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Impresa & Stato n°47 

PICCOLO È ANCORA BELLO (PURCHÉ SOFISTICATO)

 di 
 Giacomo Correale

Otto iniziative imprenditoriali: un piccolo ma significativo spaccato dell’Italia che produce nella forma del lavoro autonomo o della microimpresa.

Nonostante la consapevolezza ormai abbastanza diffusa che nelle aziende «non è la dimensione assoluta che conta ma il potere di mercato nel singolo specifico settore o segmento» (cfr. R. Prodi, Il Tempo delle Scelte; Lezioni di Economia, ed. Il Sole 24 Ore, 1992, pg. 55); nonostante sia altrettanto noto (ma spesso dimenticato) che la media di dipendenti per unità produttiva in Italia è pari a 4,6; nonostante tutti dovrebbero ricordare che gran parte dell’occupazione e della ricchezza nazionale sono generate dalle imprese minori (eppure si guarda ancora ai dati, sempre ovviamente calanti, dell’occupazione nella grande industria, come se fossero indicatori significativi); nonostante tutto ciò, le piccole iniziative imprenditoriali sono tuttora considerate come un aspetto marginale dell’Economia con la E maiuscola. 
Ogni anno una miriade di nuove iniziative imprenditoriali si affacciano sul mercato, in forma per lo più di piccole società di persone o di aziende individuali. Si tratta di un humus economico in continuo sviluppo e rinnovamento, che convive in un rapporto essenziale di fertilizzazione incrociata con le medie e le grandi aziende.
Queste riflessioni ci vengono suscitate dal riesame, a due-tre anni di distanza, di un piccolo campione di iniziative imprenditoriali decollate tra il 1995 e i primi mesi del 1996. Si tratta di imprese che hanno ricevuto una assistenza per redigere un business plan da parte del sistema di Punti Nuove Imprese della Lombardia, sistema gestito da Formaper, Azienda della Camera di Commercio di Milano per la formazione e l’assistenza alle piccole e medie imprese, con il sostegno finanziario della Regione Lombardia e dell’Unione delle Camere di Commercio lombarde. Tutte le aziende qui considerate hanno completato il loro business plan, e in base ad esso hanno ottenuto i finanziamenti agevolati previsti dalla Legge regionale 68/86.
Il nostro esame ha riguardato otto iniziative, aventi per oggetto le seguenti attività:
- un negozio di biciclette a Varese; - un centro per la sostituzione dei vetri di autoveicoli in franchising a Varese e Gallarate; - una società di consulenza di marketing e intermediazione internazionale di articoli per la casa in provincia di Milano; - una società specializzata in servizi informatici per il settore sanitario, in provincia di Brescia; - una agenzia immobiliare in franchising a Milano; - uno studio odontotecnico in provincia di Brescia; - una scuola di lingua inglese in provincia di Varese; - un negozio di abbigliamento in provincia di Milano.
Le osservazioni che seguono si avvalgono, oltre che delle indicazioni emerse dall’esame di questi otto casi, dell’osservazione di numerose altre esperienze di assistenza alla nascita di nuove imprese svolte dall’autore di questo articolo.
La prima considerazione da fare è che nei casi in esame la redazione del business plan non è stata vissuta, né dagli aspiranti imprenditori né dall’assistente, come un adempimento burocratico per ottenere le previste agevolazioni finanziarie.
Il consulente incaricato dell’assistenza ha rivestito i panni del facilitatore (del «maieuta»), ponendo come unico vincolo quello della visione d’insieme («olistica») del business da avviare, lasciando poi che ogni business plan prendesse la piega formale e contenutistica corrispondente alla specifica «idiosincrasia» del suo o dei suoi autori/autrici, e costituisse quindi un prodotto proprio di ciascun aspirante imprenditore. 
Valutiamo ora alcuni aspetti che hanno caratterizzato i casi elencati.

GLI ASPIRANTI IMPRENDITORI
I fondatori delle aziende esaminate hanno dimostrato sin dall’inizio di essere dotati di una forte motivazione e determinazione, nonché di una «visione» sufficientemente chiara della idea di business prefigurata. L’accertamento dell’esistenza di queste precondizioni da parte del consulente va sempre considerato fondamentale, in quanto senza di esse le probabilità di decollo si sono rivelate successivamente molto scarse.
Tutti i fondatori sono diplomati, e in due casi laureati. La fondatrice della scuola d’inglese è di madre lingua. Il livello culturale generale si è dimostrato superiore e più ampio di quello deducibile dai titoli di studio formali, frutto evidente di doti personali e spesso di una cultura/ambiente orientata al lavoro autonomo. Anche la preparazione professionale si è rivelata notevole e animata da una piena consapevolezza dell’importanza all’evoluzione tecnologica in atto nel rispettivo campo di attività, costantemente monitorata. 
Nel caso di più soci, uno degli aspetti che si è cercato di accertare sin dall’inizio è stato la sostenibilità nel tempo del sodalizio tra di essi. Ebbene, nessuna delle attività esaminate ha fatto registrare contrasti capaci di causare difficoltà o addirittura una rottura della società.
In diversi casi la preesistenza di un retroterra familiare genericamente imprenditoriale, di competenze ed esperienze specifiche maturate nel campo della nuova iniziativa, e più in particolare la presenza di un «mentore», ha costituito un elemento determinante, senza il quale la nuova iniziativa imprenditoriale non sarebbe mai nata. Non a caso, quindi, tutte le otto aziende esaminate sono, a circa tre anni di distanza dall’inizio, tutte vitali e, pur con alcune difficoltà, in fase di ulteriore crescita.

LA VISIONE
La definizione della visione è stata considerata in tutti i casi un punto di partenza importante. 
Gli aspiranti imprenditori si sono presentati fin dall’inizio con una visione del business da realizzare molto chiara.
I casi esaminati sono caratterizzati da una certa «eccellenza» rispetto alla media delle domande di assistenza per la stesura del business plan. Spesso queste sono prevalentemente finalizzate all’ottenimento dei benefici previsti dalle leggi regionali, piuttosto che a un approfondimento del proprio progetto. Questo fa sì che gli aspiranti imprenditori si presentino con un progetto piuttosto nebuloso, generico e potenzialmente dispersivo, che richiede un notevole impegno per essere trasformato in una idea imprenditoriale nello stesso tempo ambiziosa e realistica.
È comunque da rilevare che spesso chi avvia una nuova attività imprenditoriale, avendo una conoscenza ancora piuttosto indeterminata del futuro, tende a non precludersi sin dall’inizio delle alternative tra cui scegliere in un momento successivo, una volta sondato concretamente il mercato. Al di là delle raccomandazioni teoriche sulla necessità di una forte focalizzazione sul business, può essere in realtà opportuno all’inizio lasciare più porte aperte, purché non comportino una eccessiva dispersione di risorse. 

IL PRODOTTO-SERVIZIO
Le aziende esaminate non presentano innovazioni di prodotto particolarmente eclatanti. Le loro possibilità di sopravvivenza e di sviluppo sono piuttosto affidate a un mix di competenze professionali sempre aggiornate e di attenzione ai bisogni del cliente superiori rispetto alla concorrenza. Occorre d’altra parte ricordare, con Schumpeter, che l’innovazione imprenditoriale, cioè un combinazione economica originale di fattori produttivi, è cosa diversa dall’innovazione tecnologica.
Basti pensare a grandi idee imprenditoriali come quelle di Benetton e di Ikea, non legate a invenzioni «storiche» ma all’originalità dello sfruttamento combinato di tecnologie già diffuse. Ciò non toglie che l’aggiornamento tecnologico si riveli ugualmente come un elemento determinante per la sopravvivenza e la crescita delle microimprese, né più né meno che per le medie o le grandi imprese (si pensi ai nuovi materiali usati per le protesi dentarie nel caso del laboratorio odontotecnico, così come alla esplosiva evoluzione dell’informatica per la società di software, o alle tecnologie interattive nell’insegnamento per la scuola d’inglese, o ai nuovi materiali nel campo ciclistico).

L’AMBIENTE, IL MERCATO
L’esplorazione dell’ambiente e del mercato è stata condotta in modo artigianale, ma ben mirato a definire il o i possibili segmenti della base dei clienti, le esigenze e le motivazioni all’acquisto delle diverse categorie di clienti potenzialmente interessate al prodotto e alle sue differenziazioni, i concorrenti di maggior peso. Il problema maggiore, specialmente nei casi delle iniziative che partivano da zero, è stato quello della quantificazione e della valorizzazione del mercato e delle proprie possibilità di inserimento ed espansione. Le esperienze sotto esame hanno dimostrato che nel caso di iniziative totalmente nuove, anche traguardi piuttosto prudenti si sono rivelati difficili da raggiungere: in sostanza, il fatturato del primo esercizio è stato condizionato molto dalla difficoltà iniziale di acquisire i clienti.
Nei casi in cui la nuova iniziativa è consistita nella ristrutturazione e sviluppo di una realtà preesistente, i risultati sono stati invece sin dall’inizio superiori al previsto. Una eccezione in positivo è stata l’azienda di sostituzione dei vetri di autoveicoli che, partita da zero, ha incontrato subito un successo molto superiore alle previsioni tanto da indurre i fondatori, molto pronti a cogliere le opportunità, ad aprire dopo pochi mesi un secondo centro non previsto nel piano di business.
Tutte le iniziative esaminate hanno tuttavia consolidato successivamente la propria situazione raggiungendo o superando (salvo una eccezione) gli obiettivi di fatturato, soprattutto grazie a una forte capacità di assicurarsi la fedeltà dei clienti. In effetti, si è rivelata diffusa la consapevolezza della importanza della fedeltà reciproca come fattore fondamentale della convergenza, nel medio termine, tra soddisfazione dei clienti, valore aggiunto aziendale e redditività del capitale investito. 
Per quanto riguarda la concorrenza, e in particolare quella con concorrenti di maggiori dimensioni, è interessante il caso del negozio di biciclette di Varese, che deve confrontarsi da una parte con i grandi centri commerciali e dall’altra con i negozi specializzati. Per competere la nuova iniziativa si è focalizzata su un segmento di clienti non professionisti, ad alto reddito e attenti allo status e alla fitness, sponsorizzando un club di appassionati di mountain bike.

L’ORGANIZZAZIONE
Le aziende esaminate sono tutte gestite dai soci o con pochi dipendenti fissi. I problemi più importanti, e di cui peraltro i fondatori sono ben consapevoli, sono quelli dell’aggiornamento professionale, dell’evoluzione tecnologica e, nel caso dell’esistenza di dipendenti, del reperimento di personale qualificato.
Per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, non vi è dubbio che i casi in esame dimostrano l’importanza e la capacità di aziende anche molto piccole di stare al passo con il cambiamento. 
Due le citazioni più significative: quella della società di intermediazione internazionale di casalinghi made in Italy, che utilizza con successo Internet anche per trasmettere foto e immagini sui prodotti e sulle possibili soluzioni espositive nei grandi magazzini loro clienti. Il sistema applicativo creato è stato anche venduto a una grande azienda. E ciò a dimostrazione del fatto che le innovazioni nascono spesso dalle piccole strutture, che le trasmettono poi alle grandi. Meritevole di citazione è anche il caso della società di software per le analisi cliniche, che si è lanciata in un progetto di realizzazione di una collana di cd-rom multimediali nel campo della citologia, sviluppato in collaborazione con una casa editrice, anche come veicolo per il proprio aggiornamento tecnologico, nonché per la propria notorietà e immagine. Ciò ha comportato naturalmente ulteriori investimenti con redditività differita, ma costituisce la premessa di una diversificazione ad alto valore aggiunto.
Quest’ultimo esempio fa anche riflettere sulla necessità che una piccola azienda, più che sforzarsi isolatamente e in modo occasionale di aggiornarsi, o di cercare dipendenti specializzati che il mercato spesso non offre - con il rischio di «rimanere al palo» indefinitamente rispetto ai necessari cambiamenti - deve agire in modo proattivo, con una visione più ampia e di medio termine rispetto ai propri bisogni immediati. Deve cioè cercare di creare, in cooperazione con altri - clienti, fornitori, concorrenti, centri di ricerca, organizzazioni non profit, istituzioni - luoghi di monitoraggio dello stato dell’arte delle tecnologie di proprio interesse e vivai di giovani specializzandi. 
Più in generale, nel caso dello startup di piccole aziende, particolare attenzione va dedicata al sistema di costellazione o di alleanze in cui esse dovranno inserirsi, partendo dall’idea generale che una piccola azienda ha ben scarse prospettive di sopravvivenza e di sviluppo, salvo eccezioni ben motivate, al di fuori di tali sistemi o alleanze.
L’imprenditrice che ha avviato la scuola d’inglese è collegata, sia pure con piena autonomia, con un’altra scuola d’inglese di proprietà del padre. La società di intermediazione commerciale è stata creata dai figli di un manager degli acquisti di una azienda leader nella grande distribuzione.
Occorre dire che in alcuni casi si è assistito a tentativi di collaborazione che non hanno avuto seguito. È il caso del laboratorio odontotecnico, che aveva tentato di creare, senza successo, un pool tra laboratori concorrenti per l’acquisto di macchinari particolarmente costosi e richiedenti, per essere ammortizzati, tassi di utilizzo superiori a quelli consentiti da un singolo laboratorio. Iniziative analoghe erano state realizzate in Emilia Romagna. La nostra esperienza di altri casi analoghi (ad esempio nell’industria del legno brianzola) indica che questa difficoltà di creare iniziative comuni tra concorrenti costituisce un grave punto di debolezza della piccola impresa lombarda, ancora legata ai modelli individualistici che l’avevano portata al successo ai tempi dello sviluppo spontaneo.

IL COSTO DEGLI OSTACOLI BUROCRATICI ALLO STARTUP
Come si è detto, alcune iniziative hanno faticato più del previsto, nella fase iniziale, a raggiungere gli obiettivi economici prefissati. Ciò ha comportato che in alcuni casi i fondatori abbiano dovuto praticamente rinunciare a trarre dalla iniziativa un ragionevole compenso per l’impegno profuso nel primo o nei primi anni. Ciò non di meno nessuno «ha mollato», né ha l’intenzione di mollare, dato che attualmente anche le iniziative con l’avvio più difficile cominciano a raccogliere i frutti dei sacrifici dei primi anni. Un primo ostacolo, spesso sottovalutato per la sua irragionevolezza, è dato dalle pastoie burocratiche.
Un caso esemplare è quello della scuola d’inglese, che ha dovuto rinviare di un anno l’apertura per la lentezza della USSL a concedere i nulla osta previsti e degli uffici comunali che dovevano provvedere al cambio di destinazione dei locali. 
Nel caso in esame, ciò ha comportato tra l’altro il pagamento di un anno di affitto senza poter avviare l’iniziativa, che è andato a gravare pesantemente sui costi d’investimento iniziali. 
Anche i tempi di acquisizione delle agevolazioni previste dalle leggi regionali si sono rivelati troppo lunghi: oltre un anno e mezzo. Occorre comunque rilevare che, oltre all’inaccettabilità, per una iniziativa imprenditoriale, di tempi così lunghi per la conclusione della pratica, il tasso agevolato fermo al 5% tende a non compensare più, considerata la riduzione degli interessi bancari, l’onere delle procedure burocratiche.
Sul piano più propriamente economico, le difficoltà iniziali sono dovute in gran parte alla difficoltà di essere conosciuti ed apprezzati da una base di clienti adeguata. Di qui la necessità di non sottovalutare il fabbisogno di stanziamenti di marketing adeguati sul piano sia quantitativo che qualitativo.
Occorre inoltre osservare che le nuove iniziative imprenditoriali sono spesso esposte, oltre che ad errori gestionali che spesso si correggono con l’esperienza (ad esempio quello di un assortimento di merci non perfettamente centrato sui gusti dell’area di riferimento), a varie forme di microcriminalità (fornitori e clienti non affidabili, furti, truffe, usura). Di fronte a questi rischi, vi sono due difese: 1. eccedere nel livello di prudenza; 2. disporre di una adeguata riserva sul piano finanziario.
Dopo l’avvio, alcune delle aziende considerate si sono trovate a dover fare fronte a crisi di mercato di notevole rilevanza. È stato il caso della società di intermediazione commerciale, che ha subito un grave impatto dalla crisi del sud est asiatico, dove risiedono alcuni suoi importanti clienti. Tutte le aziende hanno risposto con grande prontezza e flessibilità all’inversione dei risultati, la prima utilizzando Internet, diversificando i mercati (Nuova Zelanda) e integrando l’attività di intermediazione con operazioni di import/export; la seconda entrando nel mercato dei cd - rom professionali nel campo medico.
Occorre rilevare che nessuna delle iniziative sotto esame costituisce una attività integrativa di altre fonti di reddito famigliare, come spesso è il caso di microaziende marginali portate avanti dai promotori anche in caso di redditi inferiori al livello di autosufficienza. Tutte quindi debbono assicurare ai promotori adeguate condizioni di vita e prospettive di sviluppo. In base ai dati di bilancio dichiarati, risulta che i fatturati vanno dai 50 milioni ai 1.500 milioni di lire. Naturalmente i risultati economici che si accompagnano a questi giri d’affari dichiarati sono diversi a seconda che si tratti di attività prevalentemente commerciali o di attività prevalentemente a valore aggiunto.

CONCLUSIONI
In complesso, le aziende considerate sembrano rappresentare un piccolo, ma significativo «spaccato» dell’Italia che lavora nella forma del lavoro autonomo o della microimpresa.
Queste aziende hanno buone probabilità di sopravvivere e di adeguarsi ai mutamenti del mercato. Viene certo da chiedersi se esse siano anche in grado di anticipare i cambiamenti e di dar luogo a sviluppi tali da far loro raggiungere dimensioni più consistenti.
Certamente, molte di esse non hanno una grande idea di sviluppo, bensì semplicemente l’obiettivo di raggiungere una dimensione tale da assicurare un reddito e una sicurezza adeguati alla propria famiglia, senza o con un numero ridotto di dipendenti.
L’azienda che sembra mostrare una maggiore vocazione alla crescita è quella specializzata nella sostituzione di vetri d’auto. Essa ha mostrato infatti una notevole iniziativa imprenditoriale nell’aprire tempestivamente un’altra unità operativa. Ci risulta che stia progettando un terzo insediamento, secondo una logica «replicante» che potrebbe prefigurare un salto di dimensione e di tipo del business.
Al di là dei limiti oggettivi delle singole iniziative imprenditoriali, le prospettive di sviluppo dipendono in massima parte dalle qualità e dalle motivazioni dell’imprenditore. Tuttavia queste qualità e motivazioni possono essere aiutate a consolidarsi e svilupparsi. Le stesse iniziative che stiamo esaminando possono costituire per chi le ha avviate una prima prova, un terreno fertile su cui impiantare avventure di più vasto respiro.
Probabilmente nessuno era in grado di prevedere sin dall’inizio che il laboratorio artigiano per la produzione di mobili fondato dal Sig. Ingvar Kamprad e quello specializzato in occhiali da sole fondato dal Sig. Leonardo del Vecchio si sarebbero trasformati in tempi piuttosto rapidi in due grandi multinazionali come l’Ikea e la Luxottica. 
Sicuramente le capacità straordinarie dei fondatori sono state in questi casi determinanti. Ma mentre l’insegnamento del pianoforte non garantisce che tutti gli allievi diventino dei Benedetti Michelangeli, sicuramente il mancato insegnamento può essere causa dello isterilirsi prematuro di possibili talenti.
La nostra esperienza ci dice che tra gli aspiranti imprenditori assistiti, quelli che hanno maggiormente apprezzato l’aiuto loro fornito per redigere il business plan, che hanno mostrato maggiore «umiltà», maggiore volontà di approfondimento e capacità propositiva, insomma che si sono preoccupati maggiormente che esso risultasse esauriente e convincente, erano proprio coloro che mostravano maggiore vocazione imprenditoriale e che, per assurdo, sono apparsi i più capaci di realizzare una idea di business di successo anche senza il business plan!
Nonostante e, anzi, proprio per questa apparente contraddizione, ci sembra di poter concludere con il suggerimento di estendere l’assistenza agli aspiranti imprenditori per redigere un business plan a tutti coloro che volontariamente ne facciano richiesta, magari facendo pagare un prezzo per sottolineare il valore della prestazione. In tal modo si romperebbe anche quel rapporto perverso tra redazione del business plan e agevolazioni finanziarie, che nella mente di molti aspiranti imprenditori (e forse anche di molti assistenti) riduce il business plan alla stregua di una fra le tante forche caudine burocratiche obbligatorie che intralciano la strada di chi vuole avviare una nuova impresa.
Più in generale, ci sembra che si possa confermare la tesi secondo cui «piccolo è bello», purché, come è già stato detto, su larga scala e, aggiungiamo noi, purché sofisticato.