Impresa
& Stato n°44-45
LA REGOLAZIONE
DEL MERCATO
Economia civile e trasparenza
L'attenzione del
mondo camerale al cosiddetto "terzo settore" ha portato alla creazione
di un Osservatorio per cogliere il mutamento sociale in atto.
di
Sandro
Lecca
La
Camera di Commercio di Milano ha istituito, di recente, un Osservatorio
dell’economia civile a cui partecipano rappresentanti degli organismi non
profit, delle forze imprenditoriali e sociali, delle istituzioni pubbliche
e delle università. Inteso quale momento d’incontro e di riflessione
comune, l’Osservatorio si propone di approfondire la conoscenza dei caratteri
e dei bisogni delle organizzazioni private senza fini di lucro, ossia che
erogano servizi di pubblica utilità, nonché di elaborare
e sostenere proposte, anche di carattere normativo, per il miglior riconoscimento
e per la promozione del settore. Si tratta quindi di un luogo condiviso
tra diversi attori, in cui la dimensione conoscitiva non è fine
a se stessa, ma si intreccia fortemente con quella progettuale.
Prima di entrare nel merito
del tema specifico oggetto del presente articolo, riguardante la problematica
della trasparenza con cui oggi si deve misurare lo sviluppo del terzo settore,
occorre forse precisare le ragioni che hanno indotto la Camera di Commercio
- tradizionalmente percepita come istituzione delle imprese profit - ad
avviare un dialogo ravvicinato con il mondo del non profit.
Il primo motivo, banalmente,
è che le organizzazioni non profit sono un "pezzo" dell’economia,
perché producono e distribuiscono servizi alla stregua di qualsiasi
altra organizzazione d’impresa, con l’unica differenza, rispetto all’impresa
commerciale, che pur generando reddito non "fanno" profitti. Esse contribuiscono
in modo significativo - con il 3,1% degli occupati totali (conteggiando
anche i volontari, riportati a unità standard di lavoro) e il 2,1%
del Pil - allo sviluppo dell’economia nazionale. Ciò rimanda all’emergere
di una economia pluralista, in cui il mercato delle transazioni orientate
al profitto continua certo a detenere una posizione prioritaria, ma non
esclusiva. Ad esso si affianca e si intreccia un "altro mercato", che prende
forma nelle relazioni e negli scambi appartenenti alla sfera della reciprocità
e dei valori d’uso.
Si tratta quindi di "formazioni"
imprenditoriali, seppure dotate di caratteristiche proprie, che si pongono
come espressione diretta e autonoma di quella "economia civile" con cui,
da sempre, l’istituzione camerale interagisce profondamente. Nella loro
attuale fase di crescita, le organizzazioni non profit esprimono poi quei
bisogni (di managerialità, formazione, qualità, accesso ai
capitali, ecc.) che sono tipici delle imprese profit di minori dimensioni
e che in quanto tali rappresentano uno dei terreni di prioritario interesse
della Camera di Commercio. Osservato dal punto di vista camerale, il mondo
dell’economia non profit appare, in sostanza, come costituito da una "popolazione"
emergente di "piccole e medie imprese solidali".
L’irrompere sulla scena
del cosiddetto "terzo settore" - locuzione che qui usiamo solo per comodità
linguistica, preferendogli quella, a nostro avviso più pregnante
e maggiormente consona al ruolo della Camera, di "economia civile" - non
poteva non riguardare da vicino l’istituzione camerale. È un incontro,
per certi versi, del tutto "naturale", spontaneo, perché avviene
tra due attori istituzionali "affini", che occupano entrambi uno spazio
intermedio posto all’intersezione del rapporto tra Stato e mercato e rivolgono
la loro azione al raggiungimento di finalità pubbliche.
Come afferma Jean-Louis
Laville, il terzo settore costituisce "uno spazio pubblico nelle società
civili", ricoprendo per questo un ruolo direttamente connesso con il cambiamento
istituzionale (Jean-Louis Laville, L’economia solidale, Bollati Boringhieri
1998).
UNA DOMANDA DI
TRASPARENZA
All’indubbio "successo"
- anche in termini di attenzioni diffuse quando non di veri e propri "corteggiamenti"
- che registra oggi il terzo settore, si associa una domanda crescente
di trasparenza e, quindi, di "regolazione". In effetti, non è tutto
oro quello che luccica nell’economia del non profit.
Alcuni sottolineano i rischi
di concorrenza sleale e di distorsione dei meccanismi di mercato, che sarebbero
indotti dai privilegi fiscali di cui godono le Onlus. Altri pongono l’accento
sullo statuto incerto dei lavoratori del terzo settore, per i quali si
reclamano maggiori diritti e tutele (soprattutto sul piano dei livelli
salariali e degli orari): il terzo settore, si dice qui, non può
diventare il serbatoio di una forza lavoro post-fordista flessibile e a
basso costo (Marco Revelli, La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, 1997).
E non minori sono i pericoli di snaturamento e inquinamento dovuti all’infiltrazione
di "false non profit", che con la solidarietà non hanno niente da
spartire.
Il rapporto con la committenza
pubblica, inoltre, appare spesso regolato dalla logica perversa delle gare
d’appalto unicamente o prevalentemente fondate sul criterio "pervasivo"
del minor prezzo, che genera forme deleterie di competizione al ribasso
tra concorrenti "poveri". In queste pratiche "pauperistiche", il terzo
settore finisce per ricoprire un ruolo sostanzialmente strumentale, e quindi
subalterno, funzionando da pura "economia esterna" dell’ente pubblico nei
processi di alleggerimento (o di outsourcing e terziarizzazione) del welfare
state.
Occorrono regolazioni e
autoregolazioni, sistemi di definizioni e di controllo, di codici condivisi,
capaci di sottrarre il terzo settore ai rischi - oggi del tutto reali -
di una sua eccessiva "economicizzazione". Regole e politiche promozionali
idonee a valorizzare la forza autonoma e l’identità del terzo settore,
che risiede nell’innescare forme di "ibridazione" - come le definisce ancora
Laville - tra l’economico e il sociale, nel coniugare produzione e solidarietà,
nel "radicare l’economia nella socialità" (Jean-Louis Laville, op.
cit.).
STABILIRE DEI
CRITERI
Un primo problema di trasparenza
ha quindi a che fare con lo stesso "codice genetico" delle organizzazioni
non profit, nel senso che si tratta di definire dei criteri in base ai
quali poter distinguere ciò che è solidale da ciò
che non lo è. Ancora più a monte, si pone l’esigenza di disporre
di un adeguato sistema di informazioni sul terzo settore e "per" il terzo
settore, che costituisce un presupposto indispensabile per favorire, insieme
alla circolazione delle conoscenze, lo stesso sviluppo dei processi di
trasparenza, nonché per orientare meglio le politiche di sostegno.
Se l’informazione costituisce
la risorsa primaria della trasparenza, la Camera di Commercio - istituzione
depositaria degli archivi d’impresa e a cui la legge di riforma 580/1993
ha attribuito nuove e rilevanti funzioni in materia di regolazione del
mercato - può naturalmente candidarsi a costituire il luogo di "massima"
informazione del sistema delle organizzazioni non profit. Vi sarebbe in
ciò non solo una coerenza di ruolo - dal momento che le caratteristiche
di impresa sono proprie di gran parte dei soggetti del terzo settore, alcuni
dei quali sono già iscritti nelle anagrafi camerali -, ma anche
una "economia di sistema", potendo far ricorso a competenze istituzionali
e professionali da tempo collaudate. Le Camere di Commercio sono infatti
gli unici enti abituati a gestire il trattamento dei flussi di informazione
relativi a popolazioni vaste di organizzazioni complesse, quali sono appunto
i registri di impresa, costituendo inoltre un sistema strutturato a rete
e diffuso capillarmente nel territorio.
La disponibilità
di adeguati "repertori" informativi e di strumenti di monitoraggio statistico
del terzo settore - caratterizzato oggi da un’offerta di informazioni assai
carente e frammentaria - è emersa come una delle esigenze maggiormente
avvertite dai soggetti partecipanti all’Osservatorio camerale dell’economia
civile. In questa direzione la Camera intendere pertanto operare, sperimentando,
con riferimento all’area milanese, la messa a punto di un "prototipo" di
archivio integrato del non profit, costruito su di un sistema rigoroso
di definizioni e classificazioni, nonché di metodologie e procedure
di rilevazione ad esso coerenti, che potrà essere successivamente
esteso ad altre realtà territoriali (Marco Martini, Servizi di pubblica
utilità non profit: problemi di definizione, classificazione e registrazione
statistica, in Giorgio Vittadini (a cura di), Il non profit dimezzato,
Etaslibri, 1997, pp. 177-191). È facile intuire l’importanza di
un archivio organico del genere allocato presso le Camere di Commercio,
che consentirebbe non solo di disporre di informazioni sistematiche e attendibili
sulle dimensioni, sulle caratteristiche e sulle diverse componenti del
settore non profit e di svolgere analisi comparative con quello profit
, ma anche di conferire alle imprese dell’economia solidale una maggiore
visibilità in termini di sistema e, in definitiva, di "cittadinanza"
quale attore istituzionale della vita economica.
La creazione di una adeguata
base informativa con caratteri di universalità costituisce inoltre
il punto di partenza necessario per affrontare un altro problema di trasparenza
e di regolazione molto rilevante, che è quello connesso alla definizione
di criteri idonei a misurare la qualità dell’agire delle organizzazioni
non profit. Criteri da intendersi non come forme rigide e burocratiche
di controllo, ma quali condizioni di efficienza e di efficacia volte a
garantire uno sviluppo equilibrato del terzo settore, ossia coerente con
i valori e gli obiettivi posti a fondamento della sua identità,
e al riparo da quei rischi di "dumping" economico e sociale cui prima si
faceva cenno.
La rispondenza ai requisiti
di trasparenza non deve peraltro assumere un significato soltanto difensivo,
di protezione dai fenomeni di "abusivismo," ma costituire anche la premessa
per rafforzare la "reputazione" del terzo settore come sistema che sviluppa
nuova "qualità sociale". Una caratteristica quest’ultima di per
sé non garantita dal rispetto dei soli, per quanto importanti, criteri
"formali" (quali la coerenza degli obiettivi statutari, la pubblicità
dei bilanci, la politica della porta aperta, ecc.). Altrettanto riduttivo
sarebbe un approccio teso a porre l’attenzione esclusivamente sugli aspetti,
peraltro rilevanti, di efficienza economica interna.
Occorrono quindi criteri
di valutazione che rispecchino la specificità e la particolare complessità
delle organizzazioni non profit, in cui la soddisfazione del bisogno procede
insieme alla creazione di legami sociali e fiduciari, alla valorizzazione
di capacità, al mantenimento o alla ridefinizione di una mission
comunque fondata su valori solidaristici e partecipativi. Criteri quindi
che devono assumere anche il punto di vista di un utente in relazione di
reciprocità e la cui definizione necessita di un approccio multidisciplinare,
capace di tenere conto non solo della qualità dell’output, ma anche
di quella delle diverse dimensioni processuali e di democrazia partecipativa
che caratterizzano le intraprese di terzo settore.
Riteniamo che anche in rapporto
a questa tematica complessa - riassumibile con il termine di "innovazione
sociale" - la Camera di Commercio possa contribuire, attraverso l’attività
dello stesso Osservatorio, a promuovere lo sviluppo di quella cultura della
qualità che è peraltro già insista nel "genoma" delle
organizzazioni non profit. È a queste, innanzitutto, che compete
la scrittura dei "codici" della qualità e della trasparenza, in
base al principio di autoregolazione e di autodisciplina, a cui l’istituzione
camerale può fornire supporto tecnico e divulgativo. Perché
sarebbe qui davvero improprio proporsi di definire requisiti e standard
concepiti come forme di controllo burocratico ed eterodiretto, a fronte,
tra l’altro, dell’accentuato e insopprimibile pluralismo (sul piano delle
forme giuridiche, delle dimensioni, degli ambiti di attività) che
caratterizza una realtà come quella del terzo settore.
IL RICONOSCIMENTO
GIURIDICO
Rimane da accennare a un
ultimo problema, quello del pieno riconoscimento giuridico del terzo settore
come soggetto generale. In realtà il terzo settore è qualcosa
che "non è". L’unica definizione onnicomprensiva di cui oggi disponiamo,
quella in qualche modo introdotta dal recente decreto legge che istituisce
le cosiddette Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale),
è una definizione, appunto, al negativo. Essa ci dice quello che
le organizzazioni del terzo settore non sono, ma non quello che sono, senza
quindi individuare la loro specificità positiva. In questa rappresentazione,
il terzo settore finisce per apparire come una sorta di soggetto "minorenne",
a capacità ridotte rispetto a quelle dell’impresa commerciale.
Ma ha ancora senso, nella
realtà odierna, continuare a distinguere tra enti commerciali e
non commerciali? Come si fa a conciliare l’uso, ormai corrente, di espressioni
come "economia civile", "economia sociale", "imprenditorialità sociale",
"mercato sociale", ecc. con la categoria di "ente non commerciale"? Non
indicano forse il fatto che le organizzazioni non profit - o almeno una
parte rilevante di esse - producono e scambiano servizi, ossia svolgono
attività di natura commerciale? (Felice Scalvini, Le legge sulle
Onlus: il nonprofit che c’è e quello che non c’è, in Impresa
sociale, n. 36, novembre/dicembre 1997). Da qui nasce l’esigenza di adeguare
la normativa civilistica, e quindi di pervenire a una definizione "positiva"
o promozionale del terzo settore che sia coerente con la sua realtà
effettiva e ne riconosca pienamente la natura di soggetto fondativo dell’ordinamento
giuridico.
È intorno a questi
temi che la Camera di Commercio di Milano e il terzo settore iniziano oggi
a parlarsi, a conoscersi, a porsi insieme delle domande, come succede appunto
nell’Osservatorio, luogo di un dialogo dagli esiti potenziali assai fecondi.
Non è esagerato affermare che per la Camera si tratta di una sfida
culturale, perché la configurazione complessa e ibrida delle organizzazioni
non profit richiede nuove categorie intepretative per cogliere in modo
adeguato il mutamento sociale in atto e il pluralismo delle forme attraverso
cui oggi si può essere impresa e costruire mercato. E di questo
pluralismo la Camera di Commercio costituisce l’autonomia funzionale di
riferimento.
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