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Impresa & Stato n°44-45

I PRINCIPI DI INNOVAZIONE DEL DECRETO BASSANINI

di
Enzo Balboni

Sussidarieta', differenzazione, economicita' ed efficenza, responsabilita' ed unicita' dell' amministrazione: qualcosa si e' mosso nella giusta direzione.

Adesso che il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 è entrato in vigore dal 21 aprile scorso, riuscendo anche a rispettare il termine abbastanza stretto (un anno) che il Governo aveva ottenuto dal Parlamento per un riassetto dalle fondamenta della amministrazione non centrale dello Stato, si può dire che nulla, in campo amministrativo, sarà più come prima. 
Il conferimento di poteri, funzioni, compiti e attività amministrative dallo Stato al comparto regionale e locale (praticamente all’insieme, pur distinto per compiti e responsabilità, degli enti territoriali costituzionalmente previsti: Regioni - Province - Comuni), con l’aggiunta rilevantissima dell’assegnazione di funzioni e di attività agli enti funzionali: Camere di Commercio e Università, è in grado di cambiar volto all’amministrazione pubblica italiana, a cominciare, se si vuole, da un nuovo, più sano rapporto tra cittadini ed esercizio dei poteri e delle funzioni pubbliche. 
Alcune considerazioni a prima lettura potranno servire a situare questo pezzo di legislazione nel luogo appropriato. 

Amministrazione ed Europa
Appare casualmente emblematico, ma non per questo meno carico di significati, che l’avvio risoluto della modernizzazione dell’amministrazione che oggi si annuncia (quantomeno sul terreno di un fortissimo decentramento, ai limiti del federalismo amministrativo, l’unico possibile oggi, a Costituzione invariata) coincida con l’ingresso dell’Italia nel sistema monetario europeo, dopo aver soddisfatto i parametri di Maastricht. 
Dopo aver messo a posto i fondamentali dell’economia, per essere ammessi in Europa da pari a pari (anzi col riconoscimento che spetta ad un grande Paese come l’Italia), risulta infatti improcrastinabile una messa a punto dell’amministrazione italiana, in cui ritardi, lentezze, burocratismi e soperchierie si mescolano a poche isole di eccellenza e ad episodi di personale valore di pochi servitori dello Stato i quali reggono la bandiera per tutti. 
Si è diverse volte, e forse con qualche esagerazione, contabilizzato il costo che la (cattiva) amministrazione scarica sulle imprese e che ammonterebbe a qualche decina di migliaia di miliardi. Resta comunque il fatto che un’amministrazione che rema contro il Paese è inconcepibile laddove ormai, anche in Europa, il sistema industriale-commerciale di una Nazione deve poter contare su apparati di servizio e su uffici efficienti e poco costosi. 

Amministrazione e Federalismo
Dopo il tanto, troppo, parlare e cianciare di assetto federale dello Stato (rectius: della Repubblica) che ha prodotto sinora solo chiacchiere e fraintendimenti, aver messo le mani sulle effettive attribuzioni e competenze dello Stato accentrato (nei ministeri e negli enti pubblici nazionali) per trasferirle o conferirle o assegnarle al comparto regionale-locale, è il passo in avanti che andava fatto. Dopo le finte regionalizzazioni dei primi decreti delegati del 1972, che diedero alle Regioni poche e smunte competenze di mero decentramento, dopo le speranze più solide dei decreti del 1977 (il mitico 616) che andarono presto deluse, quelle di oggi sono aperture vere e riordinamenti effettivi e profondi se ... Se, insieme alle competenze giuridiche (chi fa che cosa), si riusciranno a decentrare anche le risorse e il personale. 
Per quest’ultimo, in effetti, non sarà sempre necessario procedere a trasferimenti fisici, sempre onerosi, e a traslochi (già chiamati esodo dai tanti gattopardi che non vorrebbero mai cambiare nulla), dal momento che la telematica e il computer ben potrebbero consentire lavori di impronta valdostana o valtellinese anche a funzionari che dalle loro finestre guardano il Tevere. 
Certo, quello che dovrebbe cambiare, in queste circostanze, è ciò che sinteticamente si chiama mentalità, alla cui costruzione, purtroppo, contribuiscono anche storie, abitudini, orari, cultura, clima e costumanze, ... Su tutto ciò ben poco può fare il valoroso e determinato ministro Bassanini, che infatti periodicamente denuncia gli impacci e i saltafossi che gli frappone, sovente, la burocrazia romana. 
Va detto però conclusivamente, sul punto, che deve finire il tempo della recriminazione generica e del piagnisteo: ognuno si assuma le proprie responsabilità e impari ad agire con dignità e coraggio. 

Il 112 e altri decreti
Mentre appare scontato che l’attenzione maggiore sia stata posta sul decreto complessivo che, articolandosi in ben 164 articoli ciascuno formato di numerosi commi, è al centro dell’attenzione generale, non si deve dimenticare che l’oggetto del nostro commento è solo un tassello (meglio, un certo blocco di tessere) di un mosaico il cui risultato finale non è ancora compiuto, anche se si delinea già con sufficiente chiarezza. 
Insieme al trasferimento verso il basso e verso la periferia (lontano da Roma: se si volesse usare uno slogan rozzo ma sintetico), complessivamente contenuto nel decreto n. 112, sono intervenute le nuove discipline sostanziali di settori che la legge di delega n. 59/1997 all’art. 4 aveva separato dal nucleo centrale. 
Così si è agito nel settore del commercio con il c.d. decreto Bersani, che ha operato nella linea della liberalizzazione (sia pur non selvaggia) del settore con l’intento di liberare energie nuove in questo ambito che si presentava per tanti versi ingessato e non qualificato ad un confronto europeo. 
Ugualmente si è intervenuti nel settore dei distributori di benzina e in quello dell’agricoltura. La disciplina separata vale specialmente per i settori dei trasporti, dei servizi e delle attività economiche e industriali. 
Parallelamente all’iniziativa nei settori economico, sociale, territoriale, ecc. dei quali il decreto si occupa, procedono infatti in questi mesi interventi nel settore del pubblico impiego (dalla contrattualistica alle incompatibilità, che vengono rafforzate) che è il vero punto dolente dell’intera materia. 
Si aprirà presto, infatti, tra gli altri, il problema se conservare, eliminare o comunque trasformare radicalmente i modi di accesso all’impiego attraverso il concorso pubblico, quale noi l’abbiamo conosciuto sin qui. 

Principi di innovazione
Un visibile sforzo di ammodernamento può essere trovato nei principi e criteri direttivi che il legislatore aveva consegnato al Governo nella legge di delega n. 59/1997 e che adesso il decreto ha svolto cercando di tradurli in norme ad immediata (?) efficacia giuridica. 
Viene anzitutto in luce il principio di sussidiarietà, secondo il quale - nella dimensione verticale, almeno - non spetta al livello di governo territorialmente superiore tutto ciò per il quale basti il livello inferiore, più vicino ai cittadini. 
Vi è poi un’applicazione della sussidiarietà di tipo orizzontale (intrasocietaria) che per la sua grande importanza e novità merita un discorso a parte. 
Ma viene anche in luce il principio di differenziazione in base al quale i soggetti destinatari dei conferimenti di funzioni le ottengono in modo differenziato in considerazione delle caratteristiche diverse degli enti riceventi; nonché il principio di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, anche al fine di rendere identificabili in un unico soggetto le responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa. 
Si aggiungono poi i più noti e consueti principi di economicità ed efficienza, nonché quello di leale cooperazione tra i diversi livelli di governo, anche in vista della partecipazione alle funzioni e attività dell’Unione Europea. 

Traduzione normativa 
Gli accennati principi hanno costituito il parametro per la stesura del decreto delegato che si muove rispettando uno schema razionale entro il quale sono state versate le diverse materie: artigianato, industria, Camere di Commercio, fiere e mercati, energia, protezione civile, ecc. 
Lo schema ha previsto per prima cosa la puntuale individuazione delle funzioni statali: cioè di quelle funzioni limitate, anzi tendenzialmente poche, che devono restare allo Stato per superiori interessi unitari e generali. 
Seguono poi le funzioni nominate e specificate che il decreto si incarica di distribuire, partitamente, a Regioni, Province, Comuni, altri enti locali (es. le Comunità montane), enti funzionali (di fatto: le Camere di Commercio) e soggetti privati. 
Segue poi la soppressione di funzioni pubbliche, che ha come conseguenza la liberalizzazione di un settore o di un’attività non più sottoposta al regime vincolistico delle autorizzazioni o licenze, ma soltanto assoggettata all’obbligo della dichiarazione di inizio di attività. 
La filosofia sottostante a quest’ultimo, assai significativo, giro di boa è che il cittadino in quanto titolare di una pur piccola porzione della sovranità la adopera esprimendo liberamente la sua iniziativa, la sua capacità di agire e la sua propensione al rischio di impresa nel campo delle attività economiche e produttive (ad esempio con l’intenzione di dar vita ad un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale, ecc.) e, da quel momento in poi, gli apparati pubblici, tra loro coordinati, dovrebbero (dovranno!) mettersi al suo servizio per facilitargli, in tutti i modi, l’iter amministrativo connesso all’esercizio dell’attività che intende avviare. 
Questa era anche l’idea di fondo che non solo sorreggeva l’istituzione dello sportello unico per le attività produttive, che in effetti è stato adottato con gli articoli 22-25 del decreto n. 112, ma che avrebbe voluto che tale competenza fosse assegnata alle Camere di Commercio, le quali apparivano l’istituzione più adeguata ad ottenere i risultati funzionalmente migliori. 
Sappiamo invece che, nell’ultima fase di approntamento del decreto, la scelta è stata spostata, più tradizionalmente, verso i Comuni: il che potrebbe risultare sul piano pratico meno vantaggioso e più faticoso, quanto ai risultati da raggiungere. 
Ma si possono capire le motivazioni politiche di una scelta di questo tipo improntata alla gradualità e al realismo. 
Da ultimo, sempre in tema di fasi di realizzazione progressiva inserite nel decreto, vanno annoverate la semplificazione amministrativa, il riordino e la soppressione delle strutture che si sono palesate superflue, l’indicazione specifica delle abrogazioni normative consequenziali al decreto, e - dulcis in fundo - il trasferimento di beni, risorse e personale. 
Va precisato che lo schema è ripetuto e osservato in tutti i settori in cui si articola il decreto di cui parliamo, per un complesso di 21 sezioni che spaziano dall’artigianato alla polizia amministrativa regionale e locale, passando per le attività produttive, le risorse idriche, la difesa del suolo, le opere pubbliche, il turismo, la protezione civile, la sanità, i beni culturali, ecc. 
Non è il caso di usare proposizioni enfatiche troppe volte proclamate di fronte a riforme istituzionali pur solennemente annunciate, ma è vero che finalmente, qualcosa si è mosso e, sembra di poter dire, nella giusta direzione.