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Impresa & Stato n°46 

  

I LAVORATORI INDIPENDENTI A MILANO

di 
Paolo Corvo

Il desiderio di autonomia da una burocrazia invadente e l’esigenza di affermare la propria individualità 
anche nei rapporti con lo Stato. 
 

la ricerca intendeva studiare i cambiamenti in atto nelle imprese di piccolissime dimensioni (da uno a tre componenti) e nelle modalità di svolgimento del lavoro indipendente, che stanno portando ad un ripensamento e ad una ridefinizione degli stessi concetti di ‘lavoro’ e di ‘impresa’, nell’ambito di una produzione di tipo ‘postfordista’. In particolare si è inteso verificare l’ipotesi che alla base della scelta del lavoro indipendente vi siano, più che i condizionamenti del mercato, forti motivazioni individuali per lo svolgimento di attività che consentano la piena autorealizzazione; in questo caso anche nell’ambito microeconomico si evidenzierebbe la tendenza alla soggettivizzazione propria della cultura postmoderna (Cfr. L. Bovone, In tema di postmoderno, Vita e Pensiero, Milano, 1990; C. Lasch, The culture of narcissism, Norton & Company, 1979 - trad. it. La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano, 1981; R. Inglehart, La rivoluzione silenziosa, Rizzoli, Milano, 1979). 
Si è anche ipotizzato che l’accentuazione del carattere individualistico della scelta possa avere conseguenze sia nello svolgimento dell’attività, con la prevedibile difficoltà a lavorare in équipe, sia nel rapporto con le associazioni di categoria, utilizzate solo come erogatrici di servizi.  
Un altro aspetto da approfondire riguarda il rapporto con lo Stato, nell’ipotesi che l’atteggiamento di autoesclusione rilevato da alcuni autori (Cfr. S. Bologna, Dieci tesi per la definizione di uno statuto del lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, Milano, 1997, pp. 40-42) non dipenda soltanto dal mancato godimento dei diritti propri del lavoro salariato, ma anche (e soprattutto) dal desiderio di liberarsi da forme di controllo fiscale e burocratico, che limitano l’indipendenza dei soggetti e sono considerate come un’ «invasione» del proprio spazio professionale.  
Sul piano metodologico l’indagine si è indirizzata verso l’intervista semistrutturata, non direttiva, con una serie di domande fisse nel corso di un colloquio libero. Le interviste in profondità hanno interessato cinquanta soggetti, che si possono ricondurre a questa categorizzazione: a) i lavoratori autonomi socialmente regolati, che esercitano le professioni di tipo classico, riconosciute istituzionalmente con gli albi di categoria (ingegneri, consulenti del lavoro, giornalisti); questa prima categoria si può suddividere in a1- liberi professionisti e a2 - società o studi associati; b) i lavoratori che operano individualmente, nel mercato atomistico, con la propria capacità di contrattazione (free lance, lavoratori indipendenti con partita IVA o iscritti all’Inps per il contributo del 10%); c) i lavoratori indipendenti che hanno costituito piccolissime imprese (fino a due/tre componenti). Tenendo conto di questa tipologia sono stati intervistati: 
a1) 13: 6 giornalisti, 4 ingegneri, 3 consulenti del lavoro;  
a2) 7: 4 consulenti del lavoro, 2 ingegneri, 1 giornalista; 
b) 18: 8 formatori, 3 consulenti, 2 softwaristi, 4 artigiani, 1 segretaria; 
c) 12: 6 commercianti, 4 artigiani, 2 softwaristi. 
Come si può notare alcune categorie sono sottorappresentate, a causa dell’elevata percentuale di rifiuti alla proposta di intervista: si tratta in particolare dei lavoratori parasubordinati e dei prestatori d’opera occasionale, che generalmente si trovano in situazioni economiche non floride e che sono «costretti» ad essere indipendenti, per la mancanza di valide alternative o perché il datore di lavoro non intende assumerli. Il campione della ricerca non è dunque rappresentativo dell’universo del lavoro indipendente, per cui la sovrarappresentazione dei lavoratori ad alto potenziale espressivo può aver condotto ad una maggiore sottolineatura dei caratteri di autorealizzazione personale e di scelta libera e consapevole.    
Il campione è dunque formato da 50 soggetti, di cui il 72% maschi e il 28% femmine; più della metà degli intervistati appartiene alla fascia relativamente più giovane della popolazione, mentre quasi un terzo si trova nella fascia mediana e una percentuale comunque significativa rappresenta i lavoratori più anziani.  
Nessuno dei soggetti interpellati ha avuto problemi nel dichiarare il proprio status socioeconomico e anzi alcuni hanno anche rivelato il reddito: la maggior parte del campione si è collocata nel ceto medio (62%), che in effetti in Italia rappresenta una parte molto consistente della popolazione. Quasi un quarto (23%) degli intervistati ritiene di possedere uno status socioeconomico elevato: si tratta soprattutto di pensionati che continuano a lavorare in proprio, mentre sono quasi tutti giovani i soggetti che ritengono di trovarsi tra le fasce meno abbienti della popolazione (15% del totale), probabilmente per le difficoltà incontrate nell’intraprendere il lavoro indipendente (problemi di finanziamento, mancanza di clientela, forte concorrenza sul mercato, ecc.)  
I lavoratori indipendenti intervistati dimostrano di avere ben compreso l’importanza della formazione e dell’aggiornamento nel contesto socioeconomico attuale, con una buona presenza (60%) ai corsi professionali e specialistici, nell’ambito dell’attività svolta attualmente. Anche nell’ambito delle lingue straniere vi è una conferma del discreto livello di preparazione dei soggetti intervistati, visto che il 55% ne conosce due, soprattutto l’inglese (93%) e il francese (68%). Il livello di conoscenza informatica dipende ovviamente dal tipo di attività svolta dai soggetti intervistati, per cui softwaristi, ingegneri e consulenti del lavoro possiedono una conoscenza approfondita dei pacchetti applicativi, mentre in genere giornalisti e formatori conoscono i programmi informatici di base (in genere Word e Excel) e commercianti e artigiani utilizzano il computer per la gestione della contabilità.  

QUASI SEMPRE UNA LIBERA SCELTA   
Quasi il 50% dei soggetti intervistati ha scelto il lavoro indipendente per essere più libero e autonomo nell’esercizio della propria attività: fra questi la metà ha preso la decisione dopo aver maturato un’esperienza in azienda. Si tratta di soggetti dotati di un forte senso di indipendenza, anche rispetto alle reti familiari e amicali, e di una buona dose di ambizione, che il lavoro dipendente ha spesso mortificato. Si hanno ben presenti gli aspetti del rischio e della precarietà, ma si ritiene di poterli superare con la capacità e la competenza. 
È più una forma di autonomia in campo lavorativo e decisamente sono stato più ostacolato da amici, dalla famiglia, ecc.; è stata una scelta professionale che ha riguardato decisamente il mio carattere, perché ho il carattere di una persona che vuole essere comunque autonoma e ambiziosa: nella libera professione se hai i numeri puoi riuscire molto più velocemente. (18)  
Vi è poi chi ha scelto il lavoro indipendente per l’influenza dell’ambiente familiare (25%): l’imprenditorialità dei genitori viene vissuta al di là della scelta professionale, diviene un modello educativo e culturale, che permea l’esistenza dei figli fin dall’infanzia. Questo ‘spirito familiare’ non porta però sempre a proseguire l’attività paterna, ma spinge i figli a cercare nuove forme di lavoro indipendente, più adeguate alla propria personalità e/o alla congiuntura economica, dando così un’impronta soggettiva anche a questo tipo di motivazione.  
Un altro gruppo del campione (15%) ha deciso di lavorare in proprio grazie allo stimolo di amici o di colleghi, che non hanno mancato di evidenziare gli aspetti più positivi di una scelta da loro già effettuata. Peraltro queste sollecitazioni hanno trovato una predisposizione favorevole a una tale decisione, per il desiderio di una maggiore realizzazione professionale o per la situazione difficile del mercato del lavoro.   
Solo una minima parte dei soggetti intervistati (10%) manifesta l’obbligatorietà della scelta, che è avvenuta per varie ragioni: la mancanza di valide alternative nel lavoro dipendente, il desiderio di acquisire una discreta esperienza professionale in attesa di un posto più sicuro e stabile (cfr. soprattutto i giornalisti freelance), la necessità di restare vicino ai figli per poterli educare meglio.  
La mia scelta è stata in funzione delle necessità della famiglia, e della volontà di restare legata, in un certo qual modo, all’ambiente lavoro, perché se vuole la famiglia cresce, e i ragazzi se ne vanno, quindi io avrei comunque... non essendo un soggetto a cui sarebbe piaciuto passare i pomeriggi giocando a carte o bevendo il tè... (36) 

TRA GRATIFICAZIONI E PRECARIETÀ  
Nessun intervistato si è mostrato pentito di aver scelto il lavoro indipendente: la possibilità di ottenere notevoli gratificazioni professionali e di essere liberi da vincoli permette infatti di superare le inevitabili difficoltà che la scelta comporta, come l’ansia per il futuro, il poco tempo libero a disposizione, i guadagni non sempre adeguati. Del resto l’aspetto economico non appare di primaria importanza, tanto che alcuni lavoratori dipendenti provenienti dall’impresa affermano di guadagnare meno di quand’erano salariati. Tuttavia proprio chi proviene dal lavoro dipendente mostra di gradire maggiormente la nuova condizione professionale, per cui tende a sminuire gli eventuali problemi incontrati.  
Sicuramente l’aspetto economico non è prioritario nel senso che la scelta cade prima di tutto sul tipo di lavoro che dovrebbe dare la possibilità di poter avere una crescita professionale, di poter sperimentare magari metodologie, lavorare su temi che ritengo per me significativi, interessanti... quindi c’è anche una scelta di «piacere» non soltanto personale ma ovviamente anche professionale. (46)  
Nei soggetti intervistati vi è invece la soddisfazione di poter costruire qualcosa di proprio, di realizzare pienamente i propri desideri e di assecondare le inclinazioni caratteriali, anche a costo di non avere una stabilità affettiva. Alcuni liberi professionisti sostengono di godere di un notevole prestigio a livello sociale, mentre operando in azienda la loro carriera potrebbe raggiungere solo certi livelli dirigenziali, perché i vertici sono monopolizzati dalle «grandi famiglie» o da appartenenti a certe élites. 
La mancanza di tempo crea solo qualche problema, visto che la centralità data al lavoro conduce i lavoratori indipendenti con legami familiari a considerare (magari non sempre esplicitamente) la loro professione come primaria e fondamentale, anche se al coniuge e ai figli vengono riservate tutte le ore libere disponibili. 
L’aspetto che appare più problematico è invece la precarietà del lavoro, che rende difficile fare programmi a lungo termine e godere di una certa sicurezza economica. Può infatti bastare una malattia o una committenza non pagata per creare seri problemi al lavoratore indipendente, che non può avvalersi delle coperture assistenziali e previdenziali previste per chi lavora nelle aziende. Va peraltro sottolineato come in alcuni casi vi sia una certa stabilità occupazionale nel lavoro indipendente (E. Reyneri, Sociologia del mercato del lavoro, Il Mulino, Bologna, 1996) perché nei periodi di crisi o di scarsità di committenze è possibile ridurre i guadagni senza restare disoccupati, cosa che non è possibile ai dipendenti (N. Meager, The fall and rise of self-employement (again): a comment on Bogenhold and Staber, in «Work, Employement and Society», vol. III, n. 2, agosto 1989). 
Problematicità? Sicuramente il rischio che corri, voglio dire... ovviamente le previsioni non sono così a lungo termine come possono essere a livello di dipendente e decisamente quando hai, non so, l’anno coperto è già buono come lavoro... (18) 
Certo non credo che tutti se la sentano di affrontare ogni giorno l’incertezza di non avere una rete. Manca la certezza del guadagno, che dia un certo orizzonte. (26) 
Sono soprattutto i giovani a sentire il peso della precarietà del lavoro indipendente, perché avendo una modesta capacità di contrattazione si sentono più esposti al mercato e hanno minori gratificazioni sul piano professionale. È allora necessario il sostegno economico della famiglia d’origine, che permette di finanziare i primi anni di attività, in attesa che la clientela si sviluppi e si consolidi. In questi casi ovviamente l’ansia per il futuro prevale sulle soddisfazioni professionali, anche se è sempre ben salda la convinzione che le proprie capacità e la qualità del lavoro possano presto migliorare la situazione.  
Credo che qualcosa debba cambiare, altrimenti l’incertezza diventa talmente strutturale da poter minare anche le tue dimensioni professionali personali... (47) 
La domanda sulle prospettive dell’attività e sui futuri progetti ha condotto ad esiti diversi al di là dell’appartenenza ad una categoria professionale e ad un particolare ambito socioculturale. L’aspirazione più diffusa è quella di poter lavorare in un ambiente (ufficio o negozio) più grande, per organizzarsi meglio e accogliere in modo più confortevole i clienti, nell’ottica già evidenziata di attenzione alla clientela. In altri casi vengono attuati progetti per sviluppare ed estendere la propria attività, cercando una nicchia di mercato non ancora coperta dalla concorrenza. 
Alcuni lavoratori indipendenti preferiscono invece mantenere le posizioni acquisite, ritenendo soddisfacente la situazione attuale e temendo i rischi di un’eventuale cambiamento, soprattutto a livello amministrativo e fiscale.  
Nel complesso comunque si può notare come i lavoratori dipendenti valutino le loro prospettive professionali in base alla contingenza del mercato e alle possibilità economiche, mostrando di programmare la loro attività con razionalità e realismo, come già abbiamo osservato a proposito delle motivazioni della scelta. Nei soggetti intervistati non si trovano dunque comportamenti azzardati e sogni irrealizzabili, e anzi si agisce con grande prudenza, mirando più a conservare l’esistente che ad espandere l’attività, anche per il timore di perdere la propria identità. 

L’IDENTITÀ SOCIALE 
Vi è una certa consapevolezza, più o meno esplicitata, dell’identità professionale e della necessità di fornire un prodotto qualitativamente elevato; siamo in presenza di una riappropriazione della professionalità e di un’esaltazione delle capacità personali, nello spirito di quell’autorealizzazione che abbiamo visto essere l’aspetto più gratificante del lavoro indipendente. Il senso dell’identità professionale porta ad attribuire una grande importanza alla formazione e all’aggiornamento, mentre conduce raramente ad una coscienza di «gruppo» altrettanto forte, per lo spiccato individualismo dei soggetti e per il diffuso spirito concorrenziale.  
La consapevolezza e/o l’intenzione di rivestire un ruolo sociale nell’esercizio della propria attività sembra dipendere dalla formazione culturale e ideologica dei soggetti intervistati più che dall’appartenenza a determinate categorie professionali. In tal modo troviamo chi attribuisce al proprio lavoro anche un significato sociale (40%) e chi invece vede nella propria attività soltanto un mezzo di gratificazione personale (60%).   
Un terzo dei soggetti intervistati ha comunque risposto con difficoltà alla domanda riguardante l’identità sociale: si tratta di individui che faticano a riflettere sul proprio essere e sul proprio agire, nonostante la riflessività sia uno degli aspetti più caratteristici della nostra società; le cause di questa mancata consapevolezza possono essere molteplici: la scarsità di tempo a disposizione, un’attività professionale centrata solo sul fare, un grado di scolarità e di cultura non eccelso, ecc.  
Personalmente credo che sia un’attività che abbia un alto valore sociale... il risultato di una buona formazione è che aumenta il livello di civiltà dei partecipanti. (38) 

UN MERCATO LOCALISTICO 
La mobilità spaziale. Il 70% del campione ha l’ufficio vicino a casa (se non addirittura presso l’abitazione); la mobilità a livello regionale o nazionale è abbastanza limitata e riguarda solo brevi periodi dell’anno. Si tratta di un lavoro indipendente che gravita sul mercato locale, legato a committenti della propria città o della regione e alle amministrazioni pubbliche del territorio di appartenenza; possiamo dunque constatare che non vi è un particolare coinvolgimento nel fenomeno della globalizzazione, e anzi in alcuni casi (soprattutto consulenti e formatori) vi è una sensazione di disagio e di esclusione per essere confinati in uno spazio lavorativo molto ristretto. I discorsi sul mercato globale, appaiono, almeno in questo caso, frutto di una certa retorica, che applica ad ogni contesto i processi macroeconomici. In realtà le condizioni oggettive del mercato interno e le modeste capacità finanziarie e organizzative dell’attività portano i lavoratori indipendenti a restare in una dimensione micro.  
Adesso mi sento veramente frustrato, perché sono ormai tre, quattro anni che sono qua fisso, fisso. Prima uscivo, andavo dai clienti, adesso sono qua tra quattro mura. (3) 
La modesta mobilità spaziale dei lavoratori indipendenti comporta delle conseguenze di particolare rilevanza nell’ambito dell’organizzazione del lavoro: i soggetti intervistati infatti, anche quando non svolgono l’attività presso la propria abitazione, trasferiscono sul luogo di lavoro le regole e le abitudini della vita privata. Quindi nella maggior parte dei casi non vi è più la divisione tra vita socioaffettiva e lavoro che ha caratterizzato il modello organizzativo tayloristico e prevale un nuovo sistema di lavoro, la domestication (S. Bologna, op.cit., p. 17), che vede al centro l’individuo, le sue regole di vita e i suoi rapporti, professionali e affettivi. 
Io non ho mai avuto problemi relazionali perché ho sempre usato molto la mia casa, nella libera professione lei può usare molto la sua casa, le persone vengono in casa, si può lavorare in casa, i figli sono lì e quindi non c’è problema nell’educarli. (28) 
I tempi di lavoro. Il 90% degli intervistati dichiara di lavorare molto più dei lavoratori dipendenti, i periodi di vacanza vengono mantenuti, ma per il 50% dei soggetti sono sempre più brevi. In sostanza non vi sono regole né limiti all’attività dei lavoratori indipendenti e, del resto, le stesse modalità di pagamento vengono definite in base alla prestazione e al termine di consegna del prodotto, più che alle unità temporali tradizionali. L’espansione del tempo lavorativo è dovuta alla necessità di consolidare il rapporto con la clientela consegnando il prodotto alla scadenza concordata, ma è anche una conseguenza del desiderio di guadagni sempre maggiori, che porta ad accettare incarichi molto impegnativi ma ben remunerati. 
I collaboratori. I soggetti intervistati si avvalgono, nell’ambito del proprio lavoro, di reti informali, non regolate, di familiari, amici e conoscenti, che collaborano in diversi modi alle varie attività, secondo la loro specifica competenza. Le collaborazioni sono richieste soprattutto nel settore amministrativo e in quello fiscale, dove è necessario un continuo aggiornamento e una conoscenza accurata di tutte le norme, per non incorrere in qualche errore, anche solo formale. I contributi riguardanti direttamente l’attività svolta sono invece meno diffusi (a parte l’ambito familiare), perché il lavoratore indipendente teme di perdere la propria autonomia se condivide con qualche collega un lavoro o un progetto, senza dimenticare lo spirito di concorrenza molto diffuso nell’ambiente. 
La capacità di contrattazione. Come si è visto la capacità di contrattazione dipende dall’età dei lavoratori, dal prestigio acquisito e dalla congiuntura economica e occupazionale più o meno favorevole; per questo motivo attualmente tra le varie professioni i giornalisti e gli ingegneri sono quelli maggiormente soggetti alle condizioni dettate dai committenti, mentre i formatori esperti e i consulenti del lavoro godono di un maggiore potere contrattuale. 
Nel mio caso è abbastanza elevata ma questo dipende da quello che ho fatto nella vita... tutto sommato ho una piccola notorietà in questo campo, in cui opero da quasi quarant’anni. (8) 
Un mondo a parte è costituito dagli Enti Pubblici: i lavoratori indipendenti incontrano spesso delle difficoltà sia quando cambiano le amministrazioni, per il rinvio o la cancellazione di progetti e delle relative committenze, sia quando vengono banditi gli appalti, per la richiesta di garanzie che risultano troppo onerose per le piccolissime imprese. In genere poi gli Enti Pubblici preferiscono affidare le committenze a società di grandi o medie dimensioni, che sembra possano dare maggiori garanzie di affidabilità e assicurare un costo minore: le piccolissime imprese e i liberi professionisti sono dunque generalmente costretti a rinunciare alla gara per l’appalto dei lavori oppure devono unirsi in network, per acquisire una maggiore forza contrattuale. I lavoratori indipendenti restano così privi delle competenze e delle conoscenze necessarie per poter entrare in relazione con l’Ente Pubblico: il loro mercato è troppo ristretto per superare i passaggi, formali e informali, che mettono in contatto con assessori e funzionari.  
Clientela pubblica e privata, con una grande differenza: il lavoro della formazione nel campo pubblico è spesso sprecato, perché i livelli e i tempi di decisione, oltreché i fattori politici che intervengono, fanno sì che un progetto della durata di tre anni in sei mesi cada e non se ne parli più se non dopo altri tre anni. (38) 
I pagamenti. I pagamenti vengono in genere effettuati al termine del lavoro: solo per progetti di una certa dimensione viene corrisposta una parte del compenso a metà dell’opera. I lavoratori indipendenti devono dunque disporre di fondi sufficienti per anticipare le spese che necessariamente ogni lavoro comporta; questo aspetto diviene ancor più delicato nel caso di rapporti con gli Enti pubblici, che talvolta pagano dopo un anno dalla fine del progetto. I pagamenti insoluti sono invece limitati al 10% circa dei casi, ma si opera comunque in un contesto molto insicuro, con la mancanza di una tutela giuridica che garantisca i prestatori d’opera da committenti poco seri: il pagamento tramite fattura, privo di qualsiasi garanzia, è il simbolo della precarietà e del rischio esistenziale (S. Bologna, op. cit., p. 24).  

I PROBLEMI DEL MERCATO 
A livello generale si può osservare che la regolazione collettiva del lavoro indipendente è caratterizzata in alcuni casi da una certa approssimazione, per cui sfuggono alle regole molti fenomeni di abusivismo e di lavoro nero, in altri casi da un eccesso di corporativismo, che provoca una vera e propria chiusura verso chi non è riuscito ad entrare negli albi o negli ordini professionali. Tra i formatori vi sono pareri diversi sulla regolazione del mercato: vi è chi sostiene l’efficacia della qualità e della professionalità e chi invece sottolinea la concorrenza sleale di soggetti poco preparati e privi di qualifica.   
Vi sono alcune categorie di lavoratori indipendenti, come ad es. i consulenti immobiliari e i commercianti, che ritengono di essere ostacolati nella loro attività dalla normativa vigente, contenente troppi carichi fiscali e pratiche burocratiche. 
Una problematica particolare riguarda le piccole aziende, che ritengono di non godere delle stesse agevolazioni delle grandi imprese e anzi si sentono ostacolate dalla burocrazia statale e frenate nel loro sviluppo dal sistema bancario. Anche gli organismi di categoria sembrano privilegiare le aziende di medie dimensioni a scapito di quelle più piccole, che in tal modo si sentono accerchiate e quasi soffocate. I soggetti titolari di piccolissime imprese ravvisano dunque la necessità di creare una nuova associazione che ne tuteli davvero gli interessi e rappresenti un valido interlocutore del governo e del parlamento. 
Credo che abbiamo i problemi tipici di tutte le piccole aziende, ossia una piccola azienda alle volte ha la sensazione che lo stato, in quanto tale, ti remi un po’ contro insomma, o comunque non ti faciliti molto. (20) 
Il lavoro nero e l’abusivismo sono un fenomeno preoccupante per tutti i settori del lavoro indipendente, dai consulenti agli artigiani, dai commercianti ai formatori: viene soprattutto stigmatizzata la pratica diffusa di non rilasciare la fattura, evadendo il fisco e potendo così praticare prezzi meno elevati. Si sollecita dunque una normativa più severa e una maggiore applicazione delle leggi esistenti, anche per tutelare la tradizione artigianale, che difende la qualità del prodotto. Va peraltro rilevato come i lavoratori indipendenti tendano spesso ad addossare «agli altri» le colpe dell’evasione fiscale o del lavoro nero, ammettendo raramente le proprie responsabilità. 
Diciamo che c’è sempre il fenomeno del lavoro nero, anche nella consulenza esistono sicuramente molte figure professionali, che si sottofatturano o addirittura fatturano in nero una buona parte delle loro prestazioni. (27)  

I RAPPORTI CON LO STATO  
Fisco e burocrazia. Per il 90% degli intervistati il rapporto con il fisco è assai problematico: la categoria più esasperata è quella dei commercianti, che lamentano un numero eccessivo di tasse, aliquote troppo elevate e una burocrazia opprimente che costringe a dedicare molto tempo all’espletamento di tutte le formalità («lasciateci lavorare»). Alcuni soggetti riconoscono, sia pure indirettamente, di essere ricorsi all’evasione, ma giustificano questa prassi con la necessità di sopravvivenza: la responsabilità viene attribuita allo stato, che non comprende le ragioni del lavoro indipendente e anzi ne impedisce ogni possibilità di crescita, «invadendo» l’autonomia degli operatori con continui controlli e con imposte di ogni genere. Si diffonde così la sensazione di vivere in un mondo ostile, che cerca in ogni modo di ostacolare il lavoro indipendente, mentre le paure del futuro e di altre imposizioni fiscali prendono il volto del governo di turno. 
Comunque quasi il 70% del campione dichiara di pagare regolarmente la propria parte e ritiene che il modo migliore per ridurre le tasse sia la lotta all’evasione fiscale («pagare tutti per pagare meno»), individuando in altre categorie di lavoratori indipendenti i famigerati evasori (dentisti, avvocati, idraulici). Del resto la fattura, di cui abbiamo già parlato a proposito delle forme di pagamento, diventa anche una sorta di documento fiscale, per cui i lavoratori indipendenti che operano per Enti Pubblici o imprese difficilmente possono evadere il fisco. 
Lo Stato sociale. Il 60% dei soggetti intervistati sostiene che in Italia nell’ambito sanitario funzionano solo i servizi privati e quindi il settore pubblico va eliminato quasi del tutto, con la sola eccezione delle strutture per le fasce deboli della popolazione. Il senso di solidarietà è presente, sia pure con modalità e sfumature diverse, nella quasi totalità del campione: vi è però il rischio che il timore di perdere posizioni socioeconomiche consolidate porti ad accentuare la dimensione più individualistica del lavoro indipendente, con la conseguente crescita degli atteggiamenti di rifiuto verso la parte più debole ed emarginata della società. In effetti i lavoratori indipendenti sono disposti a riconoscere i valori della solidarietà solo a condizione che non vi siano oneri particolari e non venga intaccata la loro autonomia. 
I motivi di maggiore polemica dei lavoratori indipendenti verso il sistema sanitario riguardano la disorganizzazione dei servizi, la gestione delle Usl, la consistenza molto elevata della tassa della salute, la difficoltà di utilizzo delle prestazioni sanitarie pubbliche. Infatti i lunghi tempi di attesa necessari per poter usufruire di servizi specialistici non vengono tollerati da chi fa dell’utilizzo ottimale del tempo una delle risorse fondamentali della propria attività: in questo modo il lavoratore indipendente è quasi costretto a utilizzare le strutture private, che possono garantire una maggiore rapidità, offrendo anche prestazioni a domicilio. 
L’altro 40% del campione ritiene invece che il servizio sanitario pubblico vada mantenuto, pur riconoscendo la necessità di eliminare sprechi e inefficienze. Peraltro chi ha avuto modo di usufruire delle prestazioni degli ospedali pubblici, o direttamente o per la malattia di un familiare, esprime un giudizio più che lusinghiero sull’operato del personale sanitario. 
Una parte del campione individua nel decentramento amministrativo la soluzione dei problemi dello stato sociale, ritenendo che il maggiore controllo delle entrate e delle spese permetta una vera riorganizzazione dei servizi pubblici, liberando inoltre risorse utili per realizzare la solidarietà.   
Io trasferirei tutto a livello amministrativo più che politico, per cui condivido il decentramento amministrativo, ma totale; in questo modo, avendo sotto controllo di più quanto diamo e come viene speso, si evidenzierebbero una serie di buchi profondi che attualmente neanche si vedono e si potrebbero risolvere un po’ di problemi a livello di solidarietà. (5) 
I soggetti intervistati si trovano quasi tutti d’accordo nel sostenere la necessità di forme di previdenza integrativa, che assicurino una maggiore sicurezza economica al termine dell’attività lavorativa; in effetti le casse private dei lavoratori indipendenti possono in genere garantire solo una modesta pensione, per cui i fondi integrativi sono quanto mai utili: nell’attuale congiuntura economica però non tutti se li possono permettere, anche se rientrano nei possibili investimenti, soprattutto in forme che estendano le garanzie ai figli.  

VERSO NUOVE FORME DI TUTELA? 
Il ruolo della politica. quasi la metà del campione manifesta una sfiducia totale verso la politica, ritenendo che nessun partito intenda veramente tutelare gli interessi dei lavoratori indipendenti e che gli interventi dei politici siano meramente strumentali. Questi soggetti sostengono anche l’inutilità di forme di protesta o di contestazione perché considerano il potere politico troppo forte, a fronte di un’opinione pubblica sostanzialmente indifferente a queste iniziative.   
In qualche caso la dichiarata indipendenza rispetto alle parti politiche si trasforma in un elogio delle proprie capacità e del proprio lavoro, che hanno permesso un certo successo professionale nonostante la mancanza di appoggi e favori. 
La funzione delle associazioni. Una parte significativa del campione esprime una certa lamentela verso le associazioni di categoria, sostenendo che dovrebbero essere più costanti e incisive nella loro azione, liberandosi dai legami con il potere politico, che le rende di fatto innocue e soggette alle mutevoli maggioranze parlamentari.  
Vi sono poi altri problemi che rendono difficile e complessa l’azione delle associazioni professionali: la frammentarietà geografica del lavoro indipendente, il forte individualismo che caratterizza i liberi professionisti e i piccolissimi imprenditori, la scarsa solidarietà dell’opinione pubblica, che individua tradizionalmente nei lavoratori indipendenti i poco amati evasori fiscali. In effetti abbiamo già visto come fra gli stessi intervistati vi sia la consapevolezza che nel lavoro indipendente si nascondono sacche di evasione. Va inoltre sottolineato che in genere i lavoratori autonomi non dispongono dell’arma dello sciopero per far valere i loro diritti, mancando di un’unica controparte ed essendo dispersi sul territorio: l’unico modo di far rispettare il contratto al committente è il ricorso alla magistratura. Nel complesso vi è dunque una debolezza strutturale del lavoro indipendente e delle associazioni che lo rappresentano, per cui prevale un atteggiamento di sfiducia nella possibilità di veder tutelati i propri diritti. 
L’idea di un coinvolgimento diretto a livello associativo e politico è quasi del tutto esclusa, soprattutto per mancanza di tempo e per la priorità data alla propria attività professionale. Prevale dunque un atteggiamento di delega, mentre le associazioni di categoria sono utilizzate per i corsi di formazione e di aggiornamento e per l’erogazione di altri servizi. In effetti il lavoro indipendente può trovare una forma di tutela proprio tramite l’erogazione di efficaci forme di servizio ad opera delle associazioni professionali e delle Camere di Commercio.  
L’azione dei sindacati. Tra i soggetti intervistati solo i consulenti del lavoro hanno avuto rapporti diretti con i sindacati nell’esercizio della propria attività: la sensazione prevalente è quella di una struttura che intende conservare il potere acquisito dopo anni di lotte, talvolta anche a scapito della tutela degli interessi dei lavoratori. L’azione sindacale è vista anche come un ostacolo alla flessibilità del mercato del lavoro, impedendo assunzioni temporanee e sostenendo la necessità dell’imposizione fiscale per finanziare l’assistenzialismo dello stato. Solo in pochissimi casi vi è il riconoscimento del ruolo positivo che i sindacati hanno esercitato in questi ultimi anni nell’opera di risanamento dei conti pubblici, attuando la concertazione con le associazioni imprenditoriali e assumendo posizioni non facili rispetto alla scala mobile e alla riforma del sistema pensionistico.  
Nel campione è assai diffusa l’idea che i sindacati difendano soltanto i lavoratori salariati delle grandi aziende, mentre non si preoccupino minimamente di tutelare il lavoro indipendente, che è di fatto escluso dalle garanzie previste nello Statuto dei lavoratori. Peraltro proprio in questi ultimi tempi si stanno studiando alcune modifiche allo Statuto, in modo che vi sia meno rigidità nella regolazione del lavoro dipendente e, nello stesso tempo, siano riconosciuti anche ai lavoratori indipendenti alcuni diritti fondamentali, relativi soprattutto alla garanzia dei pagamenti e al rispetto dei contratti. Vi è dunque una rivendicazione del ruolo fondamentale esercitato dal lavoro indipendente nell’economia italiana, con la richiesta di tutela rispetto alla concorrenza non sempre leale di grandi e medie imprese, di sviluppo della flessibilità del mercato, di incentivi e sostegni per la fase iniziale dell’attività, di semplificazione della burocrazia, di alleggerimento dell’imposizione fiscale. 
Sì, io dopo essere stata una che ha fatto tante battaglie di base, devo dire che il sindacato ha difeso troppo i lavoratori dipendenti... del resto già allora avevo quest’idea...non si è tutti uguali, non si lavora tutti uguali, io so che è orrendo dire e pensare così, però insomma la qualità del lavoro secondo me va tutelata... (28) 
Va peraltro rilevato che in questi ultimi tempi i sindacati più rappresentativi a livello nazionale hanno mostrato una maggiore attenzione verso le nuove forme di occupazione, come il lavoro indipendente, la parasubordinazione, il lavoro interinale, le collaborazioni coordinate. Sono stati dedicati incontri e seminari al problema della tutela di questi lavoratori, che non godono delle garanzie dei dipendenti e rivendicano nuovi diritti. In alcuni casi si sono sperimentate anche forme di rappresentanza e di associazionismo, per la verità con esiti frammentari e poco incisivi, a causa della complessità e della disomogeneità del lavoro indipendente. Il mondo sindacale appare però intenzionato a ricercare modalità più efficaci di coinvolgimento, superando le diffidenze reciproche e individuando alcuni punti fondamentali di azione (le garanzie, la rappresentanza, la promozione di opportunità).  

CONCLUSIONI 
Il primo aspetto che ci pare opportuno sottolineare è la grande eterogeneità del lavoro indipendente, con la presenza di una fascia forte, che garantisce redditi elevati e stabilità a chi è disposto a lavorare intensamente, e di una fascia debole, esposta ai rischi del mercato e alla precarietà, che non riesce a raggiungere redditi consistenti. Gli skills per poter intraprendere un lavoro indipendente sembrano essere una rete relazionale amicale e sociale rilevante, una discreta base economico-finanziaria di partenza, una buona qualifica professionale, un abito mentale flessibile e dinamico, doti caratteriali di creatività, di resistenza e di fiducia nelle proprie possibilità. 
Un elemento che è invece condiviso da quasi tutti i soggetti intervistati è l’individualismo che caratterizza le varie dimensioni del lavoro indipendente: le motivazioni della scelta, che si fondano sul desiderio di essere autonomi e creativi; il buon livello di autorealizzazione raggiunto, che in qualche caso porta a dimenticare anche la precarietà professionale; la difficoltà di creare delle sinergie con i colleghi per essere più competitivi sul mercato; la scarsa partecipazione alle iniziative promosse dalle associazioni di categoria.   
L’affermazione della propria individualità si manifesta anche nei rapporti con lo Stato, che appaiono alquanto compromessi a causa dell’esclusione dai diritti del lavoro salariato (diritto al salario, diritto di sciopero, diritto allo stato sociale), dei continui controlli ai fini fiscali e burocratici, dell’imposizione fiscale troppo elevata. I lavoratori indipendenti infatti, più che un atteggiamento di autoesclusione dalle vicende della vita politica e sociale, manifestano un desiderio di autonomia e indipendenza dalle istituzioni (senza compiere particolari distinzioni tra Stato e Enti Locali), sentendosi in qualche modo «invasi» dalla burocrazia, dal fisco e dalla politica. La dimensione micro economica del lavoro indipendente e della domestication intende difendersi dall’intrusione di componenti macro di carattere politico e sociale.  
In questa prospettiva viene riconosciuta l’esigenza di creare nuove forme di rappresentanza, che tutelino i lavoratori indipendenti e le piccolissime imprese da eventuali forme di concorrenza sleale esercitate da imprese più grandi e più potenti. Si muove in questo senso l’attivazione di nuovi servizi di tutela e di consulenza presso le Camere di commercio e le associazioni di categoria: si tratta di informazioni e di supporti di estrema utilità (cfr. il ‘Punto Nuova Impresa’), soprattutto per chi intraprende una nuova attività.  
Negli ultimi mesi del 1997 sono stati presentati in Parlamento progetti e disegni di legge che riguardano l’inquadramento giuridico e la tutela dei lavori «atipici», come le collaborazioni coordinate e continuative: in particolare vi sono alcune norme che prevedono la stipulazione di un contratto di lavoro con un atto scritto, contenente la descrizione dettagliata delle prestazioni richieste, la durata del rapporto (che non può essere inferiore a sei mesi), il compenso pattuito (che non deve essere inferiore a quello previsto per i lavoratori dipendenti che svolgono la medesima attività), i poteri e le forme di indirizzo e di controllo del committente. Vi sono poi altre norme che regolano gli aspetti previdenziali e assistenziali, l’orario di lavoro, la normativa fiscale, i diritti associativi e sindacali: se questa attenzione del mondo politico porterà all’approvazione di una nuova legge, si sarà compiuto un passo importante nella tutela dei diritti dei lavoratori indipendenti più esposti al mercato e al potere dei datori di lavoro.  

BIBLIOGRAFIA