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Impresa & Stato n°44-45

LA VESSTORIETA' NEI CONTRATTI DI VIAGGIO

di
Giorgio De Nova

La commissione camerale per una maggiore trasparenza nei rapporti tra operatori turistici e consumatori


Il potere conferito alle Camere di Commercio di "promuovere forme di controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti" (art. 2.4, l. 29 dicembre 1993, n. 580) ha trovato occasione di esercizio nella novella al codice civile in tema di clausole vessatorie nei contratti del consumatore (art. 25, l. 6 febbraio 1996, n. 52, che ha introdotto gli artt. 1469-bis - 1469-sexies nel codice civile).
La novella legittima infatti le Camere di Commercio ad esercitare azione inibitoria avverso l’uso di condizioni generali di contratto abusive. Ma l’azione in giudizio è stata considerata - opportunamente - dalla Camera milanese un’extrema ratio, alla quale ricorrere soltanto qualora dovesse risultare insufficiente una previa opera di verifica delle clausole contrattuali, condotta a seguito di un’istruttoria compiuta da esperti, e arricchita dalla audizione di rappresentanti delle associazioni di settore e delle associazioni di consumatori.
La novella al codice civile dà rilevanza alla trasparenza delle clausole contrattuali, e cioè alla necessità che esse siano redatte "in modo chiaro e comprensibile". Se le clausole difettano di trasparenza, non per questo sono vessatorie e quindi inefficaci: tuttavia devono essere interpretate nel modo più favorevole per il consumatore.
È dunque logico che la Commissione della Camera milanese, chiamata al controllo delle condizioni generali di contratto dei contratti di viaggio, si sia innanzitutto preoccupata di rilevare i casi in cui il difetto di trasparenza rendeva oscura o ambigua una clausola.
Ma certo il compito precipuo della Commissione è quello di verificare il contenuto delle clausole, sotto il profilo della loro vessatorietà, sia alla luce del generale criterio del significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, sia alla luce della presunzione di vessatorietà che accompagna le venti clausole di cui all’art. 1469-bis, 3° comma. All’esito della propria attività di verifica, la Commissione fornisce un parere sulla vessatorietà delle clausole contenute nei contratti esaminati.
La rilevanza di tale parere è, a mio avviso, più fattuale che giuridica. La circostanza che alcune clausole siano state considerate vessatorie, e altre invece siano state "promosse" dalla Commissione, non comporta che, ove l’operatore elimini le prime e mantenga le seconde, il contratto utilizzato da tale operatore sia protetto da un giudizio di conformità. È infatti ovvio che il singolo consumatore potrà sempre adire il giudice, sostenendo che anche altre clausole - pur se "promosse" - sono vessatorie. Ma la stessa Camera di Commercio non è vincolata all’esito delle valutazioni della Commissione.
Sul piano del fatto, tuttavia, l’operatore che abbia seguito le indicazioni della Commissione avrà ottimo argomento per difendersi da un’eventuale azione del singolo consumatore e - ancor più - da un’eventuale (quanto improbabile) azione della Camera di Commercio. La valutazione favorevole di un’autorità indipendente sul contenuto di una clausola costituisce infatti un precedente che non può essere trascurato.

I CONTRATTI DI VIAGGIO
La novella del 1996 ha un carattere "orizzontale", riguarda cioè tutti i contratti di consumo. E invece il controllo delle Camere di Commercio deve, necessariamente, procedere settore per settore.
Qui sta il nodo cruciale del tema: come applicare una disciplina generale (dettata, dunque, almeno in linea di principio, indipendentemente dal tipo di contratto in questione) a quel particolare tipo, nel nostro caso, il contratto del tour operator o del travel agent. Si tratta, e non è facile, di conciliare principi generali con la specificità di un singolo tipo contrattuale.
Occorre innanzitutto chiedersi a quali contratti - nell’ambito del settore in esame - si applichi la novella.
Il tour operator o il travel agent sono certamente soggetti che utilizzano il contratto nel quadro della propria "attività imprenditoriale o professionale" (art. 1469-bis, 2° comma).
Invece il cliente può non essere "persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta" (art. 1469-bis, 2° comma): si pensi al contratto di viaggio stipulato per partecipare ad un convegno a carattere professionale o a campagne archeologiche.
Altra rilevante questione è se rientri nell’ambito di applicazione della novella un contratto concluso da un non consumatore, ma in cui sia un consumatore a beneficiare dei servizi turistici oggetto del contratto. La lettera dell’art. 1469-bis, 2° comma sembra imporre che il contratto sia "concluso tra il consumatore e il professionista". Ma certo la lettera va superata se il contratto è concluso da un rappresentante del consumatore; e forse anche se il contratto è concluso per conto di un consumatore, circostanza questa nota al professionista (si pensi a contratti turistici premio - c.d. viaggi incentive - stipulati dall’imprenditore per i suoi dipendenti: argomento a favore dell’inclusione di questa ipotesi può trarsi dalla considerazione che l’art. 5 del D. Lgs. 17 marzo 1995, n. 111 fa rientrare nell’ambito di applicazione del medesimo anche il contratto concluso per conto).

LA TRASPARENZA
Con riguardo alla "trasparenza" dei contratti di viaggio organizzato, due aspetti colpiscono.
In primo luogo è frequente l’utilizzo di parole proprie del linguaggio tecnico di settore, in special modo acronimi, il cui significato, se è scontato per gli addetti ai lavori, può risultare del tutto oscuro per i consumatori (IT Inclusive Tour; ITC Inclusive Tour Charter, ecc.).
In secondo luogo, nei testi contrattuali redatti a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 111 del 1995, si rinviene talora una clausola intitolata "Garanzie" e così formulata: "ai sensi dell’art. 21 del D. Lgs. n. 111/1995 è stato istituito un Fondo di Garanzia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di cui possono usufruire tutti i partecipanti, in caso di insolvenza o fallimento del venditore o dell’organizzatore, per il rimborso del prezzo versato ed il rimpatrio. Le modalità di funzionamento del Fondo sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro del Tesoro".
Una clausola così formulata induce senza dubbio nel consumatore la convinzione che il Fondo di Garanzia previsto dall’art. 21 del D. Lgs n. 111/1995 esista e sia già operante, mentre così non è, poiché il decreto di attuazione dello stesso art. 21 contenente le modalità di gestione e funzionamento del fondo, che, a norma del 5° comma, avrebbe dovuto essere emanato entro tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D. Lgs. n. 111/1995, non è ancora stato predisposto.
Ben più rispettosa del principio della trasparenza appare allora la clausola, riscontrabile sovente nei contratti in uso con il titolo "Fondo di Garanzia", a norma della quale "il Fondo di Garanzia, attualmente non regolamentato, verrà automaticamente garantito all’iscritto ai sensi dell’art. 21 D. Lgs. n. 111/1995 appena sarà istituito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministero del Tesoro o da altro organismo riconosciuto".

IL CONTENUTO
Quanto al controllo del contenuto, occorre in primo luogo verificare quali clausole "riproducono disposizioni di legge": perché se una clausola riproduce una disposizione di legge la sua vessatorietà è esclusa in radice (art. 1469-ter, 3° comma). La ragione di tale "immunità" sta nella presunzione di equilibrio delle soluzioni offerte dal legislatore.
Ora, tra le disposizioni di legge, dobbiamo operare una distinzione preliminare tra quelle:
a) che pongono una clausola ex lege (in funzione sostitutiva, ex art. 1339, o integrativa, ex art. 1374); e quelle
b) che consentono e disciplinano clausole pattizie.
Soltanto le prime sono disposizioni di legge la cui riproduzione esclude la vessatorietà.
Un test di verifica può essere individuato agevolmente.
Dato che le parti possono adottare una disciplina conforme ad una norma non solo prevedendo una clausola che detta una disciplina corrispondente a quella prevista dalla norma in questione, ma anche facendo rinvio a quest’ultima, avremo una disposizione di legge la cui riproduzione esclude la vessatorietà quando si può ipotizzare che il profilo in questione venga disciplinato con un mero rinvio alla norma in questione.
La conclusione può essere così formulata: non è vessatoria la clausola pattizia che riproduce una disposizione di legge che pone una identica clausola legale; deve essere sottoposta a controllo di vessatorietà la clausola pattizia che è consentita (ed eventualmente disciplinata) da una disposizione di legge.
Se applichiamo questo criterio alle disposizioni del decreto n. 111/1995, rientra fra le norme che pongono clausole l’art. 12 sulle modifiche contrattuali, mentre rientra fra le norme che consentono e disciplinano clausole l’art. 11 sulla revisione del prezzo.

LE CLAUSOLE "A RISCHIO"
Lo studio della novella in relazione ai contratti turistici ha già condotto a individuare alcune clausole "a rischio": clausole di deroga alla competenza per territorio; clausole di deroga alla giurisdizione e clausole arbitrali; clausole sulla revisione del prezzo; clausole di reclamo e di denuncia; clausole che attribuiscono all’organizzatore il diritto di modificare o annullare il contratto; clausole che regolano il recesso oneroso del turista; clausole di limitazione della responsabilità.
Lo spazio ci consente soltanto di affrontare il tema (peraltro cruciale) delle clausole che regolano il recesso oneroso del turista.
Per "recesso oneroso del turista" si intende qui il recesso che non costituisce reazione all’esercizio da parte del tour operator dello jus variandi che la legge gli riconosce; si intende, cioè, il recesso in ipotesi diverse da quelle di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 111/1995 (reazione ad un aumento del prezzo in misura superiore al 10% del prezzo nel suo originario ammontare) e all’art. 12 del D. Lgs. n. 111/1995 (reazione a modifiche delle condizioni contrattuali).
Le clausole che regolano il recesso oneroso del turista prevedono un corrispettivo per il recesso stesso, corrispettivo che si inquadra nella multa penitenziale ex art. 1373 ult. comma cod. civ.: esso è calcolato in una percentuale del prezzo del viaggio in misura tanto maggiore quanto più il recesso è esercitato in prossimità della data di partenza, e si concreta, nel caso in cui il prezzo sia già stato versato, nel diritto del tour operator di trattenere la relativa somma.
Le clausole in esame non distinguono, poi, a seconda che il recesso sia "capriccioso" o, invece, determinato da cause non imputabili al turista.
Si deve ricordare che i contratti-tipo predisposti dalle associazioni di categoria non contemplano questa clausola, anche per ragioni attinenti alle dinamiche concorrenziali: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha, infatti, manifestato ostilità nei confronti della standardizzazione del costo del recesso, ritenendo che su questo aspetto possa muoversi il gioco della concorrenza, con il consentire ai singoli operatori di attirare clientela anche mediante l’offerta di inferiori costi del recesso.
Le clausole presenti nei contratti in uso presentano una accentuata uniformità quantificando graduazioni del costo del recesso assai vicine tra loro:
- talora distinguono tra viaggi intraeuropei e viaggi extraeuropei (riservando ai secondi un trattamento più oneroso);
- talora prevedono che il costo del recesso arrivi a coincidere con l’intero prezzo del viaggio quando il recesso venga esercitato negli ultimi tre giorni precedenti la partenza; talaltra prevedono al massimo una multa pari al 75% del prezzo del viaggio;
- prevedono che, indipendentemente dal momento in cui il recesso venga esercitato, sia comunque esclusa la restituzione della c.d. "quota di iscrizione".
La eventuale vessatorietà delle clausole regolanti il recesso oneroso del turista deve essere valutata in relazione all’art. 1469-bis, 3° comma, n. 5, a norma del quale si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di "consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o ne recede, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto o a recedere".
Una considerazione a sé va formulata con riguardo alla c.d. "quota d’iscrizione". Questa somma potrebbe essere ragionevolmente considerata alla stregua di corrispettivo (calcolato a forfait) di servizi di cui comunque il turista ha usufruito anche se poi ha sciolto il contratto (telefonate, comunicazioni, ecc.). Il versamento di tale somma - se di congrua entità - troverebbe così una giustificazione nel sinallagma contrattuale, e resterebbe estraneo ai problemi relativi al costo del recesso.
Per il resto le clausole in esame appaiono vessatorie. Le somme corrisposte dal turista (mancato) hanno funzione confirmatoria, al di là delle possibili incertezze terminologiche. Se il tour operator recede per fatto sopraggiunto non imputabile (o per grave inadempimento del Cliente) si applica l’art. 7, lett. d) del D. Lgs. n. 111/1995, con la conseguenza che "gli effetti di cui all’art. 1385 del codice civile non si producono". Ma al di fuori di questi casi è vessatoria la clausola che non prevede - in alternativa al viaggio succedaneo - il pagamento del doppio da parte del tour operator che recede.