vai al sito della Camera di Commercio di Milano  
Impresa & Stato n°44-45

AVVICINARE LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE AL CITTADINO. INTERVISTA SUL DECENTRAMENTO A GIORGIO PASTORI

a cura di Katia Garbini

L’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, di uno dei decreti attuativi della legge Bassanini, ha indotto I&S a rivolgere alcune domande al Professor Giorgio Pastori, Ordinario di Diritto Amministrativo e Preside della facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano. Il Professor Pastori, che ha partecipato alla stesura delle bozze della legge Bassanini ed ha già approfondito l’argomento del decentramento nel numero 43 di I&S, è una delle voci più autorevoli del panorama giuridico italiano e potrà offrirci ulteriori spunti di riflessione sul coinvolgimento delle Camere nel processo di riforma che sta investendo la P.A.. 

Int.: Quali sono i principi di carattere generale, desumibili dalla legge 59/1997, che possono contribuire a delineare il senso del decentramento amministrativo da essa previsto? 
P.: L’ obiettivo principale che la legge 59/1997 si propone di realizzare è quello del massimo avvicinamento delle funzioni amministrative al cittadino e alla società civile. È in questo senso che si può definire, prima di tutto, una legge di decentramento, mentre risulta improprio parlare di federalismo. Ciò che la legge prevede, infatti, è il conferimento di funzioni amministrative, per tutte le materie non espressamente riservate allo Stato, agli enti territoriali e locali; non, invece, la creazione di un sistema federale, secondo le caratteristiche che sono proprie di un ordinamento di questo tipo. 
Questo conferimento è retto dal principio di sussidiarietà che implica la regola della maggiore prossimità del luogo di esercizio della funzione alla sede della situazione regolata. Ma la legge n. 59 va oltre e pone quale criterio cardine del conferimento verso il basso delle funzioni amministrative il principio di sussidiarietà in una duplice accezione: una più ristretta, l’altra più ampia. Entrambi i significati fanno emergere come la legge in esame non sia solo di conferimento ma anche di riordino delle funzioni. Il principio di sussidiarietà, infatti, è sicuramente richiamato nel senso di regola di allocazione delle funzioni presso l’istituzione più prossima alla società, compatibilmente coll’esigenza di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa. Ma, prima ancora che come criterio della maggiore prossimità, il principio di sussidiarietà viene visto come criterio che deve portare ad una diversa regolazione non solo dei rapporti fra le istituzioni centrali e quelle locali, ma anche fra le stesse istituzioni pubbliche e la società. In tal senso si distingue la sussidiarietà verticale da quella orizzontale. La prima riguarda i rapporti all’interno delle istituzioni pubbliche, la seconda richiama il significato più ampio della sussidiarietà: le funzioni pubbliche, ogni volta che sia possibile, devono essere esercitate dai cittadini stessi, in particolare attraverso le formazioni sociali di cui all’art. 2 della Costituzione. L’Amministrazione pubblica deve esserci appunto solo in quanto serva da ausilio o da sussidio alle organizzazioni sociali. Ciò spiega il fatto che la legge 59/1997 si muove anche nella prospettiva del riordino delle funzioni e del ripensamento del rapporto società/istituzioni. 
Int.: Cosa significa riordino delle pubbliche funzioni? 
P.: Significa che il conferimento deve essere preceduto da uno scrutinio, un esame delle funzioni, attualmente previste nelle varie leggi, per verificare se le stesse siano ancora necessarie oppure se siano diventate superflue e quindi siano addirittura da sopprimere. Il primo aspetto del riordino è appunto dato dalla soppressione delle funzioni inutili e dalla liberalizzazione del cittadino, dei gruppi, delle imprese dalle funzioni pubbliche non necessarie; il secondo aspetto dall’affidamento ai privati di funzioni, soprattutto di quelle che non comportino l’esercizio di poteri autoritativi, che possono essere da loro adeguatamente svolte. 
Int.: Quali altri principi presiedono al decentramento e al riordino delle funzioni nella legge n. 59? 
P.: Occorre, innanzitutto, sottolineare il fondamentale ruolo della semplificazione quale tema strettamente connesso a quello del conferimento: laddove la funzione rimanga in mano pubblica, è necessario che sia esercitata con modalità snelle e tempestive, in modo che il cittadino non sia condizionato, ma sostenuto dall’attività amministrativa. Al principio di sussidiarietà si ricollegano, poi, altri principi, tutti annoverati nell’art. 4 della legge 59, che possono essere riassunti in due fondamentali. In primo luogo, la funzione deve essere allocata alla dimensione adeguata all’esercizio della funzione stessa in un contemperamento di prossimità, efficacia, efficienza (principio di funzionalità e adeguatezza). Quest’ultimo trova una sua applicazione nel principio di differenziazione: a livelli istituzionali uguali possono essere allocate funzioni diverse se la dimensione degli enti è differente. 
In secondo luogo, va sottolineato il principio di unità dell’Amministrazione, che esprime la necessità che le funzioni siano raggruppate in maniera che ciascun soggetto pubblico possa essere unitariamente responsabile nei confronti del risultato da raggiungere. Questo principio è rinvenibile in leggi precedenti alla legge 59/1997 che introducevano già un tale cambiamento di prospettiva, in seguito confermato dalla Bassanini. Si deve, quindi, dotare ciascuna P.A. di competenze tali da non consentire di trovare alcun alibi nel raggiungimento degli obiettivi e dei risultati che le sono assegnati e nell’assumere le proprie responsabilità. È proprio il principio di responsabilità che, alla fine, viene a riassumere quello di adeguatezza e quello di unità dell’amministrazione. 
Int.: Questi principi come sono stati realizzati nel decreto n.112/1998 attuativo del capo I della legge 59? 
P.: È molto difficile dare una valutazione di massima circa la fedeltà dello stesso ai principi, abbastanza rivoluzionari, precedentemente individuati. La sensazione immediata è che non si siano sfruttate tutte le potenzialità insite nella delega, ciò soprattutto nel campo dei servizi sociali e del territorio. Ma anche la parte relativa alle attività produttive e allo sviluppo economico è stata limitata da riserve e restrizioni. Occorre sottolineare che il conferimento è meno ampio rispetto alle legittime aspettative e che riemergono centralismi, ad esempio nel campo dell’industria e del turismo, di cui si auspicava il superamento. 
Una tendenza, che il decreto lascia emergere e su cui bisogna riflettere, è quella a conferire le funzioni non ai singoli enti regionali e locali, ma agli organismi rappresentativi al centro degli enti stessi, vale a dire la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali. Molte funzioni, cioè, sono rimaste al centro con la previsione che si esercitino d’intesa o previo parere della Conferenza Stato-Regioni o della Conferenza unificata. È questo un modo abbastanza spurio di intendere un sistema autonomistico. 
Int.: Quali sono le parti del decreto che contemplano le Camere di Commercio? 
P.: Bisogna ricordare preliminarmente come un tempo i vari interventi normativi di decentramento riguardavano solo gli enti territoriali, mentre la legge n. 59 si muove ora nell’ottica di una valorizzazione anche delle autonomie funzionali. Il decentramento, in passato, veniva riferito solo agli enti locali che fossero espressione degli enti territoriali. Oggi, la legge prevede il conferimento anche agli enti funzionali locali e in particolare a quegli enti che siano espressione di autonomia sociale, come le Camere di Commercio e le Università. Le Camere di Commercio, in quanto autonomie funzionali, vengono contemplate già dall’art.1 dove si ribadisce, da una parte, che esse sono destinatarie di funzioni e dall’altra che le competenze, già esercitate dalle stesse, sono salvaguardate. Dopo di che le disposizioni generali sembrano quasi dimenticare le autonomie funzionali: infatti all’art. 3 si parla di conferimenti alle Regioni e agli Enti locali. E sembrerebbe che gli artt. 3, 4 e 5 riguardino solo gli enti locali territoriali.  Tornano le autonomie funzionali nell’art. 6 dedicato al coordinamento delle informazioni statistiche, una disposizione che si addice perfettamente al sistema a rete delle Camere. Nella parte sullo sviluppo economico e le attività produttive ci sono poi tre tipi di interventi normativi che riguardano le Camere: norme attributive di funzioni e delle relative strutture, norme di soppressione di funzioni superflue e norme che prevedono delle possibili nuove attività, cioè l’eventuale utilizzo delle Camere per l’esercizio di funzioni la cui titolarità è attribuita ad altri enti. Esiste poi un capo intitolato all’ordinamento delle Camere che prevede, in particolare, l’eliminazione dei controlli preventivi su tutti gli atti, tra cui anche gli statuti, mentre vengono mantenuti i controlli, che diventano però di competenza regionale, sugli organi camerali (l’unica eccezione è rappresentata dallo scioglimento dei consigli camerali per motivi di ordine pubblico, che continua ad essere di competenza statale). Altre disposizioni, riguardanti le Camere, si ritrovano nel capo relativo alle disposizioni comuni al settore. Esse si inquadrano nell’ottica dell’eventuale utilizzo della struttura camerale da parte delle Regioni per l’esercizio di funzioni che risultano di spettanza regionale. È con l’art. 50 che possiamo concludere questo breve excursus sulle disposizioni del decreto di interesse camerale: si tratta di una norma di soppressione di quegli uffici, come gli Upica, le cui funzioni, in base all’art. 20, sono state attribuite alle Camere, le quali vedranno attribuirsi anche il personale e le dotazioni tecniche degli stessi uffici soppressi. 
Int.: Secondo Lei è possibile ricorrere alla definizione "ente locale dotato di autonomia funzionale" riferendosi alla Camera di Commercio? 
P.: È la stessa legge Bassanini a parlare di enti locali funzionali. 
Int.: Alla luce del decreto, qual è il ruolo che le Camere di Commercio sono chiamate a svolgere? 
P.: Personalmente ritengo possibile configurare un doppio ruolo delle Camere: da una parte, un ruolo di regolazione simile a quello di un ordine professionale per quel che concerne le imprese, i rapporti tra le imprese e quelli con i consumatori; dall’altra un ruolo di azienda prestatrice di servizi nei confronti degli operatori economici e delle altre pubbliche amministrazioni. 
Quanto al primo ruolo, non so se sia possibile pensare alle Camere di Commercio come altrettante authorities locali. È vero che le authorities nascono proprio per regolare in concreto e flessibilmente i rapporti tra i soggetti del pluralismo economico e sociale, rapporti che la legge non può disciplinare che in via di principio.  Tuttavia, le Camere non sono paragonabili ad authorities in senso proprio in quanto queste si caratterizzano come organi tecnici neutrali. Si possono avvicinare ad esse peraltro per i compiti di disciplina e regolazione che hanno.