e comunque non giustificate da differenti costi di trasporto o di gestione delle reti di vendita. 
In aggiunta, nell’ambito di tale strategia generale di avvicinamento dei prezzi, la singola impresa potrebbe differenziare, nel breve e medio periodo, le proprie azioni di convergenza e livellamento delle quotazioni estreme sulla base della maggiore facilità di conversione dalla singola moneta nazionale all’Euro: tanto più immediata tale conversione, tanto più complesso sarà far accettare al consumatore nuove e non vantaggiose politiche di prezzo. Il contrario potrebbe avvenire in Paesi in cui l’introduzione dell’Euro comporta maggiori difficoltà di percezione del nuovo livello generale dei prezzi. 
A tali possibili azioni di convergenza, si aggiungono le problematiche inerenti l’individuazione di soglie psicologiche di prezzo che, nella conversione all’Euro, perdono la propria significatività, rendendo necessaria un’ulteriore ridefinizione della strategia di mercato.
È da considerare, inoltre, che le associazioni di difesa dei consumatori saranno sicuramente sensibili ai confronti tra prezzi degli stessi beni a livello europeo; differenziali apparentemente ingiustificati potrebbero, se pubblicizzati, ledere l’immagine aziendale, tematica particolarmente delicata per le imprese multinazionali produttrici di beni di largo consumo.

UN’OTTICA FLESSIBILE
Ciò che emerge da quanto illustrato è la necessità di affrontare la transizione all’Euro in un’ottica piuttosto ampia e flessibile: così il passaggio da prezzi espressi in Lire  - o in altra valuta europea - ad Euro non si riduce ad un semplice problema di applicazione di regole di conversione, ma può comportare la ridefinizione delle strategie di prezzo e di posizionamento, soprattutto, come avviene in molti casi, se l’impresa opera una discriminazione su più mercati comunitari.
È indubbio, d’altronde, che non in tutti casi sono individuabili forti impatti di natura strategica sulla singola funzione aziendale, ma trascurarli a priori - non includendone la valutazione critica nell’indagine preliminare degli impatti dell’Euro - rappresenterebbe un errore metodologico e potrebbe facilmente tradursi in una visione miope delle problematiche della transizione.
In sintesi, se in fase di valutazione di impatti potrebbe risultare di maggiore immediatezza l’individuazione di problematiche tecnico-operative, è anche vero che la moneta unica europea è in grado di rappresentare un elemento catalizzatore di fenomeni già in atto che - nel medio e lungo periodo - possono influire sul paradigma competitivo della singola impresa. 
Ciò implica che escludere la possibilità di impatti strategici dell’Euro sull’impresa in fase di analisi degli aspetti tecnici di conversione porterebbe a considerare il contesto economico di riferimento alla stregua di una utilitaria, salvo a rendersi improvvisamente conto che sotto la scocca si trova il motore - se non di una Ferrari - sicuramente di una buona berlina.