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Impresa & Stato n°47 

CRIMINALITÀ ECONOMICA E MERCATI FINANZIARI

di
Andrea Santini

Le recenti novità legislative in materia di insider trading: un passo avanti troppo piccolo per poter dare effettività al divieto verso questa pratica.

Lo scorso 1° luglio è entrato in vigore il decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998, più noto come «Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria». Tra i molteplici contenuti dei suoi 216 articoli - un insieme di disposizioni che spaziano dalla disciplina degli intermediari a quella dei mercati e degli emittenti - merita attenzione nel contesto di una riflessione su tematiche di criminalità economica la revisione della normativa già vigente in materia di sfruttamento di informazioni riservate sui mercati finanziari (o insider trading, secondo la terminologia anglosassone invalsa nell’uso), che ha il proprio fulcro negli articoli da 180 a 187 del Testo unico.
 

LA DIRETTIVA COMUNITARIA N. 89/592
L’originaria disciplina dell’insider trading non risaliva in realtà a un lontano passato: per quanto i primi progetti di legge al riguardo fossero stati presentati in Parlamento verso la fine degli anni ‘70, solo l’esigenza di dare attuazione a una specifica direttiva comunitaria nel frattempo intervenuta aveva infine indotto il legislatore ad adottare una apposita legge nel 1991 (legge n. 157 del 17 maggio).

Del resto, ancora pochi anni prima, tra gli Stati membri della Comunità europea solo Francia e Regno Unito avevano già seguito l’esempio degli Stati Uniti nel sanzionare penalmente l’utilizzo di informazioni privilegiate; e mai era apparso del tutto sopito nella letteratura giuridica ed economica il dibattito circa la stessa opportunità di vietare l’insider trading, fenomeno che secondo gli autori della cd. Scuola di Chicago porterebbe anzi un fondamentale contributo all’efficienza del mercato, in particolare perché le operazioni degli insiders possono rappresentare un canale attraverso il quale le informazioni riservate giungono sul mercato e vengono gradualmente incorporate nei prezzi che vi si formano.
Adottando nel 1989 la direttiva n. 89/592/CEE, che impegnava gli Stati membri a sanzionare efficacemente le condotte di insider trading, il legislatore europeo aveva rigettato simili argomentazioni, facendo propria invece la più rilevante tra le tesi contrarie: quella cioè per cui un atteggiamento permissivo determinerebbe la perdita di fiducia da parte dei risparmiatori circa il corretto funzionamento del mercato e li indurrebbe ad allontanarsene, privandolo della necessaria liquidità e perciò danneggiando tutti gli operatori che a esso ricorrono per il finanziamento delle proprie attività. La direttiva comunitaria nasceva quindi essenzialmente per dare garanzie ai risparmiatori circa l’equo funzionamento del mercato; è tuttavia significativo il fatto che essa fin dal preambolo - ove richiama e precisa l’attività di taluni operatori del mercato mobiliare, in particolare gli analisti finanziari - si proponesse di equilibrare questa finalità con la salvaguardia delle attività professionali di ricerca ed elaborazione delle informazioni, che all’efficacia del mercato danno un fondamentale contributo e che non vanno in alcun modo confuse con lo sfruttamento di informazioni acquisite unicamente in virtù di un vantaggio di posizione, qual è quello dell’insider
 

LA LEGGE ITALIANA N. 157/1991
Ponendosi come attuazione della direttiva comunitaria, anche la legge italiana n. 157/1991 aveva lo scopo di garantire l’integrità e il corretto funzionamento del mercato. Tuttavia, avvalendosi di una possibilità concessagli dalla stessa direttiva, il legislatore italiano faceva con quella legge la scelta di estendere il numero e la portata dei divieti previsti nel testo comunitario, dando vita in tal modo a un disposto normativo così ampio e per certi versi indeterminato da risultare per ciò stesso velleitario, dal momento che, se applicato in tutte le sue potenzialità, avrebbe rischiato di paralizzare il mercato. Logica conseguenza di ciò non poteva quindi essere che una ridottissima applicazione della legge, come confermato dall’unica sentenza di condanna per insider trading emessa nell’arco di sette anni.
 

LA NUOVA DISCIPLINA
a) La fattispecie principale
In occasione del Testo unico il legislatore è tornato sui propri passi, operando innanzitutto una semplificazione e razionalizzazione delle fattispecie vietate. A questo proposito rileva in primo luogo nell’art. 180 una mutata descrizione della fattispecie principale (la condotta di trading), ai sensi della quale agli insiders è vietato acquistare, vendere o compiere altre operazioni (anche per interposta persona) su strumenti finanziari «avvalendosi» delle informazioni privilegiate di cui siano in possesso, e non più semplicemente «qualora» essi posseggano dette informazioni. Viene con ciò meno la previgente presunzione che l’operatore in possesso di informazioni privilegiate si determini a operare in ragione di esse; e questo, anche se può costituire una complicazione per l’attività inquirente, rappresenta pur sempre un chiarimento indispensabile nell’ottica di quegli operatori (le stesse società nel caso di acquisto di azioni proprie) che si trovano pressoché costantemente a disporre di informazioni privilegiate.
Nella descrizione della fattispecie vietata che il legislatore ha adottato nell’art. 180 del Testo unico rilevano due ulteriori particolarità in confronto con la legge n. 157/1991. Da un lato, infatti, il divieto di insider trading è riferito ad operazioni aventi per oggetto non più «valori mobiliari» bensì «strumenti finanziari», dei quali si fornisce un elenco esaustivo nell’art. 1, secondo comma, dello stesso Testo unico; in realtà, data l’ampiezza con la quale era stata interpretata la prima espressione, nulla dovrebbe cambiare nella pratica, ma merita comunque di essere sottolineata la maggior chiarezza così creatasi, come pure l’esplicita esclusione dei mezzi di pagamento dal novero degli strumenti finanziari, sancita dal quarto comma dell’art. 1.
Dall’altro lato, le informazioni di cui è vietato lo sfruttamento sono qualificate come informazioni «privilegiate» e non più «riservate». Con tale innovazione - che del resto altro non fa che uniformare anche sotto il profilo terminologico la normativa italiana alla direttiva comunitaria di cui essa è attuazione - viene chiaramente evocata la posizione di privilegio dell’insider che possiede una determinata notizia quale elemento determinante nel fare della stessa una informazione non sfruttabile sul mercato finanziario; resta peraltro invariata rispetto alla legge n. 157/1991 la definizione di tale informazione, tra le cui caratteristiche fondamentale è proprio la riservatezza (ovvero il «non essere disponibile al pubblico», come recita il terzo comma dell’art. 180, ponendo l’accento sulla effettiva disponibilità dell’informazione presso il pubblico degli investitori piuttosto che sulla formale disclosure da parte della società).

b) Le fattispecie connesse
Alla fattispecie principale ne restano affiancate solo due (volendo prescindere, come pare ovvio in questo contesto, dalle regole dettate in tema di aggiotaggio su strumenti finanziari dall’art. 181 del Testo unico, che riprende l’originario art. 5 della legge n. 157/1991: l’aggiotaggio infatti, consistendo nel divulgare notizie false, esagerate o tendenziose ovvero nel porre in essere operazioni simulate o altri artifici sul mercato finanziario, è condotta chiaramente diversa da quella dell’insider, che basa il proprio operare su un’informazione vera e non ancora resa pubblica). Agli insiders è così fatto divieto di comunicare ad altri, senza giustificato motivo, le informazioni privilegiate in loro possesso (cd. tipping), e altresì di consigliare ad altri, sulla base di tali informazioni, il compimento di operazioni su strumenti finanziari (cd. tuyautage); sono invece stati opportunamente abrogati gli ulteriori divieti previsti a carico dei soggetti ivi espressamente menzionati dal terzo e dal settimo comma dell’art. 2 della legge n. 157/1991, disposizioni la cui stessa logica e finalità risultavano poco chiare e che in definitiva non facevano altro che appesantire un assetto normativo già fin troppo articolato, accrescendo l’indeterminatezza (se non la confusione) del tutto.

c) I destinatari dei divieti
L’ulteriore intervento del legislatore è consistito nel limitare la previsione della sanzione penale unicamente a carico di quei soggetti la cui condotta configura più chiaramente un abuso di posizione e una lesione dell’integrità del mercato. Gli insiders propriamente detti - e cioè, secondo una definizione identica a quella già adottata nella legge n. 157/1991, coloro i quali possiedono una informazione privilegiata in ragione della loro partecipazione al capitale di una società o dell’esercizio di una funzione (anche pubblica), professione o ufficio - sono pertanto destinatari sia del divieto di trading che di quelli di tipping e tuyautage, mentre è solo la fattispecie principale che trova applicazione nei confronti dei cd. tippees, cioè coloro i quali abbiano ottenuto, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate da un insider.
Se simili modifiche rispondono all’esigenza di giungere a una definizione dei comportamenti penalmente rilevanti che sia più precisa e coerente di quella contenuta nella legge n. 157/1991, non si può tuttavia fare a meno di notare che la definizione dei destinatari dei divieti - siano essi insiders o tippees - resta talmente ampia da sfiorare l’indeterminatezza.

d) I poteri di indagine della CONSOB
Ma soprattutto, ciò che non persuade nella auspicata prospettiva di garantire maggiore effettività alla disciplina dell’insider trading è la cautela con cui è stata affrontata la questione del necessario ampliamento dei poteri di indagine della CONSOB, alla quale fin dalla legge n. 157/1991 spetta di compiere ogni accertamento preliminare in merito a supposti casi di insider trading (nonché di aggiotaggio su strumenti finanziari).
È pur vero infatti che a partire dallo scorso 1° luglio la CONSOB, in virtù dell’art. 185 del Testo unico, oltre ad avvalersi dei poteri che le sono attribuiti nei confronti dei soggetti sottoposti alla sua vigilanza, può richiedere notizie, dati e documenti o anche procedere all’audizione non solo nei confronti dei sospetti insiders, ma più in generale di chiunque appaia informato dei fatti. Tuttavia l’incisività di questo potere risulta limitata dalla mancata previsione di sanzioni per il caso di inadempimento alle richieste della Commissione, con un notevole passo indietro rispetto a quanto già contemplato dall’art. 8 della legge n. 157/1991 e ancor più rispetto allo schema di Testo unico inizialmente approvato dal Governo e sottoposto all’esame del Parlamento; cosicché il più rilevante tra i poteri acquisiti dalla CONSOB per l’accertamento di presunti casi di insider trading sarà forse nei fatti quello di poter accedere al sistema informativo dell’anagrafe tributaria.
Il limitato ampliamento dei poteri di indagine della CONSOB incide tra l’altro in maniera negativa anche sull’adeguatezza della cooperazione che la stessa Commissione può fornire alle omologhe autorità straniere a fronte di casi di insider trading posti in essere mediante operazioni transnazionali sui mercati finanziari; e più in generale fa temere che le nuove disposizioni non siano destinate ad accrescere l’effettività del divieto di insider trading all’interno dell’ordinamento italiano.

e) Le sanzioni
A quest’ultimo riguardo sembra invero che il legislatore abbia puntato tutte le proprie carte sull’effetto deterrente derivante dall’inasprimento delle sanzioni più che su una maggiore efficacia degli strumenti di indagine. Sono così state raddoppiate sia la massima durata della reclusione (pari oggi a due anni) sia i limiti della multa (variabile da un minimo di venti a un massimo di seicento milioni di lire) applicabili in caso di violazione del divieto di insider trading e delle fattispecie connesse; è stata inoltre ribadita la facoltà per il giudice di aumentare la multa fino al triplo in funzione non solo dell’entità del profitto, ma anche di criteri di ben più soggettiva valutazione (la «rilevante offensività del fatto» e le «qualità personali del colpevole»). Infine, è stato previsto che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 del codice di procedura penale sia sempre ordinata la confisca dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per compiere il reato e dei beni che ne costituiscono il profitto, salvo che essi appartengano a persona estranea al reato.
 

CONCLUSIONI
Nonostante la nuova disciplina dell’insider trading contenuta nel Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria riveli, in confronto alla previgente legge n. 157/1991, una più precisa e coerente definizione delle condotte penalmente rilevanti, per altri aspetti le nuove disposizioni sembrano un passo in avanti troppo piccolo per poter dare effettività al divieto di insider trading.
Non è un caso del resto che, in occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario tenutosi a Milano il 7 aprile 1998, il Presidente della CONSOB Tommaso Padoa Schioppa abbia definito il Testo unico come «un’occasione mancata» per quanto riguarda la lotta all’insider trading, auspicando che su tale materia il legislatore possa presto tornare.
Allo stato attuale, la difesa del mercato dalle attività illecite degli insiders è affidata essenzialmente a misure di carattere preventivo, ossia a quelle regole che la stessa CONSOB ha adottato in attuazione della legge n. 157/1991 e che impongono una tempestiva e dettagliata informativa al pubblico su tutti i fatti rilevanti che si verificano nella sfera di attività delle società quotate.
Molto più debole, come si è più volte osservato, è oggi il versante repressivo: nonostante il Testo unico abbia alzato il livello della minaccia sanzionatoria, la soluzione penalistica si è finora dimostrata ben poco funzionale a una efficace azione di contrasto all’insider trading. Sarà pertanto opportuno cominciare a considerare l’eventualità di introdurre o di valorizzare strumenti diversi (anche se non necessariamente alternativi) da quello penale: in quest’ottica si potrà per esempio verificare la disponibilità di adeguati rimedi di natura civilistica, ma soprattutto si dovrà esaminare con maggiore attenzione che in passato la proposta di attribuire alla CONSOB la titolarità di uno specifico procedimento sanzionatorio di carattere amministrativo, che possa dare maggiore efficacia e rapidità all’azione repressiva.