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Impresa & Stato n°47 

GLI STRUMENTI INTERNAZIONALI DI LOTTA ALL’INSIDER TRADING

di
Gabriele Capecchi

L’assenza di un consolidato quadro normativo entro cui combattere contro l’indebito utilizzo di informazioni riservate nelle operazioni borsistiche


 


L’incertezza con la quale gli ordinamenti nazionali perseguono l’indebito utilizzo di informazioni riservate nelle operazioni borsistiche (è questa, in breve, la natura e il carattere dell’insider trading) sembra accentuarsi in ambito internazionale. 
Ciò non deve stupire. All’interno di alcuni Stati è infatti ancor oggi addirittura contestata la rilevanza penale di tale condotta, mentre altrove, alla previsione di una specifica fattispecie criminale, si affiancano sanzioni assai modeste, sì da far seriamente supporre che simili norme vengano introdotte pour épaté le bourgeois più che con effettive finalità repressive.
È forse per questa ragione che, per combattere la riconosciuta dimensione internazionale delle operazioni di borsa compiute attraverso lo sfruttamento abusivo di notizie riservate, la cooperazione internazionale mostra di preferire il ricorso ad alcuni elastici accordi amministrativi, direttamente conclusi dalle Autorità nazionali di controllo, mentre assai scarsi successi hanno ottenuto, per la disciplina di tale settore, i consueti trattati internazionali.
Nelle pagine che seguono cercheremo di illustrare i tratti essenziali che distinguono la cooperazione internazionale in tema di insider trading rispetto ai modelli di assistenza elaborati in risposta ad altri fenomeni di rilevanza penale.

ASSISTENZA E COORDINAMENTO
La cooperazione giudiziaria in materia di insider trading è principalmente basata su intese a carattere generale, non specificamente dettate cioè per la repressione dell’insider trading, ma destinate a regolamentare in senso più ampio ogni richiesta di assistenza proveniente da un altro Stato. Ciò sembra confermare che, come si diceva, in ambito internazionale riemergono con maggior forza i dubbi circa la scarsa offensività della condotta in esame, talora considerata quale fisiologica manifestazione delle transazioni borsistiche. 
L’unico accordo internazionale multilaterale specificamente stipulato per la lotta del fenomeno in esame è la Convenzione sull’insider trading del Consiglio d’Europa, aperta alla firma il 20 aprile 1989, tuttora ratificata da appena sei Stati (tra i quali non figura l’Italia), cui ha fatto seguito il Protocollo dell’11 settembre dello stesso anno.
La scarso riscontro ricevuto dalla Convenzione non rende giustizia all’importanza politica, prima ancora che giuridica, che essa sembrava voler assumere all’interno del Consiglio d’Europa.
È bene ricordare che questa Organizzazione, nata subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e prima della costituzione della Comunità (Economica) Europea, è pronta ad accogliere diversi Stati europei tuttora situati in posizione eccentrica rispetto ai principali «assi» geopolitici del nostro Continente. Il richiamo, come è evidente, va ai numerosi soggetti statuali dell’ex area sovietica; se il loro ingresso nella Comunità Europea è in alcuni casi ancora prematuro, assai più ragionevole è una loro candidatura per la membership del Consiglio, destinato, almeno così ci sembra, a funzionare quale «camera di equilibrio» in vista di un allargamento dei confini della Comunità.
La partecipazione di questi Stati al Consiglio d’Europa e alle convenzioni predisposte nel suo seno - tra le quali figura appunto quella in commento - consentirebbe l’apertura di un canale di comunicazione privilegiato tra le Commissioni di Borsa comunitarie e le Autorità loro omologhe dell’est Europa. Il contenuto interesse dimostrato dai Paesi della Comunità nei confronti di questo nuovo strumento di cooperazione sembra invece, almeno per il momento, aver allontanato questa prospettiva.
Con riferimento al contenuto dispositivo della Convenzione, osserviamo che, in realtà, essa si limita a richiedere agli Stati che vi hanno aderito la garanzia che essi forniranno «la più ampia assistenza possibile» nel trasmettere alle Autorità di controllo degli altri partners informazioni utili per la repressione dell’insider trading, la cui dimensione internazionale è pacificamente riconosciuta tra i consideranda dell’accordo (art. 2).
Alla cooperazione giudiziaria penale la Convenzione dedica poi un solo articolo, finendo per ribadire la preminenza delle disposizioni, ben più articolate, della Convenzione sulla reciproca assistenza giudiziaria penale, elaborata sempre all’interno del Consiglio già nel lontano 1959 (art. 12).
La Convenzione sembra comunque aver conferito un deciso impulso verso l’adozione della Direttiva comunitaria del 13 novembre 1989 «sul coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading)» (Direttiva del Consiglio n. 89/592/CEE).
Ben diverso, ad ogni modo, l’approfondimento tecnico-giuridico cui giunge la Direttiva, soprattutto ove essa cerca di fornire una dettagliata ma assai comprensiva definizione della fattispecie di insider trading (artt. 1 ss.). La Direttiva inoltre, ponendo gli Stati comunitari di fronte al preciso obbligo di reprimere con sanzioni «sufficientemente dissuasive» la condotta dell’insider (art. 13), ha indirettamente attuato (la Comunità, come è noto, non ha alcuna competenza diretta in materia penale) la diffusa criminalizzazione in ambito europeo dell’insider trading, fino ad allora perseguito solo da alcuni ordinamenti.
È stato infatti solo in seguito alla sua adozione che Stati quali la Germania o l’Italia si sono finalmente dotati dei necessari strumenti per la repressione di questo fenomeno, sebbene, come è opinione diffusa soprattutto in relazione alla situazione italiana, la loro efficacia possa talora dirsi meramente nominale.
 

COOPERAZIONE
Se la collaborazione sviluppatasi per il tramite dei consueti canali di assistenza internazionale offre un quadro poco confortante, assai più proficui risultati sono maturati dai contatti sorti, quasi spontaneamente, tra le singole Autorità deputate, nei rispettivi ordinamenti, a vigilare sulla regolarità delle transazioni in valori mobiliari.
Dai primi anni dello scorso decennio un forte stimolo verso la repressione delle condotte borsistiche illecite è infatti giunto dalla International Organization of Securities Commissions (IOSCO), una Organizzazione, con sede a Montreal, che annovera tra i propri membri le principali Commissioni di Borsa nazionali.
Così come altre Organizzazioni internazionali, la IOSCO ha nel corso degli anni indirizzato ai propri membri alcune Risoluzioni, alle quali questi ultimi si sono progressivamente conformati, favorendo in tal modo, come vedremo, la nascita di un sistema di accordi bilaterali di cooperazione.
È bene comunque osservare che, anche nei casi cui faremo cenno, l’assistenza che le Autorità nazionali si impegnano a prestarsi reciprocamente sembra più basata su una aggiornata rilettura dei principi di comitas gentium, che sull’incisività delle disposizioni contenute nelle Risoluzioni stesse; tra queste meritano comunque di essere menzionate le seguenti. 
a) Resolution concerning mutual assistance (‘Rio Declaration’).
La Risoluzione è stata emessa dal Comitato Esecutivo della IOSCO il 7 Novembre 1986 ed è stata sottoscritta dalla quasi totalità dei Membri ordinari. 
Essa è in verità assai laconica, limitandosi a richiamare le Autorità nazionali a:
- garantire, su base di reciprocità, la più ampia assistenza consentita dalle rispettive leggi nazionali in relazione alle richieste, provenienti da altre Autorità membre, volte a ottenere informazioni utili a salvaguardare i singoli mercati dalle ‘transazioni fraudolente su valori mobiliari’;
- designare un proprio responsabile tenuto ad assicurare un rapido riscontro a tali richieste.
b) Resolution on Cooperation.
Questa Risoluzione è stata adottata, nel Febbraio del 1989, dal Comitato Tecnico. Rispetto alla prima, essa ha riscosso minor favore tra le Autorità membre, sebbene possa apparire, per quanto possibile, ancor più blanda della Risoluzione del 1986.
Con quest’ultima Risoluzione si è infatti inteso richiamare i membri dell’Organizzazione:
- a considerare lo sviluppo di negoziati bilaterali o multilaterali per favorire la mutua cooperazione e assistenza tra Stati al fine di garantire il reciproco scambio di informazioni, e ciò anche nel caso in cui la condotta oggetto di indagine da parte dell’Autorità richiedente non costituisca un illecito anche per le leggi nazionali dell’Autorità richiesta;
- a considerare l’opportunità di proporre ai propri Organi parlamentari di sviluppare la cooperazione internazionale secondo le direttive dianzi descritte.
Si è detto che, a prima vista, tale Risoluzione parrebbe ancor meno vincolante rispetto a quella del 1986, limitandosi a invitare i Membri a prendere in considerazione l’avvio di future negoziazioni.
Essa contiene, a ben vedere, una previsione che può certo dirsi innovativa nel panorama normativo che sinora si è analizzato con riferimento alla cooperazione in materia di insider trading. Infatti, nell’escludere la necessità che il fatto perseguito da una Autorità straniera sia punibile, sia pur a livello amministrativo, anche nello Stato richiesto, essa mostra di voler superare, per la strada di un accordo amministrativo, il limite - proprio del diritto penale internazionale - della ‘doppia incriminabilità’ del fatto oggetto di indagine.
All’interno della cornice posta dalla Risoluzione in parola, sono stati in seguito conclusi da parte di molte Autorità aderenti alla IOSCO numerosi Memoranda of Understanding che tuttora regolano, talora in via esclusiva, le modalità di trasmissione delle informazioni tra le Commissioni Nazionali di Borsa.
Rispetto alle Risoluzioni dianzi descritte i Memoranda of Understanding si segnalano per una loro maggior specificità. È peraltro particolarmente problematico per un osservatore del diritto internazionale comprendere se tali intese possano essere considerate come produttive di effetti giuridici all’interno degli Stati cui appartengono le Autorità amministrative che li sottoscrivono, o esse se debbano invece essere ascritte alla categoria degli atti programmatici, privi in sé di carattere vincolante. 
Sebbene infatti venga talora espressamente enunciato che l’intesa ‘non crea obblighi vincolanti in base alla legge internazionale’ (è il caso del Memorandum of Understanding sottoscritto tra la Securities Exchange Commission statunitense e la Consob nel 1993), altrove manca del tutto una simile precisazione. In questi casi, l’eventuale rilevanza di tali accordi da un punto di vista del diritto internazionale potrebbe allora soltanto dipendere da un accertamento dei poteri e delle competenze interne degli organi che li hanno sottoscritti. 
Ad ogni modo, anche a voler disconoscere ad essi il carattere di accordi internazionali e pur convenendo che in alcuni casi gli impegni formalmente assunti appaiono assai poco definiti, non si può negare che, al momento, i Memoranda of Understanding rappresentino un utile strumento per lo svolgimento di indagini internazionali in materia di insider trading.
 

CONCLUSIONI
La breve analisi dianzi condotta sembra dunque confermare l’assenza di un consolidato quadro normativo entro cui condurre, in ambito internazionale, una efficace lotta all’insider trading. 
Come osservavamo, ciò non è che la naturale proiezione della già diffusa e ondivaga attenzione che numerosi legislatori nazionali prestano al fenomeno, limitandosi talvolta, come ad esempio è avvenuto in Italia, ad emanare norme inevitabilmente destinate ad una sostanziale disapplicazione. 
Pur non essendo in grado di addentrarci in tematiche di politica del diritto, sentiamo di condividere l’opinione di chi ritiene preferibile l’espressa liberalizzazione di una certa condotta quando l’ordinamento che formalmente intende reprimerla non è in grado di garantire il rispetto delle proprie norme.
Se il riguardo dovuto agli impegni internazionali impedirà che, almeno tra gli Stati membri della Comunità Europea, questo possa per il momento accadere, non resta che intraprendere la strada già percorsa nella lotta ad altri fenomeni criminali di portata sovranazionale - si pensi al riciclaggio di capitali illeciti - il cui collegamento con gli ambienti di Borsa e le attività degli insiders è d’altro canto assai più ramificato di quanto possa ritenersi.