Impresa & Stato n°41
VERSO NUOVI SERVIZI PER L'IMPIEGO?
di
EMILIO REYNERI
L'intervento pubblico non deve limitarsi a far applicare
norme, ma fornire prestazioni per la formazione e l'orientamento
professionale.
I
l processo con cui vengono allentati i vincoli burocratici
all'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro inizia nel lontano
gennaio 1983 e termina a metà 1991 quando la chiamata nominativa
diventa la modalità ordinaria di assunzione, anche se i
tradizionali apparati degli uffici di collocamento restano intatti.Sono
stati necessari altri sei lunghi anni perché nella primavera
1997 la "legge Bassanini", che trasferisce alle Regioni
e agli enti locali un gran numero di funzioni amministrative,
affrontasse infine il nodo dell'organizzazione cui è affidata
la presenza pubblica nel mercato del lavoro, sia pur in termini
abrogativi.Tuttavia in due importanti occasioni è stato
detto che il decentramento è solo una condizione necessaria,
ma non sufficiente.
Superando i silenzi di precedenti accordi tra sindacati,
imprenditori e Governo, il "patto del lavoro" del settembre
1996 affida ai servizi per l'impiego il compito di contribuire
a una politica di promozione dell'occupazione favorendo l'incontro
tra domanda e offerta di lavoro.Inoltre nelle proposte della Commissione
Onofri per la riforma dello Stato sociale, nominata dal Governo
a febbraio 1997, vi è un capitolo dedicato alle politiche
attive del lavoro, in cui non solo si delineano caratteristiche
e funzioni dei nuovi servizi per l'impiego, ma si sottolinea anche
come tali servizi debbano essere dotati di personale con le necessarie
competenze.
Forse per la prima volta in documenti ufficiali ha
una posizione di rilievo la consapevolezza che non si tratta solo
di trasferire "in periferia" delle competenze, ma anche
di modificarle profondamente.Se l'intervento pubblico non mira
più ad applicare norme, ma a fornire servizi a dei clienti,
vi devono operare persone in grado non di applicare leggi e produrre
atti amministrativi, ma di valutare posti di lavoro e capacità
personali, elaborare piani di formazione, offrire orientamento
ai lavoratori e consulenze alle imprese, senza seguire procedure
standardizzate, ma per obiettivi e secondo norme professionali.
Su come affrontare questa "svolta" il ritardo
è ancora grave.Tuttavia, come accade spesso in Italia anche
in questo campo si è dispiegata una vasta iniziativa spontanea
a livello locale.Da fine anni Settanta le Regioni, ma anche province
e comuni, hanno promosso interventi a sostegno dell'occupazione,
estendendo il più possibile le loro competenze in materia
di formazione e orientamento professionale o di sviluppo economico
e territoriale.A volte sono state iniziative improvvisate e di
corto respiro.Tuttavia una selezione naturale e una maggior conoscenza
di quanto da tempo funziona negli altri Paesi europei ha prodotto
non solo un netto miglioramento del livello di queste iniziative,
ma anche la tendenza a indirizzarsi verso un modello largamente
comune, che trae origine dalle consolidate esperienze francesi
e tedesche e si compendia nei seguenti tratti:
1. Approccio promozionale e fornitura di servizi
qualificati ai lavoratori e alle imprese con un approccio problem
solving.
2. Tendenza all'aggregazione nello stesso organismo
di tutte le diverse funzioni, dall'incontro tra domanda e offerta
di lavoro alle politiche attive e di promozione dell'occupazione.
3. Mobilitazione delle risorse istituzionali, economiche
e sociali nelle varie realtà locali.
4. Coinvolgimento delle parti sociali non soltanto
nella fase propositiva, ma anche nella gestione di quella operativa,
pur nella distinzione dei ruoli.
5.Distinzione tra momento politica, proprio degli
organismi di Governo, e momento gestionale, affidato a strutture
autonome, pur variamente definite.
6.Ricorso a personale qualificato con competenze
non giuridico-formale, ma sostanziali (formative, socio-economiche,
psicologiche, ecc.).
Perciò, ora si possono trarre preziose indicazioni
anche da esperienze italiane. Ciò rende più completa
la riflessione e consente di tenere conto delle specificità
istituzionali che caratterizzano l'Italia.
IL RUOLO DELLE PARTI SOCIALI
Sembra ormai certo che si vada a riconoscere alle
Regioni ogni competenza in materia di gestione del mercato del
lavoro e di politica del lavoro, unificandola con la politica
della formazione professionale.Tale scelta prevede un modello
di autogoverno regionale del mercato del lavoro che in Europa
ha un solo precedente nel caso belga, poiché persino nella
Repubblica federale tedesca vi è un'agenzia unitaria dei
servizi per l'impiego, sia pur con una forte autonomia gestionale
a livello di land. Perciò da una situazione di totale accentramento
si passerebbe all'estremo opposto di un grado massimo di decentramento.
Occorrerà però capire quale autonomia normativa
avranno le Regioni e che uso ne faranno.Sulla forma giuridica
pare si concordi per la costituzione di "enti regionali".Ci
si augura che non vi si riproducano le rigidità di una
amministrazione burocratica.D'altronde in quasi tutti i Paesi
europei la formula è quella dell'agenzia, gestita con i
criteri professionali e manageriali.
Ma la questione principale concerne il livello territoriale
cui si deve affidare il governo del mercato del lavoro: quello
regionale o quello provinciale.Le esperienze in atto danno indicazioni
chiare: il mercato del lavoro si governa a livello locale, ove
si può realizzare un'approfondita conoscenza della realtà
socio-economica e dove i soggetti economici e sociali si riconoscono
e si confrontano.Nella realtà italiana questo livello è
di regola quello provinciale, con l'eccezione delle piccole Regioni
e delle grandi aree metropolitane, dove anche ai grandi comuni
deve essere dato un ruolo significativo.Se non si riconoscesse
ciò, si correrebbe il rischio di sostituire al vecchio
centralismo statale un nuovo centralismo regionale.
Quanto al ruolo delle parti sociali, sindacati e
associazioni imprenditoriali dovranno entrare negli organismi
di direzione delle strutture pubbliche di governo del mercato
del lavoro? E se sì, con quali compiti: di mero indirizzo
o di coinvolgimento nella gestione?Oppure no, nel caso in cui
alle parti sociali e/o ai loro enti bilaterali sia concesso di
svolgere direttamente la funzione "centrale" dei servizi
per l'impiego, quella di incontro tra domanda e offerta di lavoro?
Le misure attive di politica del lavoro implicano
comportamenti e disponibilità non consueti né per
le imprese, né per i sindacati, sottolineando perciò
l'opportunità che le parti sociali siano coinvolte anche
nella realizzazione dell'intervento pubblico. Il modello tedesco
vede sindacati e associazioni imprenditoriali presenti in modo
paritario ai rappresentanti dei governi locali nei consigli di
amministrazione. Anche nella maggior parte delle altre esperienze
locali sindacati e associazioni imprenditoriali sono presenti
in organismi, cui sono affidati importanti compiti di indirizzo
e in piccola parte anche di gestione, poiché la loro esistenza
non è istituzionalizzata.
Tuttavia altre esperienze rivelano che le parti sociali
a volte sono coinvolte anche in quanto organizzazioni che forniscono
servizi ai clienti, siano essi lavoratori o imprese. Accanto agli
sportelli promossi dagli enti locali, sono sorti anche quelli
di sindacati e associazioni imprenditoriali, che offrono ai propri
associati, ma non solo, servizi di informazione e orientamento
al lavoro e a volte persino di incontro tra domanda e offerta
di lavoro, e a volte sono stati inseriti in reti di servizi promosse
da enti locali o da Agenzie per l'impiego.
Al decentramento e al mutamento dell'intervento pubblico
nel mercato del lavoro si accompagnerà l'abolizione del
monopolio pubblico dell'intermediazione di manodopera, per cui
anche organizzazioni private potranno infine fornire servizi di
incontro tra domanda e offerta di lavoro, almeno in modo regolare,
poiché da tempo il monopolio del collocamento è
più formale che reale.La concorrenza tra società
private e servizi pubblici per l'impiego potrebbe aumentare l'efficienza
di entrambi a vantaggio dei lavoratori e delle imprese.Tuttavia
si impone un problema istituzionale qualora a sindacati e associazioni
imprenditoriali, separatamente o in enti bilaterali, sia concesso
di avviare proprie strutture di servizi per l'impiego.In questo
caso le parti sociali potrebbero operare in concorrenza con le
strutture pubbliche dei cui organismi di gestione farebbero parte
o trovarsi nella posizione di essere allo stesso tempo controllori
e controllati, qualora a proprie strutture fossero assegnati compiti
dei servizi pubblici secondo la pratica delle convenzioni diffusa
in Italia.
La prassi di stabilire convenzioni con associazioni
ed enti non profit è propria del modello francese di servizi
per l'impiego, nel quale però il ruolo di sindacati e organizzazioni
imprenditoriali è scarso, mentre dove le parti sociali
contano molto, come nella Germania federale, l'agenzia dei servizi
per l'impiego è rigorosamente pubblica e si deve confrontare
soltanto con società private profit.Il caso italiano quindi
può presentare dei problemi unici in Europa.Una soluzione
coerente dovrà essere trovata, ponendo le parti sociali
di fronte a una scelta tra essere componenti decisive della gestione
della struttura pubblica oppure protagonisti in proprio.
LE QUESTIONI OPERATIVE
Ma il rischio maggiore è che il dibattito
si insabbi sulla disputa istituzionale, dimenticando le questioni
essenziali. Ricordando un noto proverbio, se non importa di che
colore sia il gatto purché prenda il topo, occorre però
che il gatto sia agile e abbia buone unghie, altrimenti non prenderà
alcun topo, qualunque colore abbia.
Delle quattro aree in cui si articolano le politiche
attive del lavoro a livello locale (informazione e orientamento
professionale, incontro tra domanda e offerta di lavoro, promozione
dell'occupazione, sostegno ai soggetti deboli) alcune vengono
poco o nulla realizzate, ma, anche quando lo sono, quasi sempre
esse sono affidate a soggetti diversi, che raramente comunicano
tra loro sia nella fase di progettazione sia ancor meno in quella
esecutiva.La loro complementarità risulta invece evidente
nei moderni servizi per l'impiego europei, in cui cresce la tendenza
all'integrazione delle diverse funzioni in uno stesso organismo
deputato a svolgerle tutte.
Nella stessa direzione vanno anche le esperienze
locali, che, non potendo dare vita a organizzazioni integrate,
hanno seguito la strada di "fare rete", cioè
di far dialogare e collaborare diversi soggetti.L'esigenza di
integrare le varie funzioni dei servizi per l'impiego presenta
due dimensioni, una istituzionale e una operativa.Non necessariamente
una struttura unitaria assicura una reale integrazione, per contro
una buona integrazione di fatto può essere raggiunta con
un lavoro "di rete".In entrambi i casi è essenziale
la qualità professionale sia del centro di coordinamento,
sia di chi opera nei vari "nodi" della rete, poiché
una reale integrazione si raggiunge soltanto con la spontanea
adesione a norme e prassi comuni.
Sottolineare l'esigenza di integrare le varie funzioni
dei servizi per l'impiego significa ricondurre alla sua giusta
collocazione quella di incontro tra domanda e offerta di lavoro,
che pur ne costituisce il core business.Occorre infatti non cadere
nell'errore di vedere in un efficiente servizio di raccolta delle
informazioni sui posti di lavoro vacanti e sui lavoratori disponibili
la soluzione di tutti i problemi.Le esperienze di sostegno all'incontro
domanda-offerta fin qui attuate in varie aree del Centro-Nord
hanno mostrato ampi sfasamenti tra i requisiti dei posti di lavoro
vacanti da un lato e le caratteristiche e le disponibilità
dei lavoratori dall'altro.Per risolvere l'incontro tra domanda
e offerta di lavoro non basta che le informazioni circolino meglio,
ma occorre anche che l'offerta e in una certa misura la domanda
modifichino la propria natura. Questo è proprio il compito
degli altri servizi per l'impiego.I servizi di incontro tra domanda
e offerta sono "centrali" tra le politiche del lavoro
in quanto mettono in luce le criticità, cioè le
situazioni di sfasamento o di debolezza e quindi consentono di
indirizzare tutti gli altri interventi. D'altro canto questi servizi
riescono a raggiungere il loro scopo tanto meglio quanto più
le altre politiche attive del lavoro riescono ad "avvicinare"
le caratteristiche e le disponibilità dell'offerta di lavoro
e i requisiti della domanda.Servizi privati di intermediazione
possono solo "mettersi a cercare" e, quando non trovano
quanto richiesto dai propri clienti, non resta loro che rassegnarsi.Invece
quelli pubblici possono contare sulle altre funzioni, che, sia
pure dopo qualche tempo, potranno offrire risposte positive.
Invece ciò che deve accomunare i servizi pubblici
per l'impiego a una struttura privata di intermediazione l'unico
cliente pagante è l'impresa, mentre per i servizi pubblici
clienti, sia pur non paganti sono sia le imprese, sia i lavoratori.Le
esperienze locali indicano come la diffusione di una cultura dei
servizi sia essenziale o per il loro buon funzionamento e come
tale cultura si fondi su nuove competenze professionali e nuovi
codici di comportamento.E danno anche preziose indicazioni sulle
competenze da acquisire (sociologiche, economiche, psicologiche
e informatiche) e sui percorsi formativi possibili per riqualificare
il personale degli uffici del lavoro, in larga parte destinato
a confluire nelle nuove strutture.A più lungo termine bisognerà
pensare a corsi di formazione post-universitaria dedicati a una
nuova figura professionale, quella degli esperti in politiche
del lavoro.
La competenza del personale è essenziale.In
particolare per l'incontro tra domanda e offerta, si tratta di
offrire anche alle imprese più piccole e ai lavoratori
meno qualificati quelle prestazioni di alta qualità ora
riservate alle imprese più grandi e ai lavoratori delle
fasce medio-alte.Il problema è che le competenze non si
creano per legge, ma con un lungo lavoro, sostenuto da una forte
volontà degli organismi di direzione.Un'elevata qualificazione
consentirà anche di sviluppare quelle "comunità
professionali", sempre più destinate in molti campi
dell'attività economica e sociale a controllare l'eticità
dei comportamenti sia dei soggetti privati, sia di quelli pubblici.Questo
è un'aspetto di particolare importanza per i servizi pubblici
dell'impiego, in cui i margini di discrezionalità per gli
operatori sono inevitabilmente ampi.
IL SISTEMA INFORMATICO
Infine, quanto al ruolo del sistema informatico,
occorre ricordare il vecchio detto "garbage in, garbage out".Ciò
significa che se le informazioni immesse nei computer sono scadenti,
anche i risultati delle elaborazioni saranno scadenti.Ora le informazioni
da inserire sia nell'archivio dei lavoratori sia in quello delle
imprese non sono facili né da raccogliere, né da
codificare. Sia i lavoratori, sia le imprese raramente sono capaci
di fare la propria auto-diagnosi per esprimere le proprie caratteristiche
e le proprie necessità.Chi intervista i lavoratori e raccoglie
le richieste delle imprese deve in realtà svolgere un non
facile compito "maieutico".
L'idea che sia sufficiente l'auto-compilazione di
un modulo per registrare negli archivi informatici la candidatura
di un lavoratore o un posto di lavoro vacante è ingenua.Un
sistema informatico lasciato a se stesso è di ben scarsa
utilità, poiché risolve i problemi di incontro solo
per alcune fasce di forza lavoro, mentre per le altre rischia
di creare confusione e gran spreco di energie.In realtà
il sistema informatico dovrebbe essere considerato un semplice
supporto al lavoro degli operatori, cui spetta il compito di decodificare
le richieste delle imprese, di analizzare caratteristiche e disponibilità
dei lavoratori e infine di farle "incontrare", eventualmente
suggerendo interventi formativi.
Inoltre gli operatori hanno il compito di svolgere
un'azione di negoziazione e di orientamento.In base alla conoscenza
delle possibilità offerte dal mercato del lavoro e del
sistema formativo, gli operatori possono far presente sia ai lavoratori,
sia alle imprese se le loro richieste sono irrealistiche e tentare
quindi di convincerli a modificarle affinché sia possibile
soddisfarle.Anche nella fase di pre-selezione, il confronto tra
l'archivio dei lavoratori e quello delle imprese raramente si
risolve solo in un'operazione al computer senza che l'operatore
non debba fare una più attenta rilettura "qualitativa"
dei dossier personali.Il ricorso a un buon sistema informatico
dunque è solo una condizione necessaria, ma non è
affatto sufficiente, poiché la risorsa decisiva è
quella umana.
Il sistema informatico infine deve trovare un equilibrio
tra due esigenze: quella del dettaglio delle informazioni per
fornire un miglior supporto all'operatore e quella della sintesi
per far circolare le informazioni in modo più vasto.L'esigenza
di favorire la mobilità territoriale impone che si vada
verso un unico sistema, anche se si può pensare a una geometria
variabile, per cui a un "cuore" di informazioni comuni
su scala nazionale si possono aggiungere altre informazioni proprie
di un particolare livello, regionale o anche locale.
 
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