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Impresa & Stato n°46  

  

L’ESSER NOTAIO NON È UN TITOLO MA UNA FUNZIONE

di 
 Enrico Bellezza
 
Il riassetto della professione notarile e i rischi dell’applicazione del modello societario, che chiude la porta ad atti di pubblica fede su commissione.
La locuzione mi pare sinteticamente segnali e intuitivamente spieghi il fulcro di ogni ragionamento intorno al possibile riassetto della professione notarile. Non si può infatti prescindere da un gene del DNA del Notariato (e, quindi, del Notaio): l’esercizio privato di pubbliche funzioni. Il Notaio, infatti, esercita pubblici poteri delegatigli dallo Stato, consistenti fondamentalmente nell’attribuire pubblica fede ai documenti che forma. Non solo. A mente dell’art. 1 della Legge notarile «i notari sono ufficiali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà, attribuire loro pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne copia…»; vorrei si ponesse attenzione alla pregnanza del declinato verbale «istituiti» che è ben diversa da un generico nominati, dichiarati o altro: il notaio viene istituito, creato dallo Stato che delega parzialmente i propri poteri ad un soggetto privato. Emerge, inoltre, la «memoria pubblica» che il Notaio è chiamato a mantenere, tanto in funzione statica quanto in prospettiva dinamica: egli, infatti, conserva e rilascia copia dei documenti. 

CONSEGUENZE NORMATIVE 
Queste considerazioni hanno già prodotto delle conseguenze normative.  
In primis, il Notariato Italiano stigmatizza la rilevanza della eccezione posta dall’art. 55 del Trattato UE laddove si escludono, dall’ambito di applicazione delle regole che presiedono alla libertà di stabilimento e a quella della prestazione di servizi per le attività professionali, le attività «che partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri». Che dedurre se un soggetto esercita stabilmente un pubblico potere delegatogli dallo Stato? Orbene: che l’esercizio di pubblici poteri costituisce esplicazione della sovranità dello Stato, cui solo compete di stabilire i criteri in forza dei quali delegare l’esercizio di funzioni pubbliche a determinati soggetti.  
E non vale obiettare, in forma entusiastica, quando non retorica, che ci si avvia alla costituzione di un unico Stato Europeo. Tale situazione comporterà una armonizzazione specifica dei Notariati europei, da contemperarsi con il principio di sussidiarietà che resta ben saldo a rammentare che la Comunità ha ragione di intervenire, allorquando gli stati membri non possano meglio realizzare da soli gli obbiettivi comuni. 
Quest’ultima considerazione rimanda alla risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 1994 nella quale, riaffermando la inapplicabilità dei citati articoli 52-58, si ribadisce che quelle stesse previsioni - pur nell’interpretazione restrittiva della deroga di cui all’art. 55 - non «offrono una base giuridica adeguata e tale da consentire a livello comunitario un’armonizzazione» della professione notarile. 
Da tutto ciò discende che la definizione programmata del numero dei pubblici ufficiali istituzionali e quindi dei notai (prevista dallo schema di decreto legge in commento) risponde almeno ad una duplice esigenza: 
a) l’ interesse delle parti; 
b) l’interesse dello Stato, che necessita di questi pubblici ufficiali e li istituisce secondo criteri suoi propri. 
Vero è che , comunque, occorre vigilare sulla tenuta dei Notai. Di qui la condivisione della previsione relativa ad una sorta di autodichia disciplinare, che separi i compiti amministrativi interni alla categoria da quelli disciplinari in senso stretto. La composizione di questi organismi (notai e magistrati) è prevista in considerazione della specificità dei notai e risulta ad un tempo garanzia di produttività e neutralità decisionale. 
Collegata all’aspetto disciplinare, quand’anche per assonanza, è la forte novità della eliminazione del divieto di pubblicità, la quale dovrebbe essere assistita dal richiamo e dalla elaborazione di regole deontologiche precise. Le ragioni di quest’ultime sono intuitive. Come è vero che un codice deontologico esiste, bene o male, per tutte le professioni: per i Notai esso è scritto due volte. Una prima formalmente, con l’elaborazione e successiva stesura di un vero e proprio codice, frutto di attenta, pacata, ma altrettanto ferma riflessione. Una seconda volta la deontologia è simboleggiata dal sigillo, dallo stemma della Repubblica Italiana, la coscienza della cui solennità è (dovrebbe essere) requisito primo dell’esser Notai, ancor prima di quello del fare i Notai. 
Se, quindi, complessivamente il progetto è da approvarsi, se restano queste riflessioni del Consiglio Nazionale del Notariato sugli affrontati aspetti di esso, nondimeno vi è sicura contrarietà alla previsione della partecipazione di soci non professionisti alle società tra professionisti. Per la verità, per quanto riguarda il Notariato, è la stessa forma societaria a non trovare facile cittadinanza. 
È bene, infatti, distinguere due livelli: uno normativo e uno funzionale. 
Quanto al primo, coerentemente con il carattere della nostra professione, si prevede all’art. 82 dell’ordinamento professionale l’Associazione tra Notai, la quale sarà di impronta romanistica, ma fino ad oggi ha dimostrato una tenuta, permettetemi, invidiabile rispetto ad altre soluzioni. 
Sempre sullo stesso piano vi è un ostacolo costituzionale: l’art. 33 che prevede l’esame di Stato per l’accesso e l’esercizio della professione, articolo che, con la possibilità di soci capitalisti nella società professionali, verrebbe violato e ignorato. Se, poi, si pone mente al combinato disposto degli articoli 3 e 33... 
Del tutto coerente, perciò, appare la recente pronuncia del Consiglio di Stato (11 maggio 1998) che, dopo una articolata motivazione, arriva ad ammettere, sul presupposto che i soci siano in possesso dell’abilitazione, forme societarie quali la Società in nome collettivo, la società in accomandita, sia semplice che per azioni, a condizione che i soci non professionisti siano meri finanziatori (e questa eventualità se è in realtà legittima rappresenta comunque un pericolo), ed esclude tassativamente la Società per azioni e la Società a responsabilità limitata. 

IL PROFILO STRATEGICO 
Ora, se questo è a grandi linee il quadro normativo, il profilo strategico appare tale da doversi travasare nella futura normazione e quindi inibire qualsiasi forma «societaria notarile». 
Ponendo l’attenzione alla professione notarile, l’unica forma ammissibile è quella della Associazione. 
Le conseguenze che potrebbero derivare dalla applicazione di modelli societari alla nostra professione potrebbero essere gravissime: da un lato, un massiccio condizionamento sull’attività pubblica del Notaio fino a svilirne il ruolo ad obbediente pilotato esecutore, dotato di pubblici poteri, di volontà configgenti con l’esercizio di una pubblica funzione; dall’altro lato, l’afflusso di capitali non chiari potrebbe essere più che verosimile. 
In sostanza, e a costo di essere poco ortodossi, l’architettura societaria schiude la porta ad atti dotati di pubblica fede su commissione. 
Si dirà: dipende dalla tenuta del Notaio. Posto che così dicendo si sposta l’analisi su di un piano filosofico, in realtà è in gioco la cristallinità di documenti dotati di pubblica fede, il cui inquinamento, a fronte di un concatenarsi di circostanze speculative, può rendere assai difficile, pericoloso, il traffico e la vita giuridica, minando, come si mina, la certezza del documento negoziale o di ultima volontà, in uno con lo smantellamento di una funzione statale, esercitata per il tramite dei Notai. 
«Il notaro fa dell’igiene ed il giudice della terapia. L’Avvocato sta in mezzo. Igienista e patologo son diversi, ma pur medici l’un l’altro; e guai se non conoscessero, l’uno e l’altro, l’intera medicina». Così magistralmente Carnelutti. 
Non credo, conclusivamente, che sia il caso di costringere il cittadino a rivolgersi al patologo, privandolo della opportunità che l’igienista lo aiuti ad evitare la malattia.