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Impresa & Stato n°46
 
  

LA RIFORMA DELLA PROFESSIONE GIORNALISTICA

di 
 Franco Abruzzo 
Un ddl propone una svolta radicale per un’attività intellettuale che non può essere organizzata come quelle legate a saperi tecnico-scientifici.
L’organizzazione delle professioni va ripensata. E va ripensata soprattutto quella dei giornalisti, che trattano una materia - il diritto di manifestazione del pensiero - che è un diritto di tutti i cittadini e non un privilegio dei giornalisti stessi. Le critiche all’esistenza dell’attuale Ordine, nonostante la (favorevole) sentenza n. 11/1968 della Corte costituzionale, sono note e sono sintetizzate in un saggio di Paolo Barile pubblicato su «Problemi dell’informazione» (n.1, gennaio-marzo 1989). Il pensiero di Barile può essere sintetizzato così: gli altri Ordini hanno diritto di esistere in quanto sono ancorati a conoscenze tecniche imprescindibili e a saperi specifici che vengono accertati attraverso un titolo universitario e un esame di Stato. Tutte queste corporazioni (medico, ingegnere, architetto, avvocato, commercialista, notaio, chimici, veterinari, biologi, dottori agronomi, tecnologi alimentari, etc.) sono integralmente obbligatorie nel senso che nessuno che non sia iscritto - dice Barile - può esercitare la professione che esse disciplinano. È contestabile che l’attività giornalistica - sostiene sempre Barile - sia di pubblico interesse nel senso che obbedisca alla pubblica funzione di informare. La verità è che per fare il giornalista non occorre dar prova di alcuna tecnica professionale. La tecnica si acquista. Il giornalista deve soltanto saper scrivere - e a questo provvede la scuola dell’obbligo - e sapere informarsi. Il suo comportamento non può essere oggetto di una valutazione da parte dei suoi colleghi se non quando egli viola la legge generale: allora non saranno i colleghi a giudicarlo, ma gli organi istituzionali. L’Ordine, secondo Barile, si può giustificare solo come facoltativo e a patto che si impegni nella formazione culturale e professionale dei propri iscritti. Non può essere imposto per legge a un cittadino di esercitare un diritto costituzionale (quello di manifestazione del pensiero) condizionando l’esercizio di questo diritto all’iscrizione a una corporazione. 
Dal 1989 ad oggi sono maturate novità, che in parte smentiscono Paolo Barile. Con il decreto 11 aprile 1996 (pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» 140 del 17 giugno ‘96), il Ministro dell’Università ha istituito il corso di laurea quinquennale in Scienze della comunicazione a indirizzo giornalistico, abolendo il diploma universitario istituito nel ‘91, mentre la Corte costituzionale (con le sentenze n. 11 e 98 del 1968 e n. 2 del 1977) aveva in precedenza riconosciuto la rilevanza pubblica o di pubblico interesse della funzione svolta da chi professionalmente sia chiamato a esercitare un’attività d’informazione giornalistica. 
L’articolo 25 della legge n. 675/1996 stabilisce, invece, la stesura di un «Codice di deontologia» relativo al trattamento dei dati effettuato nell’esercizio della professione di giornalista. Le disposizioni del Codice si applicano anche ai trattamenti «temporanei finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero». L’articolo 13 della stessa legge afferma che «restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia». 

IL DISEGNO 
Il disegno di legge di riforma, predisposto dal sen. prof. Stefano Passigli, costituisce una svolta radicale e pertanto appare destinato a incontrare notevoli difficoltà nel cammino parlamentare soprattutto da parte di coloro che inquadrano, ancora oggi, la professione giornalistica come le altre professioni intellettuali. Una attività di libertà, come quella giornalistica, non può essere organizzata come le professioni ancorate a saperi tecnico-scientifici precisi ed esclusivi (medico, ingegnere, architetto, avvocato, commercialista, notaio, chimici, veterinari, biologi, dottori agronomi, tecnologi alimentari, etc). Lo sforzo del sen. Passigli è rivolto a sgomberare il terreno da tutti gli argomenti che incidono sulla legittimità costituzionale dell’attuale Ordine dei giornalisti. 
Il progetto di riforma recupera l’Ordine concepito come Fondazione di diritto privato. Ciò è in linea con la sentenza n. 38/1997 della Corte costituzionale, quella sentenza che ha dichiarato ammissibile il referendum sulla legge n. 69/1963 e con la quale la Corte, richiamate le sentenze n. 11 del 1968 e n. 71 del 1991, ha affermato «che non osta al principio della libera manifestazione del pensiero il fatto che i giornalisti siano così organizzati, anche perché tale Ordine ha il compito di salvaguardare, erga omnes e nell’interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti». Nella sentenza n. 11/1968 si legge ancora: «Chi tenga presente il complesso mondo della stampa nel quale il giornalista si trova ad operare e consideri che il carattere privato delle imprese editoriali ne condiziona la possibilità di lavoro, non può sottovalutare il rischio al quale è esposta la sua libertà, né può negare la necessità di misure e di strumenti idonei a salvaguardarla». 
La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 38/1997, ha inoltre scritto: «Né può sorgere il dubbio che, con l’eventuale esito abrogativo del referendum, possano venir meno l’attività giornalistica professionale, la disciplina contrattuale del rapporto di lavoro, o i canoni deontologici inerenti a tale attività. Questi ultimi derivano, oltre che dal costume, da altre leggi (cui del resto fa rinvio lo stesso art. 2), dalle funzioni del Garante, dalla giurisprudenza in materia e da norme di autoregolamentazione». La Corte ha operato una distinzione tra titolo di giornalista riconosciuto per legge e «attività giornalistica» non disciplinata per legge, che, per quanto riguarda l’etica, deve affidarsi all’autoregolamentazione e anche alle funzioni di giudice del «sistema della comunicazione multimediale» svolte dal Garante per l’editoria e la radiodiffusione (oggi sostituito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). 
Il disegno di legge valorizza il concetto di autoregolamentazione deontologica (sottolineato, con la sentenza n. 38/1997, dalla Corte costituzionale) quando afferma (art. 7, comma 2): «Il Giurì per la lealtà e la correttezza dell’informazione assicura l’osservanza delle regole deontologiche formulate dagli organi della Fondazione e commina sanzioni per la loro violazione». La stesura delle «regole» è demandata dalla norma alla nuova Istituzione dei giornalisti in linea con quanto prevede l’art. 25 della legge n. 675/1996 sulla privacy, che prescrive l’adozione di un «Codice di deontologia» da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Si porrà un problema di coordinamento dei due Codici. 
L’esistenza dell’Ordine Fondazione, che avrà al centro della sua attività l’etica attraverso l’azione del Giurì, rafforza la Fnsi e l’autonomia dei giornalisti. Oggi il Contratto nazionale di lavoro giornalistico (Cnlg) fonda l’autonomia dei giornalisti sull’articolo 2 della legge professionale. Dice il Il comma dell’articolo 1 del Cnlg: «La legge su «Ordinamento della professione giornalistica» del 3 febbraio 1963 n. 69 garantisce l’autonomia professionale dei giornalisti e fissa i contenuti della loro deontologia professionale specificando che «è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». I contenuti dell’articolo 2 dell’attuale legge n. 69/1963 sono trasferiti nel testo della proposta di riforma e continueranno, quindi, ad animare ed ispirare l’esercizio dell’attività giornalistica. 
Il primo bersaglio della proposta di riforma è l’esame di Stato (art. 33, V comma, della Costituzione), che non viene previsto. Vuol dire che quell’esame («per l’abilitazione all’esercizio professionale») è da riservare soltanto alle professioni «ancorate a conoscenze tecniche imprenscindibili e a saperi specifici». Ne consegue che il titolo universitario (art. 4, comma 2) venga ritenuto (di fatto) abilitante. 

I PUNTI DEL DDL 
Pertanto il disegno di legge: 
a) disciplina la professione giornalistica, mentre definisce l’attività giornalistica (art. 2) con le parole precise della sentenza della Cassazione Civile (sez. lav.) 20 febbraio 1995 n. 1827. È della Cassazione anche la definizione del giornalista come «mediatore intellettuale» (art 2, comma 3). Scompare la figura del «giornalista professionista» (figura introdotta nell’ordinamento dalla legge n. 406 del 9 luglio 1908 e poi dal Rd n. 384/1928). Nel disegno di legge, infatti, si parla soltanto di «giornalista o di giornalisti», anche se il titolo della legge concerne la riforma della professione giornalistica; 
b) recupera il concetto di Ordine, ma strutturato (art. 1, comma 2) come Fondazione di diritto privato (nello spirito dell’articolo 14, comma 1/b, della legge n. 59/1997 che prevede «la trasformazione in persone giuridiche di diritto privato degli enti che non svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico nonché di altri enti per il cui funzionamento non è necessaria la personalità di diritto pubblico»). Cade così l’attuale organizzazione pesantemente pubblicistica, sottoposta a molteplici controlli (Procure generali della Repubblica, ministeri di Grazia e Giustizia, Tesoro e Funzione pubblica, Corte dei Conti); 
c) colloca la Fondazione (art. 6, comma 4) sotto la vigilanza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, affidando a questa Autorità indipendente (nominata dal Parlamento) una notevole attività regolamentare sul fronte della disciplina dell’attività giornalistica e del funzionamento della Fondazione; 
d) collega l’accesso all’esercizio dell’attività giornalistica (art. 4, comma 2) a un titolo di studio universitario di fatto abilitante o alla frequenza di una scuola post-universitaria. Scompare conseguentemente (art. 6, comma 3) la figura del praticante giornalista introdotta nell’ordinamento dal Rd n. 384/1928; 
e) affida (art. 7, comma 2) il governo dell’etica a un Giurì per la lealtà e la correttezza dell’informazione integrato (per un terzo) da «laici»; 
f) prevede che l’attività giornalistica, come espressione di libertà, possa essere svolta anche da chi non sia iscritto all’Albo. Sostanzialmente «è giornalista chi fa il giornalista», prescindendo dall’iscrizione all’Albo. Tanto che nel testo non c’è la norma di chiusura oggi rappresentata dall’articolo 45 della legge n. 69/1963. Non viene, infatti, punito penalmente l’esercizio abusivo della professione (né la sopravvivenza dell’articolo 45 della vecchia legge può essere ritenuta compatibile con la nuova). Anche chi non è iscritto all’Albo, infatti, risponde sul piano etico al Giurì. Dice l’articolo 3 (comma 3): «Alle regole deontologiche dovrà attenersi chiunque, anche se non iscritto all’Albo, svolga a qualsiasi titolo attività giornalistica anche saltuaria»; aggiunge l’articolo 7 (comma 2): «Esso (Il Giurì, ndr) ha competenza anche nei confronti dei non iscritti all’Albo, ed al rispetto delle sue decisioni sono tenute tutte le imprese editoriali e dell’informazione». Il Giurì pertanto si configura come il giudice della correttezza dell’attività giornalistica esercitata da chiunque e non solo dagli iscritti all’Albo. La facoltà di esercitare l’attività giornalistica senza l’iscrizione all’Albo priva il «progetto Passigli» di un’altra norma rigida a favore degli iscritti all’Albo quali unici soggetti titolati ad assumere la direzione di un quotidiano o di un periodico. Chiunque, quindi, potrà assumere la direzione di un giornale. L’articolo 5 (punto 3) della legge n. 47/1948 sulla stampa prevede, in sede di registrazione della testata, la presentazione di «un documento da cui risulti l’iscrizione nell’Albo dei giornalisti nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 98/1968, ha dichiarato legittima l’assunzione della direzione di un giornale da parte di un pubblicista sul presupposto che professionisti e pubblicisti sono sottoposti alle stesse regole etiche. La «proposta Passigli» sottopone alle stesse regole etiche sia gli iscritti all’Albo sia i cittadini che esercitato l’attività giornalistica senza essere iscritti all’Albo. I cittadini, quindi, hanno gli stessi doveri dei giornalisti e conseguentemente, sul rovescio della sentenza citata, possono assumere il ruolo di direttori responsabili. Le disposizioni della vecchia legge sono incompatibili con la nuova (art. 10); 
g) rilascia una Carta di identità professionale ai giornalisti iscritti nell’Albo (art. 4, comma 4, e art. 6, comma 5); 
h) prevede che, per un periodo transitorio di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, potrà accedere all’Albo (art. 5) anche chi, non provvisto del titolo di studio ma in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e iscritto alla gestione separata dell’Inpgi, abbia svolto per almeno tre anni consecutivi o quattro anni non consecutivi attività giornalistica a titolo continuativo ancorché non esclusivo, e abbia superato le prove di idoneità eventualmente disposte dalla Fondazione (questa norma è chiaramente rivolta ai pubblicisti in quanto soggetti titolari del diritto di iscriversi alla gestione separata dell’Inpgi); 
In sede di istituzione dell’Albo, sono iscritti di diritto all’Albo (art. 6, commi 1, 2 e 3): 
1) tutti i giornalisti che risultano iscritti all’elenco professionisti dell’Ordine nazionale dei Giornalisti e anche coloro che hanno i requisiti di cui all’articolo 2 (art. 4, comma 3); 
2) quei giornalisti pubblicisti che abbiano con un organo di informazione uno dei rapporti regolati dagli articoli 1-36, 2, 12 o 36 (part time) del vigente Contratto nazionale di lavoro dei giornalisti e che non svolgano, in maniera prevalente, altri impieghi o professioni; 
3) i cittadini di altri Paesi della UE che abbiano esercitato come attività prevalente la professione di giornalista per almeno 5 anni nei Paesi appartenenti all’Unione europea (art. 4, comma 3); 
4) quanti (al compimento del tirocinio) all’entrata in vigore della legge abbiano la qualifica di praticante. 
h) fissa la prescrizione dell’azione civile di risarcimento del danno nel termine di un anno dalla diffusione della notizia (art. 3, V comma); 
i) abroga (art. 10) le disposizioni della legge 3 febbraio 1963 n. 69 incompatibili con la nuova legge. Si presume, quindi, che resteranno in vigore tutti gli articoli della vecchia legge relativi all’iscrizione agli elenchi, ai trasferimenti e alla cancellazione dall’Albo, all’esercizio della professione giornalistica, ai reclami e alla disciplina degli iscritti. È prevedibile la nascita di un contenzioso molto sostanzioso sull’interpretazione dell’articolo 10. 
I «restanti» giornalisti pubblicisti sono iscritti di diritto in un apposito elenco, ma possono «transitare» all’Albo dei giornalisti (artt. 4 e 5) «quando ne ricorrano i presupposti». 
La Fondazione tiene ed aggiorna i seguenti elenchi: 
a) l’elenco di coloro che svolgono attività prevalente di fotoreporter, di telecineoperatore, di addetto ai servizi di informazione telematica aperti al pubblico e di eventuali nuove figure professionali della comunicazione, nel caso che essi non siano in possesso della Carta; 
b) l’elenco dei direttori delle pubblicazioni tecniche, scientifiche, commerciali e professionali. 
L’attività giornalistica può essere prestata sia a titolo di lavoro dipendente che a titolo di lavoro autonomo ( art. 2, comma 2). 

OSSERVAZIONI 
1) Pare opportuno definire in maniera più articolata il concetto di «Ordine Fondazione»: «L’Ordine dei Giornalisti è una Fondazione dotata di personalità giuridica di diritto privato, incaricata di pubbliche funzioni a norma dell’art. 21 della Costituzione, con autonomia gestionale, organizzativa e contabile. Ha sede in Roma, potrà avere articolazioni regionali e svolge la sua attività a norma di legge e dello Statuto, che sarà emanato con regolamento dettato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni». L’articolo 21 della Costituzione dovrebbe fare da cornice e da espresso punto di riferimento al nuovo ordinamento dell’attività giornalistica come espressione massima di libertà della Carta fondamentale dello Stato. 
2) Il titolo della legge, nella nuova formulazione data dal sen. prof. Stefano Passigli, recupera il concetto di «professione giornalistica». La legge, però, non punisce più l’esercizio abusivo della professione. Se esiste una professione giornalistica, però, va chiarito legislativamente chi lavora nei media. Ossia esclusivamente i giornalisti iscritti all’Albo. Altrimenti gli editori possono assumere chiunque. Appare opportuno inserire nell’articolo 1 della nuova legge queste clausole (o qualcosa di simile) sistemandole dopo il comma 2. 
3) In tutte le imprese editrici (e nelle redazioni regionali, provinciali ed estere e negli uffici di corrispondenza) di giornali quotidiani e di periodici, nelle emittenti radiotelevisive pubbliche e private, nelle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, nei media telematici e negli uffici stampa di aziende private e di enti pubblici è obbligatoria l’assunzione di giornalisti iscritti nell’Albo tenuto dall’Ordine di cui al comma 2. 
Le aziende pubbliche e private che violino il comma 3 o che non applichino il Contratto nazionale di lavoro giornalistico Fnsi-Fieg, il quale ha forza di legge ex Dpr n. 153/1961, non potranno usufruire delle provvidenze statali previste a favore di quotidiani, periodici, emittenti radiotelevisive e media telematici. 
Sono obbligatoriamente iscritti all’Inpgi i giornalisti iscritti all’Albo tenuto dall’Ordine di cui al comma 2». 
4) L’esperienza suggerisce di articolare su base regionale la Fondazione e (soprattutto) il Giurì: pare impossibile seguire da Roma tutto ciò che accade nel mondo dell’informazione, da Como a Trapani. Le strutture regionali hanno capacità di intervento rapido, mentre il Giurì nazionale potrebbe essere il giudice di Il grado. La sopravvivenza degli Ordini regionali non è incompatibile con la nuova legge (art. 10). La «Commissione Mirone» prevede l’articolare provinciale, regionale e distrettuale degli Ordini. 
5) Appare rischioso giuridicamente sostenere che sono inappellabili (art. 6, comma 4) le decisioni dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni «contro eventuali omissioni o rifiuti di iscrizione all’Albo, o di rilascio della Carta di identità professionale». 
6) Bisogna definire meglio il futuro dell’elenco pubblicisti e il concetto di chi sia il pubblicista (sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita e che contemporaneamente esercitano altre professioni o impieghi pubblici o privati). Verranno riconosciuti dalla Fondazione altri pubblicisti? Su questo punto non c’è incompatibilità tra vecchio e nuovo testo della legge (art. 10). 
7) È il caso di precisare che confluiscono nell’Albo quei pubblicisti contrattualizzati che non svolgono, in maniera prevalente, altri impieghi o professioni (art. 6, comma 1). 
8) Appare altresì rischioso scrivere all’articolo 3 (comma 2): «Il giornalista è tenuto a rilevare la fonte delle notizie pubblicate quando ciò sia richiesto da chi abbia un interesse a farlo, salvo che il giornalista invochi il carattere fiduciario delle stesse a protezione delle persone coinvolte nella notizia o quando la rivelazione delle fonti potrebbe determinare nei loro confronti violazione dei diritti umani o comunque grave pericolo. Contro tale determinazione del giornalista, chiunque abbia interesse a farlo può ricorrere al Giurì per la tutela e la correttezza dell’informazione di cui all’articolo 4, che decide in via inappellabile.» La decisione inappellabile del Giurì è in contrasto con l’articolo 200 Cpp sul segreto professionale (le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione; tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni) e con il citato articolo 13 della legge n. 675/1996 (restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia). Oggi il giornalista professionista può opporre al giudice l’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963 che protegge il segreto relativo alla fonte della notizia. Cosa decide in via inappellabile il Giurì se un giornalista dovesse opporre il segreto sulle fonti delle sue notizie? Il Giurì può ordinare al giornalista di rivelare una fonte, rendendolo così inaffidabile agli occhi delle altre fonti? C’è da ricordare che anche il Parlamento europeo protegge, con una propria risoluzione, le fonti delle notizie. Sta di fatto che nel nostro ordinamento non esistono giudici intermedi che pronuncino decisioni «inappellabili». Una simile norma potrebbe essere dichiarata anticostituzionale (anche alla luce delle sentenze n. 11/ 1968 e 515/1995 della Corte costituzionale). Si legge, infatti, nella sentenza n. 11/1968: «La Corte ritiene, del pari, che i poteri disciplinari conferiti ai Consigli non siano tali da compromettere la libertà degli iscritti. Due elementi fondamentali vanno tenuti ben presenti: la struttura democratica dei Consigli, che di per sé rappresenta una garanzia istituzionale non certo assicurata dalla legge precedentemente in vigore (D.L.Lgt. 23 ottobre 1944, n. 302), in base alla quale la tenuta degli Albi e la disciplina degli iscritti sono state affidate per circa venti anni ad un organo di nomina governativa, e la possibilità del ricorso al Consiglio nazionale ed il successivo esperimento dell’azione giudiziaria nei vari gradi di giurisdizione. L’uno e l’altro concorrono sicuramente ad impedire che l’iscritto sia colpito da provvedimenti arbitrari...». 
9) Dovrebbe essere prevista un’anzianità di 15 anni di iscrizione all’Albo per i giornalisti eleggibili nella Commissione incaricata di adottare lo Statuto della Fondazione e di formulare le regole deontologiche la cui osservanza sarà assicurata dal Giurì per la lealtà e la correttezza dell’informazione. L’età, si suol dire, porta equilibrio e un po’ di saggezza (gli avvocati, che fanno parte del Consiglio nazionale forense, devono essere iscritti da 20 anni nell’Albo, mentre per i giornalisti membri dei Consigli regionali e del Consiglio nazionale dell’Ordine se ne richiedono oggi appena cinque). 
10) L’articolo 3 (comma 4) conferisce al presidente della Fondazione (e ai presidenti delle eventuali strutture regionali) un potete tipico (paragiudiziario) delle autorità amministrative indipendenti, quello di tutelare il diritto alla rettifica dei cittadini quando sono vittime della diffusione di notizie calunniose, diffamatorie e false. Dice la norma: «Il Presidente della Fondazione, o i responsabili delle sue eventuali articolazioni regionali, dispone in via d’urgenza che i direttori responsabili delle testate edite nell’area di propria competenza territoriale su richiesta della parte offesa pubblichino la rettifica di cui allo stesso articolo 8 della legge 47/1948 e all’articolo 10 della legge 6 agosto 1990 n. 223, nei termini temporali e secondo le modalità previsti dalle leggi citate. In caso di mancata pubblicazione ai sensi di quanto disposto dal primo periodo del presente comma, l’autore della richiesta di rettifica può chiedere al pretore, ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione». La Fondazione, quindi, appare destinata a giocare un ruolo di grande rilievo nella difesa dei diritti dei cittadini. 
11) Con la sentenza n. 5259/1984, la Corte di Cassazione ha stabilito che ogni cittadino può tutelare il proprio onore e la propria dignità in sede civile senza avviare l’azione penale (di cui all’articolo 595 Cp). Ogni cittadino può agire in sede penale entro 90 giorni dalla pubblicazione della notizia diffamatoria. Il Parlamento non ha provveduto, dopo la sentenza, a coordinare il tempo per l’azione civile con quello previsto per l’azione penale. Così è rimasto in vigore l’articolo 2947 del Cc, in base al quale «il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato... In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile». Questa norma espone giornalisti e aziende al rischio di vedersi citare in giudizio, anche a distanza di 7-10 anni, per fatti remoti e sui quali il giornalista non ha conservato alcuna documentazione. Molto opportunamente l’articolo 3 (comma 5) del «progetto Passigli» interviene riducendo l’azione di risarcimento a un anno. Dice il comma 5: «In deroga a quanto previsto dall’art. 2947 del Codice civile, l’azione civile del risarcimento del danno conseguente ad eventuale diffamazione perpetrata su mezzi di comunicazione si prescrive nel termine di un anno dalla diffusione della notizia ritenuta diffamatoria.» 
12) Rimane da coordinare la «Proposta Passigli» con il testo di riforma degli Ordini professionali elaborato dalla «Commissione Mirone». La nuova legge sulla professione giornalistica può benissimo anticipare i tempi della «Commissione Mirone». 
I capisaldi della riforma proposta dalla «Commissione Mirone» sono questi: 
1) gli Ordini e i Collegi vigileranno sulle attività di rilevante interesse pubblico; 2) accanto al tirocinio tradizionale è prevista l’istituzione di scuole e corsi di formazione; 3) la verifica della preparazione avverrà, come attualmente, attraverso l’esame di Stato; 4) verifica dell’aggiornamento continuo dei professionisti e conseguente revisione periodica degli Albi; 5) mantenimento dei minimi tariffari con valore di riferimento non vincolante; 6) il controllo disciplinare sarà affidato ad organismi ad hoc composti con modalità idonee ad assicurare imparzialità e indipendenza (l’istituzione del Giurì con la presenza dei giudici «laici», ad esempio, è già in linea con questa indicazione); obbligo per gli Ordini di emanare precisi Codici deontologici soggetti all’esame dei ministeri vigilanti; 7) intervento del ministero di Grazia e Giustizia in caso di inerzia in tema di controllo deontologico; 8) funzioni specifiche attribuite ai Consigli degli Ordini provinciali, regionali o distrettuali: a) formazione e aggiornamento periodico; b) tenuta e aggiornamento degli Albi; c) rappresentanza degli iscritti; d) rapporto con enti locali; e) controllo deontologico (saranno dati più poteri ai Consigli locali in materia disciplinare); f) disciplina delle società professionali. 
Il Governo è delegato a emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge elaborata dalla «Commissione Mirone», «uno o più decreti legislativi, per il riordino delle professioni intellettuali, nell’osservanza delle direttive comunitarie e delle relative norme di attuazione». «Il Governo è delegato a emanare, sempre entro un anno, le norme necessarie a modificare la legislazione degli Ordini professionali in conformità dei principi della legge delega e dei decreti legislativi. È altresì delegato a coordinare le disposizioni dei decreti legislativi con tutte le altre leggi dello Stato e la disciplina transitoria volta alla rapida entrata in vigore dei nuovi ordinamenti professionali.» 
Qualora dovessero nascere ostacoli insormontabili all’esame della «proposta Passigli» da parte di Palazzo Madama, potrebbe tornare più prudente attendere la trasformazione in legge-quadro della proposta della «Commissione Mirone». 
I punti irrinunciabili della riforma della legge sulla professione giornalistica sono grosso modo questi: a) accesso (alla professione) liberalizzato attraverso l’Università e le scuole post-laurea di giornalismo con la conseguente scomparsa, dopo 70 anni, della figura del praticante giornalista; b) sanatoria a favore di tutti coloro che oggi vivono di giornalismo, favorendone l’ingresso nell’elenco dei giornalisti professionisti; c) Giurì per la lealtà e la correttezza dell’informazione articolato, come l’Ordine, su struttura regionale e in maniera tale da annoverare un terzo dei componenti esterni alla professione; d) varo di un Codice etico della professione giornalistica, di cui si possa prevedere l’aggiornamento periodico; e) vincolo per gli editori ad assumere soltanto coloro che sono iscritti nel nuovo Albo dei giornalisti. 
La «proposta Passigli» è stata approvata il 22 luglio 1997 dalla Commissione Affari costituzionale del Senato. Era previsto che dovesse andare in aula nell’aprile scorso. Quell’appuntamento è saltato. La «proposta Mirone» frattanto dovrebbe presto essere recepita in un disegno di legge. Voci dal Parlamento danno alla «proposta Mirone» molte chances di diventare legge. In questo caso il lavoro del senatore Passigli potrà tornare utile al Governo nella stesura del decreto legislativo sulla professione giornalistica. L’orientamento del ministero di Grazia e Giustizia è favorevole a riservare a quella giornalistica lo stesso trattamento previsto per le altre professioni.