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Impresa & Stato n°42

IL FUTURO DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA

Gettare le basi di uno sviluppo duraturo, riformando la normativa sull'accesso al commercio: le posizioni della Faid.

di
SONIA AUGENTI

O peratori economici, economisti, politici, studiosi hanno per decenni convenuto sulla polverizzazione del sistema distributivo del nostro Paese e sulla necessità di una riduzione dei punti di vendita non produttivi al fine di assicurare migliori prezzi e migliori servizi ai consumatori.
Non appena questo fenomeno naturale si è andato verificando si sono scatenate feroci polemiche contro la grande distribuzione, accusata di praticare prezzi troppo bassi e di essere troppo competitiva, mettendo quindi in difficoltà i concorrenti.
In tale ottica, sono state naturalmente aggiunte altre accuse quali quella di essere l'unica causa della chiusura dei punti di vendita del dettaglio tradizionale, di provocare la crisi dei centri storici o di determinare fenomeni di desertificazione.
Si tratta di accuse inconsistenti perché l'eventuale crisi dei centri storici nasce dalle difficoltà di parcheggio, dal traffico caotico, dai costi delle locazioni, dallo sviluppo nell'hinterland di grandi città di superfici medio grandi appartenenti a un singolo commerciante e che creano concorrenza all'interno dello stesso settore del dettaglio tradizionale, mentre la crisi dei negozi del piccolo dettaglio è dovuta a molteplici fattori, primo fra tutti le scelte del consumatore, che è il vero artefice del successo o dell'insuccesso di un'attività commerciale.
L'apprezzamento della grande distribuzione da parte dei consumatori deriva dal ruolo determinante svolto dal nostro settore nel contenimento dell'inflazione - ruolo riconosciuto dagli istituti di ricerca che effettuano analisi sull'andamento dell'inflazione nei diversi settori - dalla qualità dei prodotti e dai servizi offerti, fra cui assortimenti ampi e profondi, orari di apertura prolungati anche nel mese di agosto, cortesia e professionalità degli addetti alle vendite.
Il nostro sistema distributivo, mi sembra necessario ricordarlo prima di affrontare le posizioni della Faid sul problema della riforma della legislazione commerciale, si caratterizza per un rilevante gap rispetto ai livelli di sviluppo della distribuzione europea, gap che il nostro settore deve poter annullare velocemente per essere in grado di competere nel Mercato Unico Europeo.
Il commercio nazionale si caratterizza negativamente per i seguenti aspetti:
- numero eccessivo di punti di vendita (47 punti di vendita per 10.000 abitanti, contro i 21 della Spagna, i 13 della Gran Bretagna, i 19 della Germania e della Francia)
- scarsa presenza della distribuzione moderna (140 mq per 1000 abitanti, contro i 175 della Spagna, i 205 della Germania e i 240 della Francia)
- scarsa concentrazione delle imprese distributive che hanno fatturati enormemente inferiori a quelli delle multinazionali europee (nel 1996 13.300 miliardi Coop, 5400 Rinascente alimentare, 5050 gruppo Gs, contro i 91.972 della Metro, i 60.525 di Edeka e i 56.798 di Tengelmann);
- sbilanciamento verso le piccole-medie superfici (il 35% delle superfici moderne appartiene alle superettes e solo il 10% agli ipermercati, mentre in Francia il 40% di superficie moderna è degli ipermercati e solo il 5% appartiene alle superettes).
Per affrontare la sfida del futuro la grande distribuzione nazionale deve quindi poter svilupparsi ulteriormente in termini di mq per 1000 abitanti, la rete di vendita esistente dovrebbe crescere dimensionalmente raggiungendo una superficie media più vicina agli standard europei. Parallelamente le imprese distributive nazionali dovrebbero incrementare i propri fatturati fino a raggiungere dimensioni più competitive.

I PRINCIPI DELLA RIFORMA
La riforma della disciplina sull'accesso al commercio in sintesi dovrebbe essere impostata sulla base dei seguenti principi:
1) normativa chiara, valida per tutto il territorio nazionale, ispirata a princìpi di ammodernamento del commercio, di concorrenza, di tutela degli interessi generali dei consumatori e dell'economia e che confermi l'illegittimità e l'inopportunità di blocchi normativi o di fatto;
2) competenza delle Regioni alla programmazione ed al rilascio delle autorizzazioni per esercizi con superficie di vendita superiore ai 2500 mq. A tal proposito è fondamentale che l'attività delle Regioni sia meglio orientata non tanto ad elaborare leggi locali, non sempre allineate con le norme nazionali, quanto a realizzare finalmente una programmazione commerciale equilibrata;
3) competenza dei Comuni al rilascio delle autorizzazioni al di sotto dei 2.500 mq;
4) sotto il profilo urbanistico competenza delle Regioni a diramare direttive perché nei piani urbanistici siano previsti adeguati spazi per lo sviluppo del commercio. L'intervento delle Regioni potrebbe essere orientato alla maggiore concretezza possibile, quindi direttive ai Comuni perché nei piani urbanistici sia previsto spazio per la distribuzione, in caso di inottemperanza trascorso un certo tempo possibilità di insediamento nelle aree produttive. A tal proposito desidero segnalare che ciò non andrebbe ad aumentare le possibilità di sviluppo stabilite dalla programmazione regionale, ma darebbe solo maggiori possibilità di scelte insediative con minori costi e relative ripercussioni sui prezzi, evitando speculazioni immobiliari;
5) punto essenziale della riforma è inoltre il tema della flessibilità.
La normativa, a nostro avviso, dovrebbe consentire:
- il libero accorpamento dei punti di vendita, già operanti in un Comune in modo da realizzare la sommatoria delle varie superfici;
- il libero trasferimento dei punti di vendita nell'ambito dello stesso Comune;
- l'aggregazione di quattro punti di vendita preesistenti con l'ampliamento della superficie di vendita fino a 600 mq, in modo da valorizzare i piccoli esercizi presenti sul mercato;
- l'ampliamento della superficie di vendita originaria secondo un coefficiente più elevato del 20%, eventualmente favorendo le superficie più ridotte. Ad esempio 40% per gli esercizi inferiori ai 2500 mq, 30% per gli esercizi compresi fra i 2500 e gli 8000 mq, 20% per quelli superiori agli 8000 mq.
Queste norme consentirebbero di ammodernare i punti di vendita obsoleti, mal localizzati e sottodimensionati (favorendo l'evoluzione del mix di superfici verso modelli più europei) e anche di sostenere il valore commerciale delle autorizzazioni dei piccoli commercianti che intendano cessare l'attività;
6) occorrono infine precise norme transitorie per evitare che l'entrata in vigore delle nuove regole determini di fatto il blocco di ogni iniziativa e per salvaguardare gli investimenti già effettuati.