Impresa & Stato n°42
LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO DEL SISTEMA COMMERCIALE
La grande distribuzione in Italia come area di opportunità
per le Piccole e Medie Imprese.
di
PIETRO MALASPINA
Il sistema commerciale italiano, nel comparto del
commercio al dettaglio, presenta, rispetto agli altri Paesi europei,
alcune vistose differenze:
- la maggiore frammentazione delle superfici di vendita;
- la minore presenza di esercizi di grandi dimensioni;
- una dimensione nettamente inferiore delle maggiori
aziende commerciali.
Analoghe situazioni di ritardo strutturale, in termini
di evoluzione dei "format" commerciali e di concentrazione
delle imprese sono presenti anche nel settore non alimentare.
Si tratta di una condizione di ritardo da sempre
presente che la relativa accelerazione dei processi evolutivi
che vi è stata negli ultimi anni, almeno sino al 1995,
non è riuscita a colmare.
Anche l'evoluzione delle grandi superfici di vendita,
passate da un totale di 4496 unità a 5853 unità
dal '91 al '95 è stata esclusivamente numerica e ha infatti
portato le superfici di vendita da 4,7 M/mq a 6,1 M/mq; la superficie
media di questi esercizi è quindi rimasta sostanzialmente
invariata a poco più di 1000 mq (da 1045 mq a 1042 mq),
ben sotto la soglia dimensionale necessaria per sprigionare pienamente
i processi di recupero di efficienza tipici del commercio moderno
di altre realtà nazionali.
Citando le parole del Presidente Billè in
un convegno del marzo '97 «...la modernizzazione del sistema
distributivo è un trend inevitabile e irrinunciabile...».
Per un verso tale processo di modernizzazione si
caratterizza per l'ampio spazio che ancora rimane per una ulteriore
evoluzione delle formule commerciali di grande dimensione e che
non deve quindi essere ostacolato, meno che mai nella illusoria
convinzione che ciò costituisca una "difesa"
contro una possibile "invasione" del mercato da parte
degli operatori stranieri.
Non vi è infatti alcuna reale difesa se non
quella di consentire pari opportunità di sviluppo a tutti
gli operatori, privilegiando la razionalizzazione e l'evoluzione
della rete commerciale esistente: politiche restrittive (o, peggio,
di blocco) non avrebbero altro effetto che quello di perpetuare
il rachitismo a livello europeo delle imprese italiane.
Inoltre, in un mercato già in avanzatissima
fase di concentrazione e di internazionalizzazione (se non di
mondializzazione) nel settore della produzione, è impensabile
che tali operazioni non avvengano con uguale rapidità nel
settore della distribuzione e che siano tanto più rapide
quanto più risultino essere l'unica via possibile per l'espansione
sul mercato italiano e su altri mercati.
D'altro canto si continua a porre il problema di
quale ruolo debbano avere in questo processo le PMI commerciali.
Il problema era già presente e fu oggetto
di grande clamore oltre venticinque anni or sono, nel dibattito
che precedette e seguì l'approvazione della Legge 426 sul
commercio al dettaglio, ma sempre, sin da allora, venne impropriamente
strumentalizzato per giustificare la promulgazione di norme variamente
restrittive per lo sviluppo della grandi superfici di vendita.
Oggi, dopo venticinque anni in cui comuni e regioni
hanno avuto a disposizione poteri di programmazione e di pianificazione
largamente sufficienti per un intervento attivo nel settore commerciale,
dobbiamo constatare il sostanziale fallimento della tesi (in verità
semplicistica) secondo cui sarebbe stato sufficiente frenare la
GD per dar tempo alle PMI di recuperare in efficienza e diventare
competitive come sottosistema commerciale.
La GD italiana è comunque cresciuta, spesso
in modo distorto per l'inevitabile ricerca di uno sviluppo secondo
la linea di minor resistenza di pianificazioni locali ugualmente
distorte, e solo sino a dimensioni ancora del tutto insufficienti
per un confronto sul mercato europeo, mentre il sottosistema delle
PMI è stato obbligato a difendere le posizioni già
acquisite, in una competizione senza speranza.
Le grandi imprese sono infatti per loro natura in
grado di produrre al proprio interno economie di scala e recuperi
di efficienza e di efficacia che le PMI dovrebbero generare al
loro esterno, impresa in pratica impossibile in carenza di politiche
attive di supporto diretto a questa categoria di imprese.
Non è affatto scontato che la prospettiva
di crescita del commercio italiano sia rappresentata solo dalle
capacità di crescita delle grandi imprese e delle grandi
superfici di vendita, ma ciò a condizione che vengano abbandonate
le politiche commerciali sempre impostate dal '71 a oggi in senso
vincolistico e non in senso propulsivo.
Illuminante, sotto questo profilo, è l'analisi
condotta dal CESCOM (Centro Studi sul Commercio dell'Università
Bocconi di Milano), che individua alcune aree di intervento prioritario
a favore delle PMI, punti focali di una politica commerciale attiva
"...che operi dentro, piuttosto che contro, una logica di
mercato". Esse sono:
- L'Associazionismo, già abbastanza presente,
ma ancora da incentivare, nel settore alimentare, ma molto poco
diffuso nel settore non alimentare.
- Il Franchising, formula in cui il nostro Paese
è all'avanguardia, ma che ancora viene spesso considerata
come una manovra surrettizia per privare le PMI della loro autonomia,
anziché come una stretta integrazione tra due diverse e
autonome capacità imprenditoriali.
- I Servizi Collettivi per le PMI operanti nello
stesso ambito territoriale, sia di tipo tradizionale sia innovativi,
quali i servizi informatici e l'interconnessione telematica a
monte (con i fornitori) e a valle (con altre PMI).
- La Formazione e l'Assistenza Tecnica necessarie
per individuare e conservare spazi di mercato nei quali le PMI
possono avere un vantaggio competitivo, dovuto alla diffusione
sul territorio, alla professionalità del servizio, alla
flessibilità nel seguire le necessità dei clienti.
- I Centri Commerciali: il CESCOM indica come uno
degli strumenti di promozione attiva delle PMI, proprio l'agevolazione
della loro collocazione nei centri commerciali, per la loro capacità
di integrare la capacità di richiamo di grandi masse di
consumatori, tipica degli esercizi despecializzati di grandi dimensioni,
e la capacità di soddisfare tutte le esigenze di acquisto
dei singoli clienti, tipica delle PMI specializzate.
DUE LINEE DI SVILUPPO
Concludendo, abbiamo quindi due direttrici di sviluppo
fondamentali per il sistema commerciale italiano, tra loro complementari
e che non richiedono politiche commerciali divergenti né
presuppongono contrapposizioni manichee tra i sottosistemi distributivi
della GD e delle PMI.
1) Lo sviluppo della Grande Distribuzione deve proseguire
e in ogni caso proseguirà nei fatti, dato che le leggi
di mercato risultano sempre vincenti sulle alchimie politiche
e sulle utopie programmatorie.
Questo sviluppo deve essere correttamente inquadrato
in una pianificazione urbanistica, che non recuperi surrettiziamente
con semplici cambi di etichetta, le illusioni pseudo-scientifiche
della determinazione di astratti equilibri tra domanda e offerta.
2) Lo sviluppo delle PMI, alle quali non è
legittimo contrabbandare come una forma di aiuto la volontà,
spesso animata da ben meno nobili propositi elettoralistici, di
rallentare o bloccare lo sviluppo della GD.
Tale sviluppo deve essere attivamente favorito con
interventi propulsivi che creino per le PMI quelle condizioni
esterne di competitività che il sistema della GD genera
al proprio interno in tema di acquisti, logistica, gestione industriale
delle merci, del personale, dell'azienda.
A queste condizioni il sistema commerciale italiano,
che deve essere considerato di fatto come un'area di grandi opportunità
per il più vasto sistema commerciale europeo, potrà
avere nei prossimi anni uno sviluppo a mio parere sorprendente,
che potrà consentire non solo il superamento dei ritardi
ancora presenti, ma anche logiche di ammodernamento e di integrazione
che consentirebbero la creazione di un modello non antagonistico
dei due sottosistemi.
 
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