Impresa
& Stato n°43
Costruire le istituzioni:
un'intervista immaginaria a Leopoldo Sabbatini
di
Marzio A. Romani
Per una prosopografia
dei dirigenti della Camera di Commercio di Milano:
la "testimonianza"
di una figura chiave a cavallo tra fine '800 e primo '900.
Nell'affidare
a Marzio Romani il compito di realizzare la biografia di Sabbatini, il
Centro sulla storia dell'impresa e dell'innovazione ha inteso avviare la
realizzazione di un piano sistemico di ricerche sulle principali personalità
del mondo camerale milanese dall'Ottocento ai nostri giorni.
A questa prima, altre
seguiranno sulle figure del segretario Michele Battaglia, del vice segretario
Federico Guasti, dei presidenti Angelo Villa-Pernice, Giulio Bellinzaghi,
Angelo Salmoiraghi, Ugo Pisa, Ernesto De Angeli, Carlo Tarlarini e altri.
Lo scopo è quello
di utilizzare l'esperienza della Camera di Commercio per fornire un contributo
metodologico innovativo alla storia del sistema imprenditoriale locale
- ma anche italiano - la cui complessità non può ridursi
alla sommatoria delle biografie dei più importanti imprenditori
milanesi.
L'elemento di originalità
che rende unico l'ambiente camerale per il perseguimento del progetto scientifico
enunciato è dato dal suo posizionamento naturale tra impresa e stato,
tra rappresentanza degli interessi e pubblica amministrazione. Ciò
ha consentito che, per un periodo insolitamente lungo per la storia del
nostro paese (poco più di due secoli), si sia radicato all'interno
dell'istituto una leadership - imprenditori, Segretario Generale, funzionari
- usa alla commistione tra i due mondi e deputata a trarre da questa i
fili di una politica degli interessi che fosse ad un tempo manifesta, compatibile
con il sistema normativo statuale, condivisa dal consenso dei rappresentati
attraverso la verifica della sanzione elettorale.
Non è esperienza
di poco conto in un paese che storicamente ha visto la dinamica degli interessi
incontrarsi con i meccanismi della politica per vie tortuose e poco rischiarate
dal controllo dell'opinione pubblica, con effetti di periodica destabilizzazione
sull'ordinamento statuale.
Le Camere di Commercio
- insieme a pochissime altre istituzioni - ha costituito un laboratorio
di formazione di una politica degli interessi palesi ma, al tempo stesso,
di una classe dirigente caratterizzata dalla mescolanza di competenze imprenditoriali
e politico-amministrative la cui rilevanza è sfuggita per molto
tempo all'attenzione degli studiosi e, spesso, dell'opinione pubblica.
D'altro lato, ove la sensibilità percettiva fosse improntata - e
per molto tempo lo è stata per via di una debole visione culturale
- a criteri di specializzazione e di eccellenza settoriale, personaggi
non riconducibili al solo profilo imprenditoriale o al solo profilo politico
difficilmente avrebbero potuto divenire oggetto di osservazione.
Oggi, all'opposto, una
più matura visione, alimentata dalla consapevolezza che i processi
di modernizzazione discendono dalla molteplicità dei punti di incontro
tra società e stato, porta a guardare con altri occhi e con altra
attenzione a questi grandi mediatori sociali, a questi personaggi che svolsero
una funzione di cerniera tra istituzioni, gruppi sociali, interessi organizzati.
Costruttori di istituzioni
come Leopoldo Sabbatini devono essere posti al centro della riflessione
scientifica ma anche di una più vasta e attuale consapevolezza sociale:
è oggi infatti dinanzi agli occhi di tutti che le società
complesse nelle quali noi viviamo, caratterizzate come sono dalla presenza
e dallo scontro di interessi corporativi rispondenti a logiche monodimensionali,
abbisognano, per funzionare correttamente, di una diffusa presenza di amministratori
"a più dimensioni", educati alla logica del dialogo e dell'incontro
degli interessi.
La Camera di Commercio
ne è stata fucina istituzionale nel passato e il ritorno a una più
diretta relazione con il corpo dei rappresentati non potrà, nel
futuro, che favorire la continuità di una tradizione.
Giuseppe
Paletta
Leopoldo
Sabbatini ha occupato un posto importante nella storia dell'economia e
della cultura milanese e nazionale: alla guida della Camera di Commercio
dal 1888 al 1907, dell'Università Bocconi dal 1902 al 1914 e dell'Unione
delle Camere di Commercio Italiane dalle origini sino al 1912, egli ha
dato un apporto determinante alla crescita e all'affermazione di queste
istituzioni. La sua vicenda umana e professionale di 'costruttore di istituzioni'
ne spiega e ne giustifica questa sorta di intervista postuma che dà
conto, come ha scritto Piero Bassetti nella Presentazione della biografia
di Sabbatini (M.A. Romani, Costruire le istituzioni. Leopoldo Sabbatini
1860-1914), di come, all'inizio del secolo, una ristretta élite
di operatori economici ambrosiani seppe operare al fine di trasformare
la Milano commerciale nel principale centro industriale del Paese e seppe
dotarla di nuove istituzioni capaci di rappresentare gli interessi e le
funzioni sociali che lo sviluppo economico andava man mano generando.
Int.: Ci dica della sua
infanzia e della sua giovinezza.
S.: Nacqui a Camerino il
14 luglio 1861, secondogenito di Eugenio e di Silvia Piermarini. Mio padre,
ardente patriota, aveva trascorso la sua giovinezza a tramare per l'unità
d'Italia, partecipando ai moti risorgimentali e pagando il suo patriottismo
con l'esilio e con il carcere. Mio padre ci trasmise un sincero amor di
patria e seppe darci un'educazione laica e radicale, ispirata agli ideali
di giustizia e di progresso civile che avevano connotato le sue scelte
giovanili. Ideali a quali non sarei mai venuto meno.
A Camerino completai gli
studi liceali, conseguendo la maturità classica senza distinguermi
particolarmente e da lì mi trasferii a Pisa, dove mi iscrissi alla
facoltà di giurisprudenza e dove mi innamorai di una ragazza di
qualche anno più anziana di me, che sposai nel 1880 e che, in quell'anno,
mi rese padre del mio unico figlio.
Int: Cambiò la sua vita dopo il trasferimento a Pisa e il matrimonio?
S.: Quelli furono anni di
studio e impegno fecondo. Ottenni lusinghieri risultati negli esami e trovai
pure il tempo di impegnare il tempo libero in attività sociali,
interessandomi ai problemi della educazione per adulti, arrivando a fondare
una Società fra gli studenti universitari col fine di organizzare
corsi serali per operai e impiegati. Avevo inoltre una grande passione
per lo studio delle lingue e questo mi spinse ad approfondire per mio conto
il francese e il tedesco, che arrivai a padroneggiare più che discretamente.
Mi laureai nel 1883 con
una tesi in diritto commerciale e venni immediatamente assunto in un importante
studio legale cittadino. Nel frattempo continuavo lo studio del diritto
commerciale, arrivando a pubblicare alcuni articoli su importanti riviste
nazionali.
Int.: Chi la spinse ad abbandonare
Pisa per Milano?
S.: Debbo ammettere che
Pisa mi stava stretta e che sognavo ben altro che la professione forense;
per cui, quando - in questo momento non riesco a ricordare chi - mi informarono
che la Camera di Commercio di Milano aveva bandito un concorso per vice
segretario, provvidi immediatamente a inviare la domanda di partecipazione
allo stesso.
Int.: Come mai ebbe la ventura
di vincere il concorso alla Camera di Commercio?
S.: Le confesso che ne sono
ancora stupito: la retribuzione era buona, il posto prestigioso per un
giovane laureato, i candidati quindi non mancavano. I miei titoli erano
ottimi, ma altri potevano vantare non dissimili benemerenze. A mio svantaggio
giocava inoltre il fatto che io abitavo a Pisa; mentre a mio favore andavano,
credo, le entusiastiche referenze che la Camera ricevette dai miei datori
di lavoro e gli ottimi risultati di una indagine fatta svolgere in loco
sul mio conto.
La fortuna mi fu favorevole;
così che, ai primi di marzo dell'85, potei trasferirmi a Milano,
con uno stipendio di 3000 lire annue.
Int.: Ebbe problemi ad inserirsi
nella nuova città e nel nuovo ambiente di lavoro?
S.: La Milano di quegli
anni era una città vivacissima; una città nella quale sviluppo
economico e passione civile avevano posto il momento economico al centro,
non solo delle riflessioni, ma anche dell'azione. La stessa dialettica
delle forze in campo si traduceva in una larga partecipazione dei gruppi
sociali alla gestione della cosa pubblica, in un interesse generale per
la valorizzazione delle capacità professionali dei singoli e per
la crescita culturale e civile dell'intera società. Si trattava
di un'atmosfera sociale e politica che impregnava anche l'ente camerale,
frequentato da imprenditori nei quali capacità innovative, impegno
civile e progettualità generale risultavano strettamente avvinti;
un'atmosfera che mi risultò subito congeniale e mi spinse a dare
il meglio di me stesso e a gettarmi a capofitto nel lavoro, ricevendo in
cambio la stima generale e incarichi sempre più importanti.
La sfida più difficile
fu quella, propostami all'inizio degli anni '90 dal presidente Perelli
Paradisi, di predisporre una statistica delle 'forze industriali e commerciali'
del distretto milanese. Si trattava di un'impresa che invano, in passato,
la Camera aveva tentato di realizzare a causa della diffidenza degli imprenditori,
che temevano che l'inchiesta nascondesse qualche trappola di tipo fiscale.
La sfida fu, in realtà,
vinta in poco meno di due anni. Il mondo economico milanese aveva saputo
apprezzare la mia efficienza e la mia riservatezza ed aveva risposto senza
riserve ai miei questionari, fidando delle garanzie di segretezza che avevo
fornito. I dati ottenuti, discussi in una burrascosa seduta dell'ente camerale,
avrebbero ottenuto generali consensi e lo stesso Luigi Bodio, che in quel
momento dirigeva l'Istituto centrale di statistica, si sarebbe offerto
di concorrere alle spese per la stampa degli stessi.
I risultati dell'indagine
sarebbero stati pubblicati l'anno dopo con il titolo "Notizie sulle condizioni
industriali della provincia di Milano" e il volume sarebbe divenuto documento
fondamentale per quanti desiderassero approfondire la conoscenza dell'economia
milanese a fine secolo.
Int.: L'incontro con Ferdinando
Bocconi rappresentò certamente un'importante tappa della sua vita
professionale. Come spiegare che il fondatore dei grandi magazzini 'Alle
città d'Italia' affidò proprio a lei il compito di pensare
l'istituzione universitaria che avrebbe dedicata alla memoria del figlio
Luigi, scomparso nel '96 nel corso della battaglia di Adua?
S.: Il caso giuocò
probabilmente un ruolo non marginale. Gli impegni camerali non avevano
fatto venir meno il mio interesse ai problemi e ai processi educativi,
acquisito durante il soggiorno pisano. Nel tempo libero collaboravo con
Antonio Maffi nella gestione delle Scuole popolari per adulti di ambo i
sessi, volute nel 1875 dal Consolato delle associazioni operaie d'arti
e mestieri. Delle stesse, all'inizio degli anni '90, avrei assunto la direzione,
portandole ad un successo mai conosciuto in passato.
Ferdinando Bocconi mi fu
presentato dal fratello, che da un decennio faceva parte della giunta camerale.
L'uomo d'affari milanese, abbandonata l'idea di creare una Scuola superiore
di commercio presso il Politecnico, come gli era stato suggerito da Ernesto
De Angeli e da Giuseppe Colombo, aveva apprezzato il mio consiglio di dar
vita ad una vera e propria Università commerciale, con un ordinamento
radicalmente nuovo. Nell'ipotesi che presentai a Bocconi, la scienza economica
avrebbe dovuto essere la disciplina chiave, permeare di sé l'intero
ciclo di studi e fornire ai 'commercianti' gli strumenti atti alla comprensione
di un mondo economico ormai indominabile dalla semplice esperienza. La
proposta piacque talmente all'uomo d'affari milanese, da indurlo a realizzare,
sempre con il mio aiuto, nel breve spazio di due anni, l'Università
commerciale 'Luigi Bocconi'.
Int.: Non è difficile
pensare che lo sforzo richiesto per immaginare e costruire l'Università
Bocconi la inducessero a trascurare la vita camerale.
S.: Al contrario, come le
dissi in precedenza, le sfide mi appassionavano a tal punto da moltiplicare
le mie capacità lavorative. La Camera di Commercio non fu certo
trascurata. Con la complicità, anche in questo caso, di un grande
imprenditore, Angelo Salmoiraghi, che da poco ne aveva assunta la presidenza,
fui spinto a sviluppare un'idea lanciata dalle Camere di Commercio di Ancona
e Vicenza di dar vita ad una sorta di 'parlamento economico' che, ponendosi
accanto al parlamento politico, desse voce e rappresentanza alle categorie
produttive dell'intero Paese. L'idea trovò l'entusiastica approvazione
dei vari enti camerali, i cui rappresentanti, riuniti a Milano il 7 giugno
1901, approvarono il mio progetto di integrare le Camere italiane in un'unica
rete associativa. La neonata Unione fra le Camere di Commercio italiane
avrebbe avuto come primo presidente Angelo Salmoiraghi e come primo segretario
Leopoldo Sabbatini.
Int.: Segretario della Camera
di Commercio di Milano e dell'Unioncamere, con sede in Roma, e presidente
e rettore dell'Università Bocconi, come riuscì a conciliare
attività così diverse?
S.: Non le nascondo che
non fu cosa facile; mi costava soprattutto la trasferta a Roma. A Milano
invece avevo saputo circondarmi di collaboratori di prima qualità,
ai quali delegavo l'ordinaria amministrazione, riservandomi le decisioni
strategiche. Alla Bocconi poi avevo assunto un giovane laureato in giurisprudenza,
Girolamo Palazzina, strappandolo alla Camera di Commercio di Brescia, della
quale era vice segretario. Palazzina si appassionò talmente al lavoro
che gli avevo affidato da farne una missione, da rinunziare persino a farsi
una famiglia per seguire l'Università; prendendone di fatto le redini
alla mia morte e tenendole per più di mezzo secolo.
Int.: La sua fu una carriera
esemplare; nell'arco di pochi anni lei riuscì a raggiungere traguardi
invidiabili, passando da un successo all'altro. Possiamo dire quindi che
lei non conobbe insuccessi o fallimenti?
S.:Diversi furono gli episodi
che mi procurarono particolare amarezza o brucianti delusioni. Il primo
fu il duro e ingiustificato attacco che, nel '92, Alberto Riva condusse
in seno alla giunta camerale alla mia inchiesta sulle condizione dell'industria
milanese, accusandola di non offrire sufficienti garanzie di affidabilità.
Riva, probabilmente, non sopportava l'idea che i risultati da me ottenuti
rendessero obsoleta la Statistica al 30 giugno 1891 delle caldaie dei motori
a vapore, a gas, elettrici e idraulici del distretto di Milano, da lui
realizzata assieme a Federico Guasati, vice segretario camerale. Alla fine
ebbi partita vinta; l'intera giunta si schierò a mio favore e Riva
fu costretto alle dimissioni; ma l'episodio fu tutt'altro che piacevole.
Int.: Anche il suo tentativo
di entrare in politica, presentandosi quale candidato dei democratici nel
collegio di Camerino alle elezioni del 1909, non ebbe successo.
S.: Così fu, in effetti;
ma quella era una battaglia persa in partenza. Il mio avversario, rappresentante
dei conservatori, era già stato eletto nelle due precedenti legislature
e disponeva nella zona di una vastissima rete clientelare che ben difficilmente
avrebbe potuto essere smantellata. Ad ogni buon conto mi gettai nell'agone
con l'entusiasmo di sempre e, in una serrata campagna elettorale, seppi
coinvolgere forze politiche differenti facendomi portatore di quegli ideali
di libertà e democrazia che mio padre mi aveva insegnato. Ebbi un
grande successo nel capoluogo e nei centri maggiori, ma non riuscii a far
arrivare il mio messaggio nel contado. Il mio avversario prevalse di stretta
misura. Ad ogni buon conto, l'amarezza della sconfitta venne temperata
dalle grandi manifestazioni di amicizia e di solidarietà che mi
vennero tributate in tutto il Paese e mi fecero comprendere da quale stima
e da quanti amici fossi circondato.
Int.: Come spiegare le dimissioni
date nel 1912 da segretario generale dell'Unione?
S.: I motivi furono diversi.
Da una parte gli impegni alla Bocconi erano diventati sempre maggiori.
La morte di Ferdinando Bocconi aveva fatto ricadere sulle mie spalle la
gestione dell'intera Università commerciale, della quale ero nel
contempo rettore e presidente, e l'interesse per i problemi di quella istituzione
culturale in rapida crescita facevano sempre più premio su quelli
dell'Unione delle Camere di Commercio che invece stentava a decollare.
Ad ogni buon conto non si trattò di una rottura traumatica, ma di
una separazione consenziente; prova ne sia che non abbandonai del tutto
l'ente, conservando le funzioni di consulente della presidenza.
E fu proprio provenendo
da Roma, in un luminoso mattino di giugno del 1914, che la morte improvvisamente
mi colse ponendo fine ai miei progetti e ai miei sogni e a quanto stavo
facendo per far crescere ulteriormente la mia Università. Progetti
e sogni che, in ogni caso, sarebbero stati interrotti dalla 'grande guerra'...
Ma il seme era stato gettato.
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