Impresa & Stato n°42
UN NUOVO RUOLO PER LA PICCOLA DISTRIBUZIONE
La politica dell'Unione del Commercio: creare un equilibrio dell'offerta che favorisca tutti.
di
S IMONPAOLO B UONGIARDINO
U
na rapida analisi della situazione normativa che
caratterizza il settore del commercio è indispensabile
per orientare il lettore nell'interpretazione dei fenomeni che
stiamo vivendo. Ci troviamo di fronte a uno scenario in movimento,
dal momento che le leggi e i regolamenti di riferimento sono tutti
in fase di revisione o di elaborazione ai diversi livelli di competenza
territoriale. La Legge 426, una legge del 1971 che regola il commercio
nazionale, è abbondantemente superata e desueta, non più
adatta ai tempi e quindi in corso di riformulazione; in tal senso
c'è una proposta elaborata da parte della maggioranza di
Governo a firma Paola Manzini del PDS. Esiste poi la realtà
regionale dove c'è una legge sul commercio recentemente
approvata che è proceduralmente più avanzata di
quella nazionale, dal momento che ha già superato i lavori
in commissione ed è prossima a essere votata dal Consiglio.
Da ultimo, il piano commerciale comunale che attende anch'esso
l'approvazione. I vari livelli normativi sono quindi: la legge
nazionale, la legge regionale che darà origine al piano
regionale sul commercio e il piano commerciale comunale.
LA LEGISLAZIONE PER L'EQUILIBRIO
La revisione della Legge 426 dovrà dettare
le norme di contenuto generale, che poi sono le norme di indirizzo
sui livelli territoriali sottostanti; la nuova proposta che è
stata elaborata dalla maggioranza di Governo contiene alcuni criteri
importanti e fondamentali, così come è carente da
altri punti di vista; l'Unione, partecipa agli approfondimenti
in atto proprio per migliorare questi aspetti. In sostanza la
proposta Manzini parla di trasparenza del mercato, sviluppo delle
capacità d'impresa, libera circolazione delle merci - quindi
concetti universali nel settore commerciale - si colloca in una
dimensione che affronta il profilo economico, sociale e occupazionale
d'impatto delle norme, vale a dire una dimensione molto qualificante;
sostiene la necessità di tutela del consumatore - una tematica
che riguarda nello specifico il nostro settore - e mantiene come
vincolante e qualificante il principio di garanzia del servizio
di prossimità. L'impostazione della proposta di legge è
pertanto quella di garantire trasparenza e promuovere lo sviluppo,
ma anche quella di tenere in considerazione e attribuire un ruolo
all'esistente, cioè al servizio di prossimità. In
sostanza viene sostenuto il principio per cui, attraverso l'efficienza
e lo sviluppo della rete distributiva in tutte le sue offerte
di tipo commerciale presenti sul mercato, si deve garantire il
pluralismo e l'equilibrio tra le forme di vendita con particolare
valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese per quanto
attiene le dimensioni e la salvaguardia del servizio commerciale
nelle aree urbane, rurali, montane, insulari; il che vuol dire
ancora una volta dettaglio tradizionale.
Queste prime dichiarazioni contenute nella premessa
sulle finalità della legge sono rassicuranti sia per l'operatore,
sia per il consumatore e coincidono con il punto di vista dell'Unione,
che non è chiusa su una posizione di difesa a oltranza,
passiva, nel senso di negazione assoluta delle presenze o delle
crescite della grande distribuzione, ma che si preoccupa ci sia
uno sviluppo armonico.
Tale sviluppo non può essere realizzato se
non avendo a disposizione norme vincolanti, dal momento che senza
di esse tra i due competitori - dettaglio tradizionale e grande
distribuzione - è sicuramente quest'ultimo che risulterebbe
facilmente il vincitore, sia per le potenzialità economiche
di cui dispone, sia in virtù dei "poteri forti"
che rappresenta. La grande distribuzione, se non ci fossero le
norme, avrebbe sicuramente buon gioco su tutti i fronti. Questo
è il motivo per cui noi non possiamo accettare un concetto
falsamente liberale di un mercato senza regole; nel nostro settore
un concetto di questa natura significherebbe una riproposizione
della "legge della giungla". La proposta di revisione della Legge 426, dopo avere
stabilito questi concetti d'indirizzo generale, offre delle indicazioni
per come procedere alla loro traduzione in interventi operativi
e assegna alle Regioni il compito di entrare nello specifico dell'area
territoriale di rispettiva competenza, andando ad agire sulle
situazioni locali che - come noto - sono tra loro ampiamente diverse
e sbilanciate. Un altro concetto fondamentale che viene introdotto
dalla 426 è la necessità di pervenire ad un'armonizzazione
tra l'aspetto commerciale e quello urbanistico, in modo tale che
non si debba più assistere a fenomeni quali la costruzione
di edifici a destinazione commerciale, che poi non avrebbero alcuna
possibilità di essere utilizzati. Questo è il panorama generale di ciò
che c'è di positivo nella nuova legislazione; ci sono anche
aspetti non totalmente sviluppati. Per esempio, la nuova 426,
che si rifà alle normative europee, tralascia di intervenire
nel campo delle vendite sottocosto, un aspetto rilevante non ancora
regolamentato nel nostro Paese. Ci sono poi alcuni punti relativi alla tutela del
consumatore e dell'impresa che dovrebbero essere meglio definiti;
mi riferisco, ad esempio, alla proposta che prevede l'abolizione
del REC (Registro esercenti il commercio) per le attività
non alimentari; decisione strana perché in realtà
il sistema di controllo che il REC ha istituito funziona. Non
vedo quindi perché debba essere solo il sistema alimentare
a godere di questa forma di tutela; considerato che anche gli
altri settori hanno bisogno di professionalità, gente preparata,
garanzie: anzi i danni che possono essere provocati da una cattiva
gestione nei settori non food sono sicuramente gravi, anche se
non immediatamente percepibili. L'equivoco probabilmente è
da ricollegarsi al valore che viene assegnato al prodotto biologico:
è intuitivo infatti che, se un soggetto produce un bene
alimentare in termini non responsabili, può mettere in
pericolo la vita delle persone; altrettanto possiamo affermare
quando la caduta del senso di responsabilità può
avere effetti devastanti sulla sicurezza anche se si verifica
in altri settori merceologici.
Ci sono molti altri temi che dovrebbero essere approfonditi,
primo fra tutti quello della chiusura infrasettimanale, dal momento
che costituisce un principio di civiltà che va sicuramente
salvaguardato; l'Unione è favorevole ad attuare un buon
grado di flessibilità, ma è anche convinta della
necessità di tenere fermi alcuni princìpi, quali
la chiusura domenicale e la chiusura infrasettimanale, magari
con possibilità di scelta sulla giornata di riposo. Un altro tema un po' particolare contenuto nella
proposta di revisione della Legge 426 riguarda la possibilità
di procedere, in pratica senza controllo, all'apertura di esercizi
di vendita fino a 300 mq, che poi con la regola dell'ampliamento
del 20% diventano 360 mq. Questo valore limite dei 360 mq può
costituire un problema nel caso in cui se ne faccia un uso molto
ampio perché potrebbe diventare "un'occupazione di
territorio forte, troppo forte". é una questione da
rivedere. Bisogna lavorare meglio sui limiti di superficie, individuando
un parametro molto più basso, perché la logica che
sottende questa norma è quella di favorire la presenza
commerciale nei centri urbani e 360 mq consentono l'apertura di
strutture commerciali che potrebbero causare effetti di squilibrio
in micro-aree urbane. Passando alla situazione normativa regionale, va
osservato che la legge recentemente approvata recepisce molti
dei passaggi della 426 che sono stati illustrati nelle righe precedenti
e offre sufficienti garanzie per quanto riguarda la tutela del
dettaglio tradizionale; i due testi sostanzialmente, pur essendo
stati elaborati da due diverse competenze governative, presentano
una filosofia fortemente omogenea.
Per quanto riguarda infine il piano commerciale comunale,
l'Amministrazione precedente aveva commissionato uno studio alla
Bocconi che è rimasto agli atti perché era stato
approvato solo dalla Giunta comunale, e non dal Consiglio; pur
non trattandosi pertanto di uno strumento che ha superato tutti
gli iter procedurali, però è un documento ufficiale
che l'Amministrazione attuale ha già dichiarato che terrà
in considerazione durante i lavori per la definizione del nuovo
piano commerciale. La valutazione d'insieme da parte dell'Unione sullo
scenario normativo in via di conclusione è quindi sostanzialmente
positiva perché va nella direzione dell'auspicato equilibrio
tra le varie forme di distribuzione commerciale.
I COSTI DELLA RISTRUTTURAZIONE L'atteggiamento di prudente ottimismo e la fiducia
verso il futuro del settore, quando si realizzeranno tutte le
condizioni che si vanno prefigurando, non esime però dal
rappresentare i pesanti effetti che la storia recente ha provocato
in termini di emarginazione o espulsione dal mercato di un rilevante
numero di qualificate piccole e medie imprese. Gli studi condotti
dall'Unione hanno evidenziato che in Lombardia ben 24.000 negozi
hanno chiuso i battenti negli anni tra il 1991 e il 1995, dato
che trova purtroppo conferma anche a livello nazionale (187.000
le chiusure rilevate per lo stesso arco temporale). In entrambi
i casi stiamo parlando di negozi tradizionali, di una parte consistente
del mercato, circa un terzo, che è stato costretto a cessare
l'attività. Alla chiusura del negozio di prossimità ha
fatto riscontro - come è evidente - la crescita della grande
distribuzione che ha aumentato di circa il 50% la propria presenza.
In merito alla posizione culturale di chi sostiene
che quello in atto è un processo inevitabile, perché
ci avvicina verso il trend europeo, e positivo, perché
la grande distribuzione con le sue economie di scala consente
il contenimento dei costi e quindi dei prezzi, è opportuna
qualche precisazione. Innanzitutto non siamo così lontani dagli
standard di riferimento europei se è vero, infatti, che
il Ministero dell'Industria e del Commercio ha verificato, nella
sua indagine risalente al 1994, che a livello di media in
Italia presenti sul territorio nazionale 100 mq di
vendita di grande distribuzione per ogni 1000 abitanti.
Passando dalla dimensione territoriale nazionale,
a quella regionale rileviamo che la Lombardia, dove la crescita
commerciale è stata particolarmente forte in questi ultimi
due anni, traguarda gli standard europei.
Un'indagine molto recente condotta dalla Provincia
di Milano ha infatti evidenziato il dato di 186 mq di vendite
per la grande distribuzione ogni 1000 abitanti, vale a dire un
valore abbastanza vicino a quello europeo.
La ragione sta nel fatto che la Lombardia, in quanto
tra le regioni italiane più ricche, ha attirato a sé
gli interessi della grande distribuzione. Tra gli altri Paesi
europei infatti, la Francia è arrivata a 223 mq, la Germania
224 mq e l'Inghilterra poco oltre i 200 mq.
Per quanto riguarda il trend di sviluppo della Francia,
va osservato che non si tratta di un modello positivo da seguire
perché il sistema francese con la sua libertà totale
di insediamento e il proliferare di gruppi commerciali colossali,
ha provocato la desertificazione commerciale in 4000 comuni francesi.
é vero, pertanto che siamo ancora in presenza di una differenza,
ma lo siamo fondamentalmente perché il sistema distributivo
italiano è un sistema che ha una tradizione e una storia
fatta di presenze molecolari di piccola distribuzione.
Con la Francia, la Germania e l'Inghilterra si possono
comunque trovare delle attinenze che consentono un confronto.
Altre realtà mondiali, quale ad esempio il sistema americano,
non sono assolutamente confrontabili con la nostra perché
le città italiane hanno una storia fatta di chiesa, mercato
e piazza. Sono normalmente fortificate perché nascono dall'esigenza
di creare protezione e si sviluppano in senso verticale all'interno
di spazi ristretti con conseguenti effetti di frazionamento.
In America al contrario non c'è un passato
urbanistico da rispettare e pertanto lo sviluppo avviene orizzontalmente
secondo le esigenze; si tratta quindi di un sistema organizzativo
che non possiamo tenere in considerazione. Peraltro anche in America
si sta verificando un fenomeno di riflusso della grande distribuzione
molto importante e significativo: i Mall, cioè i grandi
centri commerciali americani, hanno perso la loro capacità
di attrattiva. Noi sappiamo - è stata pubblicata una ricerca
sull'argomento - che negli ultimi due anni i Mall hanno visto
un minore afflusso di persone, valutabile nell'ordine del 25%,
e un minor tempo dedicato dalla gente nei centri commerciali,
pari al 38%. La gente ci va meno e ci sta meno tempo. In America
si è cioè scoperto il valore del dettaglio "tradizionale"
- che è poi di tradizione europea - l'importanza, il piacere
e la comodità di poter fare acquisti sotto casa.
E' inoltre ormai diffuso il fenomeno dell'occupazione
dei centri commerciali da parte di soggetti malavitosi; in spazi
che erano invece considerati in passato aree sicure, le aree protette
dell'America. Questo fenomeno non è un problema isolato
del nuovo continente; si sta infatti verificando anche in altri
Paesi che hanno imitato il sistema americano.
Questo sistema dei mega centri mostra quindi i primi
segnali di degrado. Non vorremmo doverci porre, in un prossimo
futuro, il problema di come intervenire attorno a un sistema commerciale
e sociale in crisi e degradato.
Si ritiene con largo consenso che la grande distribuzione
abbia un effetto calmiere nei confronti dei prezzi e costituisca
un servizio che va nella direzione dell'utente e consenta all'utente
risparmi. Questo fenomeno non è sempre vero o non è
completamente vero. I processi che regolano la vita dei centri
commerciali sono fortemente standardizzati: un centro commerciale
che si insedia su un territorio, per due anni non produce reddito
- forse è in perdita - e per due anni tiene i prezzi molto
bassi perché ha bisogno di eliminare la concorrenza che
gli sta intorno; quando però il centro commerciale si è
affermato, i prezzi risalgono; nel momento in cui non c'è
più la concorrenza il distributore si può permettere
qualsiasi rialzo; questo succede perché questi gruppi sono
in grado di compensare le nuove aperture con zone di maggior reddito
dove è consolidata la presenza e quindi variare la politica
dei prezzi. Non vi è dubbio che l'insediamento della grande
distribuzione abbia abbassato i livelli dei prezzi, grazie alle
sue capacità di effettuare economie di scala, oltre al
potere contrattuale che è in grado di mettere in campo
nei confronti dei fornitori; ma l'effetto di contenimento dei
prezzi di cui, in questa fase, il consumatore beneficia va ricondotto
anche al fatto che ci troviamo nella fase espansiva per cui la
politica di questi gruppi è quella di tenere bassi i prezzi
per conquistare spazi di mercato. Il problema di fondo è
quello di evitare che la grande distribuzione occupi un ruolo
monopolistico, altrimenti se fra cinque anni ci ritrovassimo nuovamente
ad analizzare questi tipi di fenomeni, forse scopriremmo che l'evoluzione
della grande distribuzione ha prodotto effetti inversi rispetto
a quelli caratteristici della politica di ingresso.
NUOVI SCENARI
Il processo di crescita della grande distribuzione
ha forse movimentato un po' il settore del dettaglio tradizionale
che sta cercando di organizzarsi - e credo ci riuscirà
- anche perché deve assolutamente farlo se vuole tenere
il passo con le esigenze che il mercato dei consumatori sollecita.
Questo discorso non è ovviamente valido per tutto il mondo
della piccola distribuzione perché ci sono settori merceologici
che purtroppo sono difficilmente difendibili rispetto a quanto
i centri commerciali offrono, come pure intervengono altri fattori
di carattere sociale e culturale che mutano gli stili di vita
e i gusti dei consumatori rendendo meno appetibili certi prodotti.
A parte i casi particolari, è importante promuovere
il processo della specializzazione, della riorganizzazione e anche
dell'evoluzione di alcuni settori merceologici perché se
questi processi si realizzano, la convivenza auspicata tra dettaglio
tradizionale e grande distribuzione organizzata può portare
ad integrazioni positive per soddisfare le esigenze dei consumatori.
L'obiettivo fondamentale che l'Unione - con una posizione
non di difesa ad oltranza ma responsabile e matura - sta perseguendo,
è quello dell'equilibrio tra le forze che partecipano al
sistema distributivo, obiettivo che i meccanismi legislativi in
fase di approvazione e alcune realtà territoriali regionali
o sub-regionali hanno, in modo rassicurante, dimostrato essere
raggiungibile. I 186 mq di esposizione commerciale per 1000 abitanti
- che, come ho già detto, è un valore prossimo al
parametro europeo dei 200 mq - credo sia una misura di buon equilibrio.
Il discorso sull'equilibrio è inoltre determinante anche
per la stessa sopravvivenza dei centri commerciali perché
tutti gli ingressi ulteriori che si verificano, non incidono più
solo sul dettaglio tradizionale, ma incidono assolutamente anche
sul sistema della grande distribuzione preesistente; praticamente
l'apertura di un centro entra in concorrenza con altri centri
o altri supermercati perché la diffusione ormai è
ampia e gli spazi sono saturi, quindi non ci sono più grandi
possibilità di crescita.
A questo punto diventa importante fare un discorso
sulla caratterizzazione territoriale degli insediamenti commerciali.
Esistono i grandi centri commerciali che hanno bisogno di enormi
spazi e quindi si collocano all'estrema periferia della città
o meglio fuori della città, nel circondario, vicino ai
grandi flussi di comunicazione, alla rete viabilistica principale
della provincia o della regione e interessano un bacino d'utenza
molto ampio, hanno necessità di fare arrivare gente da
molto lontano e qui bisognerebbe anche interrogarsi se sia giusto
sostenere il costo sociale di un sistema di circolazione di questo
tipo dove la gente percorre quaranta chilometri per andare a fare
acquisti, perché i costi sociali ci sono, solo che tali
costi non li paga il centro commerciale. Rispetto a questi poli
di attrazione commerciale, il centro della città - oggi
- è ancora abbastanza forte perché offre un sistema
diversificato, una grande concentrazione di presenze commerciali
in spazi ristretti con offerte di buone dimensioni, gode della
vicinanza dei consumatori e quindi continua a rappresentare un
sistema integrato che regge la concorrenza. Il problema, a questo
punto, è purtroppo la periferia, cioè quella fascia
mediana che sta tra il centro della città e il suo hinterland
dove in effetti si subisce il danno maggiore perché è
proprio lì che muoiono soprattutto i negozi di prossimità
ed è lì che bisogna riqualificare, rientrare nel
territorio e nel tessuto commerciale. In relazione a questo tipo di problematiche, la filosofia
di fondo che ha guidato e guida le nostre scelte e i nostri orientamenti
è quella di pervenire, ritenendolo ottimale per tutti (consumatori
e imprese commerciali di qualsiasi dimensione esse siano) alla
creazione di uno scenario di equilibrio e di variegazione dell'offerta
distributiva, tenendo conto, però, dei punti di vendita
già esistenti sul territorio oltreché della domanda
potenziale e delle dimensioni dei nuovi insediamenti possibili.
Gli interventi che dobbiamo porre in essere non sono
solo di natura territoriale, ma necessitano anche di un sostegno
politico di ordine strutturale, della stessa natura cioè
di quello che ha accompagnato i processi di ristrutturazione nel
mondo industriale. Visto che stiamo parlando di un processo di
rinnovamento e di sviluppo di un nuovo assetto organizzativo per
il mondo della distribuzione, non si potrà fare a meno
di disporre di forme di intervento quali: cassa integrazione,
mobilità, incentivi alle ristrutturazioni, rottamazione,
ecc. L'esigenza di specializzare la piccola media impresa quindi
non può che essere accompagnata da un forte intervento
pubblico nel settore della formazione, nel sostegno all'innovazione
e all'informatizzazione.
Ma un sostegno pubblico forte noi ce l'aspettiamo
anche nel campo degli operatori abusivi. L'abusivismo è
un fenomeno troppo spesso sottovalutato dalla coscienza civile
e qualche volta anche dalla coscienza pubblica, cioè di
coloro i quali sono preposti al controllo e che a volte finiscono
con il dire : "tutto sommato è meglio che quel poveretto
venda una cosa qualsiasi sulla strada piuttosto che andare in
giro ad accoltellare o a far disastri maggiori". In realtà
l'abusivismo è un grave fenomeno perché è
solo una parte di un sistema malavitoso molto ampio, è
una delle tante manifestazioni con cui la malavita è presente
sul territorio; gli altri purtroppo sono ben più rilevanti:
la droga, la prostituzione, il racket, l'usura, ecc. Bisogna togliere
il velo di compassione che cela il vero volto dell'abusivismo,
mascherandolo con la povertà e l'immigrazione; ricordare
invece che questo fenomeno sottrae alle casse dello Stato cifre
molto rilevanti (da noi stimate in 24.000 miliardi annui) e mantiene
in condizioni di concorrenza indebita mafie nazionali e internazionali.
Non vorrei però concludere con una lettura
dei fenomeni da affrontare priva di connotazioni positive. Sono
molti i progetti che gli operatori politici ed economici di Milano
hanno in animo di realizzare; è ora di lasciare un segno
di ordine architettonico e strutturale pari a quello che a suo
tempo si configurò nella costruzione della Galleria Vittorio
Emanuele: un luogo pieno di luci, di gente, di negozi, di spazi,
di profondità urbanistiche che potrebbe diventare un altro
simbolo della godibilità cittadina.
E' tempo di progettare su nuovi schemi, immaginando
soluzioni atte a rendere più vivibili e godibili anche
in funzione di esigenze di aggregazione, comfort e vivacità,
le nostre vie commerciali, che costituiscono dei veri centri commerciali
naturali.
 
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