Impresa
& Stato n°44-45
RIORGANIZZARE LO STATO
CON LE REGIONI
di
Alberto
Zorzoli
La questione dell'
autonomia finanziaria e fiscale, cartina di tornasole per valutare come
potranno essere gestiti i nuovi compiti dalla Bassanini
La questione finanziaria e fiscale
costituirà la vera e propria cartina di tornasole per valutare la
serietà e l’efficienza del processo di riorganizzazione e di decentramento
in atto con l’introduzione del decreto legislativo di attuazione della
Legge 59/97, la Legge Bassanini. Un serio disegno di sviluppo federativo
regionale, senza un preciso e responsabile impegno del livello centrale
per assicurare meccanismi finanziari congrui e certi delle risorse a disposizione
delle Regioni, diventa molto difficile da attuare.
Le Regioni per poter ottemperare
ai propri compiti legislativi e programmatori attuali, e a maggior ragione
per poter amministrare con efficacia le nuove funzioni attribuite dalla
legislazione nazionale, hanno bisogno di poter contare, da parte del Governo
nazionale, su maggiori certezze finanziarie e più efficaci strumenti
di gestione.
Come giustamente rileva
l’on. Tremonti, che a questo tema ha dedicato numerose analisi e ricerche,
"il federalismo deve basarsi sul principio che sono dei territori a titolo
originario e proprio che trasferiscono delle risorse al centro per finanziarne
le competenze essenziali (difesa, esteri, moneta, giustizia, stato sociale)
e per solidarietà verso altri territori dello Stato. Altrimenti
non si può parlare di federalismo ma solo di un regionalismo avanzato.
In particolar modo, regioni
come la Lombardia, che amministrano una fascia particolarmente ampia di
popolazione e hanno un elevato Prodotto Interno Lordo e, quindi, si confrontano
con le legittime aspettative di efficienza e di trasparenza di milioni
di cittadini, sovente sconfortati dal livello e dalla efficacia dei servizi
pubblici, sono in difficoltà in questo contesto istituzionale ed
economico.
Occorre tenere presente
che questo passaggio verso un sistema federalista non è un obiettivo
ideologico ma un obiettivo necessario sia al risanamento strutturale del
debito pubblico sia al rilancio economico del Paese. Per questo non condivido
la posizione del prof. Galli Della Loggia, autorevolmente espressa sulle
colonne del Corriere della Sera dello scorso mese di aprile, secondo cui
"la stragrande maggioranza della classe politica ha deciso che bisognava
imboccare a tutti i costi la via del cosiddetto federalismo senza alcuna
vera elaborazione culturale, senza alcuna riflessione sulla nostra storia,
ma al contrario nell’assenza più totale di qualunque tensione etico-politica
degna di questo nome".
Al contrario, ritengo che
questo contesto di crescente globalizzazione economica comporta un progressivo
e sostanziale svuotamento del ruolo dello Stato nazionale, sia verso l’alto,
con organismi sovranazionali come l’Unione Europea, sia verso il basso,
Regioni e Città. Diventa indispensabile un’opera di costante rafforzamento
di quei fattori economici, ambientali e culturali, che possano rendere
il territorio o la singola città appetibili per ricevere nuovi flussi
di investimenti o di risorse umane, e per evitare che quelli già
presenti scelgano altre localizzazioni.
Allo stesso modo occorre
riconoscere i vantaggi legati ad assetti in cui i vari centri di potere
operano in concorrenza tra loro, ovvero si inseguono in una gara in cui
solo chi è più efficiente, innovativo e vicino alle effettive
esigenze dei cittadini ha probabilità di successo. Al pari di quanto
avviene con i beni di consumo, deve diventare abituale la comparazione
sistematica tra le politiche dei diversi livelli di governo.
Come ben scriveva Benedetto
Croce nell’epilogo della sua Storia d’Europa,"le Nazioni non sono dati
naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche; e a quel modo che,
or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del
Regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’esser loro anteriore
ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi
e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalzeranno a europei e i loro
pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei come
prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma
meglio amate".
Una reale autonomia
finanziaria
Comunque, a legislazione
vigente, le Regioni compattamente, senza distinguo di colore politico,
per l’attuazione del decreto legislativo di attuazione della Legge Bassanini,
chiedono l’adeguatezza dei mezzi finanziari, con la prosecuzione del processo
di decentramento fiscale, in maniera da assicurare il finanziamento delle
funzioni trasferite e la eliminazione di ogni forma di sottostima di fabbisogni,
come quello sanitario. Alcuni segnali non sono incoraggianti. Ad esempio
nell’articolo 7, che definisce l’attribuzione delle risorse, si parla di
attribuire beni e risorse corrispondenti per ammontare a quelli utilizzati
dallo Stato per l’esercizio delle medesime funzioni, ma non si fa riferimento
all’unico parametro realmente corretto: quello della valutazione del reale
fabbisogno. Con questa mancanza di chiarezza è difficile arrivare
ad una congrua copertura finanziaria delle funzioni trasferite e si rischia
di non poter più garantire ai cittadini e alle imprese la qualità
e la quantità dei servizi.
Una reale autonomia finanziaria
rappresenta a questo riguardo una sicura garanzia. Occorre cioè
che si riconosca al sistema di finanziamento delle autonomie, delle Regioni
e degli Enti Locali, un ruolo che non sia semplicemente strumentale alla
copertura delle spese e alla tutela delle delle aree economicamente deboli.
In particolare, per quanto riguarda le decisioni relative al sistema sanitario
e al trasporto locale, dove le Regioni sono titolari di competenze specificatamente
attribuite dalla normativa vigente ma sono assoggettate a vincoli operativi
e finanziari determinati a livello statale, le Regioni chiedono un pieno
e responsabile coinvolgimento nelle fasi di elaborazione delle proposte.
Deve essere ben chiaro che
per decentramento fiscale le Regioni non intendono l’IRAP. L’autonomia
fiscale deve rispondere al criterio delle responsabilità di prelievo
e di spesa: l’IRAP non risponde a questo criterio. Infatti, la fissazione
delle aliquote, le attività di controllo, di accertamento, di liquidazione
e di riscossione restano di competenza degli uffici ministeriali, così
come è sempre il Governo a decidere le eventuali agevolazioni di
carattere territoriale e per categoria di soggetti.
Inoltre l’IRAP si caratterizza
come tributo a scopo finalizzato (il finanziamento delle spese dei servizi
sanitari) e non contiene sufficienti elementi di discrezionalità
nella sua gestione/applicazione (il 90% obbligatoriamente al finanziamento
della sanità). Senza contare il grave limite d’impostazione di insistere
su una base di contribuenti, i ceti produttivi, senza alcuna correlazione
con i servizi erogati, le prestazioni sanitarie. Il decentramento fiscale
non è questo.
Occorre tenere presente
che negli ultimi tre anni, come ha ben documentato la Corte dei Conti ,
l’apporto dello Stato al fabbisogno delle Regioni è calato di 23.000
miliardi, passando dagli oltre 80.000 del 1994 ai quasi 57.000 del 1997.
I tagli ai trasferimenti, coniugandosi con la preponderante percentuale
di risorse a destinazione vincolata (l’86%), hanno determinato un ulteriore
progressivo restringimento nei margini di manovrabilità dei bilanci
regionali.
È evidente che il
Governo, continuando a rinviare i necessari interventi strutturali in tema
di previdenza e di assistenza, per il risanamento del debito pubblico ha
scaricato in gran parte sulle Regioni i sacrifici che sono stati indispensabili
per raggiungere i parametri economici previsti dal Trattato di Maastricht
e per consentire l’ingresso dell’Italia nell’Unione Monetaria Europea.
Il Piano Regionale
di Sviluppo
La Regione Lombardia, comunque,
per amministrare questa fase di maggiore autonomia conseguente all’introduzione
della Bassanini, si è responsabilmente attrezzata per tempo.
Attraverso un metodo di
lavoro, di programmazione articolata per progetti con il Piano Regionale
di Sviluppo, per consentire ai cittadini e alle imprese di poter individuare
con chiarezza, nel complesso delle sue linee di indirizzo, le scelte e
le priorità di questa amministrazione.
Attraverso l’introduzione
di nuovi strumenti legislativi di programmazione e di controllo: mi riferisco
alla L.R. 19/97, che ha introdotto, per la prima volta in Lombardia, il
Documento di Programmazione Economico-Finanziaria Regionale e la Legge
Finanziaria. Con il Documento di programmazione intendiamo individuare
gli strumenti finanziari necessari per realizzare le scelte del Piano Regionale
di Sviluppo e verificare lo stato di avanzamento e di fattibilità
dei progetti medesimi. Con la Finanziaria intendiamo intervenire in maniera
più efficace nel governo della spesa, accelerando e semplificando
le procedure e incidendo in modo strutturale sulle leggi dei vari settori
che hanno esaurito i loro effetti.
La manovra finanziaria per
il 1998 e per il Triennio 1998/2000 è stata la prima predisposta
utilizzando anche questi nuovi strumenti: siamo certi di essere riusciti
ad offrire servizi e a dare risposte più soddisfacenti ai cittadini
e alle imprese.
Vorrei concludere con una
considerazione sui primi risultati del dibattito alla Camera dei Deputati
sugli emendamenti al progetto di riforma costituzionale presentato dalla
Bicamerale. Ho il timore che il riconoscimento costituzionale, oltre che
dello Stato e delle Regioni, anche di Province, Città metropolitane
e Comuni, contribuirà ad annacquare ulteriormente i reali poteri
delle Autonomie. È sicuramente giusto valorizzare in chiave federale
la tradizione storica del Municipalismo italiano e degli altri Enti Locali
e scongiurare i rischi di un neocentralismo regionale, ma ritengo altrettanto
giusto, per le ragioni economiche e programmatorie di cui ho parlato, che
debbano essere le Regioni il cardine della costruzione federale. Le Regioni
hanno fatto proprio il principio della sussidiarietà, in base al
quale, per garantire efficacia al loro esercizio, le diverse competenze
devono essere affidate al livello istituzionale più vicino alle
comunità e ai territori interessati, ma ritengo importante vanificare
con ogni mezzo la tentazione, per lo Stato centrale, di una politica "dei
due forni", sicuramente dannosa sia per le Regioni che per gli Enti Locali.
Già gli antichi romani dicevano "divide et impera" ...
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