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Impresa & Stato n°47 

L’ATTUAZIONE IN ITALIA DELLA CONVENZIONE ANTICORRUZIONE

di
Giorgio Sacerdoti

Nuove figure di reato, sanzioni penali contro le «bustarelle» a pubblici ufficiali ed enti pubblici esteri o organizzazioni internazionali.

La Convenzione dell’OCSE «sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle transazioni commerciali internazionali» firmata a Parigi il 17 dicembre 1997 da tutti i paesi membri e da cinque altri stati, rappresenta il primo risultato tangibile di una serie di iniziative internazionali che hanno posto il problema all’attenzione pressante dell’opinione pubblica mondiale.
I lavori dell’OCSE sul tema hanno preso avvio sin dal 1989 su iniziativa degli Stati Uniti, le cui imprese erano preoccupate per essere le sole soggette a sanzioni penali per bustarelle pagate all’estero in forza del «Foreign Corrupt Practices Act» americano. Nel 1994 il Consiglio dell’OCSE a livello ministeriale ha adottato una prima raccomandazione in materia, perfezionata da una successiva raccomandazione del maggio scorso. Quest’ultima, in particolare, ha lanciato i negoziati per una convenzione penale in materia da concludersi entro il 1997, come è avvenuto, in vista della messa in vigore del trattato e delle norme attuative nel maggior numero possibile di Stati membri entro il 1998.
Con la Convenzione gli Stati di provenienza delle imprese, soprattutto multinazionali, si sono impegnati a prevenire e reprimere il pagamento di bustarelle da parte delle loro imprese, incriminando la corruzione attiva diretta verso paesi sia firmatari che terzi, indipendentemente dall’applicazione delle leggi penali di questi ultimi alla corruzione passiva dei loro funzionari. L’intento economico commerciale che si è inteso perseguire è quello di evitare che la concorrenza internazionale sia falsata dal ricorso a strumenti considerati inammissibili.
La Convenzione comporta innanzitutto l’obbligo di considerare reato la corruzione del pubblico ufficiale straniero così come avviene per quella rivolta ai funzionari nazionali. Essa è completata da norme di contorno, preventive, repressive e di monitoraggio in sede OCSE, che implicano l’adozione di una serie di norme di notevole portata.
Innanzitutto è corruzione del pubblico ufficiale straniero l’offerta, la promessa o il pagamento intenzionale, direttamente o tramite un intermediario, di un vantaggio indebito, pecuniario o altro, ad un tale funzionario, per questi o per un terzo, al fine che egli agisca o ometta di agire nello svolgimento di funzioni ufficiali, in vista dell’ottenimento o della conservazione di un affare o di un altro vantaggio indebito nelle transazioni commerciali internazionali.
In considerazione della diversità, nell’ambito dei vari Paesi, delle funzioni di rilievo economico esercitate dallo Stato e dell’affidamento di compiti di natura pubblica al settore privato, si è adottata una definizione ampia di pubblico ufficiale straniero che combina la qualifica soggettiva con l’esercizio obiettivo di pubbliche funzioni.
Quanto all’autore del reato, il testo convenzionale affronta il nodo della responsabilità delle imprese che paghino o nel cui interesse vengano pagate bustarelle. La nuova figura di reato viene punita con pene severe, anche detentive, e gli Stati che, come l’Italia, non conoscono l’incriminazione delle società, dovranno introdurre a loro carico sanzioni non penali, anzitutto pecuniarie, efficaci, proporzionate e dissuasive in relazione alla corruzione in oggetto.
Altro punto delicato è quello dei criteri di giurisdizione. In effetti mentre numerosi paesi, dal sistema giuridico di tipo europeo continentale, riconoscono la nazionalità del reo come criterio di giurisdizione e perseguono quindi a certe condizioni anche il reato del cittadino commesso all’estero, la giurisdizione penale è esercitata su base solo territoriale nei paesi di common law. La Convenzione impegna gli Stati a perseguire il reato applicando i propri tradizionali criteri giurisdizionali. L’equilibrio nella repressione tra paesi a sistema diverso dovrebbe essere raggiunto tramite le sanzioni non penali a carico delle imprese, dove si prescinde da vincoli di stretta territorialità, quando le bustarelle siano loro imputabili anche se promesse o pagate all’estero tramite consociate non affidate alla direzione di loro cittadini.
La Convenzione impone che i termini di prescrizione siano adeguati alle necessità delle indagini e dei processi per questi reati, che richiedono, anche a causa delle rogatorie, tempi più lunghi che per i consimili reati interni. Essa, inoltre, rende applicabili le norme antiriciclaggio alla corruzione all’estero quando la corruzione interna sia considerata reato presupposto per l’applicazione di questa normativa, come è già il caso in Italia e sta diventando norma in molti altri paesi.
È sancito altresì l’obbligo dei paesi firmatari di concedersi cooperazione reciproca nel modo più ampio, pronto ed efficace, anche in sede non penale, tenendo le autorità richiedenti informate dell’andamento delle rogatorie.
Di fondamentale importanza è la disposizione, che fuoriesce dall’ambito penalistico, in tema di contabilità delle società. Essa prescrive che al fine di combattere la corruzione internazionale ciascuna parte dovrà adottare tutte le misure necessarie per vietare alle società le contabilità extra bilancio, operazioni non registrate o non sufficientemente identificate, la registrazione di spese inesistenti e di voci passive non correttamente identificate al fine di corrompere pubblici ufficiali stranieri. Devono dunque essere introdotte sanzioni civili, amministrative o penali efficaci in caso di immissione o falsificazione nei libri, documenti, conti e situazioni finanziarie di queste società.
L’apparato penalistico è completato dalle usuali norme in tema di estradizione, che includono l’obbligo di promuovere direttamente l’azione penale da parte dei paesi che non concedono l’estradizione dei loro cittadini.
Un giudizio finale sulla portata effettiva della Convenzione, in una materia in cui l’efficacia di qualunque iniziativa repressiva e sanzionatoria ha da sempre suscitato perplessità, dato che la criminalità economica si muove su scala globale mentre gli Stati agiscono in ordine sparso, non può prescindere dalla creazione di un meccanismo di monitoraggio costante, affidato al Gruppo di lavoro già operante all’OCSE sulla corruzione nel commercio internazionale. Spetterà a questo organo valutare periodicamente il rispetto degli obblighi assunti dagli Stati contraenti e l’efficacia concreta della sua applicazione per contrastare davvero il fenomeno, secondo l’impegno solennemente preso da tutti i paesi industrializzati aderenti all’OCSE di rendere il proprio ambito off-limits per queste pratiche.
Tutto ciò presuppone l’entrata in vigore sollecita della Convenzione. Gran parte dei paesi firmatari sta accumulando invece ritardi rispetto alla tabella di marcia indicata nella Raccomandazione del 1997: presentazione al Parlamento entro il 1° aprile 1998 in vista della ratifica e dell’entrata in vigore a fine anno. Nessun paese ha compiutamente rispettato il primo termine e pochi saranno quelli in grado di rispettare il secondo. L’Italia intende ratificare sulla base di un’unica legge di autorizzazione sia la Convenzione analoga comunitaria (e protocolli connessi) che quella OCSE. Problemi tecnico-legali relativi alla responsabilità penale e non penale delle società hanno però ritardato l’appuntamento del disegno di legge che si attende per l’autunno 1998.
L’entrata in vigore della Convenzione OCSE nella generalità dei paesi industrializzati, presto o tardi che avvenga, costituirà una novità e un vincolo importante per le imprese che operano sui mercati internazionali, specie nel settore degli appalti pubblici.
Il rischio penale della bustarella diventerà concreto, il riciclaggio meno sicuro. È da sperare che ciò aiuti le imprese a resistere alle pressioni cui sono esposte in molti paesi da parte di governanti e funzionari, abituati tanto più ad arricchirsi a spese dell’economia dei loro paesi quanto più diffusa è la povertà delle popolazioni.