Impresa
& Stato n°47
IL «FALSO»:
UN PROBLEMA VERO
di
Nicola
Cerrato
Riflessi
economici, sociali e criminali della contraffazione: un fenomeno mondiale,
oltre che un’industria clandestina che muove milioni di dollari.
Il
problema della contraffazione, il cosiddetto «falso», è
un problema drammaticamente vero per dimensioni economiche, aspetti sociali,
implicazioni criminali.
Si tratta di un fenomeno
mondiale, di un’industria clandestina che, tra produzione, distribuzione
e vendita al dettaglio, movimenta milioni di dollari all’anno.
Grazie anche al progresso
tecnologico, oggi si falsifica di tutto: dall’abbigliameno alla pelletteria,
dagli accessori ai profumi, dalle video e musicassette ai compact disc
e CD-ROM, dal software ai componenti del settore informatico ed elettronico,
dagli orologi ai gioielli e, aspetto più grave, dai prodotti alimentari,
cosmetici, farmaceutici, ai ricambi per autoveicoli ed aerei.
Allorché imperversava
la lotteria del «gratta e vinci», in Italia vennero sequestrate
decine di migliaia di biglietti falsi abilmente contraffatti, con la sovrapposizione
di una combinazione vincente fasulla per premi tra le duemila e le 100mila
lire, riscuotibili direttamente presso i rivenditori.
Non parliamo poi della falsificazione
dei bollini SIAE, di CCT, BTP, eurocheque, valori bollati e persino i bollini
che marchiano banane e mele.
Nel corso di un recente
convegno sul tema qualcuno ricordava, con un pizzico di humor e quasi malcelato
orgoglio, che nostri connazionali erano riusciti a contraffare anche note
marche di champagne, poi rivendute a chi? Ai francesi, nientemeno.
Il fenomeno è andato
aumentando in maniera esponenziale negli ultimi anni, raggiungendo cifre
da capogiro: oltre cento miliardi di dollari, cioè 150mila miliardi
di lire, è stato valutato il volume di vendite planetario di merci
contraffatte.
Secondo tale indagine -
condotta dalla società Kroll Associates di New York - si tratta
di circa il 6% dell’intero commercio mondiale. Questa quota varia sensibilmente,
però, da settore a settore: si passa così dal 5% degli orologi
al 6% dei farmaci, dal 10% dei profumi al 25% dell’audiovideo, fino al
35% del software.
Si calcola che negli ultimi
dieci anni si siano persi oltre 250mila posti di lavoro a causa della contraffazione
(in favore del lavoro nero), di cui circa 100.000 nella sola Unione Europea.
E all’Italia spetta il poco esaltante primato di leader europeo della contraffazione,
e terzo paese del mondo dopo Taiwan e Corea del Sud, con un giro d’affari
attorno ai 10mila miliardi di lire.
Un dato che ci ha reso noti
nel mondo unitamente alle bellezze paesaggistiche e artistiche, agli spaghetti,
alla pizza, a Pavarotti, alla mafia e all’autentico «made in Italy».
La necessità di tutelare
i diritti industriali e di proteggere il mercato internazionale ha spinto
il Parlamento degli USA ad approvare una legge, nota come Trade Act, in
base alla quale tutte le nazioni vengono classificate in relazione all’impegno
dimostrato nel proteggere i marchi che contraddistinguono i prodotti delle
imprese straniere, oltre quelle americane.
E, in questa graduatoria,
l’Italia occupa una posizione poco invidiabile, a causa della scarsa opera
di controllo e di repressione nei confronti di tale fenomeno.
Sfugge la consapevolezza
che queste attività criminose, oltre a danneggiare le industrie
del settore e il commercio, ledono in modo significativo delicati e importanti
interessi diffusi e collettivi.
Si pensi ai gravissimi rischi
derivanti al consumatore dal commercio di farmaci-pirata, prodotti alimentari
e ricambi d’auto.
Per non parlare dello sfruttamento
di soggetti deboli (disoccupati o cittadini extracomunitari) assoldati
attraverso un vero e proprio racket e senza coperture assicurative.
Il danno provocato alle
finanze dello Stato per l’evasione fiscale è valutato in qualche
migliaio di miliardi.
Si determina, inoltre, un’alterazione
di funzionamento del mercato attraverso una concorrenza sleale basata sui
minori costi di produzione.
FALSO E MALAVITA
Ma l’aspetto più
preoccupante - evidenziato da indagini investigative e giudiziarie - è
il reinvestimento degli ingenti profitti ricavati da questa attività
illecita in altrettanto proficue attività delittuose (droga, usura,
totonero, contrabbando) da parte di organizzazioni malavitose, camorra
in testa.
Queste organizzazioni, valendosi
di collaudate tecniche di divisione del lavoro, hanno istituito managerialmente
una capillare rete di vendita per lacuni generi di prodotti contraffatti
(pelletteria, abbigliamento, video, musicassette e CD) avvalendosi di due
canali: il primo, costituito da operatori commerciali che, attratti dal
basso costo della merce in questione, si prestano a venderla nel proprio
esercizio a latere di quella in regola; il secondo, collegato invece all’impiego
di cittadini extracomunitari (nordafricani in particolare), presenti in
maniera massiccia ormai su tutto il territorio nazionale, determinando
la diffusione e il successo di questo commercio parallelo o sommerso.
Siffatto fenomeno preoccupa
enormemente e stupisce, al riguardo, l’indifferenza o l’incoscienza di
cittadini e pubblici poteri.
Va combattuto con energia
il radicarsi nel consumatore, per ragioni di egoistica convenienza e di
superficiale valutazione, di atteggiamenti comprensivi e lassisti nei confronti
dei terminali extracomunitari.
La gente deve rendersi conto
che il venditore straniero, visto con simpatie e indulgenza, è uno
strumento nelle mani di queste pericolose e agguerrite organizzazioni
che hanno trasferito nei settori indicati metodi e tecniche già
collaudati con successo nel campo del contrabbando di tabacchi lavorati
esteri e dello spaccio di stupefacenti. La capillare rete di vendita costituita
dai cittadini extracomunitari è una vera e propria palestra di criminalità,
ove gli elementi più svegli, duri e determinati vengono selezionati
e utilizzati per attività delinquenziali più gravi e delicate.
Va ricordato un fenomeno
analogo, molto diffuso negli anni ’60: il contrabbando di tabacchi lavorati
esteri a Napoli, visto da cittadini e Autorità (colpevoli dei cronici
ritardi nello sviluppo economico del Sud) con atteggiamento di comprensione
e sufficienza, e percepito come un’alternativa positiva ai furti, alle
rapine o ad altre attività criminose. Fu grazie a questa sottovalutazione
che la camorra pose radici, si sviluppò realizzando grandi utili,
si collegò alla mafia siciliana e riciclò il tutto - rete
di vendita e profitti - nell’incremento del commercio di sostanze stupefacenti.
La suddivisione degli extracomunitari
sul territorio è gestita in maniera rigorosa, a volta per zone e
generi di merce. Sprovvisti di documenti, forniscono generalità
diverse, sottraendosi alla diffida di allontanamento dal terrirorio nazionale,
mutano spesso regione e località, anelli ultimi e deboli di una
catena delinquenziale estremamente efficiente, diventano per le Autorità
italiane dei fantasmi che riescono a non essere perseguiti adeguatamente,
formando una cortina fumogena nei confronti degli organizzatori reali della
produzione e distribuzione di questi prodotti.
UNA NUOVA NORMATIVA
È importante perciò
sforzarsi di portare avanti un’azione di sensibilizzazione nei confronti
del Governo, e delle forze politiche che a vario titolo lo sostengono,
per ottenere il varo di una normativa più seria e rigorosa in tema
di immigrazione.
I limiti e i nodi della
legislazione in materia sono venuti drammaticamente al pettine e vivace
è il dibattito tra le forze politiche, nella pubblica opinione e
tra gli addetti ai lavori sulla difficoltà di ricercare un punto
d’equilibrio tra fermezza, solidarietà e rispetto della dignità
del lavoro e della persona umana.
È auspicabile, perciò,
che in occasione del varo di una nuova normativa si tengano maggiormente
presenti gli accordi di Schengen, e allineandoci agli altri paesi democratici,
europei e non, si raggiunga l’intesa per l’adozione concreta, e non solo
sulla carta, di misure rigorose nei confronti degli extracomunitari clandestini
sorpresi in flagranza dei reati di commercio abusivo di merci contraffatte
(per cui potrebbe essere previsto l’arresto obbligatorio, il conseguente
immediato giudizio direttissimo e, in caso di condanna, l’espulsione immediata,
con accompagnamento alla frontiera e divieto di rientro in Italia).
Si tratterebbe di un deterrente
capace di dissuadere chi oggi accetta di svolgere questo tipo di attività
solo in quanto a rischio giudiziario basso o nullo, e di togliere, così,
la c.d. acqua ai pesci, cioè il materiale umano indispensabile agli
organizzatori della produzione e commercializzazione dei prodotti in questione.
Il fenomeno della contraffazione
incide certamente sulla costante perdita degli addetti al commercio e lo
Stato non può continuare a raccomandare giustizia ed equità
fiscale senza poi porre un freno adeguato a queste attività criminose
per colposa disattenzione o, peggio, per impotenza.
Occorre un recupero della
legalità e del controllo del territorio anche su questo più
modesto versante: come illudersi, altrimenti, di poter combattere forme
ben più gravi di criminalità?
A parte tale aspetto, il
quadro normativo vigente nel nostro Paese per reprimere il fenomeno della
pirateria non si discosta di molto dagli standard legislativi europei (ad
eccezione della Francia che non solo ha inasprito le sanzioni a carico
di chi fabbrichi o ponga in vendita merci contraffatte, ma ha introdotto
apposite sanzioni a carico del consumatore acquirente).
Il problema, tutto italiano,
è quello di una inadeguata applicazione delle norme vigenti: forze
dell’ordine e magistratura (eccettuati lodevoli casi) hanno un approccio
culturale assolutamente insufficiente nei confronti di un fenomeno che
ci si ostina a considerare sostanzialmente innocuo, una nota di colore,
una componente folkloristica della vita contemporanea.
Così si spiegano
i ritardi nell’esame delle relative notizie di reato, la lentezza nel pervenire
ad un giudicato, le pene spesso irrisorie, la concessione dei benefici
a soggetti che riprendono sistematicamente a delinquere.
È tempo, poi, di
sinergie tra Forze dell’ordine, Magistratura e le diverse associazioni
di categoria che oggi affrontano in ordine sparso la lotta alle organizzazioni
specializzatesi nella contraffazione.
L’azione istituzionale dovrebbe
trovare ausilio e supporto in strutture operative e investigative a carattere
privato, riferibili alle aziende ed associazioni interessate, che svolgano
un’azione di intelligence attraverso l’acquisizione di notizie da parte
di informatori adeguatamente stimolati.
Fondamentale è, infine,
una continua opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. L’utente
consapevole della provenienza illecita di certi prodotti deve capire che
compra a volte un prodotto scadente (specie nell’audiovisivo), che corre
dei rischi giudiziari perché può essere incriminato per ricettazione
e incauto acquisto, e che indirettamente apporta un contributo economico
ad organizzazioni criminali.
Solo un intelligente mix
di prevenzione e repressione, una risposta istituzionale culturalmente
più avanzata e un’attenzione costante al fenomeno della contraffazione
e alle sue evoluzioni possono farci sperare in un’inversione di tendenza
e in una risposta adeguata alla crescente gravità del problema.
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