Impresa
& Stato n°46
SEMPLIFICARE LA REGOLAMENTAZIONE
di
Alberto
Nahmijas
L’indagine dell’Antitrust:
rendere l’attività degli Ordini professionali più funzionale
al miglioramento della qualità delle prestazioni, monitorando la
rispondenza tra la domanda e l’offerta dei propri iscritti.
L’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi dell’articolo 12 della
legge che la istituisce, può avviare indagini conoscitive in tutti
i settori in cui le condizioni di prezzo, scambio o altre circostanze facciano
ritenere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata. Si tratta
di una previsione molto ampia che conferisce all’Autorità la possibilità
di svolgere attività di carattere conoscitivo in tutti i casi in
cui si possa ritenere che sia stato significativamente alterato l’operare
dei meccanismi di mercato.
È opinione largamente
condivisa che una cattiva regolamentazione pubblica produca danni ben superiori
ai vantaggi che può eventualmente generare a favore dei soggetti
da essa beneficiati. È questo un male endemico che storicamente
affligge il nostro paese, da sempre caratterizzato da una diffusa e pervasiva
regolamentazione pubblica che disciplina in modo minuto i comportamenti
degli operatori, talvolta esplicitamente indirizzandoli verso comportamenti
non concorrenziali, e più precisamente verso forme di concertazione,
cioè di definizione comune, delle proprie condotte di mercato. Nell’esperienza
dell’Autorità una regolamentazione pubblica con tratti anticoncorrenziali
è più la norma che l’eccezione, poiché spesso l’insieme
delle disposizioni che disciplinano le azioni degli operatori economici
si ispira a criteri che esplicitamente rifiutano i meccanismi di mercato,
con l’inevitabile conseguenza che i maggiori ostacoli al libero esplicarsi
del processo concorrenziale, prima ancora che essere direttamente imputabili
a comportamenti di impresa, sono riconducibili ad un cattivo disegno regolamentare.
Nell’ambito degli ordini
professionali queste condizioni di malfunzionamento ricorrono in modo paradigmatico,
essendo in esso presenti numerosissime e svariate forme di regolamentazione
pubblica, nonché forme di autoregolamentazione introdotte dagli
stessi ordini, ad esempio attraverso i codici deontologici, che hanno il
dichiarato scopo di limitare la concorrenza tra gli iscritti, nella assunzione
che nel settore delle professioni l’operare dei meccanismi di mercato non
garantirebbe la massimizzazione del benessere sociale.
Il settore degli ordini
non poteva, dunque, non costituire oggetto di indagine da parte dell’Autorità,
per verificare se le restrizioni della concorrenza tra professionisti fossero
giustificate da esigenze di interesse generale, cioè se i mercati
nei quali operano i professionisti presentassero specificità tali
da richiedere effettivamente una loro sottrazione alle regole di concorrenza.
UN INTERROGATORIO
In altri termini, l’indagine
si è posta il seguente interrogativo: alla luce delle specifiche
caratteristiche delle attività professionali, una regolamentazione
che potrebbe essere restrittiva della concorrenza è necessaria?
e la regolamentazione vigente è comunque proporzionata rispetto
al perseguimento di esigenze di carattere generale?
Per rispondere a questi
interrogativi, diversamente da quanto hanno sostenuto molti commentatori
dell’indagine conoscitiva, l’Autorità Garante non ha in alcun modo
omesso di prendere in considerazione le specifiche caratteristiche delle
attività professionali, proponendone una sbrigativa equiparazione
ad altre attività produttive; al contrario, l’analisi delle specifiche
caratteristiche delle professioni ha costituito il cuore dell’indagine.
Chi ha avuto il tempo e la pazienza di leggere l’intero lavoro avrà
osservato che le tipicità delle attività professionali sono
state dapprima trattate, in termini generali, sotto un profilo giuridico
ed economico, nei primi due capitoli dell’indagine, e sono state poi riprese
con riferimento alle diverse categorie professionali nei quattro capitoli
successivi.
Per condurre questa analisi,
l’Autorità ha considerato, come punto di riferimento, la natura
delle attività professionali, partendo da quello che può
essere ritenuto il loro elemento qualificante e distintivo rispetto ad
altre attività economiche, ovvero l’intellettualità.
L'ASIMMETRIA INFORMATIVA
È evidente che l’intellettualità
delle attività professionali richiama la natura specialistica e
complessa delle competenze tecniche necessarie allo svolgimento di tali
attività, alla quale possono essere connesse importanti imperfezioni
nei meccanismi di funzionamento del mercato.
Infatti, proprio in ragione
delle conoscenze specialistiche detenute dal professionista, frequentemente
il suo rapporto con il cliente è caratterizzato da una situazione
di asimmetria informativa, in cui il professionista conosce la qualità
e il valore delle prestazioni che può e intende erogare, mentre
il consumatore è incapace di valutarne appieno l’adeguatezza rispetto
alle proprie esigenze.
L’asimmetria informativa
può assumere varie forme: in alcuni casi il cliente non riesce a
identificare con precisione il tipo di prestazione che può condurre
alla soluzione del problema che lo spinge a rivolgersi al professionista
ed è comunque incapace di valutare a priori la abilità del
professionista a dare una risposta al suo problema.
In altri casi, l’asimmetria
informativa opera anche a posteriori, cioè dopo che la prestazione
è stata erogata, poiché il cliente non è nemmeno in
grado di valutare le caratteristiche e quindi la reale qualità del
servizio ricevuto. Per entrambe le situazioni non si può escludere
che, in un mercato non regolamentato, il cliente sia esposto all’imperizia
di soggetti non adeguatamente qualificati, o a comportamenti deliberatamente
opportunistici da parte di operatori che, pur essendo qualificati, sfruttano
a proprio vantaggio l’impraticabilità di controlli efficaci dal
lato della domanda.
Se i problemi di asimmetria
informativa ricorrono in forma grave, cioè se il consumatore si
trova effettivamente nell’incapacità di apprezzare la qualità
delle prestazioni, allora e soltanto in tal caso può essere giustificata
l’introduzione di forme di regolamentazione a tutela degli utenti.
SERVIZI FONDAMENTALI
Un secondo elemento rilevante
nei servizi professionali è il fatto che alcune attività
professionali si sostanziano nella produzione di servizi fondamentali di
interesse pubblico, inerenti, ad esempio, la salute, l’amministrazione
della giustizia, la trasparenza dei mercati. L’erogazione di tali
servizi non esaurisce i propri effetti allocativi fra i soggetti direttamente
coinvolti nelle transazioni ma genera anche «effetti esterni».
L’attività dei medici, ad esempio, pur essendo svolta negli interessi
del paziente che essi stanno curando, riguarda anche l’intera collettività,
poiché concerne la salvaguardia di un bene quale la salute. Analogamente,
gli avvocati non sono soltanto i difensori dei propri clienti, ma contribuiscono
al funzionamento del sistema giudiziario. In questi casi è chiaro
che la possibilità che le prestazioni professionali siano svolte
senza la dovuta perizia o diligenza assume un rilievo che travalica l’interesse
del singolo a favore del quale il servizio è effettuato e riguarda
l’intera collettività.
In altri termini, le asimmetrie
informative tra cliente e professionista che caratterizzano l’erogazione
di alcuni servizi professionali e il conseguente rischio per il consumatore
di fenomeni di selezione avversa, nonché gli effetti esterni di
alcune prestazioni professionali, costituiscono i presupposti per interventi
di regolamentazione a tutela dei consumatori e dell’interesse pubblico.
Peraltro, il verificarsi
di imperfezioni nel funzionamento dei meccanismi di mercato non rende di
per sé inevitabili interventi pubblici di regolamentazione. Infatti,
quasi tutti i mercati nel loro operare generano inefficienze del tipo più
diverso a cui, tuttavia, non corrisponde una altrettanto estesa area di
intervento pubblico. Ogni attività di regolamentazione infatti ha
dei costi connessi al costo delle persone e delle strutture ad essa dedicate,
alla necessità per i soggetti regolati di adempiere ai nuovi compiti
da essa previsti, nonché alle modificazioni dei comportamenti di
tutti i soggetti coinvolti nel funzionamento dei mercati. Pertanto, gli
interventi di regolamentazione sono desiderabili solo qualora si possa
ragionevolmente ritenere che in loro assenza si verificherebbe una significativa
perdita di benessere e che i costi che essi comportano non superano i benefici.
In ogni caso tali interventi
di regolamentazione dovrebbero essere attentamente proporzionati e calibrati
in funzione delle specifiche attività, nonché risultare misure
strettamente indispensabili al conseguimento degli obiettivi prefissati,
scelte tra quelle meno restrittive della concorrenza.
Sotto questo profilo, l’analisi
condotta nell’indagine ha evidenziato che la regolamentazione si avvale
di una pluralità di strumenti per il raggiungimento di un medesimo
obiettivo, e che essi sono spesso sproporzionati, quando non addirittura
superflui, rispetto all’esigenza di tutela dei consumatori dal rischio
di prestazioni di qualità inadeguata. Si pensi ai casi di attribuzione
di esclusive per prestazioni non particolarmente complesse, ad alcuni stringenti
vincoli all’accesso che comportano la predeterminazione numerica di coloro
che potranno svolgere l’attività, al divieto di pubblicità,
nonché all’applicazione dei tariffari. Particolare attenzione è
stata dedicata alle tariffe, che sembrano costituire per non pochi professionisti
un tratto irrinunciabile dell’attività e che, viene sostenuto, servirebbero
per limitare la degenerazione della qualità del servizio che tende
ad essere decrescente con il prezzo.
Al riguardo l’Autorità
ha più volte sottolineato che l’applicazione delle tariffe non garantisce
l’utenza che prestazioni di qualità inadeguata non vengano comunque
offerte, e che quindi esse configurano forme di restrizione della concorrenza
non giustificate dall’obbiettivo di tutelare gli utenti.
Peraltro, l’introduzione
di tariffe minime non assicura il superamento di fenomeni di selezione
avversa e appare comunque meno efficace di altre forme di regolamentazione,
alle quali, peraltro, frequentemente si accompagna.
Dall’indagine è emersa
la necessità di rimodellare in profondità un assetto regolamentare
ingiustificatamente esteso e restrittivo dell’iniziativa economica e della
concorrenza tra professionisti, riducendolo agli interventi strettamente
necessari alla tutela dei consumatori. Per questo motivo alcune attività
professionali per le quali non ricorrono forti asimmetrie informative vanno
liberalizzate, cioè rese accessibili anche ad operatori non iscritti
ad albi e il loro esercizio va sostanzialmente de-regolamentato e sottoposto
alla disciplina del mercato.
In termini ancor più
chiari, per l’esercizio di queste attività l’iscrizione all’albo
non deve essere obbligatoria ma volontaria e utilizzata quindi dal professionista
che per questa via ritenga di segnalare al consumatore la particolare qualità
delle proprie prestazioni.
Le valutazioni espresse
nell’indagine circa l’inadeguatezza del vigente sistema regolamentare del
settore degli ordini implicano quindi una ridefinizione del ruolo degli
stessi poiché fino ad oggi esso si è sostanziato nella partecipazione
e applicazione della vigente regolamentazione di impronta, come osservato,
fortemente restrittiva.
L’eliminazione di alcune
forme di regolamentazione dovrebbe rendere superfluo lo svolgimento di
determinate attività da parte degli ordini, e in particolare andrebbero
ripensate tutte le funzioni che appaiono dirette esclusivamente al perseguimento
di finalità anticoncorrenziali e non piuttosto ad obiettivi di interesse
generale.
In questa ottica l’attività
degli ordini dovrebbe essere resa sempre più funzionale al miglioramento
della qualità delle prestazioni attraverso, tra l’altro, un monitoraggio
più attento della rispondenza nel tempo delle capacità professionali
degli iscritti alle esigenze della domanda.
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