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Impresa & Stato n°46

 

RIPENSARE L'ORIZZONTE DELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI

di
Angelo Deiana

Uno scenario caratterizzato da un forte fermento istituzionale
e dalla fluidità nell’aggregazione del consenso
sugli strumenti e gli obiettivi della riforma.
Lo scenario di cambiamento che si viene prospettando nell’ambito delle professioni intellettuali è caratterizzato da un forte fermento istituzionale e da fluidità nell’aggregazione del consenso sugli obiettivi e sugli strumenti della riforma. Ne consegue che qualsiasi riflessione sul processo complessivo di ridefinizione delle modalità di legittimazione professionale, in corso nel nostro Paese, non può fare a meno di muoversi - perlomeno nella fase attuale - nell’ambito di una forte indeterminatezza di orizzonti, dato che ne risulta nota solo la direzione di partenza, mentre non sono ancora ben definiti né gli effetti di rispecificazione delle identità dei diversi soggetti esponenziali dei segmenti professionali, né i conflitti che potranno derivarne non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo periodo. 
Ciò nonostante, e in attesa che venga inserito nel circuito istituzionale il disegno di legge quadro sulle professioni intellettuali messo a punto dalla Commissione Mirone per volere del Ministro Flick, mi sembra importante sottolineare alcuni concetti-chiave rispetto ai quali appare imprescindibile ripensare la meccanica del nostro sistema sistema professionale intellettuale. 

LA «SVOLTA TERZIARIA»  
Certamente uno dei cambiamenti più significativi del sistema socio-economico italiano, europeo e mondiale ha riguardato negli ultimi dieci anni lo sviluppo del settore terziario e, al suo interno, di attività nate come evoluzione o come specificazione di servizi preesistenti, oppure di attività sorte di recente per corrispondere a domande di mercato molto specifiche. 
Parlare oggi di «svolta terziaria» non significa peraltro fotografare a posteriori soltanto la radicale trasformazione del quadro macroeconomico: quando, infatti, due persone su tre lavorano in attività di servizio, diventa naturale rivedere griglie statistiche, metodologie di previsione e gerarchie di pensiero. La differenza marcata da questa svolta è in realtà ben più insinuante e profonda. Essa investe la concezione del lavoro nei Paesi più sviluppati, impone una completa revisione delle relazioni aziendali, rende probabilmente obsoleti gran parte degli attuali strumenti di governo «delle arti e dei mestieri». 
Fin dai primi anni ‘90 il CNEL, preso atto della rilevanza innovativa del fenomeno, sia in relazione al mercato interno, sia per quanto riguarda il rapporto fra il nostro sistema professionale e il suo progressivo inserimento in un quadro europeo di libera circolazione, ha prestato una particolare attenzione a tali evoluzioni per il tramite dell’Area di Allargamento della Rappresentanza, nel cui ambito sono state insediate, tra le altre, due specifiche linee di attività: una, relativa alle professioni regolamentate, che ha portato alla pubblicazione di un «Libro Bianco sulle professioni in Europa» e che ha condotto, in seguito, alla costituzione di un apposito «Gruppo di lavoro sulle professioni tradizionali»; una, volta ad approfondire la nuova realtà offerta dalle associazioni sorte fra gli esercenti di tutte le professioni che si sono sviluppate e consolidate negli ultimi dieci anni soprattutto nel settore del terziario. 
Quest’ultima linea di attività ha portato alla costituzione di una Banca Dati (che contiene a tutt’oggi informazioni su 210 associazioni rappresentative di circa 250.000 iscritti su un totale di 1.800.000 professionisti di riferimento e, all’incirca, di un centinaio di profili professionali non regolamentati) e alla predisposizione di tre rapporti di monitoraggio (il 3° è stato reso pubblico il 5 febbraio scorso). 
Ottantacinque di queste associazioni (selezionate senza alcun riguardo per il segmento professionale ricoperto, ma solo in base ai principali requisiti di struttura associativa, impliciti ed espliciti, previsti dalle Direttive U.E. 89/48 e 92/51: modalità di accesso all’associazione, percorso formativo, rappresentatività, esistenza di norme deontologiche, forme di tutela per l’utenza) sono state altresì inserite in una Consulta delle associazioni delle professioni non regolamentate che ha costituito il momento di passaggio dalla fase di accoglienza del CNEL nei confronti di questi nuovi segmenti ad una fase di maggiore istituzionalizzazione. Si è dunque voluto offrire, ad una serie di attività professionali che si trovavano di fatto sul mercato, quel canale di dialogo istituzionale che esse non trovavano altrove, se non in singole iniziative dei parlamentari che presentavano disegni di legge per un loro riconoscimento pubblico. Questa consulta rappresenta, nello stesso tempo, il punto di arrivo e di ripartenza, lo stop and go di un lungo lavoro di analisi e di studio delle dinamiche di una società caratterizzata da una profonda trasformazione in senso post-industriale che necessita di strumenti di interpretazione sempre più sensibili e affinati onde poterne comprendere processi evolutivi e aspetti conflittuali. 

IL LAVORO INTELLETTUALE 
Il nostro attuale sistema economico, infatti, è caratterizzato da catene e da reti composte essenzialmente da lavoro intellettuale. La produzione capitalistica - dalla filiera lunga dell’impresa per competere, alla rete finanziaria - si presenta sempre più dotata di un’intelligenza plurima, multiforme, in mutamento permanente, senza la quale essa scomparirebbe come capacità produttiva e innovazione continuata. Mentre, nel fordismo, la conoscenza veniva applicata al lavoro e quindi alla produttività, oggi il valore percepibile dal cliente nasce dall’innovazione, e cioè dall’uso creativo della conoscenza applicata trasversalmente ai diversi campi del sapere. Non solo il prodotto, un tempo focus della competizione, risulta essere sempre più indifferenziato, ma chiunque, in futuro, potrebbe teoricamente essere in grado di appropriarsi delle tecnologie e del contenuto tecnico-scientifico in esse insito. Al contrario, i bisogni, i modelli di consumo e il potere di acquisto del consumatore cessano di essere indifferenziati e c’è sempre maggiore richiesta di una forte personalizzazione tanto del prodotto quanto del servizio ad esso correlato. Il cliente diventa allora parte attiva del processo di sviluppo di nuovi prodotti, giocando un ruolo fondamentale nel determinarne le caratteristiche qualitative. 
È così che negli ultimi anni, nei paesi industrializzati, il settore dei servizi professionali ha generalmente registrato significativi tassi di espansione e un crescente grado di internazionalizzazione, con particolare riguardo ai servizi rivolti alle imprese, i quali hanno sperimentato un aumento considerevole sia della propria incidenza sul prodotto interno, che sull’occupazione complessiva nel sistema economico. L’Italia non ha fatto eccezione alla tendenza espansiva del settore: a questo proposito, occorre sottolineare il cambiamento dei modi di fruizione dei servizi, con particolare riguardo al ruolo assunto dall’informazione nell’ambito dei processi industriali. È evidente infatti che per le imprese industriali costituisce un fattore di crescente importanza e delicatezza l’accesso in tempi rapidi, in forma integrata e a costi contenuti, a informazioni relative alle caratteristiche dei mercati nei quali esse operano, necessarie per ottimizzare l’acquisizione degli input, l’organizzazione dei processi produttivi, il posizionamento e la commercializzazione dei prodotti. È evidente altresì che, in mercati via via più complessi e integrati a livello sovranazionale, la conoscenza del contesto ambientale costituisce per le imprese un cruciale fattore di concorrenza, la cui portata è ulteriormente amplificata dalla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione. Ciò contribuisce in parte a spiegare l’espansione della domanda di servizi professionali proveniente dalle imprese, ma soprattutto delinea alcuni cambiamenti di tale scenario. 
Infatti, un numero crescente di imprese indirizza alle categorie professionali una domanda di servizi che si caratterizza non soltanto per il grado di specializzazione delle conoscenze necessarie a soddisfarla, ma anche per la tempestività e l’interdisciplinarità di approccio frequentemente richieste. Simmetricamente, l’offerta di servizi professionali, nell’adeguarsi a questo mutato contesto, si articola secondo differenti tipologie in rapporto ai diversi segmenti di domanda. Così, nell’ambito della vasta schiera di professionisti che esercitano in forma individuale l’attività, esistono coloro che si rivolgono a una clientela già consolidata o che mettono a frutto conoscenze altamente specialistiche (le quali consentono loro di collocarsi in particolari nicchie di mercato) così come altri soggetti che sono invece maggiormente esposti alla variabilità della domanda. Infine, esistono professionisti che si orientano verso l’adozione di modalità di erogazione dei servizi più tipicamente «industriali», sotto il profilo sia dell’organizzazione dell’attività e del livello dimensionale della stessa, che degli strumenti utilizzati per competere. Occorre poi considerare, negli ultimi anni, il crescente grado di internazionalizzazione del settore che, in particolare nel campo giuridico, economico e dell’ingegneria, espone un considerevole aumento nei Paesi industrializzati sia delle esportazioni che delle importazioni di servizi, benché il saldo commerciale assuma in alcuni casi, quale l’Italia, segno negativo. La posizione di importatore netto di servizi professionali del nostro Paese non può essere facilmente spiegata con una sua minore dotazione di risorse professionali, mentre viene invece, più plausibilmente, ricondotta alla maggiore restrittività che in Italia caratterizza la regolamentazione del settore rispetto ad altri Paesi. 
Nello scenario che si profila è possibile ipotizzare che i segmenti più ricchi della domanda potrebbero essere gradualmente conquistati da imprese estere, ma localizzate in Italia, con cui i professionisti nazionali potrebbero incontrare notevoli difficoltà a competere. Pertanto, l’entrata sul mercato di nuovi operatori stranieri comporterà inevitabilmente un ridimensionamento della porzione di mercato oggi disponibile per i professionisti nazionali e una concentrazione di questi ultimi su fasce diverse o comunque più limitate. Questo percorso non è ineluttabile, ma dipende in larga misura dalla capacità delle diverse articolazioni del nostro sistema professionale di cogliere appieno le occasioni innovative e di riforma che si presentano e di superare gli impedimenti che ostacolano la loro capacità di competere in un mercato aperto. 
D’altra parte, la nostra attuale organizzazione del concetto di professione è da tempo esposta a forti spinte esogene che tendono ad abbassarne se non ad annullarne l’efficacia sia dal punto di vista della tutela dell’interesse generale, sia da quello dell’interesse del singolo consumatore/cliente/utente. Tali spinte hanno profili multidimensionali, e cioè ispirati sia dalla dimensione di mercato «dal basso» sia da una dimensione che potremmo definire «alta». Sotto il primo profilo appare evidente che: 
- sempre più attività professionali sono svolte secondo logiche e modelli d’impresa; 
- sempre più attività professionali sono esercitate con discutibile competenza e senza alcuna garanzia per l’utenza; 
- sempre più attività professionali nascono a ritmi incrementali, che corrono paralleli allo sviluppo di saperi a dimensione progressivamente molecolare. 
 Sotto il secondo profilo possiamo pensare che: 
- a livello internazionale la concorrenza globalizzata produce un rafforzamento dei processi di controllo centralizzato sulla qualità nella produzione di beni e servizi; 
- pur non esistendo ancora un modello internazionale di professione intellettuale, si stanno costruendo le basi per la sua progettazione attraverso la definizione dei suoi futuri concetti portanti (professional standard WTO: flessibilità, standard minimi, formazione continua e verifica costante della qualità in itinere). 

GLI ASSETTI ORGANIZZATIVI 
Di qui la sempre maggiore importanza non solo delle professioni intellettuali, ma anche e soprattutto degli assetti organizzativi che si danno e della configurazione di mercato nella quale operano. D’altra parte, l’assolvimento di una funzione pubblica non esclude a priori qualsiasi grado di concorrenza o di competitività nell’esercizio della professione. La realtà delle professioni regolamentate ce lo dimostra tutti i giorni. È dunque possibile ritenere che le regole della concorrenza, calibrate adeguatamente con la tutela dell’interesse collettivo, possano svolgere un ruolo significativo nella tutela dell’interesse del cliente e, di conseguenza, della collettività nel suo complesso. Si tratta di quella «tutela del consumatore» che rappresenta il criterio ispiratore di tutta la normativa comunitaria. 
Analogo ma inverso ragionamento si può fare per le professioni emergenti: se il fenomeno nuovo è la moltiplicazione delle funzioni e delle relative competenze in una società moderna e in dinamica evoluzione, è allora necessario un momento normativo che disciplini e metta ordine in tale moltiplicazione con altrettanta dinamicità onde non lasciare la regolamentazione di tali funzioni solo ed esclusivamente al mercato. 
A fronte di queste spinte, emerge allora la necessità di costruire una forma di regolazione e di rappresentanza combinata, che sia in grado cioè di corrispondere alle nuove modalità con cui tendono ora ad aggregarsi e ad operare attività professionali, secondo articolazioni diverse da quelle previste nel nostro ordinamento e in linea con quanto vuole la Comunità Europea. Per questo abbiamo con grande interesse e profonda fiducia accolto l’invito del Ministero di Grazia e Giustizia a portare la nostra accumulazione culturale e la nostra sperimentazione su modelli diversi di meccaniche professionali, al fine di giungere alla stesura di una bozza di legge quadro sulle professioni intellettuali che possa essere utile per modernizzare le professioni esistenti e per offrire un nuovo sistema di accesso dinamico a quelle emergenti. Un percorso unificante che avesse come fine anche di evitare sterili conflittualità di interessi e anteponesse gli interessi del sistema-Paese/professione nel suo complesso alla molteplicità delle istanze e degli interventi puntiformi. 

LA «COMMISSIONE MIRONE» 
Nell’ambito della «Commissione Mirone», così come proposto dal CNEL, questo nuovo modello è stato così strutturato in una logica unificante di regolamentazione: attività relative a competenze e funzioni che debbono rimanere protette poiché ad esse corrisponde un interesse pubblico primario talmente rilevante da giustificare la protezione del segmento e l’obbligo di iscrizione per l’esercizio delle attività stesse (Ordini); attività relative a competenze e funzioni che devono essere esercitate in aperta concorrenza, poiché nell’ambito di tale configurazione di mercato la tutela dell’interesse pubblico generale viene raggiunta attraverso una tutela puntuale del consumatore/cliente/utente (Associazioni). 
Questa struttura tiene conto di ambedue le situazioni fenomeniche e giuridiche esistenti. Infatti, da un lato liberalizza in maniera ragionata e ricolloca in modo più funzionale nell’ordinamento, in considerazione dei rilevanti mutamenti sociali, economici e politici intervenuti, il segmento delle tradizionali professioni liberali, pur mantenendo una protezione ad alcune parti e ad alcune attività del segmento stesso in funzione della tutela dell’interesse collettivo (attività che incidono su beni e/o diritti costituzionalmente protetti). Dall’altro lato, non solo tiene conto del fenomeno delle nuove professioni emergenti, ma rende altresì trasparente l’intero segmento per il tramite di una regolamentazione su base concorrenziale che, pur mantenendo libero l’esercizio delle attività, offra al consumatore e alla committenza punti di riferimento certi (le associazioni certificate) rispetto alla forte domanda di qualità nelle prestazioni professionali. 
In ogni caso, al di là delle pur accese discussioni sul processo di ridefinizione messo a punto dalla bozza - nel momento in cui sto scrivendo - di disegno di legge delega elaborata dalla Commissione Mirone, ritengo che l’elemento centrale del sistema professionale che possiamo attenderci nel breve periodo sarà costituito dalla certezza sulla qualità delle prestazioni professionali richieste da parte dell’utenza. A tal fine dovranno essere individuati quei livelli di qualità professionale minimi che si riterranno indispensabili per l’accesso al relativo segmento del mercato del lavoro. Il sistema di certificazione che ne deriverà non potrà che essere un sistema aperto: informato cioè a principi di inclusione, mediante il passaggio dalla ricerca di ciò che esclude l’ingresso di un individuo nel mercato del lavoro professionale, alla ricerca di ciò che ne rende possibile l’accesso. 
E tale esigenza di trasformazione da sistema chiuso/protetto a sistema aperto/concorrenziale appare ineludibile anche alla luce degli scenari di libera circolazione nei Paesi dell’Unione Europea dei professionisti e quindi di progressiva omologazione dei relativi sistemi professionali. L’orientamento U.E. è infatti governato da una chiara premessa politica che ne informa e ne specifica le strategie operative, in qualche modo spiazzando chi continui a muoversi sulla base di premesse corporative: l’idea di fondo è quella di ampliare e redistribuire non solo le chances di legittimazione delle attività professionali, ma anche le opportunità di svolgere le prestazioni professionali per il tramite di assetti organizzativi di tipo imprenditoriale, con ciò ponendo in forse l’adeguatezza stessa di una differenziazione di status tra professione e impresa. 
D’altra parte, al di là della stessa nozione giuridica comunitaria di impresa elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Aja (qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle modalità di finanziamento), non cogliere percorsi di convergenza fra professioni e mercato significherebbe tentare di guardare al futuro con le coordinate conoscitive e organizzative di un mondo che è già cambiato. 
Se queste sono le esigenze di collimazione fra tutela dell’interesse collettivo e mercato, l’«orizzonte degli eventi» con cui dovremo confrontarci non è allora quello di una one best way di regolazione tutta basata su un sistema oppure sull’altro: occorre che momenti di regolazione pubblica e di autoregolazione associativa trovino un equilibrio dinamico di integrazione per costruire quel sistema professionale di cui tutto il Paese sente impellente bisogno per rispondere adeguatamente alle sfide della globalizzazione e del terzo millennio.