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Impresa & Stato n°42

L'IMPATTO TERRITORIALE DEL GRANDE COMMERCIO

Una metodologia per ridurre la conflittualità tra PA e imprese e per tutelare gli interessi della collettività.

di
P AOLO BERTOZZI

N el settore della distribuzione al dettaglio, Impresa e Stato si trovano oggi come non mai nel passato nella necessità di trovare soluzioni condivise al problema della regolamentazione. La Pubblica Amministrazione è chiamata a gestire e regolare un sistema complesso di interessi collettivi spesso contrastanti e di natura diversa che sono tutti connessi all'attività di commercio al dettaglio.
Se le formule distributive del commercio tradizionale, pur rappresentando nel loro insieme un problema di natura urbanistica, non comportano singolarmente casi in grado di influenzare gli equilibri economici e territoriali, le moderne grandi unità di vendita al dettaglio, invece, hanno ormai raggiunto dimensioni tali per cui le scelte relative a ogni singolo impianto richiedono una seria ponderazione, dal punto di vista sia di chi sviluppa il punto vendita, l'impresa, sia di chi amministra il territorio, ovvero la Pubblica Amministrazione.
In mancanza di strumenti di valutazione trasparenti, diffusi e condivisi tutto ciò comporta principalmente due rischi. Il primo può essere definito "rischio di impasse" e consiste in comportamenti di blocco del processo decisionale da parte dell'Amministrazione Pubblica (sia sul piano delle autorizzazioni alla vendita, sia su quello delle autorizzazioni urbanistiche ed edilizie), che oltre a penalizzare le imprese proponenti, tendono a penalizzare i consumatori privandoli di una opportunità in termini di incremento dell'offerta di servizi; il secondo rischio, è quello della strumentalizzazione dei vari aspetti della valutazione dell'impatto territoriale al fine di bloccare o di promuovere specifiche realizzazioni.
Con questo articolo ci si propone dunque di presentare un contributo metodologico alla soluzione dei reali problemi di valutazione dell'impatto territoriale che impresa e Pubblica Amministrazione devono compiere nel caso di progetti di realizzazione di grandi unità di vendita. Il punto di vista adottato è perciò quello della collettività, ovvero della Pubblica Amministrazione che ne tutela gli interessi generali regolando i mercati.

L'INTERVENTO PUBBLICO
Il processo di valutazione che porta alla definizione dell'insieme delle scelte relative all'installazione di una grande struttura di vendita, come un ipermercato o un centro commerciale, è un'operazione delicata in primo luogo perché questo tipo di impianti richiede l'impiego di notevoli risorse economiche: grandi investimenti, caratterizzati da un'elevatissima rigidità, da parte delle imprese; utilizzo di grandi aree di territorio e di risorse ambientali; utilizzo di risorse umane.
Così come le risorse finanziarie e le risorse umane, anche il territorio è, infatti, una risorsa economica il cui utilizzo può essere scelto tra diverse alternative.
Trattandosi dunque di risorse economiche, le scelte fatte non possono prescindere da un obiettivo teorico di aumento del valore complessivo per il sistema o i sistemi che impiegano le risorse.
Per compiere una scelta tra diverse alternative d'impiego delle risorse, i due soggetti, impresa e Amministrazione, ma soprattutto quest'ultima, devono dunque dotarsi di strumenti che permettano di valutare gli effetti derivanti dalla realizzazione della struttura commerciale progettata.
L'installazione di attività economiche rilevanti comporta, sia per l'impresa che per la collettività, effetti di natura diversa (figura 1):
- effetti economici di carattere generale e settoriale (sui consumi, sul reddito, sull'occupazione, sugli equilibri competitivi tra formule e imprese);
- effetti sociali (mobilità, aggregazione, sviluppo individuale e sociale, sviluppo culturale);
- effetti ambientali (sulla morfologia del territorio, sugli equilibri degli ecosistemi, sul grado di inquinamento ambientale dell'area di localizzazione del nuovo impianto).
I processi di valutazione di questi effetti tendono ad apparire per il settore della distribuzione al dettaglio ancora più complessi e delicati in virtù della strettissima integrazione della rete di vendita con il tessuto territoriale e sociale.
L'utilizzo di strumenti di valutazione delle alternative di impiego delle risorse territoriali e quindi degli strumenti di analisi degli effetti economici, sociali e ambientali che tali scelte hanno per la collettività è tuttavia in Italia decisamente poco diffuso. Le scelte pubbliche di autorizzazione per grandi unità di vendita sono state fatte principalmente sulla base di un inquadramento normativo di natura settoriale che, pur auspicando in via generale l'implementazione di meccanismi di integrazione con gli strumenti di pianificazione urbanistica, è stato tradotto in un'attività di pianificazione della rete di vendita a livello locale che, di fatto, è rimasta separata dalle problematiche territoriali. Tale situazione è tuttavia destinata a mutare in breve tempo in virtù delle tendenze di riforma della normativa settoriale.
Assumendo l'ottica dell'intervento pubblico, i problemi connessi agli strumenti di analisi della fattibilità economico-finanziaria tipici dell'impresa vengono superati in quanto la valutazione della correttezza delle scelte fatte dagli operatori viene lasciata all'efficienza del mercato.
La discussione sulle modalità di valutazione dell'impatto territoriale di ipermercati e centri commerciali vuole invece riuscire a risolvere proprio i problemi derivanti dagli effetti di natura economica e non economica, spesso non direttamente quantificabili, che l'apertura di nuove strutture di vendita provoca sul territorio e che i meccanismi di auto-regolazione del mercato non sono in grado di considerare (market failures).
Come per l'analisi di fattibilità economico-finanziaria, anche gli strumenti di analisi di fattibilità "economico-sociale" sono mirati a determinare un saldo tra i benefici e i costi complessivi dell'investimento. In questo caso il raggiungimento di questo obiettivo è ostacolato da due problemi:
- la natura disomogenea degli effetti da considerare;
- la difficoltà di quantificare parte di questi effetti.
La soluzione tradizionalmente adottata per superare questo tipo di difficoltà è quella della monetizzazione di tutti gli impatti connessi al progetto al fine di ottenere un saldo monetario. Tuttavia la monetizzazione di alcuni effetti, tipicamente quelli di natura ambientale, risulta estremamente complessa e comunque soggetta a un elevato grado di arbitrarietà.

IL QUADRO NORMATIVO ATTUALE
Come già accennato, l'attività di regolazione e di gestione dello sviluppo dei centri commerciali in Italia è stata fino ad oggi svolta dalle amministrazioni locali su due livelli diversi: quello della pianificazione commerciale e quello della pianificazione urbanistica.
Le tipologie di strumenti utilizzati per l'attività di pianificazione commerciale previsti dalla Legge quadro del settore (Legge 426/71) sono di natura settoriale. Gli obiettivi di tale attività sono, infatti, il raggiungimento di una situazione di equilibrio tra domanda e offerta di servizi commerciali, tra formule distributive e tra forme d'impresa. L'integrazione tra questi e gli strumenti di pianificazione urbanistica, benché auspicata nel testo della Legge, non è mai stata realizzata a causa della mancata realizzazione a livello locale degli opportuni interventi normativi di coordinamento tra i due sistemi di pianificazione.
L'attività di pianificazione urbanistica è risultata perciò di fatto slegata dalle problematiche di sviluppo commerciale e ha operato in parallelo al regime di autorizzazione all'esercizio che in nessun caso ha previsto elementi di valutazione diversi da quelli di tipo settoriale.
I problemi di valutazione degli impatti delle grandi strutture commerciali diversi da quelli settoriali sono stati dunque demandati alle procedure per il rilascio delle autorizzazioni edilizie. In questo contesto si inseriscono le relazioni di impatto ambientale richieste dagli organismi urbanistici delle amministrazioni locali alle imprese promotrici delle nuove unità di vendita.
Per quanto riguarda l'analisi degli impatti ambientali, la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) è l'unico strumento che abbia ricevuto un riconoscimento a livello normativo. Il riferimento fondamentale è la direttiva adottata dal Consiglio della Comunità Europea il 27 giugno 1985 concernente la valutazione di impatto ambientale di specifici progetti pubblici e privati. La direttiva comunitaria identifica in maniera specifica due gruppi di progetti: un primo gruppo più ristretto per il quale è prevista l'obbligatorietà della VIA e un secondo gruppo più ampio che deve essere sottoposto a VIA "quando gli Stati membri ritengono che le caratteristiche del progetto lo richiedano" (Direttiva CEE n. 337, art. 4).
Le grandi strutture commerciali non sono incluse in nessuna delle due classi; tuttavia, la direttiva ammette la possibilità per i singoli Stati di imporre la VIA anche ad altre tipologie di progetti non esplicitamente indicati ma aventi caratteristiche tali da consigliare una valutazione degli impatti.
In Italia il recepimento della direttiva comunitaria è avvenuto attraverso la Legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell'Ambiente (che assegna allo stesso Ministero la competenza in materia e definisce una prima procedura di valutazione chiamata "giudizio di compatibilità ambientale"), il D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377 (che stabilisce le categorie di opere da sottoporre a procedura di compatibilità ambientale) e il D.P.C.M. 27 dicembre 1988 (che definisce i criteri per la redazione degli studi di impatto).
Il complesso della normativa nazionale ha di fatto ridotto gli ambiti di applicazione della VIA, individuando in maniera specifica tutte le tipologie di progetti che devono essere sottoposte a tale valutazione (si tratta, in realtà, delle opere per le quali la direttiva CEE già impone l'obbligo della VIA) e non contemplando la possibilità di includere, seppure in casi particolari, altre categorie di progetti.
Nel caso delle grandi strutture commerciali, dunque, la normativa nazionale non prevede la necessità di condurre una preventiva analisi e valutazione degli effetti derivanti dall'insediamento, indipendentemente dalle caratteristiche del centro stesso.
Alla normativa di carattere nazionale si affianca, poi, la legislazione regionale. Con la sentenza n. 210/1987 la Corte Costituzionale ha, infatti, confermato che lo Stato non ha competenza esclusiva in materia di VIA ed ha legittimato la possibilità per le Regioni e le Province Autonome di dotarsi di una propria disciplina in tema di valutazioni ambientali.
La VIA consiste in una dettagliata e precisa individuazione, descrizione e quantificazione di tutti gli effetti conseguenti alla realizzazione di un progetto insediativo, limitando la monetizzazione agli impatti tangibili.
Alla luce delle esperienze fino a oggi maturate nel nostro Paese, tuttavia, le relazioni in questione non possono essere considerate nella maggior parte dei casi delle vere e proprie VIA. Si è trattato più spesso di una relazione redatta dal progettista della struttura edilizia sul grado di compatibilità ambientale del progetto con le caratteristiche territoriali dell'area di insediamento, se non semplicemente di coerenza con le indicazioni degli strumenti di pianificazione urbanistica della zona.
Di conseguenza le decisioni pubbliche in merito all'approvazione dei singoli progetti insediativi di centri commerciali realizzati sono state prese di fatto quasi esclusivamente sulla base della coerenza del progetto con il piano commerciale e con quello urbanistico.
Problemi di valutazione dell'impatto ambientale sono stati viceversa utilizzati in alcuni casi solo come elemento ostativo al rilascio di autorizzazioni che risultavano giustificate sul piano della pianificazione commerciale e urbanistica, ma senza che tali valutazioni risultassero da un procedimento di analisi oggettivo o quanto meno consolidato e condiviso.

LA PROPOSTA METODOLOGICA
Le tecniche utilizzabili per l'analisi degli effetti extrasettoriali di un investimento sono fondamentalmente due, l'analisi costi-benefici (ACB) e la valutazione di impatto ambientale (VIA). Ciò che differenzia in maniera sostanziale queste due metodologie è l'approccio nei confronti degli impatti non monetari o "intangibili". L'ACB punta alla monetizzazione di tale tipologia di effetti attraverso una molteplicità di tecniche differenti, mentre la VIA conduce, in genere, a determinazioni di tipo qualitativo o quantitativo, ma fisico degli intangibles (ad esempio, stime delle quantità fisiche di sostanze estranee immesse in un corso d'acqua o nell'aria), evitando di tradurre tali valutazioni in termini monetari. Ciò a cui la VIA può aspirare è dunque, nella migliore delle ipotesi, la determinazione di valori di soglia superati i quali il progetto verrà respinto.
Considerata la numerosità dei diversi tipi di impatto, e la complessità delle tecniche di valutazione è opportuno costruire uno schema di ragionamento (figura 2) che permetta una chiarificazione e, laddove possibile, una semplificazione dell'attività di valutazione e di decisione in merito agli effetti generati dall'apertura di un centro commerciale.
E' infatti evidente che le procedure di valutazione attualmente adottate nei diversi tipi di strumentazione (commerciale e urbanistica) risultano poco organiche, lasciando così ampio spazio a fenomeni di indeterminatezza o di soggettività che tendono a generare situazioni di conflitto tra operatore privato e operatore pubblico.
A tal fine è innanzitutto necessario determinare l'ambito della valutazione. Il termine collettività, se da un lato esprime il senso delle valutazioni da compiere, non ne determina tuttavia la dimensione. In altre parole, la prima questione da risolvere nel processo di valutazione dell'impatto di una grande struttura commerciale è relativo alla dimensione dell'area rispetto alla quale è necessario misurare gli effetti derivanti dalla nuova apertura.
Il passo successivo consiste nell'individuazione di ogni possibile effetto che nello specifico caso può derivare dalla realizzazione e dal funzionamento del centro commerciale di cui si esamina il progetto.
Quindi è opportuno procedere a una prima semplificazione, selezionando i soli effetti rilevanti e quindi decidendo di trascurare quelli che appaiono immediatamente non rilevanti. Si tratta di una verifica che è bene compiere sempre nel corso della procedura di valutazione in quanto, se alcuni tipi di effetto sono irrilevanti per qualsiasi tipo di centro commerciale, altri lo sono solo in funzione del verificarsi di alcune condizioni legate allo specifico progetto (caratteristiche strutturali del centro commerciale o dell'area).
Proseguendo nel processo logico che porta alla valutazione complessiva dell'impatto di un centro commerciale si possono individuare alcuni effetti rilevanti che possono essere eliminati in fase di progettazione o di realizzazione del progetto.
Una volta eliminati gli impatti eliminabili, il processo richiede la valutazione, secondo le tecniche disponibili, dei soli impatti residui. Questi spesso risultano essere sia di natura tangibile, sia intangibile. A questo punto si pongono due alternative per arrivare a una valutazione complessiva che supporti la decisione finale: la monetizzazione di tutti gli effetti (tangibili e intangibili) cui far seguire il calcolo di un saldo finale monetario; la monetizzazione dei soli effetti tangibili e la quantificazione degli effetti positivi e negativi non monetari il cui saldo ipotetico viene confrontato con il saldo monetario.
Poiché la monetizzazione degli effetti intangibili è un'operazione complessa, costosa e che comporta un elevato grado di arbitrarietà, anche con riferimento alla scelta delle tecniche da utilizzare, è consigliabile ricorrervi solo nei casi in cui il confronto tra saldo monetario degli effetti tangibili e la somma degli effetti positivi e negativi intangibili non permette un giudizio univoco.
In conclusione, se condiviso, lo schema proposto permette di semplificare non solo l'attività di valutazione da parte della Pubblica Amministrazione in fase di decisione, ma anche quella dell'impresa in fase progettuale, recuperando in un contesto coerente e accettabile sul piano del costo dell'analisi le tecniche di valutazione disponibili.
E' possibile dunque affermare che i benefici dell'adozione di questa metodologia possono essere riassunti nella riduzione del livello di conflittualità tra impresa e Pubblica Amministrazione, nell'oggettivizzazione e trasparenza delle decisioni pubbliche, nella riduzione dei costi di progettazione e analisi su entrambi i fronti, nel presidio reale della tutela del patrimonio territoriale e, in definitiva, nella maggiore possibilità di tutela degli interessi della collettività.