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Impresa & Stato n°43 

 

DECENTRAMENTO E MODERNIZZAZIONE DEL SISTEMA AMMINISTRATIVO

di
GIORGIO PASTORI

Due strade prima separate diventano due tendenze con un senso unitario,
che mutuano il proprio significato l'una all'altra.

L'attuale stagione di riforme amministrative è caratterizzata dalla duplice contemporanea tendenza al decentramento e alla modernizzazione. Ciò è ben espresso dalle due leggi che prendono il nome dal Ministro Bassanini: la prima, la n. 59/97, intitolata al conferimento delle funzioni amministrative dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in senso ampio al decentramento; la seconda, la n. 127 del 1997, intitolata allo snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo, in generale appunto alla modernizzazione.
Si tratta di due tendenze che in passato si sono susseguite in maniera separata l'una dall'altra, mentre oggi invece vanno di pari passo e appaiono anzi come un'unica linea di riforma. 
Ove si guardi all'insieme delle due leggi, nonché alle riforme che dovrebbero seguirle (le riforme costituzionali sulla base delle proposte dell'apposita Commissione bicamerale), è agevole constatare infatti come decentramento e modernizzazione si intreccino l'un l'altro e la modernizzazione condizioni anzi il decentramento.
Il legislatore si propone non solo di cambiare con il decentramento chi amministra, ma anche di cambiare il modo, il come si amministra. 
E perché questo? Perché in realtà decentrare e modernizzare, cambiare il chi amministra e il come si amministra, sono nient'altro che le due facce di un mutamento ancor più di fondo che dal 1990, dalla legge n. 241/1990 in poi, sta avvenendo e che riguarda in primo luogo il perché, il fine dell'amministrazione, ciò verso cui si deve considerare indirizzata e ordinata l'azione amministrativa pubblica.
Si tratta del dato di fondo, unificante, che dà il senso dell'attuale stagione di riforme e che si riflette poi nel decentramento e nella modernizzazione del sistema.
Come è noto, l'amministrazione si colloca al crocevia del rapporto fra chi governa e chi è governato, fra governo e società, è strumento e prolungamento dell'azione di governo e, insieme, mezzo per l'organizzazione e il funzionamento della vita individuale e collettiva, della società.
Entro tale rapporto, che di per sé è sempre in equilibrio precario, l'amministrazione italiana, nonostante i principi affermati nella Costituzione, di cui si celebra quest'anno il cinquantennio, ha continuato ad essere eminentemente concepita come strumento e prolungamento dell'azione di governo, momento del governo sulla società. Di qui il permanere di un'organizzazione amministrativa sostanzialmente centralizzata, lontana dai cittadini e dipendente dalle istituzioni di governo, di un funzionamento dell'amministrazione a carattere autoritativo e unilaterale, nonché di una tutela nei confronti dell'amministrazione ripartita e dimezzata.
Ora il mutamento di prospettiva, che si ricava dalle iniziative di riforma dell'attuale stagione, è dato, nella sua essenzialità e, se è consentito, nella sua banalità, dall'affermarsi dell'idea che l'amministrazione debba essere anche (principalmente, se non solo) strumento per l'organizzazione e il funzionamento della vita individuale e collettiva, strumento e funzione per la società governata: che l'amministrazione si qualifichi anche e principalmente come servizio alla società. 
In tale prospettiva le due strade, prima separate, del decentramento e della modernizzazione trovano allora un senso unitario. E ciascuna trova un suo diverso e più pregnante significato, l'una mutuandolo dall'altra. Ci si trova infatti di fronte ad un mutamento di sistema.

DECENTRARE LE FUNZIONI
Che cosa è o diventa il decentramento in tale prospettiva ? Allorché si pensa all'amministrazione in funzione della società, viene certo immediatamente in rilievo l'esigenza di devolvere e distribuire le funzioni fra le diverse istituzioni pubbliche, in modo da avvicinare l'amministrazione ai cittadini e trasformare l'amministrazione da lontana in prossima.
Ma ancor prima si pone un'altra esigenza: quella di valutare se, invece che le istituzioni pubbliche, non possa essere la società, non debbano essere i cittadini singoli e associati, a esercitare date funzioni amministrative. E ancor più comprensivamente si pone l'esigenza di verificare se tutte le funzioni ora previste dalle leggi servano ancora o non siano ormai superflue e debbano invece scomparire.
Si viene a porre in breve una domanda generale: se e come l'amministrazione possa essere utile alla società, affinché essa non costituisca un vincolo, talora inutile e dannoso, come spesso è sentita, e ridiventi invece una risorsa, un'opportunità per conseguire i risultati che ci si attende nella vita economico-sociale.
Per conseguenza, decentrare le funzioni significa oggi prima di tutto porre "sotto scrutinio" le funzioni, distribuirle poi fra istituzioni pubbliche e società, e infine anche decentrarle: significa in breve riordinarle al fine di realizzare un diverso equilibrio, un diverso confine fra amministrazione e società. 
Tutto ciò si riassume, come è noto, nell'affermazione, in tutte le iniziative di riforma, di un principio fondamentale: quello di sussidiarietà. Che cosa significa d'altronde il principio di sussidiarietà se non affermare che l'amministrazione pubblica ci deve essere nella misura in cui e solo nella misura in cui costituisca un sussidio, una risorsa per la società?
Ora, le riforme in corso mostrano di voler realizzare questo principio sotto il triplice profilo adombrato. In primo luogo, si assiste alla riduzione delle funzioni amministrative o, meglio, dal punto di vista della società, alla liberalizzazione dalle funzioni. Ciò è fra l'altro coerente con l'esigenza di riaprire spazi al dispiegarsi del mercato e della concorrenza in conformità ai principi comunitari europei. In secondo luogo, si assiste alla previsione di forme di societarizzazione (o socializzazione) delle funzioni, sia nella L. n. 59 cit. sia nelle proposte della Bicamerale (art. 56), secondo quella che si suole denominare sussidiarietà 'orizzontale'. In terzo luogo, si prevede il conferimento delle funzioni secondo le regole della maggior prossimità delle funzioni ai cittadini compatibile con l'esercizio efficace ed efficiente delle stesse, ovvero la localizzazione delle funzioni secondo quella che si suole denominare sussidiarietà 'verticale'.
Non è possibile in questa sede illustrare partitamente i principi e i criteri direttivi del conferimento. Va tuttavia menzionato come il conferimento delle funzioni amministrative previsto dalla legge n. 59 è il più ampio previsto finora dal legislatore, date le materie interessate e il criterio di riparto adottato. Sono escluse dal conferimento solo le materie tassativamente enumerate all'art. 1 della legge, per le quali restano riservate le funzioni allo Stato. Per tutte le restanti materie (salvi anche al riguardo i c.d. compiti di rilievo nazionale da mantenere allo Stato) le funzioni devono essere attribuite agli enti locali e alle Regioni partendo dalla istituzione più prossima ai cittadini, il Comune, e risalendo poi, dal basso verso l'alto, ai Comuni associati, alle Comunità montane, alle Province, alle Regioni secondo la dimensione idonea.
Viene così superato il criterio tradizionale di riparto delle funzioni secondo la graduazione degli interessi e affermato il criterio della dimensione idonea all'esercizio di ciascuna funzione, appunto secondo la loro 'localizzabilità'. 
A ciò si ricollega poi naturalmente la previsione che a diversità di dimensione degli enti, pur della stessa connotazione istituzionale, debba corrispondere diversità di funzioni. Viene così a sostituirsi al tradizionale principio dell'uniformità del riparto l'affermazione del principio di differenziazione nel riparto delle funzioni fra enti dello stesso tipo istituzionale.
Nel medesimo tempo, sempre in vista dell'efficace raggiungimento dei risultati economico-sociali cui la pubblica amministrazione è ordinata, viene stabilito che il riparto delle funzioni debba comunque avvenire in modo che ciascun soggetto titolare di una funzione sia in grado di assicurare nella sua interezza il relativo servizio o attività amministrativa. Si afferma così un altro principio nuovo, quello dell'unità dell'amministrazione, dell'"identificabilità in capo ad unico soggetto, anche associativo, della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa".
Come si vede, le riforme si muovono nella prospettiva non solo di avvicinamento dell'amministrazione alla società, ma anche di immedesimazione dell'amministrazione nella società stessa. 
Entro tale prospettiva, in particolare, le riforme in corso vengono, poi, a riservare apposita considerazione anche alle c.d. autonomie funzionali, che paiono essere quasi punto di incontro fra amministrazione e società. 
La legge n. 59 prevede che il decentramento debba far salvi "i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle università degli studi" e, nello stesso tempo, contempla la possibilità di conferire a tali enti altre funzioni fra quelle da decentrare (art. 3 1° co. lett. b).
A sua volta il nuovo testo dell'art. 56 Cost., proposto dalla Bicamerale, nel dettare i criteri generali di riparto delle funzioni amministrative, recependo fra l'altro sostanzialmente quanto già disposto dalla legge n. 59, prevede che "la legge garantisce le autonomie funzionali".
In effetti, quelle che si denominano autonomie funzionali (e in particolare le Camere di commercio e le Università, dopo le leggi di riforma che hanno loro restituito autonomia sotto diversi aspetti) risultano essere, da un lato, amministrazioni pubbliche locali per compiti determinati e, dall'altro, organizzazioni rappresentative della società, in quanto rette da organi rappresentativi delle rispettive collettività di riferimento. 
Di qui la loro appartenenza al novero delle autonomie sociali, benché contestualmente qualificate come enti pubblici funzionali, e la loro idoneità a dare attuazione al principio di sussidiarietà nel comprensivo significato richiamato.

UN NUOVO MODELLO
Se il decentramento, come si è cercato pur sommariamente di mostrare, equivale, nella prospettiva di un'amministrazione al servizio della società e dei cittadini, alla costruzione di un nuovo assetto delle funzioni, anche la modernizzazione, la riforma del modo in cui le funzioni sono esercitate, acquista, nella medesima prospettiva, un significato più ampio e incisivo.
Le leggi di riforma dal '90 in poi, per il mutamento di senso accolto, sono venute delineando un modello nuovo di amministrazione che si contrappone al modello tradizionale, quale prima si ricordava, dell'amministrazione dipendente dalle istituzioni di governo, unilateralmente autoritaria, con una tutela ripartita e dimezzata. 
Ora le due leggi Bassanini danno ulteriore conferma e sviluppo al modello. La legge n. 59 non si occupa solo del conferimento delle funzioni, ma contiene non poche previsioni anche in tema di strutture e procedure per l'esercizio delle funzioni. Anche la legge n. 127, benché sia intitolata allo snellimento delle procedure di decisione e di controllo, contiene non poche disposizioni che esorbitano dalla mera opera di semplificazione e di riduzione (peraltro meritoria) degli adempimenti procedurali e riguardano in generale le strutture e l'esercizio delle funzioni.
Le proposte della Bicamerale, in specie gli artt. 106 e 133 del progetto, mostrano a loro volta di voler recepire il nuovo modello.
Ne scaturisce così un modello di amministrazione ordinata al risultato, che è distinta nella sua individualità organizzativa dalle strutture politiche di governo, è retta nel suo esercizio da un intrinseco principio di funzionalità e si pone, nello stesso tempo, in un rapporto di doverosità e responsabilità verso i cittadini e la società, da tutelarsi in modo più pieno e completo.
Sono queste le tre principali direttrici di riforma che concorrono a definire il modello.
La prima attiene al profilo organizzativo. L'amministrazione, vista come gestione di risultati, acquista autonomia e individualità organizzativa, secondo quanto era già stato anticipato dalla L. n. 142/1990 per gli enti locali e, in generale, dalla legge delega n. 421/1992 e dal d.lgs. n. 29/93, ed ora viene ribadito e completato dalle leggi di riforma del 1997. 
La stessa Bicamerale, in maniera assai netta, all'art. 106, dopo aver detto in apertura che "le pubbliche amministrazioni operano nell'interesse dei cittadini", aggiunge che "le pubbliche amministrazioni sono distinte dagli organi di direzione politica che ne determinano gli indirizzi e i programmi e ne verificano i risultati". 
L'amministrazione come tale si muove quindi verso una propria distinta organizzazione tecnico-professionale.
Vi è poi la seconda direttrice di riforma che riguarda più da vicino l'esercizio delle funzioni, la disciplina dell'esercizio delle stesse.
Molte e diverse sono le misure che si stanno prevedendo e che concorrono tutte a dare attuazione al principio di funzionalità, affinché l'amministrazione possa raggiungere, nella maniera più semplice, tempestiva ed economica, i risultati richiesti.
Ci si può limitare a sottolineare che il principio comporta prima di tutto la semplificazione dei procedimenti. E difatti, prima con la legge n. 241 e poi con i regolamenti di semplificazione varati nel 1994 sulla base della legge n. 537/93, la normativa si è mossa in tal senso. 
Oggi a tale esigenza dedica attenzione centrale la prima Bassanini che, oltre ad elencare una prima serie di procedimenti da semplificare, prevede altresì un meccanismo di programmazione annuale di semplificazione procedurale (art. 20). A sua volta la seconda Bassanini, per quel che concerne in particolare le amministrazioni locali, ha cercato di fare anch'essa opera di riduzione o di rimozione di molti vincoli esterni all'azione delle autonomie locali, nonché di altri vincoli ricadenti sui cittadini.
La semplificazione è però solo una parte, necessaria ma non sufficiente, per realizzare il principio di funzionalità nella prospettiva dell'amministrazione al servizio della società. Al riguardo, è venuta in rilievo un'esigenza più profonda di riordino, che, d'altronde, le stesse leggi di riforma hanno cercato di soddisfare. Si tratta di un riordino che si muove, oltre che verso la semplificazione, verso la concentrazione funzionale dei procedimenti al fine di realizzare con l'unità organizzativa anche un'unità decisionale dell'amministrazione.
Si pensi in particolare alla delega contenuta nell'art. 4, 4° co. lett. c) della L. n. 59, che si sta rivelando sempre più importante. Essa prevede di "ridefinire, riordinare e razionalizzare per quanto possibile individuando momenti decisionali unitari la disciplina relativa alle attività economiche…". D'altronde, fra i criteri generali per il riordino procedurale figura accanto alla semplificazione l' "accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività".
A sua volta, la L. n. 127 si adopera a integrare e completare la disciplina dell'istituto della conferenza di servizi in maniera da realizzare sempre nuovi momenti decisionali unitari. Si può dire che il tratto caratteristico delle novità introdotte dalla L. n.127 (art. 17), già peraltro anticipate dalla L. n. 273/95, è di aver fatto della conferenza di servizi non solo il mezzo per la concentrazione interna di singoli procedimenti (qual era nella sua configurazione originaria), ma anche il mezzo per la concentrazione e il coordinamento di più procedimenti onde unificare il processo decisionale sostanziale complessivo in ragione del risultato economico-sociale da raggiungere.
Nel medesimo tempo, le regole in ordine all'esercizio funzionale dell'amministrazione vengono a costituire l'oggetto di corrispondenti diritti dei cittadini. Il rapporto dell'amministrazione con i cittadini viene anche formalmente configurandosi come un rapporto di doverosità e di responsabilità dell'amministrazione nei confronti di nuovi, precisi diritti dei cittadini. In questa linea avviata con la legge n. 241, proseguita con le norme sulle Carte dei servizi, si collocano anche le leggi di rifoma del 1997 con varie previsioni. Particolarmente significativa è la norma di principio contenuta nella L. n. 59 cit. all' art. 17 1° co. lett.f) in tema di risarcibilità dell'inosservanza degli obblighi cui l'amministrazione è tenuta nello svolgimento dei procedimenti e nell'effettuazione dei servizi.
Campeggia in breve l'affermazione di un rapporto di doverosità e responsabilità dell'amministrazione nei confronti dei terzi interessati per aspetti e profili che un tempo erano consegnati alla protezione indiretta e dimezzata dell'interesse legittimo, in ragione della posizione di soggezione dei terzi nei confronti dell'attività amministrativa.
Anche il cit. art. 106 delle proposte delle Bicamerale, pur con formule forse ancora grezze, insiste su tale rapporto di relazionalità paritaria, di doverosità e responsabilità diretta fra amministrazione e cittadini.
Di qui infine la terza direttrice di riforma, quella attinente alla tutela giurisdizionale nei confronti dell'amministrazione, le cui modalità non possono non trasformarsi col mutare dei rapporti fra amministrazione e cittadini sul piano sostanziale. Essa deve diventare ormai una tutela resa in maniera unitaria, a carattere adempitivo, pienamente satisfattivo dei diritti dei cittadini, tale da assicurare l'effettivo conseguimento dell'utilità e del risultato. 
Di tali esigenze sembra essersi fatto carico il testo delle proposte della Bicamerale (art. 133), tuttavia (è qui possibile solo accennarlo) con formule che non realizzano ancora l'unitarietà della giustizia amministrativa e rischiano di riconfermare la bipartizione esistente. Infatti, è mantenuto il riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo pur secondo il nuovo criterio delle materie e le materie si distinguono a seconda che vi sia esercizio di pubblici poteri o meno. Il che rischia di perpetuare la distinzione attuale fra diritti e interessi legittimi.
Si tratta invece, anche in tema di tutela, di trarre tutte le necessarie conseguenze dal mutamento di prospettiva che la stessa Bicamerale ha, d'altronde, fatto proprio, come si ricordava, all'art. 106. Solo dal coerente sviluppo di una visione dell'amministrazione come funzione della società e dei rapporti fra cittadini e amministrazione come rapporti di diritto-dovere potranno sortire quegli effetti positivi sul piano civile e politico che ci si attende dalle pubbliche amministrazioni anche in Italia.