Impresa
& Stato n°46
LA RIFORMA DELLA PROFESSIONE
GIORNALISTICA
di
Franco
Abruzzo
Un ddl propone
una svolta radicale per un’attività intellettuale che non può
essere organizzata come quelle legate a saperi tecnico-scientifici.
L’organizzazione
delle professioni va ripensata. E va ripensata soprattutto quella dei giornalisti,
che trattano una materia - il diritto di manifestazione del pensiero -
che è un diritto di tutti i cittadini e non un privilegio dei giornalisti
stessi. Le critiche all’esistenza dell’attuale Ordine, nonostante la (favorevole)
sentenza n. 11/1968 della Corte costituzionale, sono note e sono sintetizzate
in un saggio di Paolo Barile pubblicato su «Problemi dell’informazione»
(n.1, gennaio-marzo 1989). Il pensiero di Barile può essere sintetizzato
così: gli altri Ordini hanno diritto di esistere in quanto sono
ancorati a conoscenze tecniche imprescindibili e a saperi specifici che
vengono accertati attraverso un titolo universitario e un esame di Stato.
Tutte queste corporazioni (medico, ingegnere, architetto, avvocato, commercialista,
notaio, chimici, veterinari, biologi, dottori agronomi, tecnologi alimentari,
etc.) sono integralmente obbligatorie nel senso che nessuno che non sia
iscritto - dice Barile - può esercitare la professione che esse
disciplinano. È contestabile che l’attività giornalistica
- sostiene sempre Barile - sia di pubblico interesse nel senso che obbedisca
alla pubblica funzione di informare. La verità è che per
fare il giornalista non occorre dar prova di alcuna tecnica professionale.
La tecnica si acquista. Il giornalista deve soltanto saper scrivere - e
a questo provvede la scuola dell’obbligo - e sapere informarsi. Il suo
comportamento non può essere oggetto di una valutazione da parte
dei suoi colleghi se non quando egli viola la legge generale: allora non
saranno i colleghi a giudicarlo, ma gli organi istituzionali. L’Ordine,
secondo Barile, si può giustificare solo come facoltativo e a patto
che si impegni nella formazione culturale e professionale dei propri iscritti.
Non può essere imposto per legge a un cittadino di esercitare un
diritto costituzionale (quello di manifestazione del pensiero) condizionando
l’esercizio di questo diritto all’iscrizione a una corporazione.
Dal 1989 ad oggi sono maturate
novità, che in parte smentiscono Paolo Barile. Con il decreto 11
aprile 1996 (pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» 140 del
17 giugno ‘96), il Ministro dell’Università ha istituito il corso
di laurea quinquennale in Scienze della comunicazione a indirizzo giornalistico,
abolendo il diploma universitario istituito nel ‘91, mentre la Corte costituzionale
(con le sentenze n. 11 e 98 del 1968 e n. 2 del 1977) aveva in precedenza
riconosciuto la rilevanza pubblica o di pubblico interesse della funzione
svolta da chi professionalmente sia chiamato a esercitare un’attività
d’informazione giornalistica.
L’articolo 25 della legge
n. 675/1996 stabilisce, invece, la stesura di un «Codice di deontologia»
relativo al trattamento dei dati effettuato nell’esercizio della professione
di giornalista. Le disposizioni del Codice si applicano anche ai trattamenti
«temporanei finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero».
L’articolo 13 della stessa legge afferma che «restano ferme le norme
sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista,
limitatamente alla fonte della notizia».
IL
DISEGNO
Il disegno di legge di riforma,
predisposto dal sen. prof. Stefano Passigli, costituisce una svolta radicale
e pertanto appare destinato a incontrare notevoli difficoltà nel
cammino parlamentare soprattutto da parte di coloro che inquadrano, ancora
oggi, la professione giornalistica come le altre professioni intellettuali.
Una attività di libertà, come quella giornalistica, non può
essere organizzata come le professioni ancorate a saperi tecnico-scientifici
precisi ed esclusivi (medico, ingegnere, architetto, avvocato, commercialista,
notaio, chimici, veterinari, biologi, dottori agronomi, tecnologi alimentari,
etc). Lo sforzo del sen. Passigli è rivolto a sgomberare il terreno
da tutti gli argomenti che incidono sulla legittimità costituzionale
dell’attuale Ordine dei giornalisti.
Il progetto di riforma recupera
l’Ordine concepito come Fondazione di diritto privato. Ciò è
in linea con la sentenza n. 38/1997 della Corte costituzionale, quella
sentenza che ha dichiarato ammissibile il referendum sulla legge n. 69/1963
e con la quale la Corte, richiamate le sentenze n. 11 del 1968 e n. 71
del 1991, ha affermato «che non osta al principio della libera manifestazione
del pensiero il fatto che i giornalisti siano così organizzati,
anche perché tale Ordine ha il compito di salvaguardare, erga omnes
e nell’interesse della collettività, la dignità professionale
e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti».
Nella sentenza n. 11/1968 si legge ancora: «Chi tenga presente il
complesso mondo della stampa nel quale il giornalista si trova ad operare
e consideri che il carattere privato delle imprese editoriali ne condiziona
la possibilità di lavoro, non può sottovalutare il rischio
al quale è esposta la sua libertà, né può negare
la necessità di misure e di strumenti idonei a salvaguardarla».
La Corte costituzionale,
con la citata sentenza n. 38/1997, ha inoltre scritto: «Né
può sorgere il dubbio che, con l’eventuale esito abrogativo del
referendum, possano venir meno l’attività giornalistica professionale,
la disciplina contrattuale del rapporto di lavoro, o i canoni deontologici
inerenti a tale attività. Questi ultimi derivano, oltre che dal
costume, da altre leggi (cui del resto fa rinvio lo stesso art. 2), dalle
funzioni del Garante, dalla giurisprudenza in materia e da norme di autoregolamentazione».
La Corte ha operato una distinzione tra titolo di giornalista riconosciuto
per legge e «attività giornalistica» non disciplinata
per legge, che, per quanto riguarda l’etica, deve affidarsi all’autoregolamentazione
e anche alle funzioni di giudice del «sistema della comunicazione
multimediale» svolte dal Garante per l’editoria e la radiodiffusione
(oggi sostituito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).
Il disegno di legge valorizza
il concetto di autoregolamentazione deontologica (sottolineato, con la
sentenza n. 38/1997, dalla Corte costituzionale) quando afferma (art. 7,
comma 2): «Il Giurì per la lealtà e la correttezza
dell’informazione assicura l’osservanza delle regole deontologiche formulate
dagli organi della Fondazione e commina sanzioni per la loro violazione».
La stesura delle «regole» è demandata dalla norma alla
nuova Istituzione dei giornalisti in linea con quanto prevede l’art. 25
della legge n. 675/1996 sulla privacy, che prescrive l’adozione di un «Codice
di deontologia» da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei
Giornalisti. Si porrà un problema di coordinamento dei due Codici.
L’esistenza dell’Ordine
Fondazione, che avrà al centro della sua attività l’etica
attraverso l’azione del Giurì, rafforza la Fnsi e l’autonomia dei
giornalisti. Oggi il Contratto nazionale di lavoro giornalistico (Cnlg)
fonda l’autonomia dei giornalisti sull’articolo 2 della legge professionale.
Dice il Il comma dell’articolo 1 del Cnlg: «La legge su «Ordinamento
della professione giornalistica» del 3 febbraio 1963 n. 69 garantisce
l’autonomia professionale dei giornalisti e fissa i contenuti della loro
deontologia professionale specificando che «è diritto insopprimibile
dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata
dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità
altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità
sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà
e dalla buona fede». I contenuti dell’articolo 2 dell’attuale legge
n. 69/1963 sono trasferiti nel testo della proposta di riforma e continueranno,
quindi, ad animare ed ispirare l’esercizio dell’attività giornalistica.
Il primo bersaglio della
proposta di riforma è l’esame di Stato (art. 33, V comma, della
Costituzione), che non viene previsto. Vuol dire che quell’esame («per
l’abilitazione all’esercizio professionale») è da riservare
soltanto alle professioni «ancorate a conoscenze tecniche imprenscindibili
e a saperi specifici». Ne consegue che il titolo universitario (art.
4, comma 2) venga ritenuto (di fatto) abilitante.
I PUNTI DEL DDL
Pertanto il disegno di legge:
a) disciplina la professione
giornalistica, mentre definisce l’attività giornalistica (art. 2)
con le parole precise della sentenza della Cassazione Civile (sez. lav.)
20 febbraio 1995 n. 1827. È della Cassazione anche la definizione
del giornalista come «mediatore intellettuale» (art 2, comma
3). Scompare la figura del «giornalista professionista» (figura
introdotta nell’ordinamento dalla legge n. 406 del 9 luglio 1908 e poi
dal Rd n. 384/1928). Nel disegno di legge, infatti, si parla soltanto di
«giornalista o di giornalisti», anche se il titolo della legge
concerne la riforma della professione giornalistica;
b) recupera il concetto
di Ordine, ma strutturato (art. 1, comma 2) come Fondazione di diritto
privato (nello spirito dell’articolo 14, comma 1/b, della legge n. 59/1997
che prevede «la trasformazione in persone giuridiche di diritto privato
degli enti che non svolgono funzioni o servizi di rilevante interesse pubblico
nonché di altri enti per il cui funzionamento non è necessaria
la personalità di diritto pubblico»). Cade così l’attuale
organizzazione pesantemente pubblicistica, sottoposta a molteplici controlli
(Procure generali della Repubblica, ministeri di Grazia e Giustizia, Tesoro
e Funzione pubblica, Corte dei Conti);
c) colloca la Fondazione
(art. 6, comma 4) sotto la vigilanza dell’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, affidando a questa Autorità indipendente (nominata
dal Parlamento) una notevole attività regolamentare sul fronte della
disciplina dell’attività giornalistica e del funzionamento della
Fondazione;
d) collega l’accesso all’esercizio
dell’attività giornalistica (art. 4, comma 2) a un titolo di studio
universitario di fatto abilitante o alla frequenza di una scuola post-universitaria.
Scompare conseguentemente (art. 6, comma 3) la figura del praticante giornalista
introdotta nell’ordinamento dal Rd n. 384/1928;
e) affida (art. 7, comma
2) il governo dell’etica a un Giurì per la lealtà e la correttezza
dell’informazione integrato (per un terzo) da «laici»;
f) prevede che l’attività
giornalistica, come espressione di libertà, possa essere svolta
anche da chi non sia iscritto all’Albo. Sostanzialmente «è
giornalista chi fa il giornalista», prescindendo dall’iscrizione
all’Albo. Tanto che nel testo non c’è la norma di chiusura oggi
rappresentata dall’articolo 45 della legge n. 69/1963. Non viene, infatti,
punito penalmente l’esercizio abusivo della professione (né la sopravvivenza
dell’articolo 45 della vecchia legge può essere ritenuta compatibile
con la nuova). Anche chi non è iscritto all’Albo, infatti, risponde
sul piano etico al Giurì. Dice l’articolo 3 (comma 3): «Alle
regole deontologiche dovrà attenersi chiunque, anche se non iscritto
all’Albo, svolga a qualsiasi titolo attività giornalistica anche
saltuaria»; aggiunge l’articolo 7 (comma 2): «Esso (Il Giurì,
ndr) ha competenza anche nei confronti dei non iscritti all’Albo, ed al
rispetto delle sue decisioni sono tenute tutte le imprese editoriali e
dell’informazione». Il Giurì pertanto si configura come il
giudice della correttezza dell’attività giornalistica esercitata
da chiunque e non solo dagli iscritti all’Albo. La facoltà di esercitare
l’attività giornalistica senza l’iscrizione all’Albo priva il «progetto
Passigli» di un’altra norma rigida a favore degli iscritti all’Albo
quali unici soggetti titolati ad assumere la direzione di un quotidiano
o di un periodico. Chiunque, quindi, potrà assumere la direzione
di un giornale. L’articolo 5 (punto 3) della legge n. 47/1948 sulla stampa
prevede, in sede di registrazione della testata, la presentazione di «un
documento da cui risulti l’iscrizione nell’Albo dei giornalisti nei casi
in cui questa sia richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 98/1968, ha dichiarato legittima
l’assunzione della direzione di un giornale da parte di un pubblicista
sul presupposto che professionisti e pubblicisti sono sottoposti alle stesse
regole etiche. La «proposta Passigli» sottopone alle stesse
regole etiche sia gli iscritti all’Albo sia i cittadini che esercitato
l’attività giornalistica senza essere iscritti all’Albo. I cittadini,
quindi, hanno gli stessi doveri dei giornalisti e conseguentemente, sul
rovescio della sentenza citata, possono assumere il ruolo di direttori
responsabili. Le disposizioni della vecchia legge sono incompatibili con
la nuova (art. 10);
g) rilascia una Carta di
identità professionale ai giornalisti iscritti nell’Albo (art. 4,
comma 4, e art. 6, comma 5);
h) prevede che, per un periodo
transitorio di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge,
potrà accedere all’Albo (art. 5) anche chi, non provvisto del titolo
di studio ma in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore
e iscritto alla gestione separata dell’Inpgi, abbia svolto per almeno tre
anni consecutivi o quattro anni non consecutivi attività giornalistica
a titolo continuativo ancorché non esclusivo, e abbia superato le
prove di idoneità eventualmente disposte dalla Fondazione (questa
norma è chiaramente rivolta ai pubblicisti in quanto soggetti titolari
del diritto di iscriversi alla gestione separata dell’Inpgi);
In sede di istituzione dell’Albo,
sono iscritti di diritto all’Albo (art. 6, commi 1, 2 e 3):
1) tutti i giornalisti che
risultano iscritti all’elenco professionisti dell’Ordine nazionale dei
Giornalisti e anche coloro che hanno i requisiti di cui all’articolo 2
(art. 4, comma 3);
2) quei giornalisti pubblicisti
che abbiano con un organo di informazione uno dei rapporti regolati dagli
articoli 1-36, 2, 12 o 36 (part time) del vigente Contratto nazionale di
lavoro dei giornalisti e che non svolgano, in maniera prevalente, altri
impieghi o professioni;
3) i cittadini di altri
Paesi della UE che abbiano esercitato come attività prevalente la
professione di giornalista per almeno 5 anni nei Paesi appartenenti all’Unione
europea (art. 4, comma 3);
4) quanti (al compimento
del tirocinio) all’entrata in vigore della legge abbiano la qualifica di
praticante.
h) fissa la prescrizione
dell’azione civile di risarcimento del danno nel termine di un anno dalla
diffusione della notizia (art. 3, V comma);
i) abroga (art. 10) le disposizioni
della legge 3 febbraio 1963 n. 69 incompatibili con la nuova legge. Si
presume, quindi, che resteranno in vigore tutti gli articoli della vecchia
legge relativi all’iscrizione agli elenchi, ai trasferimenti e alla cancellazione
dall’Albo, all’esercizio della professione giornalistica, ai reclami e
alla disciplina degli iscritti. È prevedibile la nascita di un contenzioso
molto sostanzioso sull’interpretazione dell’articolo 10.
I «restanti»
giornalisti pubblicisti sono iscritti di diritto in un apposito elenco,
ma possono «transitare» all’Albo dei giornalisti (artt. 4 e
5) «quando ne ricorrano i presupposti».
La Fondazione tiene ed aggiorna
i seguenti elenchi:
a) l’elenco di coloro che
svolgono attività prevalente di fotoreporter, di telecineoperatore,
di addetto ai servizi di informazione telematica aperti al pubblico e di
eventuali nuove figure professionali della comunicazione, nel caso che
essi non siano in possesso della Carta;
b) l’elenco dei direttori
delle pubblicazioni tecniche, scientifiche, commerciali e professionali.
L’attività giornalistica
può essere prestata sia a titolo di lavoro dipendente che a titolo
di lavoro autonomo ( art. 2, comma 2).
OSSERVAZIONI
1) Pare opportuno definire
in maniera più articolata il concetto di «Ordine Fondazione»:
«L’Ordine dei Giornalisti è una Fondazione dotata di personalità
giuridica di diritto privato, incaricata di pubbliche funzioni a norma
dell’art. 21 della Costituzione, con autonomia gestionale, organizzativa
e contabile. Ha sede in Roma, potrà avere articolazioni regionali
e svolge la sua attività a norma di legge e dello Statuto, che sarà
emanato con regolamento dettato dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni». L’articolo 21 della Costituzione dovrebbe fare da
cornice e da espresso punto di riferimento al nuovo ordinamento dell’attività
giornalistica come espressione massima di libertà della Carta fondamentale
dello Stato.
2) Il titolo della legge,
nella nuova formulazione data dal sen. prof. Stefano Passigli, recupera
il concetto di «professione giornalistica». La legge, però,
non punisce più l’esercizio abusivo della professione. Se esiste
una professione giornalistica, però, va chiarito legislativamente
chi lavora nei media. Ossia esclusivamente i giornalisti iscritti all’Albo.
Altrimenti gli editori possono assumere chiunque. Appare opportuno inserire
nell’articolo 1 della nuova legge queste clausole (o qualcosa di simile)
sistemandole dopo il comma 2.
3) In tutte le imprese editrici
(e nelle redazioni regionali, provinciali ed estere e negli uffici di corrispondenza)
di giornali quotidiani e di periodici, nelle emittenti radiotelevisive
pubbliche e private, nelle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa,
nei media telematici e negli uffici stampa di aziende private e di enti
pubblici è obbligatoria l’assunzione di giornalisti iscritti nell’Albo
tenuto dall’Ordine di cui al comma 2.
Le aziende pubbliche e private
che violino il comma 3 o che non applichino il Contratto nazionale di lavoro
giornalistico Fnsi-Fieg, il quale ha forza di legge ex Dpr n. 153/1961,
non potranno usufruire delle provvidenze statali previste a favore di quotidiani,
periodici, emittenti radiotelevisive e media telematici.
Sono obbligatoriamente iscritti
all’Inpgi i giornalisti iscritti all’Albo tenuto dall’Ordine di cui al
comma 2».
4) L’esperienza suggerisce
di articolare su base regionale la Fondazione e (soprattutto) il Giurì:
pare impossibile seguire da Roma tutto ciò che accade nel mondo
dell’informazione, da Como a Trapani. Le strutture regionali hanno capacità
di intervento rapido, mentre il Giurì nazionale potrebbe essere
il giudice di Il grado. La sopravvivenza degli Ordini regionali non è
incompatibile con la nuova legge (art. 10). La «Commissione Mirone»
prevede l’articolare provinciale, regionale e distrettuale degli Ordini.
5) Appare rischioso giuridicamente
sostenere che sono inappellabili (art. 6, comma 4) le decisioni dell’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni «contro eventuali omissioni o
rifiuti di iscrizione all’Albo, o di rilascio della Carta di identità
professionale».
6) Bisogna definire meglio
il futuro dell’elenco pubblicisti e il concetto di chi sia il pubblicista
(sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non
occasionale e retribuita e che contemporaneamente esercitano altre professioni
o impieghi pubblici o privati). Verranno riconosciuti dalla Fondazione
altri pubblicisti? Su questo punto non c’è incompatibilità
tra vecchio e nuovo testo della legge (art. 10).
7) È il caso di precisare
che confluiscono nell’Albo quei pubblicisti contrattualizzati che non svolgono,
in maniera prevalente, altri impieghi o professioni (art. 6, comma 1).
8) Appare altresì
rischioso scrivere all’articolo 3 (comma 2): «Il giornalista è
tenuto a rilevare la fonte delle notizie pubblicate quando ciò sia
richiesto da chi abbia un interesse a farlo, salvo che il giornalista invochi
il carattere fiduciario delle stesse a protezione delle persone coinvolte
nella notizia o quando la rivelazione delle fonti potrebbe determinare
nei loro confronti violazione dei diritti umani o comunque grave pericolo.
Contro tale determinazione del giornalista, chiunque abbia interesse a
farlo può ricorrere al Giurì per la tutela e la correttezza
dell’informazione di cui all’articolo 4, che decide in via inappellabile.»
La decisione inappellabile del Giurì è in contrasto con l’articolo
200 Cpp sul segreto professionale (le disposizioni previste dai commi 1
e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale,
relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto
notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione;
tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato
per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata
solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice
ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni) e con
il citato articolo 13 della legge n. 675/1996 (restano ferme le norme sul
segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente
alla fonte della notizia). Oggi il giornalista professionista può
opporre al giudice l’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963 che
protegge il segreto relativo alla fonte della notizia. Cosa decide in via
inappellabile il Giurì se un giornalista dovesse opporre il segreto
sulle fonti delle sue notizie? Il Giurì può ordinare al giornalista
di rivelare una fonte, rendendolo così inaffidabile agli occhi delle
altre fonti? C’è da ricordare che anche il Parlamento europeo protegge,
con una propria risoluzione, le fonti delle notizie. Sta di fatto che nel
nostro ordinamento non esistono giudici intermedi che pronuncino decisioni
«inappellabili». Una simile norma potrebbe essere dichiarata
anticostituzionale (anche alla luce delle sentenze n. 11/ 1968 e 515/1995
della Corte costituzionale). Si legge, infatti, nella sentenza n. 11/1968:
«La Corte ritiene, del pari, che i poteri disciplinari conferiti
ai Consigli non siano tali da compromettere la libertà degli iscritti.
Due elementi fondamentali vanno tenuti ben presenti: la struttura democratica
dei Consigli, che di per sé rappresenta una garanzia istituzionale
non certo assicurata dalla legge precedentemente in vigore (D.L.Lgt. 23
ottobre 1944, n. 302), in base alla quale la tenuta degli Albi e la disciplina
degli iscritti sono state affidate per circa venti anni ad un organo di
nomina governativa, e la possibilità del ricorso al Consiglio nazionale
ed il successivo esperimento dell’azione giudiziaria nei vari gradi di
giurisdizione. L’uno e l’altro concorrono sicuramente ad impedire che l’iscritto
sia colpito da provvedimenti arbitrari...».
9) Dovrebbe essere prevista
un’anzianità di 15 anni di iscrizione all’Albo per i giornalisti
eleggibili nella Commissione incaricata di adottare lo Statuto della Fondazione
e di formulare le regole deontologiche la cui osservanza sarà assicurata
dal Giurì per la lealtà e la correttezza dell’informazione.
L’età, si suol dire, porta equilibrio e un po’ di saggezza (gli
avvocati, che fanno parte del Consiglio nazionale forense, devono essere
iscritti da 20 anni nell’Albo, mentre per i giornalisti membri dei Consigli
regionali e del Consiglio nazionale dell’Ordine se ne richiedono oggi appena
cinque).
10) L’articolo 3 (comma
4) conferisce al presidente della Fondazione (e ai presidenti delle eventuali
strutture regionali) un potete tipico (paragiudiziario) delle autorità
amministrative indipendenti, quello di tutelare il diritto alla rettifica
dei cittadini quando sono vittime della diffusione di notizie calunniose,
diffamatorie e false. Dice la norma: «Il Presidente della Fondazione,
o i responsabili delle sue eventuali articolazioni regionali, dispone in
via d’urgenza che i direttori responsabili delle testate edite nell’area
di propria competenza territoriale su richiesta della parte offesa pubblichino
la rettifica di cui allo stesso articolo 8 della legge 47/1948 e all’articolo
10 della legge 6 agosto 1990 n. 223, nei termini temporali e secondo le
modalità previsti dalle leggi citate. In caso di mancata pubblicazione
ai sensi di quanto disposto dal primo periodo del presente comma, l’autore
della richiesta di rettifica può chiedere al pretore, ai sensi dell’articolo
700 del Codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione».
La Fondazione, quindi, appare destinata a giocare un ruolo di grande rilievo
nella difesa dei diritti dei cittadini.
11) Con la sentenza n. 5259/1984,
la Corte di Cassazione ha stabilito che ogni cittadino può tutelare
il proprio onore e la propria dignità in sede civile senza avviare
l’azione penale (di cui all’articolo 595 Cp). Ogni cittadino può
agire in sede penale entro 90 giorni dalla pubblicazione della notizia
diffamatoria. Il Parlamento non ha provveduto, dopo la sentenza, a coordinare
il tempo per l’azione civile con quello previsto per l’azione penale. Così
è rimasto in vigore l’articolo 2947 del Cc, in base al quale «il
diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive
in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato... In ogni
caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il
reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica
anche all’azione civile». Questa norma espone giornalisti e aziende
al rischio di vedersi citare in giudizio, anche a distanza di 7-10 anni,
per fatti remoti e sui quali il giornalista non ha conservato alcuna documentazione.
Molto opportunamente l’articolo 3 (comma 5) del «progetto Passigli»
interviene riducendo l’azione di risarcimento a un anno. Dice il comma
5: «In deroga a quanto previsto dall’art. 2947 del Codice civile,
l’azione civile del risarcimento del danno conseguente ad eventuale diffamazione
perpetrata su mezzi di comunicazione si prescrive nel termine di un anno
dalla diffusione della notizia ritenuta diffamatoria.»
12) Rimane da coordinare
la «Proposta Passigli» con il testo di riforma degli Ordini
professionali elaborato dalla «Commissione Mirone». La nuova
legge sulla professione giornalistica può benissimo anticipare i
tempi della «Commissione Mirone».
I capisaldi della riforma
proposta dalla «Commissione Mirone» sono questi:
1) gli Ordini e i Collegi
vigileranno sulle attività di rilevante interesse pubblico; 2) accanto
al tirocinio tradizionale è prevista l’istituzione di scuole e corsi
di formazione; 3) la verifica della preparazione avverrà, come attualmente,
attraverso l’esame di Stato; 4) verifica dell’aggiornamento continuo dei
professionisti e conseguente revisione periodica degli Albi; 5) mantenimento
dei minimi tariffari con valore di riferimento non vincolante; 6) il controllo
disciplinare sarà affidato ad organismi ad hoc composti con modalità
idonee ad assicurare imparzialità e indipendenza (l’istituzione
del Giurì con la presenza dei giudici «laici», ad esempio,
è già in linea con questa indicazione); obbligo per gli Ordini
di emanare precisi Codici deontologici soggetti all’esame dei ministeri
vigilanti; 7) intervento del ministero di Grazia e Giustizia in caso di
inerzia in tema di controllo deontologico; 8) funzioni specifiche attribuite
ai Consigli degli Ordini provinciali, regionali o distrettuali: a) formazione
e aggiornamento periodico; b) tenuta e aggiornamento degli Albi; c) rappresentanza
degli iscritti; d) rapporto con enti locali; e) controllo deontologico
(saranno dati più poteri ai Consigli locali in materia disciplinare);
f) disciplina delle società professionali.
Il Governo è delegato
a emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge elaborata dalla
«Commissione Mirone», «uno o più decreti legislativi,
per il riordino delle professioni intellettuali, nell’osservanza delle
direttive comunitarie e delle relative norme di attuazione». «Il
Governo è delegato a emanare, sempre entro un anno, le norme necessarie
a modificare la legislazione degli Ordini professionali in conformità
dei principi della legge delega e dei decreti legislativi. È altresì
delegato a coordinare le disposizioni dei decreti legislativi con tutte
le altre leggi dello Stato e la disciplina transitoria volta alla rapida
entrata in vigore dei nuovi ordinamenti professionali.»
Qualora dovessero nascere
ostacoli insormontabili all’esame della «proposta Passigli»
da parte di Palazzo Madama, potrebbe tornare più prudente attendere
la trasformazione in legge-quadro della proposta della «Commissione
Mirone».
I punti irrinunciabili della
riforma della legge sulla professione giornalistica sono grosso modo questi:
a) accesso (alla professione) liberalizzato attraverso l’Università
e le scuole post-laurea di giornalismo con la conseguente scomparsa, dopo
70 anni, della figura del praticante giornalista; b) sanatoria a favore
di tutti coloro che oggi vivono di giornalismo, favorendone l’ingresso
nell’elenco dei giornalisti professionisti; c) Giurì per la lealtà
e la correttezza dell’informazione articolato, come l’Ordine, su struttura
regionale e in maniera tale da annoverare un terzo dei componenti esterni
alla professione; d) varo di un Codice etico della professione giornalistica,
di cui si possa prevedere l’aggiornamento periodico; e) vincolo per gli
editori ad assumere soltanto coloro che sono iscritti nel nuovo Albo dei
giornalisti.
La «proposta Passigli»
è stata approvata il 22 luglio 1997 dalla Commissione Affari costituzionale
del Senato. Era previsto che dovesse andare in aula nell’aprile scorso.
Quell’appuntamento è saltato. La «proposta Mirone» frattanto
dovrebbe presto essere recepita in un disegno di legge. Voci dal Parlamento
danno alla «proposta Mirone» molte chances di diventare legge.
In questo caso il lavoro del senatore Passigli potrà tornare utile
al Governo nella stesura del decreto legislativo sulla professione giornalistica.
L’orientamento del ministero di Grazia e Giustizia è favorevole
a riservare a quella giornalistica lo stesso trattamento previsto per le
altre professioni.
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