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Impresa & Stato n°46 

  

REGOLAZIONE E GIUSTIZIA NELLE ATTIVITÀ PROFESSIONALI

di 
 Eliana Romano e Elisabetta Gadda
 
Darsi norme condivise e farle rispettare. Il ruolo della Camera e dei suoi Osservatori nello stimolare Ordini, Collegi e Associazioni nelle attività di autodisciplina
Considerato il crescente interesse mostrato in ambito comunitario verso temi quali la tutela del ercato, la promozione della concorrenza, la difesa dei consumatori, la libera circolazione dei professionisti e la c.d. «cittadinanza europea», non deve stupire il fatto che il nostro Governo abbia dedicato particolare attenzione, nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria per il triennio 1999-2001, alle politiche per l’efficienza dei mercati. 
L’azione del Governo italiano, dovendo dare attuazione alle numerose direttive comunitarie finalizzate all’eliminazione delle eventuali barriere al commercio internazionale e agli investimenti che favoriscono il processo d’integrazione dell’attività economica, si è ormai orientata nel senso di una spiccata deregolamentazione e di una contestuale ricerca di nuovi strumenti di regolazione (intesa, secondo quanto sostenuto da Amato in una sua recente pubblicazione in tema di antitrust, come «...sensibilità per le esigenze intrinseche del funzionamento del mercato...») di quei settori dell’economia nei quali il libero gioco della concorrenza è stato penalizzato dalla presenza di eccessivi vincoli amministrativi: il tutto si è tradotto in un deciso processo di liberalizzazione e razionalizzazione del settore commerciale (d. lgs. Bersani del 13 marzo 1998) e dei servizi pubblici (telecomunicazioni, poste, energia elettrica, gas e trasporti). 
Questa tendenza alla deregulation sta coinvolgendo anche gli ambiti professionali. 
In proposito, il giudizio reso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato lo scorso ottobre nella Relazione Conclusiva dell’indagine conoscitiva sugli ordini e i collegi professionali è stato recentemente confermato dall’Antitrust nella Relazione Annuale (tenuta dal prof. Tesauro il 20 maggio 1998, davanti alle massime autorità dello Stato).  
L’Authority si è espressa sfavorevolmente nei confronti dell’attuale sistema d’accesso nonché di organizzazione delle professioni (gestito dai vari ordini e collegi), considerandolo «protezionistico» e ingiustificatamente restrittivo della concorrenza, in quanto non correlato ad alcun beneficio per la collettività, oltre che d’intralcio al processo d’innovazione degli stessi professionisti, che finiscono per soffrire la concorrenza dei colleghi stranieri.  
A parere dell’AGCM, infatti, riconoscere l’importanza e la peculiarità delle attività professionali, volte spesso a garantire il perseguimento di rilevanti interessi pubblici, non significa affatto ammettere un loro contrasto con i principi del mercato e con l’applicazione delle norme poste a tutela della concorrenza. 
Secondo l’Antitrust, quindi (l’opinione è condivisa anche dal Governo), «...il ruolo degli ordini... non sarebbe certo messo in discussione dalla possibilità, lasciata ai professionisti, di adottare le forme organizzative ritenute più adeguate, di stabilire tariffe per le prestazioni più direttamente collegate ai costi di fornitura, nonché di avvalersi di messaggi pubblicitari aventi natura informativa... si tratterebbe, per contro, di interventi idonei a consentire agli utilizzatori di servizi professionali di beneficiare dell’operare dei meccanismi concorrenziali...».  
Molteplici sono i provvedimenti normativi attualmente in atto in tema di attività professionali: il disegno di legge sul riordino della professione forense e sulle scuole di specializzazione, il disegno di legge-quadro sulle libere professioni (contenente una delega al Governo per realizzare un progetto organico di riforma in tema di professioni intellettuali e la cui stesura è stata affidata ad una Commissione diretta dal Sottosegretario alla Giustizia Mirone), lo schema di regolamento per l’esercizio in forma societaria delle attività professionali protette, attuativo dell’art. 24 della legge Bersani n° 266/97 (abolitiva di un divieto in vigore dal 1939 che, comunque - ha specificato il Consiglio di Stato - non valeva per tutte le «libere» professioni incardinate in ordini e collegi, ma solo per quelle cd. «protette»). Una mozione approvata il 23 giugno scorso dal Senato ha però imposto uno stop al varo del regolamento sulle società tra liberi professionisti, rinviando la disciplina dell’attività professionale in forma collettiva (così distinta dalle «realtà mercantili») al disegno di legge di riforma complessiva delle professioni, in questi giorni all’esame del Consiglio dei Ministri. 
Al momento pare quindi avere priorità la riforma delle libere professioni, il cui testo finale è frutto di un compromesso (espressione degli sforzi compiuti nella ricerca di un equilibrio) tra l’esigenza di garantire la concorrenza e quella di preservare comunque l’interesse generale per beni e diritti costituzionalmente rilevanti (in riferimento a quelle attività relative a competenze e funzioni che debbono rimanere «protette»): compito, questo, assegnato agli ordini, chiamati (è quanto afferma Mirone) a «...garantire il livello di qualità della prestazione attraverso le regole d’accesso alla professione e, soprattutto, certificando l’aggiornamento professionale degli iscritti...». 

CDC: REGOLAZIONE E GIUSTIZIA 
La progressiva trasformazione che sta interessando il quadro delle istituzioni nazionali (sull’onda degli orientamenti che vanno generalizzandosi nel contesto normativo comunitario: semplificazione, decentramento, deregulation e sussidiarietà) ha finito per coinvolgere tutti, privati, autorità intermedie, authorities, enti pubblici e CCIAA, in un vasto processo di adattamento: lo Stato italiano, passando da una posizione di «amministratore» ad una di «regolatore», va configurandosi quale presidio effettivo della concorrenzialità tra libere imprese private assicurando, nel contempo, il conseguimento e il mantenimento di un’adeguata protezione del consumatore. 
Le Camere di Commercio hanno da sempre interpretato un ruolo decisivo nell’osservazione, regolazione e promozione degli interessi generali delle imprese: funzioni che risultano oggi notevolmente potenziate ed ampliate, alla luce delle nuove previsioni e attribuzioni riconosciute agli Enti camerali dalla legge n° 580/93 (art. 2, commi 4 e 5), il cui dettato è stato confermato e portato ad ulteriori sviluppi da successivi interventi normativi; tra questi ultimi, in particolare, va ricordato il d.lgs. n° 112/98 (attuativo del Capo I della legge Bassanini n° 59/97 sul c.d. «federalismo amministrativo»): l’art. 20 di tale decreto attribuisce, infatti, alle CCIAA le funzioni esercitate dagli uffici metrici provinciali e dagli UPICA, individuando presso le stesse un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica. Tra le novità si segnala, in particolare, l’istituzione presso le CCIAA dell’Ufficio del Registro delle Imprese, sancita dall’art. 8 della legge n°580/93 e completata dal regolamento di attuazione emanato con D.P.R. n° 581/95, per consentire un più efficace svolgimento dei compiti di regolazione e certificazione da parte del sistema camerale.  
La tematica si fa particolarmente interessante, per le implicazioni collegate all’argomento in esame, se si pensa alla posizione tenuta dal Consiglio di Stato (anche alla luce della direttiva comunitaria del 14 marzo 1998, che impone ai Paesi UE di superare entro il prossimo biennio la distinzione tra libere professioni e attività d’impresa), al cui esame è stato sottoposto lo schema di regolamento sulle società professionali, in merito al carattere dei servizi professionali prestati nell’ambito di un contesto operativo di tipo societario, e alla loro consequenziale qualificabilità come attività imprenditoriali soggette, come tali, anche alle procedure concorsuali e all’iscrizione presso il registro delle imprese.  
Quest’ultima considerazione, in particolare, fa emergere alcune perplessità circa il tipo di pubblicità derivante da tale iscrizione per le società di professionisti, data la mancanza di univocità delle posizioni esistenti in tema; in base al menzionato regolamento, infatti, l’esercizio collettivo della professione potrebbe svolgersi solo nelle forme di società di persone, di cooperative a responsabilità illimitata e (per quanto la possibilità di organizzarsi con strutture di capitali sia stata fortemente avversata dal Consiglio di Stato) di società in accomandita per azioni: di conseguenza, quali effetti riconoscere alla certificazione anagrafica camerale? Solo dichiarativi o, come lascia supporre la cauta apertura alle società di capitali, anche costitutivi? Per contro, il disegno di legge-quadro «Mirone» prevede una forma societaria ad hoc, in deroga al codice civile: in questo caso, che genere di pubblicità conseguirebbe all’iscrizione della stessa nel registro delle imprese? Dichiarativa, costitutiva o di mera pubblicità-notizia, come per le società semplici? 
Recentemente (con sentenza del 18 giugno scorso) la Corte di Giustizia CE ha ribadito la natura d’impresa dell’esercizio delle libere professioni anche intellettuali e ha qualificato «associazioni d’imprese» gli ordini professionali (anche se configurati dalle legislazioni nazionali come «enti pubblici»): così, anche il singolo professionista acquisterebbe lo status d’imprenditore, ponendosi così nei suoi confronti le medesime problematiche enunciate per le società professionali. 
Tra i principali obiettivi di ogni Camera di Commercio figurano altresì le attività di regolazione per così dire «tradizionali»: raccolta e pubblicazione di usi e consuetudini, rilevazione dei prezzi, tenuta di albi e ruoli professionali. In proposito, occorre precisare che l’obbligatorietà (ex lege) dell’iscrizione di alcuni professionisti in albi e ruoli tenuti presso le CCIAA risponde ad esigenze di tipo amministrativo: l’iscrizione, in sé, attribuisce certezza informativa circa lo status del professionista; l’esercizio di attività professionale senza la preventiva iscrizione all’albo affidato alla pubblica amministrazione comporterà l’applicazione di sanzioni amministrative, anche se l’attività svolta continuerà a sussistere giuridicamente: la funzione di regolazione del mercato assegnata alla Camera di Commercio potrà trovare particolare espressione, in tale contesto, sia nella capacità dell’Ente di sintetizzare i diversi interessi che caratterizzano il mercato, sia nell’assicurare la correttezza dei rapporti tra i diversi soggetti economici contraenti, con speciale attenzione, considerata la materia, alla prevenzione e al contenimento del diffondersi del fenomeno «abusivismo», allo scopo di contrastarne gli effetti distorsivi sul mercato. 
A tali profili professionali è attribuita «rilevanza giuridica intermedia», a metà strada rispetto alle professioni regolamentate (queste ultime caratterizzate dalla presenza di un apposito ente professionale, dotato di propri ordinamenti e poteri, cui viene affidata la tenuta dell’albo e l’iscrizione al quale costituisce per il professionista condizione essenziale per esercitare l’attività protetta incorrendo, in mancanza d’iscrizione, nel reato di esercizio abusivo della professione) e a quelle non ancora recepite dal legislatore e quindi prive di rilievo pubblicistico (le cui associazioni rappresentative e il relativo albo hanno carattere privatistico). 
Tra queste ultime, meritano speciale menzione le espressioni del terziario emergente che, rappresentate nell’ambito della «Consulta delle associazioni delle professioni non regolamentate» istituita presso il CNEL, premono fortemente per un loro riconoscimento legislativo, da attuarsi nel contesto delle attività di progettazione per una riforma generale delle professioni (ora affidate alla Commissione Mirone e al momento sottoposte al vaglio - critico - di ordini e collegi), per poter così rientrare in un più vasto modello professionale internazionale, da fondarsi sui valori della flessibilità e della formazione permanente nonché sul consolidamento di adeguati standard di qualità dei servizi offerti. 
Di certezza legale dell’iscrizione si potrà parlare, invece, qualora l’albo sia tenuto presso ordini o collegi professionali (enti di diritto pubblico appositamente istituiti per assicurare l’autoregolamentazione della categoria protetta mediante il controllo della qualità e della continuità della preparazione fornita agli iscritti e la diffusione di condotte professionali ispirate a precisi valori morali), in riferimento ad attività il cui esercizio sia riservato soltanto a persone che abbiano i requisiti necessariamente richiesti dalla legge (adeguatamente verificati dall’ordine o dal collegio d’appartenenza) per svolgerle, dato il fine di tutela degli interessi-base del cittadino costituzionalmente protetti (salute, difesa, ...) cui è rivolta l’attività professionale stessa. 
Ritornando ai compiti regolativi assegnati alle CCIAA dalla menzionata riforma legislativa (legge n°580/93, art. 2, commi 4 e 5), si ricorda che spettano agli enti camerali:  
1) La costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione di controversie tra imprese e tra imprese, consumatori e utenti; funzione che potrà essere assolta stimolando l’adozione di forme semplificate e accessibili di arbitrato (da adattare alle esigenze dei singoli settori economici) oltre che estendendo la conoscenza e l’applicazione dello strumento conciliativo. 
2) La promozione del controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti; tale controllo, gestito dalla CCIAA di Milano in base ad un progetto pilota elaborato per verificare la vessatorietà di (determinate) clausole contrattuali standardizzate, alla luce della nuova e complessa disciplina comunitaria dettata per i contratti con i consumatori (recepita poi negli artt. 1469 bis-sexies c.c.), è ora orientato principalmente nel senso della prevenzione, della promozione e dell’indirizzo; va precisato comunque che la Camera di Commercio è legittimata per legge ad esperire anche azioni giudiziali inibitorie per ottenere, in via repressiva, dichiarazioni di vessatorietà relativamente a clausole riconosciute abusive. 
3) La promozione e predisposizione di contratti-tipo tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi degli utenti, le cui modalità di attuazione s’ispirano alla stessa filosofia seguita dalla CCIAA di Milano per il controllo delle clausole vessatorie: verifica dei comportamenti degli operatori professionali, confronto con parametri normativi ed esigenze di settore, stimolo e ausilio all’autonomia privata perché scaturiscano eque soluzioni. 
4) La possibilità di costituirsi parte civile nei delitti contro l’economia pubblica e la legittimazione ad agire in tema di repressione della concorrenza sleale. 
Tra i compiti dell’istituzione camerale rientra, per legge (n°. 580/93, art. 2, comma 6°), anche la formulazione di «...pareri e proposte alle amministrazioni dello Stato, alle Regioni e agli Enti locali sulle questioni che comunque interessano le imprese della circoscrizione territoriale di competenza»; la CCIAA di Milano ha perciò fatto dell’obiettivo di capire e risolvere congiuntamente i problemi attraverso il sistema degli Osservatori uno dei capisaldi dell’azione di regolazione: questi innovativi strumenti istituzionali di analisi, stimolo e concertazione sono destinati a riportare i processi decisionali che fanno capo alla Camera di Commercio a quel livello (in genere locale) in cui naturalmente si collocano.  
Per poter svolgere un ruolo incisivo, infatti, la macchina pubblica deve saper operare in tempo reale sui fenomeni: da tale esigenza sorge la necessità di organizzare un sistema di monitoraggio dei problemi direttamente sul territorio e con i protagonisti della vita economico-sociale.  
Gli Osservatori camerali costituiscono idonei luoghi di raccordo e confronto tra una pluralità di soggetti istituzionali, associativi e scientifici che, a partire da attività di «comune presa di coscienza» del problema (monitoraggio, ricerca, scambi d’informazioni ed esperienze), possono pervenire successivamente ad una convergenza di tutti gli interessi coinvolti, in modo da creare le condizioni più adatte per la predisposizione di piattaforme di lavoro strategico e per la proposizione di politiche d’intervento adeguate. 
Ecco perché, dunque, il potenziamento e la crescita degli Osservatori rappresentano il segno di un mutamento strutturale della Camera di Commercio che, da meramente garantista e promozionale, si va ponendo sempre più come soggetto aperto, in grado di farsi intermediario delle potenzialità di autoregolazione, proposta e giudizio strategico che la comunità delle imprese (coadiuvata da quella scientifica), in collaborazione con altre istituzioni e con la comunità dei consumatori, sa esprimere. 

ABUSIVISMO E AUTODISCIPLINA 
Con la prospettiva di garantire e rendere trasparente il mercato, è stato recentemente istituito presso la CCIAA di Milano l’Osservatorio Regolazione e Giustizia del Mercato, il cui programma di lavoro si orienta su tre filoni principali: abusivismo, contratti-tipo e conciliazione.  
Al fine di una ricerca degli strumenti più idonei a contrastare l’emergere e il diffondersi dell’abusivismo, spetta all’Osservatorio Regolazione e Giustizia del Mercato un’attività di monitoraggio per una riflessione tecnico-scientifica sul fenomeno, unitamente alla formulazione di una proposta «politica» sulla legislazione e sulla prassi.  
Si tratterà di verificare, in primis, la reale consistenza del fenomeno nel tentativo di quantificarne l’incidenza nei diversi settori di operatività e di stimarne le ripercussioni sulla domanda di mercato.  
Con «abusivismo» deve intendersi un insieme di comportamenti illeciti, tenuti da privati, enti e società, non soltanto nelle loro forme più evidenti (si pensi alla vendita senza licenza) ma anche nelle manifestazioni più striscianti, come nel caso dello sfruttamento di canali commerciali o professionali non regolamentati, anche a causa dell’inidoneità di alcune regole normative esistenti in specifici settori: si può portare come esempio una recente sentenza della Corte di Giustizia CE (emessa il 30 aprile scorso), che ha sancito la contrarietà alla normativa comunitaria in tema di libertà di stabilimento delle disposizioni legislative italiane che comportino l’invalidità del contratto stipulato da un agente di commercio non iscritto nell’apposito albo camerale, segnalando in tal modo l’esistenza di una diversa concezione di «agente abusivo» a seconda del contesto normativo, europeo o italiano, preso in esame.  
In un secondo tempo si procederà ad un’analisi dinamica della fenomenologia dell’abusivismo, evidenziando le molteplici variabili che contribuiscono, con sfumature diverse, a definirne i tratti fondamentali.  
In proposito, potrà trovare spazio anche un’analisi della condotta di quei professionisti che agiscono senza essere iscritti all’albo camerale, anche alla luce delle recenti tendenze normative in materia: è il caso, ad esempio, del disegno di legge di riforma sulla disciplina dell’attività della categoria dei mediatori, ispirato ad un programma di maggiore professionalizzazione della categoria che sancisca la fine dell’accesso automatico al ruolo, e conseguentemente orientato a valutare e identificare l’attività abusiva nel settore come reato, anziché come illecito amministrativo; in senso contrario pare orientato, invece, il d. lgs. Bersani del 13 marzo 1998 con cui è stato dato un nuovo assetto alla disciplina del commercio: l’annullamento delle tabelle merceologiche non alimentari previste dal REC potrebbe infatti portare ad un progressivo calo delle presenze ai corsi di formazione, con un conseguente abbassamento dei livelli di professionalità. 
In tema di contratti-tipo, l’Osservatorio Regolazione e Giustizia del Mercato curerà l’approfondimento dell’attività di «contemperamento» svolta dalla CCIAA di Milano tra la funzione di tutela della concorrenza nel mercato e quella di promozione e predisposizione di modelli contrattuali aperti ed equi, elaborati in modo da non contemplare clausole abusive e in grado di scoraggiare comportamenti di mercato scorretti. 
Obiettivo dell’Osservatorio Regolazione e Giustizia del Mercato è anche il monitoraggio del fenomeno «giustizia civile»: stante la crisi attuale della stessa, si è ritenuto opportuno mettere in evidenza l’importanza dello strumento conciliativo quale centro di confronto tra interessi ed esigenze contrapposte, quale punto di partenza per l’individuazione di future linee di condotta per gli operatori, soprattutto nei rapporti tra consumatori e imprese, ma anche tra le stesse imprese, per la regolazione e gli equilibri del mercato, nonché quale strumento di autoregolazione del mercato stesso. 
Anche nel rispetto del principio di sussidiarietà, limitando, cioè, il campo d’azione camerale alla composizione di quei conflitti che le associazioni di categoria non siano state in grado di risolvere, la CCIAA si configura quale istituzione di riferimento per la promozione di efficienti servizi di «giustizia alternativa» più vicini alle esigenze delle imprese e dei consumatori, servizi che possono essere pensati come sorta di «succursali dei tribunali», la diffusione dei quali potrebbe essere utile stimolare, ad esempio attraverso l’introduzione di clausole compromissorie nei formulari contrattuali, accanto a quella dei corrispondenti modelli adottati spontaneamente dalle associazioni settoriali delle imprese, tra i quali rientrano i codici deontologici e i vari meccanismi di autodisciplina. 
Un contesto del genere potrebbe costituire altresì un’utile piattaforma per il monitoraggio e lo studio dei codici deontologici, dai quali possono scaturire le linee guida di una condotta professionale etica, in quanto espressione del rispetto delle regole del mercato e dei principi di trasparenza e correttezza professionale, per la disciplina dell’esercizio delle rispettive attività professionali.  
L’obiettivo potrebbe essere quello di creare, anche in considerazione della crescente richiesta da parte dei cittadini di una più efficace tutela dei loro interessi costituzionalmente protetti, le condizioni adeguate per promuovere e garantire lo svolgimento di un confronto democratico tra i professionisti e i loro clienti o utenti/consumatori, la tutela dei quali è stata fortemente incentivata da recenti iniziative di derivazione comunitaria, volte a rafforzare la posizione dei consumatori nel mercato, tradottesi in Italia, tra l’altro, nell’ormai imminente legge sul riconoscimento dei diritti dei consumatori, da coniugarsi alle tematiche del corretto funzionamento del mercato e della promozione della concorrenza, anche per assicurare forme sempre più trasparenti di verifica della qualità e correttezza delle prestazioni professionali (prerogativa, quest’ultima, degli uffici locali dei vari ordini professionali, almeno in prime cure). 
In definitiva, la CCIAA di Milano è comunque chiamata, tramite la possibilità d’accesso al suo articolato sistema di Osservatori, anche a prestare adeguato supporto e stimolo a ordini, collegi e associazioni professionali nelle molteplici manifestazioni della loro capacità di autoregolazione e autodisciplina, che si snodano secondo un percorso diretto principalmente ad assicurare la certificazione interna e la verifica della qualità in itinere: ne consegue che la Camera di Commercio, in veste di garante della trasparenza e della legalità del mercato, rappresenta ora più che mai il soggetto istituzionale attraverso il quale quest’ultimo può riappropriarsi della fondamentale facoltà di darsi regole condivise e di farle rispettare, attraverso l’istituzione di meccanismi di giustizia più snelli ed aderenti alle sue specifiche esigenze.