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Impresa & Stato n°44-45

GLI USI DI BANCA NELLA RACCOLTA CAMERALE

di
Giorgio Tarzia

Le novita' introdotte nella revisione 1995, nella quale si e' dovuto fare i conti con la legge sulla trasparenza bancaria e con quella sui contratti con i consumatori

La revisione 1995 degli usi di banca, ultimata dalla Commissione alla fine dello scorso novembre, pur seguendo ovviamente la falsariga delle precedenti raccolte, presenta alcune novità di rilievo che meritano di essere segnalate agli operatori.
È comunque opportuno premettere, anzitutto, due brevi avvertenze di carattere sistematico.
La prima è che non esiste una simmetrica corrispondenza fra i richiami agli usi contenuti nel codice civile a proposito dei contratti bancari (o che, comunque, possano interessare quei contratti) e la raccolta camerale; nel senso che quest’ultima, ancora una volta, copre solo una modesta parte dei richiami legislativi.
La seconda osservazione è che la raccolta camerale non si riferisce sempre e necessariamente ad "usi normativi" (cioè agli usi previsti negli artt. 1 e 8 delle preleggi), ma accomuna, senza nemmeno volerli specificamente distinguere, usi normativi, usi negoziali, pratiche d’uso, cioè tutte le svariate forme nelle quali la consuetudine può integrare o chiarire la disciplina o l’interpretazione dei rapporti contrattuali. Per contro, si nota la mancanza di un accertamento di usi "praeter legem" in materie che, pure, sono quanto mai significative nell’attività bancaria: ad esempio, la raccolta tace sul tema del segreto bancario, e poco o nulla dice sul contratto di conto corrente bancario, al quale invece assai più si dedicano le c.d. "norme uniformi" elaborate dall’Associazione Bancaria Italiana, cioè quelle condizioni generali di contratto che, come è stato giustamente osservato, tendenzialmente occupano tutti gli spazi lasciati liberi dalle norme inderogabili, conseguentemente riducendo l’area degli usi, e frenando il loro processo di formazione.
Gli usi registrati nella raccolta camerale milanese hanno dunque il contenuto più vario, e non è agevole tentarne un raggruppamento. Si potrebbe, ad es., cominciare a distinguere quelli relativi alle operazioni di credito e di vendita su documenti, quelli in tema di interessi, e quelli relativi ad altre materie che in vario modo attengono alle operazioni e ai servizi bancari.
Per le operazioni di credito documentario, anche nell’ultima revisione l’art. 1 della raccolta torna a dire che, per esse, si osservano a Milano le norme ed usi uniformi rilevati dalla Camera di Commercio internazionale; e non potrebbe che essere così, dal momento che quelle operazioni per loro natura si riferiscono a transazioni internazionali (se non nella totalità, almeno nella quasi totalità dei casi).
Il richiamo va inteso, oggi, agli usi che si leggono nella raccolta approvata il 23.4.1993 dal Comitato esecutivo della Camera di Commercio internazionale, edita da tale Ente nella sua pubblicazione n. 500; testo oltremodo articolato, uscito da una lunga e laboriosa gestazione durata ben tre anni, e il cui esame richiederebbe uno studio a parte, che però esula da questo commento dedicato agli usi accertati e registrati dalla Camera di Commercio milanese.
Sulla vendita su documenti si rinvengono invece, nella raccolta, gli artt. 2 e 3, che rispettivamente si collegano alle previsioni dell’art. 1528 c.c. e dell’art. 1530 c.c. L’art. 2 ripete, nel primo comma, la norma dispositiva dell’art. 1528 c.c. sulla contestualità di tempo e di luogo, salvo patto contrario fra i contraenti, fra consegna dei documenti da parte del venditore e pagamento del prezzo da parte del compratore (e per esso, da parte della banca da lui delegata).
Poiché la norma dice che la contestualità può essere derogata sia da un "patto" che da un "uso contrario", l’accertamento camerale svolge qui la funzione di attestare l’inesistenza di "usi contrari"; sicché la conclusione è nel senso che la contestualità va osservata ogni qualvolta non sia intervenuta fra le parti un’espressa pattuizione, che anticipi o posticipi il pagamento del prezzo rispetto alla consegna dei documenti.
Soggiunge lo stesso articolo, nel secondo comma, che se il pagamento del prezzo deve avvenire a mezzo banca i documenti vanno presentati alla banca incaricata durante le ore di apertura degli sportelli.
Qui non si tratta certo di un uso normativo, ma di una precisazione operativa che, a ben vedere, sarebbe anche superflua: perché, al pari di qualsiasi altra operazione che necessita dell’intervento del cassiere della banca, anche quella della presentazione dei documenti evidentemente non può che avvenire nell’orario di apertura degli sportelli.
L’art. 3 della raccolta si collega invece, come già detto, alla norma dell’art. 1530 c.c. nella parte in cui dice che il rifiuto della banca di pagare il prezzo nella vendita documentaria va "constatato nelle forme stabilite dagli usi". A questo proposito, la rilevazione camerale precisa che, se il rifiuto della banca fosse stato verbale, la sua prova andrebbe data mediante l’offerta reale dei documenti.
Dunque la regola consuetudinaria intende escludere l’ammissibilità di altri mezzi di prova (ad esempio, di una prova testimoniale) di un rifiuto opposto solo verbalmente dalla banca; e così integrata la disposizione di legge, ne deriva che il venditore potrà rivolgersi direttamente al compratore per il pagamento del prezzo della vendita documentale solo quando sia in possesso, alternativamente, di una dichiarazione scritta di rifiuto dei documenti da parte della banca, ovvero di una constatazione di quel rifiuto attraverso l’offerta reale dei documenti stessi.
La revisione 1995 ha infine soppresso l’art. 2 della precedente raccolta, che, riferendosi alla norma dell’art. 1527 c.c., indicava quali documenti fossero da "considerare liberatori" in mancanza di un’indicazione contrattuale.
La soppressione è avvenuta per essersi accertato che, come del resto è agevolmente comprensibile, da tempo le banche intervengono nelle vendite documentarie solo in presenza di una precisa indicazione contrattuale dei documenti di cui il venditore deve effettuare la consegna, e che dunque nella prassi operativa non sussiste nessuna facoltà delle banche di considerare liberatori documenti non indicati, o di rinunciare a taluno di quelli indicati.

UN ARTICOLO CONTROVERSO
La materia degli interessi registra un’importante novità, cioè la scomparsa del tanto discusso e controverso articolo che, per i tassi non specificamente pattuiti, rimandava genericamente alle "condizioni e norme che regolano le operazioni ed i servizi bancari".
Perciò appartiene ormai al passato il dibattito sulla natura e sulla liceità di quell’uso, che precedenti raccolte camerali registravano, cioè se esso fosse o non fosse compatibile con la norma dell’art. 1284 c.p.c. che vuole la determinazione per iscritto degli interessi ultralegali sulle obbligazioni pecuniarie, e se si potesse o meno riferire anche al contratto di conto corrente bancario, in genere alle operazioni bancarie in conto corrente, la norma dell’art. 1825 c.c., là dove per il conto corrente ordinario enuncia, fra l’altro, la possibilità di una determinazione usuale della misura degli interessi decorrenti sulle reciproche rimesse.
Tutto ciò è stato superato dalla legge n. 154/1992 sulla trasparenza bancaria, ove, senza disconoscere l’insopprimibile esigenza della variabilità degli interessi, e quindi della flessibilità della politica dei tassi, dal momento che il costo del danaro, come si sa, varia di giorno in giorno sul mercato interno e internazionale, e nessuna banca può da sola controllarlo, ha però dettato una serie di regole a tutela del cliente, attraverso l’obbligo di pattuire la variabilità, di pubblicizzare le variazioni, di consentire il recesso del cliente, ecc.
Non occorre qui entrare nell’esame di tale legge; di essa basta ricordare che nel comma 3 dell’art. 4 venne stabilito che "le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte", e da ciò appunto è derivata la scomparsa, nella revisione della raccolta camerale, dell’articolo concernente la determinazione consuetudinaria della misura degli interessi.
Permane invece, con qualche solo marginale rettifica rispetto al testo antecedente, la registrazione degli usi concernenti l’anatocismo e il metodo di calcolo degli interessi.
Su quest’ultimo argomento, l’art. 8 della revisione 1995 dice che nelle operazioni attive e passive a breve termine in lire interne il calcolo degli interessi viene dalle banche effettuato con riferimento alla durata dell’anno civile; senza più ripetere la previsione del più complesso conteggio di divisione del risultato con il divisore fisso dell’anno commerciale. La modifica è stata suggerita dalla constatazione che, conformemente alle istruzioni dell’Autorità di vigilanza e nello spirito di una maggiore trasparenza e semplicità, le banche hanno ormai adottato il più lineare metodo che viene ora indicato.
Resta da dire che quest’uso, che non si collega a nessuna norma di legge, ha palesemente natura negoziale, vuoi che gli si attribuisca una funzione integrativa del contratto a sensi dell’art. 1340 c.c., oppure una funzione semplicemente interpretativa a sensi dell’art. 1368 c.c., restando comunque irrilevante la scelta fra l’una e l’altra di tali due possibili qualificazioni.
Dell’anatocismo si occupano, nell’ultima revisione, gli artt. 9 e 13: il primo, dopo avere indicato le cadenze usuali di conteggio degli interessi, distinguendo fra conti e depositi vincolati, conti e depositi non vincolati, e conti correnti "anche saltuariamente debitori", soggiunge che "l’interesse così portato in conto produce a sua volta interessi nella stessa misura"; il secondo registra che gli interessi di mora, in caso di mancato pagamento di rate di mutui e di finanziamenti, vengano conteggiati su tutto l’ammontare di quelle rate, perciò anche sulla quota di interessi che esse comprendono.
Viene qui in rilievo la norma dell’art. 1283 c.c., che limita l’anatocismo agli interessi successivi alla domanda giudiziale, o allorquando sia pattuito successivamente alla scadenza degli interessi, facendo però salvi eventuali "usi contrari".
Qui si tratta dunque di "uso normativo". E nonostante qualche voce di dissenso nella giurisprudenza di merito, anche di recente la Cassazione (con la sentenza n. 9227/1995) ha confermato di ritenere pienamente legittimo l’anatocismo nei rapporti bancari, essendovi in tal senso un uso normativo consentito dal disposto dell’art. 1283 c.c.
Sull’argomento, d’altra parte, la legge sulla trasparenza bancaria non è intervenuta.

IL DEPOSITO DI TITOLI
La legge sulla trasparenza bancaria torna invece ad imporre un’altra modifica nel campo del deposito di titoli in custodia e/o in amministrazione presso la banca: per il compenso di tale servizio, non diversamente che per gli interessi, non è infatti più possibile il riferimento generico alle "condizioni e norme che regolano le operazioni ed i servizi bancari", e pur continuando a rispettare l’esigenza della variabilità, la legge ha posto analoghi obblighi a carico della banca e a tutela del cliente.
Inoltre, la raccolta camerale registra che le banche, in conseguenza della globalizzazione dei mercati finanziari, assumono in semplice custodia i titoli non trattati nei mercati regolamentati italiani, stante l’evidente impossibilità di conoscere gli eventi che, in società appartenenti ai Paesi più disparati, possano interessare diritti patrimoniali dei depositanti. Cosicché, ragionevolmente, in quei casi la diligenza della banca si esplica solo nell’eseguire le istruzioni che il cliente abbia ad impartire di propria iniziativa per l’amministrazione dei titoli, e nell’informare sollecitamente il depositante sulle notizie che alla banca pervengano in merito ai titoli e ai diritti spettanti al loro titolare.
Sempre a tal proposito, il diffondersi della "smaterializzazione" e della "gestione accentrata" da parte di specifici organismi (prima fra tutte, ma non unica, la Monte titoli) ha fatto registrare la consuetudine ormai invalsa della possibilità, anche senza avviso al depositante (che comunque non ne risente pregiudizio alcuno) di raggruppare i titoli, e di restituire, al momento dovuto, "altrettanti titoli della stessa specie e quantità".

MODIFICHE AGLI ARTT. 13 E 16
Omettendo, per ragioni di spazio, il commento degli usi per i quali la raccolta non ha registrato variazioni rispetto all’antecedente revisione, si devono da ultimo segnalare le modifiche dell’art. 13 sull’"accredito in conto salvo buon fine", e dell’art. 16 sul "preavviso di recesso ex artt. 1845 e 1855 c.c.".
Sul primo argomento, l’ultima revisione registra previsioni assai più articolate delle precedenti, e in esse si distingue fra la negoziazione di assegni bancari, di assegni circolari, delle c.d. "disposizioni R.I.D." (rapporti interbancari diretti) e "disposizioni RI.BA." (ricevuta bancaria elettronica) che avvengono tramite procedure interbancarie, e la negoziazione di titoli o documenti diversi da quelli suddetti.
La difficoltà che si è dovuta sempre affrontare in questa materia è quella dell’identificazione del momento esatto in cui l’importo dell’accredito salvo buon fine può considerarsi "disponibile" per il cliente, perché, salvo casi marginali, nella quotidiana operatività la banca non conosce il giorno esatto in cui il titolo è stato onorato (da altra banca, se si trattava di un assegno, o pagato dal cliente di altra banca, se si trattava di un effetto o una "ricevuta bancaria").
Ecco allora che l’antecedente, e in concreto inapplicabile previsione, della "disponibilità" collegata alla "conoscenza dell’incasso" è ora passata in secondo piano, e nel ben più frequente caso della negoziazione di assegni o "disposizioni" tramite procedure interbancarie, è opportunamente invalsa la consuetudine di "predeterminare, per ciascuna tipologia di operazione, il termine trascorso il quale i relativi importi sono da ritenersi definitivamente disponibili", ovviamente se entro quel termine non sia stato invece verificato il mancato incasso.
Forse superfluamente, ma opportunamente per evitare equivoci, la registrazione dell’uso, sia per i titoli negoziati mediante procedura interbancaria sia per gli altri, conclude rammentando che, anche decorsi i termini convenzionalmente previsti per la "disponibilità" del versamento del cliente, se poi si verifica il mancato incasso "restano fermi i diritti della banca"; e non può che essere così, vuoi che si fosse trattato di un mandato all’incasso, ovvero di un vero e proprio sconto del credito del cliente verso un terzo, perché nel primo caso il mandatario deve diligentemente espletare l’incarico affidatogli ma certo non risponde in proprio per l’eventuale mancata riscossione, e nel secondo caso soccorre la norma dell’art. 1858 c.c., che attribuisce natura "pro solvendo" alla cessione dei crediti alla banca nell’ambito del contratto di sconto.
Va segnalata, infine, come già accennato, la diversa formulazione attuale dell’uso concernente il recesso della banca dalle aperture di credito a tempo indeterminato e dalle operazioni bancarie in conto corrente.
Per le une e per le altre, rispettivamente l’art. 1845 c.c. e l’art. 1855 c.c. rimandano agli usi, in mancanza di esplicita previsione contrattuale, per il termine di esercizio della facoltà di recesso. A tale proposito, mentre l’antecedente raccolta segnalava che "le banche sono solite inserire nei contratti la clausola in base alla quale il termine di preavviso per il recesso può essere anche di un solo giorno, ferma restando la sospensione immediata dell’utilizzo del credito", ora si dice che "le banche sono solite, ove la legge lo consenta, esercitare il diritto di recesso con effetto immediato, concedendo un termine anche di un solo giorno per il pagamento".
A parte la maggiore chiarezza del nuovo testo sulle due diverse conseguenze del recesso dal contratto di credito, quella dell’utilizzazione ulteriore del credito che cessa immediatamente, e quella della restituzione delle somme già utilizzate che va effettuata entro un breve termine, riducibile anche ad un solo giorno, si deve qui spiegare l’inciso "ove la legge lo consenta", che prima non esisteva.
La spiegazione è nel sopravvenire delle norme sui "contratti del consumatore" introdotta nel codice civile dall’art. 25 della legge 6 febbraio 1996 n. 52, in attuazione della direttiva CEE n. 93/13: difatti, in quei contratti (ove si intende per "consumatore", come dice il comma secondo dell’art. 1469 bis c.c., "la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta"), va considerata vessatoria e quindi inefficace, nei termini indicati dall’art. 1469 quinquies c.c., fra le altre, la clausola che consenta "al professionista" (e tale è la banca, secondo la definizione di "professionista" contenuta sempre nel secondo comma dell’art. 1469 bis), "di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne in caso di giusta causa".
Perciò, ora, la clausola usuale di maggiore tutela per la banca potrà continuare a spiegare effetto nei contratti di credito stipulati con gli imprenditori (che, ovviamente, sono i più frequenti), ma non anche in quelli stipulati con i "privati" (o, secondo l’equivalente definizione della sopravvenuta normativa, con i "consumatori").

CONCLUSIONI
Per tirare sinteticamente le conclusioni, si può osservare che l’ultima revisione degli usi in materia bancaria ovviamente ricalca in gran parte quelle precedenti, ma ha dovuto anche fare i conti da un lato con lo "jus superveniens", costituito dalla legge sulla trasparenza bancaria (in tema di misura degli interessi e di compenso per i servizi) e dalla legge sui contratti con consumatori (in tema di recesso dei contratti di credito), d’altro lato con le modifiche della prassi operative sulla custodia e la gestione dei titoli, e sulla negoziazione di assegni, effetti o "ricevute bancarie" versati in conto dal cliente, nei termini che abbiamo riferito.
Ancora una volta, va comunque constatato che il lavoro svolto dalla Commissione provinciale usi ha contribuito a fare chiarezza e a fornire agli operatori criteri interpretativi in materie la cui importanza, nello svolgimento delle attività economiche, non ha certo bisogno di essere sottolineata.