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Impresa &Stato n°42

PICCOLE IMPRESE
MERCATI E ISTITUZIONI

La variabile finanziaria come risorsa strategica per lo sviluppo di un'offerta più moderna e competitiva.
Alcuni dati ed elementi per una riflessione.

di
Federica Pasinetti

I l processo di globalizzazione ha senza dubbio elevato il livello del confronto competitivo fra sistemi produttivi, enfatizzando i rischi connessi ad un modello imprenditoriale le cui qualità tipiche potrebbero non costituire più una sufficiente garanzia di concorrenzialità. La possibilità di razionalizzare i costi dei processi ricorrendo a mercati internazionali delle risorse produttive, la capacità di sviluppare una solida e articolata presenza commerciale su mercati non domestici, la necessità di investire in innovazione tecnologica, costituisono orizzonti che probabilmente non inducono a disconoscere i vantaggi competitivi tradizionalmente ricondotti alla flessibilità produttiva e organizzativa della PMI italiana, ma che certamente richiedono un irrobustimento della sua struttura gestionale e della sua capacità operativa.
L'ottimizzazione della struttura finanziaria dell'impresa appare oggi come una pre-condizione essenziale di tale rafforzamento.
La qualità del rapporto fra autofinanziamento e indebitamento e gli effetti che ne derivano in termini di redditività complessiva e di solidità finanziaria, assumono infatti un ruolo di primo piano nel determinare quelle capacità di investimento e di innovazione su cui si misurano le chanches di sviluppo futuro di un'impresa.
Inoltre, in situazioni di scarso potere di mercato (come sono quelle in cui spesso si trova ad operare la PMI) la variabile finanziaria esprime il suo massimo potenziale strategico, quale efficace fattore di pianificazione, in grado di supportare politiche volte a gestire in chiave di sviluppo la mutevolezza dell'ambiente esterno e l'estrema variabilità dei risultati commerciali che ne consegue.
L'attenzione al tema delle politiche finanziarie delle PMI, del loro rapporto con il sistema bancario e, più in generale, con i mercati finanziari, trova quindi ragione nella ricerca di condizioni coerenti di sviluppo, che consentano di valorizzare il ruolo di motore da sempre assunto dalle realtà produttive minori, mantenendone il livello di competitività e migliorandone la capacità operativa, in una prospettiva strategica di crescita valida nel lungo termine.
E' noto che la PMI italiana mostra una struttura finanziaria particolarmente fragile, oltre che una scarsissima propensione a sviluppare una capacità di gestione finanziaria autonoma e un rapporto aperto con i mercati monetari.
Per quanto riguarda il primo aspetto, numerose analisi hanno messo in evidenza il basso livello di autonomia patrimoniale delle realtà imprenditoriali di minori dimensioni e l'eccessivo ruolo assunto dai debiti finanziari nel sostenere l'attività d'impresa.
Sul versante del rapporto con i mercati vanno invece rilevati non solo i limiti intrinseci ad un modello imprenditoriale familiare che riduce la funzione finanziaria ad ambito di intervento d'emergenza - emarginato rispetto alla tecnicality produttiva, ed eventualmente commerciale, attraverso cui l'imprenditore esercita il controllo diretto sull'attività - ma anche l'arretratezza di un sistema finanziario impreparato a seguire da vicino l'evoluzione delle esigenze della PMI e insufficientemente dotato di strumenti alternativi al capitale di debito.
E' su questo cruciale snodo - cioè sulla difficilissima sintonizzazione fra versanti del mercato dei capitali sviluppati su radici culturali assai distanti e parimenti limitati, nella gestione del cambiamento, dai vincoli delle rispettive tradizioni - che si incentrano le riflessioni recentemente promosse dalla Camera di Commercio di Milano in materia di rapporto fra piccole imprese e mercati finanziari.
Prospettando una PMI in grado di giungere ad utilizzare la risorsa finanziaria in modo altrettando efficiente degli altri fattori produttivi e partendo dal riconoscimento di alcune avanzate esperienze che segnalano l'inizio di un processo di maggiore articolazione dell'offerta e di ammodernamento del sistema finanziario, tali riflessioni hanno puntato a compiere una prima verifica sulla "fattibilità di tale sintonizzazione". In che misura i bisogni espressi dalle PMI si muovono verso un utilizzo strategico della variabile finanziaria? Sono essi sufficienti a sostenere lo sviluppo di un'offerta potenziale più moderna? Quanto invece può, quest'ultima, sollecitare l'evoluzione della cultura imprenditoriale nel senso di una gestione finanziaria strategica, intesa come più efficiente reperimento e impiego dei capitali? Qual è infine il ruolo attuale e potenziale delle istituzioni nell'incentivare la crescita di un mercato dei capitali favorevole allo sviluppo imprenditoriale?

I BISOGNI FINANZIARI DELLE PICCOLE IMPRESE
Le indicazioni tratte dall'indagine "La PMI milanese tra banca e mercato: vincoli e opportunità per una nuova politica finanziaria" - realizzata dal Centro Studi Finanziari dell'Università Cattolica di Milano con il sostegno e la collaborazione della Camera di Commercio e di Api Milano1 - fanno riferimento alle criticità e alle opportunità rintracciabili nella specifica sfera del rapporto fra piccole e medie imprese e mercato del credito.
I risultati di questa ricerca evidenziano la presenza di una certa propensione da parte dei soggetti imprenditoriali a sperimentare strumenti di accesso al credito innovativi, e rivelano uno spazio latente d'azione verso una maggiore articolazione del rapporto con le banche. La significatività dei risultati emersi risiede nel fatto che i soggetti interpellati ben rappresentano non solo una fascia imprenditoriale particolarmente trascurata - malgrado l'importanza che riveste nello scenario dello sviluppo economico locale - ma anche un segmento di clientela potenziale estremamente ampia, che i processi di rinnovamento in atto nell'organizzazione del mercato del credito e nella gamma degli strumenti potrebbero consentire di valorizzare in misura notevole.
Sta quindi al sistema bancario attivare strategie mirate ad ampliare i nuovi spazi di mercato, e valorizzare i segnali di sviluppo della cultura finanziaria dell'impresa, estendendo la gamma degli strumenti oltre il semplice affidamento e favorendo l'avvicinamento del rapporto al modello della partnership consulenziale.
Per confortare tale sintetica anticipazione dei risultati di indagine è però opportuno osservare la specificità dei più significativi riscontri empirici.
Le imprese intervistate presentano le caratteristiche tipiche delle piccole imprese familiari a proprietà chiusa: il controllo è quasi esclusivamente concentrato nelle mani dell'imprenditore o di parenti del medesimo, la maggioranza del capitale è detenuta prevalentemente dagli stessi soggetti controllanti, le modalità di copertura dei fabbisogni finanziari sono limitate all'autofinanziamento e all'indebitamento, e forte risulta la commistione fra patrimonio aziendale e familiare.
Fra questi soggetti il reperimento di capitale di credito avviene in prevalenza (57%) attraverso l'esclusivo ricorso al sistema bancario, ma non è irrilevante (29%) il peso di coloro che dichiarano di ricorrere anche a istituzioni a medio-lungo termine. Il fatto che quasi un terzo degli intervistati dichiari di intrattenere rapporti con più di 5 controparti e che, comunque, per la totalità di essi l'importo degli affidamenti risulti distribuito almeno fra tre banche, conferma la tendenza al pluri-affidamento connaturata ai comportamenti finanziari delle piccole imprese. Se è vero però che queste sono per tradizione orientate a diversificare le proprie fonti di finanziamento, va anche rilevato come una simile politica possa essere indotta da una serie di timori e limiti altrettanto tipici del nostro mercato del credito, che con ogni probabilità spingono l'impresa ad adottare la formula del pluri-affidamento quale canale di compensazione di un grado di fiducia e di attenzione insufficiente da parte del sistema bancario. La diffusa propensione a giudicare poco conveniente l'erogazione di finanziamenti di importo modesto (come sono spesso quelli richiesti dalle imprese minori), e la tendenza propria del sistema a rintracciare nella polverizzazione degli affidamenti una forma di ripartizione dei rischi di insolvenza, costituiscono sufficiente sostegno a tale ipotesi.
Ma migliori e più dirette indicazioni circa la qualità complessiva del rapporto fra banche e piccole imprese vengono dall'osservazione del grado di soddisfazione espresso dagli intervistati in relazione a due elementi - l'adeguatezza del fido ottenuto e la trasparenza delle condizioni di costo - che rivestono un'importanza fondamentale nella definizione di una solida base di collaborazione e di fiducia: al dato estremamente positivo sul fronte della risposta data dalle banche alle esigenze di finanziamento dell'impresa (ritenuta soddisfacente nell'86% dei casi), si affianca un segnale preoccupante sotto il profilo della trasparenza delle condizioni di costo, giudicata insufficiente da più di un terzo degli intervistati (38%). Questa indicazione, che conferma la limitata forza contrattuale di cui le imprese di minori dimensioni dispongono nei confronti delle controparti finanziatrici, va valutata ancor più negativamente alla luce della evoluzione del quadro normativo, che negli ultimi anni ha fortemente ampliato gli obblighi informativi a carico del sistema bancario e il grado di tutela riconosciuto alla clientela.
Indicazioni di disagio possono essere tratte anche con riferimento a un altro profilo importante del rapporto tra piccola impresa e banca, quello rappresentato dalla ampiezza e dalla qualità delle informazioni richieste dagli intermediari al fine di valutare il merito creditizio degli aspiranti affidati e, di conseguenza l'importo e il costo del credito concesso. Emerge che l'approccio adottato dagli istituti di credito nelle procedure di affidamento fa ancora prevalere le richieste di documentazione di bilancio (nel 100% dei casi), le informazioni sui rapporti già intrattenuti con il sistema bancario (64%), e quelle inerenti gli assetti organizzativi e proprietari dell'azienda (50%), mentre troppo contenuta appare la propensione a indagare altri aspetti delle politiche aziendali quali i programmi di sviluppo (considerati solo nel 17% dei casi), le caratteristiche dei mercati di riferimento (37%) e del portafoglio prodotti (solo 10%). é significativo della compattezza mantenuta dal sistema su questa linea, il fatto che i valori non registrano alcuna variazione nel caso si prendano a riferimento, anziché la banca principale, le altre controparti bancarie con cui l'imprenditore intrattiene rapporti di affidamento.
A fronte di queste rigidità e dei motivi di insoddisfazione a esse connessi, le piccole imprese mostrano di saper sfruttare l'aumentato livello di concorrenzialità che - a seguito della strategia di forte sviluppo delle reti territoriali adottata dagli istituti e dell'ingresso di nuovi operatori - ha caratterizzato l'evoluzione del mercato del credito locale negli ultimi anni. La maggior parte degli intervistati (64%) ha infatti sottoposto a revisione il rapporto con le banche negli ultimi 3 anni, non solo affiancando nuovi rapporti a quelli preesistenti (32%), ma anche - nella maggior parte dei casi - razionalizzando le proprie politiche di ricorso al credito bancario attraverso l'interruzione di 1 (in un caso su 3) o più rapporti (in 1 caso su 4).

TAB. 1 - VALUTAZIONE DEI FATTORI CHE INFLUENZANO LA SCELTA DELLA BANCA
Punteggio medio attribuito
Localizzazione dello sportello4
Costo del finanziamento4
Prestigio della banca2
Natura locale della banca2
Presenza di contatti personali4
Semplicità delle procedure4
Contatti con gli sviluppatori3
Stabilità del rapporto nel tempo 4
Assistenza sui mercati esteri3
Qualità dei servizi offerti4

Diventa a questo proposito interessante verificare quali sono i fattori più importanti nell'orientare la selezione delle controparti bancarie (Tab. 1), cioè i criteri di valutazione adottati dell'impresa con cui le strategie concorrenziali messe in atto dalle banche si devono confrontare: emerge che insieme al costo del credito, hanno rilievo i fattori tipici della concorrenza non di prezzo, quali la qualità del servizio offerto e la semplicità delle procedure, la localizzazione dello sportello, la stabilità nel tempo e la personalizzazione del rapporto.Tutti elementi questi che fanno percepire la ricerca, da parte delle PMI, di un contatto strutturato su dinamiche collaborative e di forte contiguità operativa.
L'analisi delle modalità di utilizzo dei servizi bancari consente infine di stabilire in che misura vengono recepite e sfruttate le novità prodotte dal processo di ampliamento della gamma di servizi, che il sistema bancario ha incominciato a mettere in atto negli anni più recenti sulla base degli stimoli apportati dal nuovo scenario regolamentare. Sul piano delle forme tecniche di credito le risposte sono concentrate sulle tradizionali modalità di utilizzo di conto corrente (scoperti e anticipi salvo buon fine), mentre segnali di ricorso a formule di affidamento relativamente più sofisticate (quali crediti di firma e finanziamenti in valuta) provengono da un numero ridotto di imprese, probabilmente quelle che presentano un maggior grado di apertura verso i mercati esteri. Anche per quanto riguarda il ricorso a servizi diversi da quello creditizio si nota come a un utilizzo generalizzato di quelli di pagamento, si accompagni una diffusione di quelli a contenuto consulenziale che appare ancora eccessivamente scarsa.

TAB. 2 - SERVIZI INNOVATIVI INTERESSANTI PER L'AZIENDA
Remote Banking
già utilizzato 27%
interessante per il futuro 48%
Trasferimento elettronico dei fondi
già utilizzato 7%
interessante per il futuro 45%
Cash management
interessante per il futuro 27%

Segnali incoraggianti però provengono non solo da fronti dell'assistenza particolarmente sofisticati, come quello relativo alle transazioni commerciali e agli strumenti di copertura del rischio, ma anche dal versante delle forme più evolute di gestione dei pagamenti e di interlocuzione con le banche che sono state già proposte da alcuni anni con buoni risultati alle imprese di dimensioni maggiori (Tab. 2): le forme di accesso in tempo reale tramite terminale alle informazioni (Remote Banking) e ai fondi (Trasferimento elettronico), risultano già utilizzate da una quota non trascurabile delle imprese intervistate e comunque attirano un significativo interesse (48 e 45%) come servizi utilizzabili in prospettiva. La consulenza e l'assistenza sulla gestione di tesoreria (Cash Management), attualmente non utilizzate, sono ritenute interessanti in prospettiva da più di un quarto del panel, e soprattutto dalle imprese di dimensioni minori, per le quali l'esternalizzazione di una parte delle procedure organizzative e operative relative a questa funzione potrebbe obiettivamente risultare di particolare convenienza.
In qualche modo legato alla riflessione sulla propensione a innovare i contenuti e le modalità del rapporto con il mondo del credito è anche il tema dell'utilizzo di convenzioni a sostegno dell'accesso al credito, cioè di forme di rapporto con il sistema bancario intermediate da attori istituzionali, dotati di funzioni di rappresentanza degli interessi. Il potenziale innovativo di queste formule non sta solo nel fatto che esse costituiscono un ottimo canale di agevolazione dell'accesso al credito, ma soprattutto nel ruolo che esse possono rivestire a favore del miglioramento delle condizioni di trasparenza, di fluidità e di articolazione del rapporto.
Al dato secondo cui quasi tre quarti delle imprese intervistate hanno utilizzato forme di convenzioni - la maggioranza delle quali stipulate con Associazioni di categoria (67%), secondariamente con Consorzi di garanzia fidi (24%) e solo in minima parte con altri enti (9%) - va quindi attribuito un significato assai positivo. Il fatto che il ricorso a queste formule sia motivato prevalentemente dall'esigenza di contenere il costo del finanziamento (81%) non esclude che esistano notevoli margini d'azione per valorizzare tale strumento anche come leva per accrescere la capacità di credito delle PMI (motivazione che per ora viene riconosciuta solo da un terzo degli intervistati), nonché come occasione di rafforzamento della loro capacità contrattuale.
In questo senso i Consorzi Fidi rappresentano - come vedremo meglio più oltre - una delle risorse strategiche più rilevanti a disposizione delle rappresentanze istituzionali per contribuire alla riqualificazione del rapporto fra banca e piccola impresa.

UN NUOVO TIPO DI RAPPORTO FRA BANCHE E PMI? Le logiche ancora prevalenti di finanziamento bancario basate sul credito a breve termine e supportate dal sistema delle garanzie accessorie, sono l'emblema dello scollamento fra sistema bancario e mondo dell'impresa; la difficoltà del sistema produttivo a sviluppare una solida capacità di gestione della variabile finanziaria e a ottimizzare l'impiego di risorse disponibili in una prospettiva di crescita ne rappresentano l'evidente conseguenza.
Questa contraddizione ha con ogni probabilità contribuito a deprimere la fluidificazione delle risorse monetarie necessarie alla produzione e conseguentemente ha limitato il contributo del sistema finanziario nel sorreggere lo sviluppo della nostra economia.
Ripartendo dal concetto di una finanza che possa prestare "servizio" alla funzione produttiva - un servizio non limitato alle situazioni di eccellenza ma diffuso, capace di contribuire anche alla produzione della ricchezza e non solo al finanziamento di quella già esistente - è automatico rivolgere al sistema degli intermediari la richiesta di rinnovare il
proprio ruolo. Non gli si può certo attribuire una funzione supplente rispetto a alle forti carenze di altre istituzioni e strumenti dei mercati finanziari; tuttavia è evidente che proprio il soggetto bancario gode delle migliori condizioni operative (il rapporto diretto con l'impresa, la presenza sul territorio) per funzionare da cinghia di trasmissione fra i "due motori" dell'economia. Si tratta di investire in una trasformazione di metodo e di approccio che segni il passaggio dalla cultura della "transazione" a quella della "relazione" nel rapporto con le PMI.
Importanti opportunità in questa direzione sono state aperte dalle trasformazioni normative avvenute nel corso degli anni '90, che hanno introdotto importanti innovazioni nel sistema dell'intermediazione bancaria.
Già la forte attenzione dedicata negli ultimi anni dagli intermediari allo sviluppo delle reti territoriali (con politiche di localizzazione tese ad una maggiore penetrazione dei mercati "al dettaglio") e l'ingresso di nuovi concorrenti, hanno provocato una accentuazione della concorrenzialità sui mercati locali, che potrà ben presto tradursi in un ampliamento delle possibilità di scelta offerte alle imprese e conseguentemente anche al segmento delle PMI.
Inoltre la nuova normativa che disciplina il funzionamento del mercato - riconducibile al Testo Unico sulle norme bancarie e finanziarie del 1993 - rende possibile la concentrazione presso l'intermediario di servizi creditizi con funzioni diverse, avvicinando il modello di intermediazione a quello dell'intermediario polifunzionale o della "banca universale" di stampo tedesco e consentendo di articolare le relazioni con le imprese su una gamma più ampia di forme alternative di finanziamento. Questo processo di despecializzazione operativa consente di affiancare alla tradizionale concessione di credito a breve l'erogazione di finanziamenti a media e lunga scadenza, e apre la possibilità di svolgere direttamente una serie di attività specializzate di matrice creditizia, quali il leasing e il factoring.
A ciò va aggiunto che il recepimento della Seconda Direttiva UE di coordinamento banche, avvenuto sempre nel 1993, permette alle stesse di intervenire direttamente con offerta di capitale di rischio alle imprese attraverso l'acquisizione di partecipazioni. Questa nuova opportunità si affianca ad altre soluzioni tecniche derivanti da procedure di ristrutturazione dei debiti delle PMI, che consentono di svolgere operazioni di sostituzione di debito con capitale di rischio (debt-equity swap) e altri tipi di intervento sul capitale da parte delle banche.
Un canale di ampliamento delle possibilità di ricorso al mercato particolarmente interessante per le PMI si è inoltre aperto, nel 1994, con l'introduzione delle Cambiali finanziarie, una nuova forma di indebitamento diretto a breve che di fatto costituisce un commercial paper in versione domestica. Questo strumento rappresenta in Italia la prima vera occasione per sviluppare un sistema di finanziamento diretto delle imprese sul mercato monetario, oltre che un'ottima occasione per accrescere la cultura del ricorso al mercato presso quelle di più piccole dimensioni.
E' possibile affermare che le novità così sintetizzate abbiano trovato scarsa traduzione nella prassi delle relazioni tra banche e piccole imprese.
A partire dall'ultimo degli strumenti citati, va subito rilevato che il mercato mostra ancora un ritmo di sviluppo inferiore alle attese a causa, sia delle difficoltà da parte delle PMI a produrre con continuità adeguati flussi di informazione sull'attività aziendale e a sostenere i costi di garanzia richiesti dall'emissione, sia della concorrenza esercitata sul fronte della domanda da strumenti di risparmio a scadenza analoga (come Titoli di Stato e certificati di deposito). A ciò si aggiungono i limiti derivanti dall'assenza di meccanismi di rating o di analoghi sistemi di valutazione della capacità di rimborso, ai quali è legata la possibilità di elevare la reputazione degli emittenti presso i potenziali risparmiatori.
Le potenzialità connesse a tale tipologia di titoli spingono tuttavia a sollecitare interventi che ne favoriscano un più ampio utilizzo. In questo senso un maggiore impegno non può che essere richiesto agli intermediari - il cui ruolo di supporto nei programmi di emissione è fondamentale - oltre che agli altri attori istituzionali attivi sul territorio, le cui possibilità d'azione verranno meglio esplicitate nell'ultimo paragrafo.
Più in generale, il processo di accentuazione della concorrenzialità sui mercati locali e il conseguente maggiore orientamento manifestato dalle banche verso l'attività al dettaglio, sembra aver modificato solo marginalmente la composizione del credito bancario a favore degli affidati di minori dimensioni, che mantengono un forte squilibrio fra numerosità di posizioni e volume di credito assorbito: prendendo a riferimento le posizioni di affidamento di importo inferiore ai 250 milioni (che possono essere presumibilmente utilizzate come approssimazione delle caratteristiche dimensionali degli affidati), risulta infatti che esse rappresentano il 70% dei rapporti con il sistema bancario a livello nazionale, mentre il loro peso sul totale del credito accordato è solo di poco superiore al 6%. I due indici passano rispettivamente al 90 e al 15% se si considerano tutte le posizioni inferiori al miliardo; ma ancor più significativo è notare che dal 1991 a oggi l'incremento di tali posizioni è stato pari all'1,9% mentre quello del volume di credito accordato è stato inferiore al mezzo punto (0,45).
In ambito locale si notano i segnali di limiti ancor più marcati. Nella provincia di Milano infatti i finanziamenti destinati alle imprese di minori dimensioni ("famiglie produttrici") rappresentano a fine 1996 una percentuale del credito accordato alle imprese inferiore al 10%, cioè assai più ridotta di quella registrata a livello nazionale, che è pari al 25%. Benché ciò sia da valutare anche alla luce delle specifiche caratteristiche della struttura economico-produttiva dell'area, l'ampiezza dello scarto rimane tale da poter giustificare qualche perplessità circa la reale efficacia delle politiche di penetrazione attivate. Indicazioni analoghe si ricavano del resto confrontando la distribuzione del credito accordato per forma giuridica di impresa nel territorio provinciale e nazionale: sempre a fine 1996 nel mercato bancario milanese si registra un netto divario a favore delle imprese organizzate in forma di società di capitali, che assorbono oltre il 92% del credito contro l'1,9% e il 5,1% erogato alle ditte individuali e alle società di persona rispettivamente; in ambito nazionale queste ultime rivestono invece valori pari al 6,9 % e all'11,4%.
Segnali non propriamente entusiasmanti, infine, provengono sul fronte dell'attivazione di servizi e/o di forme di consulenza specificamente finalizzati al sostegno delle piccole imprese. Le operazioni di concentrazione e il conseguente ampliamento della gamma di soluzioni proponibili per il finanziamento delle imprese avrebbero potuto dare impulso alla creazione di forme più ricche e articolate di assistenza che, andando a vantaggio di una più corretta stima delle esigenze finanziarie e della capacità di credito delle imprese clienti, sarebbero state in grado di orientare la relazione fra banca e azienda verso forme più esclusive.
Sembrano essere invece sporadici gli interventi organizzativi e di marketing effettuati all'interno delle banche per sviluppare prodotti specifici e divisioni dedicate a questo segmento. Ciò malgrado le piccole imprese abbiano mostrato - come abbiamo potuto osservare - una significativa attenzione nei confronti di servizi innovativi, oltre che una gamma di esigenze che bene evidenziano l'ampiezza di contenuti entro cui potrebbe spaziare il loro rapporto con le banche.
Al di là dell'indispensabile soddisfacimento della domanda di credito e di servizi tradizionali, serve offrire supporti tecnici e organizzativi nella fase di pianificazione finanziaria e della gestione dei programmi di sviluppo, proporre assistenza finalizzata alla ristrutturazione dei crediti, all'ottimizzazione dello stretto rapporto esistente fra patrimonio personale dell'imprenditore e struttura patrimoniale dell'azienda, all'allargamento delle sue competenze manageriali. Assai promettente è anche il fronte della condivisione delle innovazioni tecnologiche e di processo nel settore dei servizi di pagamento, mentre particolarmente interessante è anche quello relativo alla gestione congiunta del processo di passaggio generazionale.
Il sistema bancario non dovrebbe trascurare le opportunità legate allo sviluppo e alla fornitura di questi servizi di tipo consulenziale, ai quali sono connessi vantaggi non solo in termini di redditività (si tratta infatti di servizi non creditizi produttivi di ricavi) ma anche in termini di irrobustimento del contenuto informativo della relazione con la clientela (consentono infatti di compiere una valutazione più accurata delle scelte gestionali e delle prospettive di crescita delle aziende affidate).
E' chiaro che lo studio di un guadagno economico - anche se coerente con la logica della massima valorizzazione possibile della domanda, tipica della "banca universale" - non può bastare a sostenere il cambiamento, in una sfera di relazioni pesantemente condizionata da differenze di culture e "strutture" che si sono storicamente sedimentate in un clima di reciproca diffidenza.
E' invece necessario sollecitare anche la crescita di una preparazione culturale e professionale degli operatori, tesa a sviluppare la capacità di "dare ascolto all'azienda", nella convinzione che i suoi successi saranno anche quelli della banca. La prospettiva della fidelizzazione "commerciale" dovrebbe quindi essere solo il primo passo verso la condivisione del progetto aziendale.
L'appello a lavorare nella direzione di forme selettive di partnership con le imprese minori viene prioritariamente rivolto alle banche locali di medie dimensioni. Questo perché esse non solo hanno dimensioni più omogenee a quelle delle imprese clienti, presentano una spiccata attitudine alla concorrenza nei segmenti al dettaglio e un'elevata capacità di progettare nuovi prodotti e servizi, ma perché mostrano anche una particolare capacità di condividere le prospettive di crescita del sistema produttivo locale, delle cui caratteristiche e dei cui bisogni riescono a sviluppare una approfondita conoscenza.

IL CONTRIBUTO ALLO SVILUPPO DELLE POLITICHE FINANZIARIE PER LE PMI
L'intervento dei soggetti deputati a rappresentare gli interessi e a promuovere la crescita della comunità economica locale, può dare un contributo fondamentale nel sostenere e incentivare l'evoluzione del rapporto tra banca e piccola impresa, così come - più in generale - nel favorire la progressiva "costruzione" di una relazione del mondo produttivo minore con i mercati dei capitali.
Questa funzione non si esplicita solo nella aggregazione degli interessi e dei bisogni, finalizzata ad influenzare le politiche degli intermediari e le scelte di regolazione dei mercati.
Insieme alle carenze di un sistema finanziario caratterizzato dalla scarsa dinamicità dell'intermediazione creditizia e dall'assenza pressoché totale di mercati e intermediari di capitali dedicati alle PMI, vanno infatti rammentati anche i limiti propri della nostra tradizione imprenditoriale, rintracciabili nel basso profilo della struttura e della cultura finanziaria, nella presenza obiettivamente diffusa di un elevato rischio di credito, e nella tendenziale chiusura verso quelle forme di intervento di terzi nella proprietà che potrebbero ridurre il grado di autonomia nella gestione dell'impresa-famiglia.
E' anche su questo fronte, cioè quello dell'avviciamento culturale dell'impresa alla "questione finanziaria", che l'azione delle realtà associative esercita buona parte del suo impatto promozionale, proponendo informazione e formazione dedicata, prestando assistenza nella definizione delle scelte di crescita aziendale, sostenendo e guidando il percorso dell'impresa verso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e verso il potenziamento della propria funzione finanziaria. L'intervento delle rappresentanze consente quindi di realizzare alcune premesse fondamentali per l'integrazione della sfera produttiva e di quella finanziaria, la cui formazione non potrebbe in alcun modo essere demandata al sistema dei mercati, né a quello del credito né a quello dei capitali.
Nel panorama dei principi che meglio sorreggono l'espletamento di questo ruolo di assistenza - capace di affiancare la formazione di istanze a un processo di crescita collettiva - assume un ruolo di primo piano quello della mutualità, a rispetto del quale la forza comune formata dall'unione degli interessi e delle risorse dei soggetti, viene indirizzata al sostegno delle situazioni di particolare vulnerabilità.
Tale principio - che peraltro ispira in larga misura il complesso delle attività promozionali sia associative che camerali - sta alla base di una delle più felici esperienze di intervento a favore della riqualificazione del rapporto della piccola impresa con il mercato del credito, quella realizzata attraverso l'opera delle Cooperative e dei Consorzi di Garanzia Fidi.
Queste realtà, per lo più attivate dalle associazioni di categoria, sostanziano il principio mutualistico in formule di aggregazione della domanda di finanziamento in grado di potenziare la capacità negoziale delle singole aziende e di migliorare notevolmente le condizioni di costo del credito, grazie alla garanzia collettiva posta alla base dei finanziamenti concessi dalle banche alle imprese consorziate.
Se solo si pensa alla gamma di potenzialità connesse alla loro posizione di osservatorii e di luoghi privilegiati nella conoscenza e nel contatto con l'impresa minore, si può ragionevolmente affermare che i Confidi costituiscano uno strumento a valenza strategica rispetto all'obiettivo dell'integrazione finanza-produzione: oltre alle funzioni di razionalizzazione e qualificazione della domanda di credito - basate sulla possibilità di selezionare le iniziative imprenditoriali meritevoli e di migliorare la qualità e lo spessore delle informazioni sull'impresa debitrice e sulle sue prospettive aziendali - questi organismi possono svolgere, se adeguatamente valorizzati, un ruolo di consulenza alla piccola impresa nella scelta delle soluzioni tecniche di indebitamento più adeguate alla loro struttura, oltre che nell'orientamento verso fonti di approvvigionamento di capitale diverse da quelle tradizionali.
Proprio in quest'ultima direzione si sono mosse alcune interessanti iniziative intraprese da Consorzi fidi e Associazioni di categoria, finalizzate ad avvicinare le imprese minori allo strumento delle Cambiali finanziarie. Questi interventi - per lo più organizzati in collaborazione con banche di medie dimensioni fortemente radicate nei rispettivi mercati locali - hanno significativamente contribuito a sostenere lo sviluppo di strumenti di debito negoziabili delle imprese, consentendo alle aziende emittenti di accedere facilmente alle garanzie necessarie a supporto dei collocamenti e di comprimere il costo del finanziamento sensibilmente al di sotto del prime rate.
Nell'evidenziare le aspettative riversate sulle realtà consortili di garanzia collettiva, non va dimenticata la sinergia con esse tradizionalmente instaurata da tutto il sistema camerale, che proprio attraverso tali realtà fa passare buona parte del suo contributo a favore del miglioramento delle condizioni di accesso al credito delle PMI. A livello locale in particolare, va segnalata non solo la massiccia partecipazione dell'ente ai fondi consortili delle varie associazioni (che vengono utilizzati come garanzia rispetto ai prestiti concessi su svariate attività imprenditoriali), ma anche l'estesa e articolata azione diretta, che punta ad abbattere il costo dei finanziamenti richiesti da imprese industriali, commerciali e artigiane per effettuare investimenti e ristrutturazioni tesi allo sviluppo della capacità produttiva o al potenziamento delle strutture di vendita e di servizio.
Il fatto poi che a latere di questi interventi vengano promossi processi di miglioramento organizzativo orientati all'informatizzazione delle procedure interne e all'ammodernamento complessivo dei Consorzi e delle Cooperative, fa presumere che l'ente camerale abbia colto le potenzialità intrinseche allo strumento, e che possa indirizzarne la crescita verso più generali funzioni di consulenza e di orientamento ai mercati a cui prima si è fatto cenno.
Rimanendo sul piano dell'esperienza locale è opportuno citare un'iniziativa che già ha tradotto le sinergie attive fra realtà associative, Confidi e mondo camerale, in un ampliamento della capacità di servizio per le PMI. Si tratta dell'Agenzia per il Credito e la Finanza S.p.A., nata nel 1995 per iniziativa congiunta di Assolombarda, Camera di Commercio di Milano e Confidi Milano, e finalizzata non solo a creare migliori condizioni di accesso al credito per il target di riferimento, ma prima ancora a promuovere la diffusione della cultura della finanza aziendale come leva per il miglioramento della qualità dell'offerta e ad assistere la piccola e media impresa nella gestione ottimale della propria funzione finanziaria.
Lo snodo intorno al quale si sviluppa l'attività dell'agenzia è l'analisi delle situazioni aziendali, ossia il check-up, inteso come individuazione dei punti di forza e di debolezza, da cui si dipartono o gli interventi di ristrutturazione finanziaria necessari per una più ordinata gestione (e quindi per un miglioramento del merito e della capacità di credito, o indicazioni per un utilizzo più attento delle fonti di finanziamento), o infine azioni dirette a migliorare il dialogo delle imprese assistite con gli intermediari finanziari.
All'azione di sensibilizzazione delle banche sulle necessità delle PMI, si affiancano vari servizi di sportello finalizzati a fornire informazioni e assistenza su leasing e factoring, sulla procedura di richiesta di contributi vari (per l'innovazione tecnologica, per il risparmio energetico), sulla definizione di strategie finanziarie adeguate a sostenere l'attività internazionale e sulle agevolazioni ad essa dedicate.
Iniziative di stimolo e assistenza sono state condotte anche con riferimento alla possibilità della PMI di ricorrere allo strumento della cambiale finanziaria, mentre sono attualmente allo studio interventi volti a favore la capitalizzazione con nuovi strumenti finanziari, che possano colmare la lacuna del mercato sul fronte delle merchant bank. Particolarmente interessante in questo senso è il progetto "Prestiti con carattere di partecipazione e/o integrazione del capitale permanente", rivolto alle banche e finalizzato a realizzare consolidamenti di debiti pregressi e a finanziare nuovi investimenti produttivi. Muovendosi nella logica di ridurre il numero di rapporti bancari, questo progetto faciliterà la diffusione di quei rapporti privilegiati di partnership, che sono stati delineati nel paragrafo precedente come prospettiva ideale della relazione banca-PMI.
Vale la pena accennare brevemente al ruolo rivestito dagli interlocutori più diretti del mondo produttivo sul fronte dello sviluppo dei mercati di capitali dedicati alle PMI, che riveste una rilevanza cruciale per l'evoluzione della cultura del nostro sistema imprenditoriale e per il rafforzamento delle prospettive di competitività e di continuità aziendale.
Va prima ricordato come il nostro sistema finanziario si sia sempre caratterizzato per una limitata articolazione degli intermediari e dei mercati specializzati nell'offerta di capitale di rischio per le imprese di minori dimensioni.
L'esperienza del Mercato Ristretto, istituito nel 1975 per favorire l'ingresso in borsa delle società in espansione e il finanziamento di aziende a carattere locale o regionale, è stato pressoché ignorato dalle PMI: le sue dimensioni sono rimaste molto modeste, anche successivamente alla riforma del 1987, che ha reso meno vincolanti i requisiti per la quotazione e ha semplificato le procedure di ammissione.
D'altro canto i pochi interventi mirati ad un ampliamento dell'investimento istituzionale hanno prodotto risultati del tutto insoddisfacenti: l'operatività degli investitori esistenti in Italia (circa 30 tra società dedicate al capitale di rischio, venture capital, merchant bank, finanziarie di partecipazione e fondi chiusi) non è nemmeno lontanamente comparabile con quella degli altri Paesi europei, nonostante l'elevata densità di PMI venga considerata come un importante fattore di attrazione da parte di questi soggetti.
Le migliori prospettive continuano ad essere legate allo sviluppo del mercato telematico dei titoli mobiliari per le piccole e medie imprese, recentemente progettato dal Consiglio di Borsa sulla falsa riga dell'AIM di Londra e del Nouveau Marchè di Parigi, che dovrebbe decollare nei primi mesi del '98. La privatizzazione dei mercati attualmente in corso imprimerà probabilmente una buona accelerazione allo sviluppo di questa infrastruttura.
Inoltre la scelta di ricondurre nella generale riorganizzazione della Borsa Valori il mercato borsistico tagliato sulle esigenze di finanziamento delle PMI, consentirà al relativo organismo di gestione di beneficiare della supervisione e del monitoraggio della borsa ufficiale, oltre che dell'utilizzo della sua architettura telematica e delle sue strutture di supporto (come avvenuto del resto nelle positive esperienze realizzate in Gran Bretagna e in Francia).
Anche in questo campo non mancano le esperienze attraverso cui gli organismi di rappresentanza e le Camere hanno mostrato di poter dare un contributo rilevante per superare le debolezze del mercato. Ne è un esempio l'attivismo espresso nell'ambito dei Comitati Promotori del mercato telematico, che hanno il compito fondamentale di aggregare l'offerta potenziale, di selezionare le imprese di qualità e di valorizzare le capacità imprenditoriali locali riversandole su un'arena di scambio in grado di competere in ambito internazionale.
Indicativa di un impegno orientato anche allo sviluppo di strumenti collaterali, ma essenziali, alla crescita dei mercati, è la partecipazione del sistema camerale al capitale dell'agenzia Italrating (insieme al Mediocredito Centrale, a Nomisma e Databank). Si tratta della prima agenzia di rating italiana (costituita nel 1995), il cui obiettivo è proprio quello di offrire uno strumento di valutazione del merito di credito delle imprese di medie dimensioni a costi inferiori rispetto a quelli correnti, favorendone l'avvicinamento al mercato dei capitali. Va detto che il valore di questa partecipazione rimane per entità quasi simbolico, mentre una più incisiva presenza del sistema camerale nella definizione delle strategie di sviluppo di questa attività potrebbe forse valorizzarne il ruolo di leva attraverso cui dare un decisivo slancio al processo di avvicinamento delle imprese al mercato dei capitali. In questa prospettiva si muoverebbe peraltro anche l'ipotesi di un accordo di collaborazione fra Italreting e mercato telematico per le piccole e medie imprese, che potrebbe produrre effetti moltiplicativi nell'efficacia e nel volume delle rispettive attività (di valutazione del merito e di individuazione delle società quotabili).
Sul fronte dello stimolo al ricorso ad altre fonti di capitali, infine, un particolare interesse riveste l'iniziativa del Road-show '96, con cui il sistema camerale lombardo ha inteso sperimentare - su modello di simili esperienze di successo già realizzate in altri Paesi - modalità di incontro fra investitori istituzionali e aziende in grado di offrire opportunità di investimento connesse a progetti di ricerca e sviluppo o a nuove iniziative imprenditoriali. L'attivazione di questo meccanismo di confronto (basato sulla presentazione di un gruppo di imprese interessate a reperire nuovo capitale di rischio ai primari investitori istituzionali) ha consentito in primo luogo di compiere un primo passo verso la rimozione della diffidenza che spesso le piccole e medie imprese mostrano nei confronti degli investitori terzi, dando loro modo di verificare concretamente e direttamente le potenzialità di sviluppo connesse all'utilizzo di forme innovative di finanziamento. Esso ha inoltre posto le basi per favorire la creazione di un linguaggio condiviso fra mondo della finanza e mondo delle imprese, e ha dimostrato sul campo la possibilità di superare uno dei limiti meno formalmente decifrabili, ma comunque particolarmente influente nello sviluppo del mercato del capitale di rischio per le PMI: quello appunto della comunicazione.

1) Il volume, curato dal Prof. Arturo Patarnello e pubblicato dalla Camera di Commercio di Milano nell'aprile 1997, riporta i risultati di una rilevazione effettuata tramite interviste dirette a un panel di 29 imprenditori, associati Api Milano, titolari di aziende di dimensioni comprese fra 1 e 100 addetti.