Impresa
& Stato n°43
Quando la memoria dell'impresa
diventa un museo
di
Monica Amari
Le aziende stanno
maturando la consapevolezza che si tratta
di un metodo per
guadagnare non solo in visibilità,
ma anche in prestigio
storico e culturale.
Il
volume di Monica Amari, I musei delle aziende. La cultura della tecnica
tra arte e storia, pubblicato lo scorso anno dalla Franco Angeli, è
stato recentemente presentato nel corso di un seminario cui hanno partecipato
il presidente della Camera di Commercio Carlo Sangalli, il Presidente del
Centro sulla Storia dell'Impresa e dell'Innovazione Giulio Sapelli, unitamente
a rappresentanti degli enti locali e delle organizzazioni di rappresentanza
degli interessi.
L'attenzione che il Centro
sulla Storia dell'Impresa e dell'Innovazione ha dedicato al tema dei musei
aziendali, sia attraverso questa iniziativa, sia organizzando il primo
corso nazionale per operatore di museo aziendale nell'ambito dei corsi
del Fondo sociale europeo, nasce dalla riflessione che le imprese non costituiscono
unicamente soggetti di mobilitazione delle risorse economiche, ma sono
anche protagoniste del cambiamento sociale, della modernizzazione culturale,
della riorganizzazione urbanistica della città e dello sviluppo
della ricerca scientifica. Gran parte della cultura materiale della nostra
epoca non è prodotta dalle grandi istituzioni culturali ed educative,
ma si forma all'interno delle imprese dalla quotidianità del loro
operare.
Le collezioni dei prodotti
della piccola impresa artigianale, così come i disegni tecnici dei
centri di progettazione della grande impresa meccanica o il campionario
conservato con cura dall'impresa commerciale, rappresentano di fatto le
testimonianze più vive di una cultura materiale che muove dall'attività
economica ma che si carica di valenze generali che la superano.
I musei aziendali si
sono dimostrati uno strumento di grande importanza per la tutela ma anche
per la comunicazione di un complesso così variegato e interessante
di testimonianze storiche. Sono luoghi nei quali l'impresa rivive la sua
storia ma comunica anche le sue prospettive per il futuro, i cambiamenti
a cui la sfida dello sviluppo la sottopone quotidianamente.
Esistono le condizioni
per pensare a programmi diversificati che abbiano come destinatari primi
le aziende in sofferenza - più esposte al rischio di cancellazione
della memoria - e, più in generale, le imprese che rappresentano
i capisaldi della cultura produttiva.
La Camera di Commercio
può svolgere un ruolo di proposta e di incentivazione - ma anche
di supporto attraverso strutture come il Centro sulla Storia dell'Impresa
e dell'Innovazione - perché nell'impresa cresca la sensibilità
alla valorizzazione di queste grandi risorse e nelle istituzioni la concreta
disponibilità a predisporre gli strumenti necessari alla salvaguardia
di un patrimonio finalmente riconosciuto come collettivo.
Programmi per la formazione
professionale degli operatori dei musei aziendali e degli archivisti delle
imprese, censimenti dei monumenti industriali, incentivazioni alle imprese
che si distinguano per la continuità e la cura nell'impegno di valorizzazione,
sono attività che la Camera sta già svolgendo direttamente
e in collaborazione con lo stesso Centro.
Nel futuro, attraverso
una più intensa collaborazione con le istituzioni territoriali e
l'associazionismo d'impresa, l'obiettivo può essere quello di un
inserimento dei musei aziendali nei circuiti del turismo culturale e associativo
come pure nelle reti di comunicazione della cultura imprenditoriale a livello
europeo.
Massimo
Negri
Giuseppe
Paletta
Potrebbe
sembrare un controsenso per un'industria occuparsi di memoria. Pensata
e voluta da uomini proiettati verso il futuro, un'azienda che nasce non
si pone il problema del passato, sa che le scommesse che deve vincere sono
da giocare sul tavolo del presente.
Altri, non meglio identificati,
saranno quelli che si occuperanno di riannodare i fili del ricordo, in
una trama che riuscirà come d'incanto a ricomporsi senza strappi,
conservando il disegno delle ambizioni, dei sogni, delle realizzazioni
di un'idea.
Ma spesso questo non accade
e sono molte le imprese che, quando si voltano indietro per osservare il
percorso compiuto, sono costrette ad accorgersi di aver perso le tracce
della propria memoria storica e di aver permesso al tempo e all'incuria
degli uomini di distruggere le testimonianze di quanto avevano intuito,
creato e realizzato.
Da pochi anni, però,
questo atteggiamento da parte delle imprese è cambiato: complice
il tempo, che in questo caso costringe a storicizzare e a ricordare che
l'avventura della nostra industria, iniziata ormai oltre cento anni fa,
non è più patrimonio del singolo, ma dell'intera collettività
e, in modo particolare, delle nuove generazioni. Sono loro a chiedere di
conoscere, studiare e poter ricavare non solo delle suggestioni ma suggerimenti
e intuizioni per il presente, rifacendosi al percorso intellettuale e produttivo
del passato.
Così alcune aziende,
acquisita questa consapevolezza, hanno cominciato a preoccuparsi, soprattutto
nell'ultimo decennio, di conservare e riordinare il ricordo, inventariando
i propri archivi, recuperando i macchinari per la produzione, catalogando
e scegliendo gli oggetti che hanno segnato nel tempo le fasi della propria
attività. Questa attenzione ha portato in molti casi alla nascita
di collezioni, in altri di un vero e proprio museo: situazioni da non confondere
con l'archivio il quale, per definizione, raccoglie esclusivamente documenti
ufficiali, come suggerisce l'etimo stesso della parola d'origine greca
- arché - che significa comando.
Le raccolte aziendali, invece,
mettono insieme soprattutto gli oggetti e il materiale attinenti all'azienda
privi dell'ufficialità tipica dell'archivio e dunque più
soggetti all'oblio. Il museo d'impresa nasce quando il rapporto con il
pubblico diventa dichiarato e l'azienda, decidendo di perseguire obiettivi
specifici come la sua rappresentazione storica e la trasmissione della
cultura industriale, offre uno stanziamento adeguato alla copertura dei
costi di gestione, uno spazio fisico adatto alla raccolta, un personale
qualificato e l'organizzazione di attività relative alla comunicazione.
Il più delle volte
l'azienda opta per una collezione aziendale, conservando materiali che
possono essere testimonianza della produzione e della vita dell'impresa
in sale di rappresentanza o comunque in situazioni che sottolineano un'idea
di rappresentatività. Gli oggetti in questo caso non sempre sono
ordinati e inventariati secondo un criterio scientifico, non vengono considerati
generalmente un valore patrimoniale per l'azienda e non sono fruibili da
persone estranee.
Spesso la collezione rimane
il punto di partenza per una futura struttura museale. Il rapporto infatti
tra collezione e museo aziendale appare molto più stretto di quanto
possa risultare da una prima analisi sommaria. Capita che la decisione
di progettare e allestire un museo permanente abbia origine in seguito
al successo, riscosso presso l'opinione pubblica, di mostre temporanee
relative alle collezioni storiche dell'azienda, mostre che vengono inizialmente
concepite e organizzate come momento promozionale di una o più aziende
coinvolte.
Non bisogna, inoltre, confondere
il concetto di collezione o museo aziendale con quello più generico
di «collezione d'arte», in genere di proprietà esclusiva
del proprietario, la quale, pur potendo trovare ospitalità nei locali
dell'azienda, diventa espressione di gusti e tendenze artistiche personali
e non rappresenta di certo l'evoluzione e il racconto dell'impresa.
UN'ORIGINE IDEALISTICA
L'origine prevalentemente
idealistica della nostra cultura museologica ha fatto sì che il
museo continui a venir considerato solo come un insieme di oggetti da conservare,
sottovalutando o non tenendo in nessun conto il rapporto con il pubblico.
Appare al contrario evidente che una visione didattica è di fondamentale
importanza per raggiungere gli obiettivi, essenzialmente di comunicazione,
che l'azienda si prefigge quando decide di creare un museo aziendale.
A monte, infatti, del cambiamento
operato dalle aziende in questi anni riguardo la tutela della propria memoria,
vi è il fatto che le aziende hanno cominciato, alla fine degli anni
settanta, a considerare la comunicazione quale fattore critico del successo
dell'impresa moderna.
Se l'ottica di marketing,
protagonista indiscussa della filosofia aziendale dagli anni del dopoguerra
fino agli ultimi anni sessanta, si rivolgeva al consumatore con lo scopo
di soddisfarne i bisogni nel perseguimento del profitto, con l'ottica di
comunicazione l'azienda va oltre nel tentativo di modificare gli atteggiamenti
del pubblico e di influenzarne i comportamenti a proprio beneficio.
Per farlo non si pone solo
obiettivi commerciali ma dichiara di perseguire - e qui vi è un
elemento di novità - fini prettamente comunicativi, identificabili
nel rafforzamento della notorietà, dell'immagine, dell'affidabilità,
tutti elementi considerati valori.
In quest'ipotesi il museo
aziendale crea e diffonde valore, nella sua accezione indoeuropea - wal
- che significa forza, potenza. È dunque un modo per l'azienda di
differenziarsi, di acquisire non solo maggiore visibilità ma un
maggiore prestigio, inteso come espressione della forza da un punto di
vista morale. Il valore diffuso dal museo aziendale contribuisce a migliorare
l'immagine delle aziende e le sue relazioni con l'ambiente esterno, attraverso
azioni finalizzate ad essere rese percepibili dal pubblico.
CONDIVIDERE DEI
VALORI
Decidere, perciò,
per un'azienda di valorizzare se stessa dando vita a collezioni e musei
in grado di testimoniare la memoria storica dell'impresa, significa condividere,
rendendone partecipe la società, valori di natura culturale, storica
e artistica, in quanto l'impresa si pone la finalità di conservare
un patrimonio culturale da lei creato e di trasmetterlo alla società.
Ma non solo.
Il museo si può configurare
per il management dell'azienda come un mezzo aggiuntivo ai canali classici
della strategia di comunicazione e può servire nel differenziare
gli strumenti della politica di comunicazione rispetto alla concorrenza;
contattare particolari segmenti di pubblico; informare l'opinione pubblica
sulla storia, sull'evoluzione e sulle attività dell'azienda, aumentandone
il riconoscimento a livello sociale.
Ma per ottenere questi risultati
è chiaro che devono essere adottati anche una serie di comportamenti
aziendali che non possono prescindere dalla constatazione che la programmazione
culturale richiede una gestione analoga a quella della produzione industriale
e cioè programmazione, marketing, strutture, infrastrutture, personale
qualificato, ecc.
Questa considerazione assume
una dimensione ancora più complessa se si evidenza che si sta parlando
in questo specifico ambito in una logica di attività di servizi.
Infatti la produzione culturale, oltre ad assumere le valenze di comunicazione
necessarie a uno sviluppo strategico dell'azienda, è anche un servizio,
in quanto nasce come risposta a "bisogni e desideri impliciti ed espliciti
del cliente".
Dunque il museo aziendale
può essere considerato come una possibilità reale per le
aziende di fare quadrare il cerchio: operare in un settore produttivo,
in una legittima logica di profitto, non tralasciando un'attività
di servizio. Ecco allora che l'attenzione per la conservazione del patrimonio
aziendale permetterebbe alle due dimensioni - settore produttivo e attività
di servizi- di integrarsi in modo coerente.
Infatti, nella gestione
di un qualsiasi servizio non si può prescindere dal fatto che il
destinatario è coproduttore del servizio, che il giudizio sul servizio
può essere formulato solo da chi lo riceve, che nel generare il
giudizio entrano in gioco altre componenti oltre a quella meramente tecnica
e, infine, che la comunicazione è l'elemento che mette in sintonia
gli operatori fra di loro e con il cliente.
Il museo aziendale - o comunque,
in senso più lato, un'attenzione verso il patrimonio storico aziendale
da parte delle imprese - fa entrare in gioco queste dinamiche.
Dinamiche che, a differenza
del resto d'Europa, nel nostro paese cominciano solo adesso ad essere studiate,
conosciute e applicate. Questo ritardo è dovuto a responsabilità
oggettive delle imprese, le quali solo oggi si rendono finalmente conto
che la rappresentazione della memoria, non solo storica ma spesso anche
estetica, del secolo che sta per concludersi l'hanno prodotta loro. Tocca
a loro, come è toccato ai sovrani nel tempo in cui sono stati prodotti
i nostri capolavori artistici, tutelarla. Ma il ritardo nell'affrontare
e realizzare il museo d'impresa è dovuto anche a un clima ideologico
di stampo crociano prima e gentiliano poi, che non ha permesso ai prodotti
della nostra storia industriale di essere letti come espressione del gusto,
della sensibilità, dell'arte di un'epoca.
Riconoscerlo significa che
bisogna occuparsi anche della formazione di coloro i quali dovranno, all'intero
delle aziende, selezionare, catalogare, valorizzare questo immenso patrimonio,
fatto non solo di oggetti ma di idee, di convinzioni morali, di pregiudizi
e di intuizioni. L'Unesco, inserendo l'insediamento industriale di Crespi
d'Adda nell'"Elenco del patrimonio mondiale", ha espresso una priorità
riguardo all'urgenza del recupero del patrimonio industriale. Tocca adesso
alle imprese, le quali potranno senz'altro esse aiutate dalle istituzioni,
non fare scomparire il ricordo di un segmento della nostra civiltà.
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