Impresa
& Stato n°46
L’INTERPROFESSIONALITÀ
NEL MERCATO GLOBALE
di
Francesco
Serao
Un momento propizio
perché l’Italia si renda competitiva, l’occasione per un rinnovamento
generale del sistema normativo delle libere professioni.
Il
nuovo ordine economico internazionale che si sta affermando alle soglie
del 2000 supera l’ottica keynesiana di tipo garantista e ripropone un orientamento
di stampo liberista centrato sull’idea di deregulation e di liberalizzazione.
I fenomeni della globalizzazione,
della liberalizzazione e della competizione si stanno sempre più
rapidamente accreditando nel mercato mondiale, anche con riflessi in ambiti
regionali (ad esempio: Unione Monetaria Europea, Mercosur) nei quali si
punta alla integrazione regionale.
Le previsioni concernenti
il futuro andamento dell’economia (Cfr. Global Economic prospects and the
Developing Countries, World Bank, Washington D.C., 1996) evidenziano che
tali fenomeni sono destinati a dominare per molti anni le regole dell’economia
internazionale e ci si aspetta che nei prossimi dieci anni si avrà
un’espansione del commercio internazionale tale da determinare un’ulteriore
accelerazione dell’integrazione mondiale.
Da quanto sopra è
possibile rilevare come i cambiamenti in atto dell’economia mondiale creino
un quadro in rapida evoluzione, caratterizzato da una accelerazione dei
movimenti di risorse (capitali, beni e persone).
In tale contesto tanto maggior
rilievo assume il delinearsi di nuovi mercati emergenti e di nuove forme
di collaborazione tra imprese di diversi paesi che tendono a configurarsi
come un vero e proprio strumento strategico da valorizzare e rafforzare.
L’allargamento degli orizzonti
operativi richiede, quindi, alle aziende l’adozione di strumenti sofisticati
e adeguati per un’efficace gestione dei processi decisionali.
A sua volta, l’esigenza
di approdare ad una gestione qualitativamente elevata dell’azienda, per
poter essere soddisfatta efficacemente richiede l’intervento di soggetti
qualificati che abbiano un quadro generale dei problemi aziendali e, nel
contempo, le conoscenze utili a risolvere gli stessi.
LE PROFESSIONI
INTELLETTUALI
Le professioni economiche
e giuridiche sono quelle che, più delle altre, sono legate all’evoluzione
sociale, politica ed economica. In particolare, proprio le professioni
economico-giuridiche, fra le quali in primis i dottori commercialisti,
rappresentano un fattore fisiologicamente necessario al funzionamento del
sistema economico (Cfr. C. Vaccà, Concorrenza, modalità di
organizzazione e forme di comunicazione delle professioni economiche: lacune
e modelli di sviluppo della disciplina giuridica, in Econ. Dir. Terziario,
1995, p. 163 ss.) e per questo sono quelle che più risentono delle
evoluzioni dello stesso.
L’adeguamento alla domanda
del mercato e l’aggiornamento continuo che essa richiede rappresentano,
pertanto, un elemento non solo per la qualificazione, ma anche per la vera
e propria sopravvivenza nel mercato del professionista.
La domanda del mercato risulta
oramai caratterizzata da due esigenze: la richiesta di servizi sempre più
complessi ed articolati e la specializzazione.
La professione deve adeguarsi
alle esigenze del mercato preparandosi ad offrire una gamma quanto più
ampia possibile di servizi, potenzialmente in grado di affrontare e risolvere
tutti i problemi inerenti all’azienda, di dimensioni sia nazionali che
mondiali. Nello stesso tempo, il servizio professionale offerto deve essere
sufficientemente specialistico e approfondito per garantire la massima
qualità della prestazione. Tutto questo si traduce nella necessità
di offrire una consulenza globale e specialistica che investa la realtà
dell’impresa in ogni suo aspetto e che sia altamente qualitativa.
La formula che meglio di
tutte sembra rispondere alle esigenze della domanda di moderni professionisti
si deve disegnare in base a due fattori fondamentali: la competenza e la
struttura organizzativa.
Per le professioni economico-giuridiche
si è testato che il modello professionale che sembra meglio rispondere
alle esigenze della domanda di mercato nasce dal binomio preparazione latina
- organizzazione anglosassone.
In riferimento alla competenza,
ovvero ai contenuti, più che di modello latino si potrebbe parlare
di modello italiano. Difatti, in termini di preparazione, i professionisti
italiani (i dottori commercialisti) rappresentano un modello fortemente
avanzato, poiché in grado di offrire un servizio ampio e completo
alle aziende, laddove alle tipiche competenze in campo economico-contabile
si aggiungono anche approfondite conoscenze di natura segnatamente giuridica.
Dal lato organizzativo,
è innegabile che le strutture di derivazione anglosassone presentino
degli elementi di validità. Emerge, infatti, chiaramente come la
complessità del contesto economico-aziendale e le conseguenti esigenze
da soddisfare in termini di assistenza e consulenza alle aziende non consentano
più l’individualismo nell’esercizio della professione, richiedendo
invece la presenza di strutture in cui si concentrino le conoscenze e le
capacità di più professionisti.
VERSO LE SPECIALIZZAZIONI
Se è vero che quello
che ho chiamato il modello italiano risulta pienamente in linea con le
moderne tendenze per le professioni, è altresì noto che esso
costituisce solo il punto di partenza di un sistema professionale strutturato
in modo sicuramente più articolato.
Difatti, la specializzazione
in determinate materie ed attività professionali risulta ad oggi
un effetto della crescente complessità delle materie che il professionista
deve affrontare, complessità aggravata per certi settori (ad esempio
quello tributario) dalla iperfetazione legislativa. Nella realtà
operativa il professionista si vede necessariamente costretto a concentrare
la propria attività solo in alcuni campi e in alcune materie fra
le tante che l’ordinamento professionale gli riconosce.
Questo fenomeno non trova,
tuttavia, rispondenza dal lato normativo. In altre parole, l’attuale regolamentazione
professionale in Italia non prevede, salvo il caso delle professioni mediche,
l’istituzione di corsi di specializzazione post-abilitazione e non dà
quindi la possibilità di spendere nel mercato un titolo di specializzazione.
Gli effetti di questa carenza
normativa si riflettono soprattutto sui fruitori dei servizi professionali
che dispongono di minori informazioni per poter scegliere il professionista
più adatto alle proprie esigenze. Inoltre, la mancanza di una regolamentazione
specifica legittima l’uso e la diffusione di titoli e «specializzazioni»
fasulli, non leciti e di nessuna garanzia per i consumatori.
La piena soddisfazione delle
esigenze della domanda globale e specialistica presuppone sia l’istituzione
di titoli di specializzazione sia la possibilità organizzativa di
riunire più competenze e specialisti in un’unica struttura professionale.
Entrambe queste esigenze,
da tempo avvertite dai professionisti, finalmente trovano ascolto da parte
del legislatore nazionale che, anche in base alle sollecitazioni provenienti
da voci diverse (Antitrust, Industria, ...), ha avviato un processo di
rinnovamento dell’intero sistema normativo delle professioni.
SOCIETÀ
TRA PROFESSIONISTI
L’intervento legislativo
si è concentrato, a partire dallo scorso anno, per primo sull’aspetto
organizzativo dell’esercizio delle professioni intellettuali.
Come è noto, il divieto
di costituire società tra professionisti era dettato dall’oramai
abrogato art. 2 della legge 1815 del 1939 che, secondo la ricostruzione
che ne hanno fatto giurisprudenza e dottrina, era stato previsto da un
lato per garantire la personalità della prestazione professionale
e dall’altro per evitare che lo schermo societario consentisse a soggetti
non abilitati di esercitare la professione.
Mentre dottrina e giurisprudenza
si erano più volte espresse su tale divieto e, anche alla luce delle
norme del codice civile che prescrivono che la prestazione professionale
sia personale, erano arrivate a conclusioni assai diverse, a seconda del
tipo di società e del tipo di professione, dal lato dell’iniziativa
legislativa erano stati presentati diversi progetti di legge che, tuttavia,
non sono mai arrivati a compimento.
Nei progetti di legge che
si sono succeduti nel tempo l’elemento della interprofessionalità
ha subito sorti diverse e anche per esso si può parlare di una certa
evoluzione. Nel progetto di legge Palumbo (ddl S-473, presentato alla Presidenza
il 21 maggio 1996), uno dei più recenti, la possibilità di
costituire delle società tra professionisti appartenenti ad ordini
diversi è riconosciuta «purché vi sia compatibilità»
tra le diverse professioni, «secondo criteri stabiliti con decreto
del Ministero di grazia e Giustizia, previo parere vincolante degli ordini
e dei collegi professionali interessati» (v. art. 1, comma 1).
La limitazione introdotta
a seconda della compatibilità o meno dell’esercizio comune di professioni
diverse e il fatto che tale compatibilità debba essere stabilita
con decreto del Ministero di Grazia e Giustizia sono certamente ingiustificati.
L’interprofessionalità risponde alle esigenze del mercato di una
consulenza globale e specialistica ed è lo stesso mercato che determina
le compatibilità fra le diverse professioni. In altre parole, se
oggi la domanda di servizi specialistici offerti congiuntamente, ad esempio,
da dottori commercialisti e da chimici e ingegneri non è tale da
motivare la creazione di una società professionale fra questi, non
si può escludere che presto le aziende possano decidere di conseguire
la certificazione ambientale in base alle norme UNI ISO 14000 e che abbiano
quindi bisogno delle competenze specialistiche proprie sia degli uni che
degli altri con la conseguenza che nascano delle società professionali
di dottori commercialisti, chimici e ingegneri. Le possibilità offerte
dal mercato sono molteplici e spesso imprevedibili e lo strumento organizzativo
delle società interprofessionali non può nascere già
con dei limiti suoi intrinseci.
Questo aspetto è
stato superato nel regolamento adottato dal Ministero di Grazia e Giustizia,
di concerto con Sanità e Industria, in attuazione della delega prevista
nell’art. 24 della legge Bersani, nel quale non vi sono limitazioni alle
possibili associazioni fra professionisti iscritti in albi.
Rimane, tuttavia, un secondo
aspetto nel quale il regolamento sembra carente: la partecipazione alle
società professionali di non professionisti. I limiti previsti per
la partecipazione al capitale dei soci investitori sono troppo larghi.
Infatti, nella accomandita semplice gli accomandanti possono essere anche
non professionisti e nelle società di capitali i non professionisti
possono arrivare al 49,9 % del capitale. Con tali previsioni è fortissimo
il rischio che le libere professioni siano costrette a rinunciare alla
caratteristica che da sempre le contraddistingue, l’indipendenza.
In conclusione, la società
tra professionisti deve essere una possibilità - o meglio la rimozione
di un anacronistico vincolo - data alle professioni intellettuali per organizzare
meglio il servizio ai propri utenti e rispondere alla forte domanda di
interprofessionalità che, come si è visto, viene dall’economia
reale. L’interprofessionalità non deve invece trasformarsi nel pretesto
con cui le professioni intellettuali vengono asservite ad interessi esterni
che nulla hanno a che vedere con la tutela dell’interesse pubblico cui
i professionisti sono preposti.
LO SCHEMA DI LEGGE
Il secondo importante pilastro
del processo di riordino delle professioni intellettuali è rappresentato
dallo schema di legge delega elaborato dal Ministero di Grazia e Giustizia.
In esso le indicazioni di globalizzazione, liberalizzazione e competizione
che vengono dal mercato sono state correttamente interpretate dal legislatore
non come richiesta di deregulation ma come domanda di garanzia di qualità
e di professionalità.
Difatti, la globalizzazione
e la competizione vengono realizzate tramite la diversificazione dell’offerta
di servizi professionali secondo due modelli organizzativi: gli ordini
e collegi professionali e le associazioni riconosciute dal CNEL.
L’esigenza di interprofessionalità
trova risposta in un insieme di principi e criteri direttivi che dovranno
informare i regolamenti ministeriali di attuazione della delega.
Con riguardo alle società
tra professionisti, la lettera Q) dell’art. 1 muove nella direzione di
una maggiore garanzia di indipendenza rispetto al regolamento di cui sopra
e limita la partecipazione al capitale delle società di non professionisti
al 30%.
Con riguardo, invece, alla
necessità che i fruitori del servizio professionale possano essere
garantiti della qualità della prestazione, lo schema di legge delega
amplia le misure di controllo e di regolamentazione della professione soprattutto
per le professioni il cui esercizio investe interessi pubblici generali.
Per queste il legislatore non solo ha ribadito la necessità che
vi siano dei controlli a priori (titolo di studio, tirocinio, esame di
Stato, iscrizione all’albo) ma ha anche introdotto verifiche a posteriori,
in itinere.
Questa introduzione è
sicuramente positiva sotto due aspetti. Per un primo aspetto, essa legittima
l’istituzione nel nostro ordinamento di una serie di «certificati»
o titoli che siano lecitamente spendibili nel mercato e che non solo consentano
al consumatore una scelta ragionata del professionista cui affidarsi, ma
permettano anche di distinguere fra le diverse tipologie di offerta di
servizi professionali introdotte con la lettera D). Titoli o certificati
che possono andare dal titolo di specializzazione, acquisito dopo aver
frequentato un corso di specializzazione in determinate materie, a certificazioni
di qualità delle prestazioni e di qualificazione professionale (lettera
A, punto c). Per un secondo aspetto, il legislatore riconosce le funzioni
di controllo del gruppo professionale svolte dagli ordini e, anzi, ne amplia
notevolmente le competenze, riservando loro la gestione di questi titoli
e certificazioni secondo le modalità che verranno fissate nei decreti
attuativi.
In ogni caso, va sottolineato
con grande favore che il legislatore ha rigettato l’accusa di mero corporativismo
rivolta agli ordini riscoprendo e valorizzando l’esercizio di funzioni
pubbliche da parte degli stessi a tutela di interessi pubblici e generali.
Il momento è particolarmente
propizio perché l’Italia possa finalmente adeguarsi alle aspettative
di globalizzazione del mercato internazionale e rendersi competitiva. Le
basi del modello italiano sono già un ottimo punto di partenza e
lo strumento della legge delega costituisce l’occasione per un rinnovamento
generale del sistema normativo delle libere professioni in linea con i
fenomeni della globalizzazione e della competizione internazionale.
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