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Impresa & Stato n°41

IL MERCATO DEL LAVORO: I MOTIVI DI UN FALLIMENTO

di
MARCELLO D'ALFONSO

Partire dall'analisi delle cause per evitare nuovi errori e per ridisegnare la mappa dell'impiego.

U n ragionamento sulla riforma del mercato del lavoro deve necessariamente partire dall'analisi delle cause che hanno determinato il fallimento del sistema di regole che sino ad oggi hanno governato il collocamento.
E' pacifico, sia per chi ha sostenuto il vecchio sistema sia per chi lo ha sempre criticato, che il collocamento pubblico non ha mai svolto la sua funzione istituzionale, ovvero l'incontro tra domanda e offerta: solo il 5% delle assunzioni si è calcolato provenire dal sistema pubblico; il vero collocamento avveniva - e avviene - in un luogo diverso da quello teoricamente deputato, con le inserzioni, il passaparola, la segnalazione, le società di ricerca e selezione e innumerevoli altri canali. Individuato il candidato, il problema è stato, da sempre, trovare la norma o l'appiglio amministrativo per ottenere il nulla osta.
E solo questa funzione il collocamento pubblico ha svolto nel tempo: registrare le entrate e le uscite.
Il collocamento pubblico, in buona sostanza, non è riuscito a cogliere una verità importante: che l'incontro fra lavoratore e impresa è un incontro qualitativo.
Sia pure con il ritardo che il legislatore italiano spesso dimostra nel recepire le istanze del mondo del lavoro, si è però cercato, lentamente e faticosamente, di eliminare alcune dei vincoli burocratici, di correggere quelle regole che, nate per disciplinare il mercato del lavoro, sono state in realtà tra le cause principali della sua distorsione.
La lentezza e la faticosità del processo di revisione sono testimoniate dalla continua e reiterata legislazione d'urgenza, dalle innumerevoli fonti secondarie di diritto utilizzate, quali circolari, note ed interpretazioni, oscillanti tra la salvaguardia dell'interpretazione letterale delle norme e un'applicazione sensata delle stesse.
Occorre inoltre ricordare che, nonostante i tentativi attuati di semplificazione amministrativa, il sistema del collocamento obbligatorio resiste a qualsiasi tentativo di allineare la legislazione italiana a quella degli altri Paesi europei. Difatti le contraddizioni dell'attuale sistema permangono e, nonostante gli sforzi per uniformarci a quei princìpi di flessibilità che impone l'appartenenza alla Comunità Europea, lo Stato italiano è ancora impegnato a difendere davanti alla Corte europea il monopolio del collocamento pubblico. Gli ostacoli burocratici sono stati, in gran parte, eliminati. Manca ancora una chiara concezione delle politiche del lavoro, delle nuove regole e del ruolo che le parti sociali devono avere.

IL PERCORSO DELLA RIFORMA
L'attuazione completa degli accordi sottoscritti tra Governo e parti sociali, il recepimento delle direttive della Comunità Europea e i numerosi disegni di legge presentati riguardanti il mercato del lavoro e il rapporto di lavoro disegnano un quadro normativo in possibile piena evoluzione.
Inoltre l'articolazione, la complessità dei temi e la loro stretta correlazione non consentono di analizzare specifici argomenti senza tenere in considerazione il contesto generale in cui essi devono essere attuati.
Possiamo comunque suddividere gli ambiti di intervento prioritari in quattro aree tematiche:
1) le politiche attive del mercato del lavoro e la flessibilità del lavoro;
2) le nuove strutture e i nuovi servizi all'impiego;
3) la riforma degli ammortizzatori sociali;
4) la formazione professionale e la formazione continua.

LE POLITICHE ATTIVE
Questa area di intervento è senz'altro la più complessa e articolata. Non si può infatti delineare una politica attiva del mercato del lavoro che non preveda una concezione più attuale e moderna del rapporto di lavoro.
La consapevolezza di questa integrazione è espressa chiaramente nel Patto per il lavoro del 24 settembre 1996, con il quale il Governo e le parti sociali evidenziano la necessità di una strategia integrata di politiche per l'occupazione e strumenti di flessibilità.
In Italia le politiche del mercato del lavoro sono nate e sono state gestite come intervento temporaneo per ristabilire quelle condizioni di equilibrio che fasi alternate e congiunturali di crescita e recessione andavano ad alterare.
La lentezza nell'adeguare gli strumenti di regolazione del mercato agli altalenanti cicli occupazionali non solo ha fatto perdere efficacia, ma ha appesantito una regolamentazione già di per sé complessa e priva di unitarietà ed organicità.Una continua revisione di istituti quali i contratti di formazione e lavoro, l'apprendistato, gli stages, i contratti a tempo determinato, hanno creato confusione e incertezza fra chi deve dare pratica attuazione a tali strumenti. Valga come esempio la Legge n. 608/1996, che, stante le quindici reiterazioni che hanno visto inseriti o eliminati strumenti di intervento e regolazione, ben rappresenta lo spirito con il quale si sono affrontati temi e questioni del mercato del lavoro. La necessità di creare testi unici delle norme sul mercato del lavoro deve essere considerata come un'occasione per ripensare e ridisegnare l'intervento pubblico e privato in un'ottica che non sia di mera emergenza, ma che sappia delineare una linea guida coerente con lo sviluppo del sistema economico.
L'intervento deve essere pensato alla luce della regionalizzazione che la legge Bassanini indica come percorso per arrivare a una riforma della Pubblica Amministrazione e a una semplificazione dei procedimenti amministrativi. Naturale è l'interesse delle Regioni nel gestire direttamente il mercato del lavoro, ma concreto è anche il rischio di passare da un accentramento statale a un accentramento regionale. Anche le iniziative attivate dai comuni sul territorio, esistenti o in via di definizione, devono trovare attuazione all'interno di un quadro definito di competenze, per evitare il sovrapporsi di ruoli e la duplicazione di strutture con compiti analoghi.
Il disegno complessivo di trasferimento deve essere attuato nei princìpi della semplificazione dei procedimenti amministrativi; ma il decentramento potrà dirsi correttamente applicato solo se si riuscirà ad evitare di instaurare nuove e complesse regole di gestione della futura legislazione regionale.
Gli esempi della formazione professionale e, in ispecie, della Legge regionale della Lombardia n. 9/91 sono purtroppo dei precedenti che non depongono favorevolmente quanto all'azione dell'ente regione.
E' pertanto necessario il coinvolgimento delle rappresentanze sociali sia nella fase del passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni, ma soprattutto, nella successiva e più delicata fase di attuazione e gestione delle competenze; coinvolgimento che non può limitarsi alla costituzione di un comitato o di un consiglio di semplice consultazione. La conoscenza delle peculiarità dei vari comparti economici e del territorio deve essere messa a disposizione, e utilizzata, per indirizzare concretamente l'azione di intervento nella regolazione del mercato del lavoro.
A tale processo di riorganizzazione dei servizi all'impiego deve necessariamente affiancarsi una profonda revisione della disciplina del rapporto del lavoro. Il disegno di legge sul lavoro interinale e sul part-time devono costituire un primo passo e non un punto di arrivo di revisione del rapporto di lavoro. Di tutte le parti è, inoltre, la consapevolezza che occorre creare una regolamentazione per quella tipologia di rapporto che viene definita di para-subordinazione.
La creazione di nuove figure professionali che non si riconoscono nei tradizionali canoni di distinzione tra lavoro subordinato e autonomo deve trovare una regolamentazione che dia certezza e che garantisca la professionalità e l'indipendenza di tali soggetti.

I NUOVI SERVIZI
La riforma della struttura del Ministero del Lavoro è stata sancita dall'accordo del 23 luglio 1993 con il quale il Governo si era impegnato a ridefinire l'assetto organizzativo degli uffici periferici del Ministero affinché questi potessero adempiere ai necessari compiti di politica attiva del lavoro ed esprimere il massimo di sinergie con la Regione e con le parti sociali. La legge di accompagnamento alla Finanziaria per il 1994 delega tale riforma ai decreti del Ministro del Lavoro, che solo nel novembre 1996 provvede alla unificazione degli Uffici del Lavoro e degli Ispettorati a livello provinciale e regionale. Tale riforma, pur necessaria, non sembra accompagnata da una forte azione di riqualificazione e formazione degli operatori; percorso questo che deve necessariamente integrarsi all'informatizzazione dell'intera struttura ministeriale.
L'informatizzazione è il supporto tecnico indispensabile per la realizzazione di una vera analisi del mercato del lavoro, che, in tempo reale e coordinandosi con altri sistemi esistenti e funzionanti, possa fornire informazioni utili ad orientare il sistema della formazione professionale e la ricerca di nuova occupazione. Interessante è, a questo proposito, l'esperimento recentemente avviato dalla Provincia di Milano.
Se occorre riqualificare il collocamento pubblico è necessario anche dare pari dignità al collocamento privato, che, in un contesto di garanzie, possa liberamente operare come avviene in tutti i Paesi europei. Tutto ciò nel rispetto dei ruoli e delle funzioni e in un'ottica di collaborazione nell'interesse degli utenti/lavoratori e degli utenti/aziende.

GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI
L'attuale stato degli ammortizzatori sociali è ampiamente illustrato nella relazione della Commissione per la riforma dello stato sociale, meglio conosciuta come Commissione Onofri.
Non vi è dubbio che la materia necessiti di una profonda e sostanziale revisione e che gli attuali assetti, disordinati, complessi e indirizzati prevalentemente a favore di un sistema industriale in crisi, non possono essere giudicati positivamente sotto il profilo della qualità e dell'efficienza.
La difficoltà con la quale le aziende riescono ad assumere lavoratori in mobilità è indice di cattivo funzionamento di un meccanismo che, nato per favorire la ricollocazione, diventa nei fatti un sistema passivo di sostegno al reddito.
Anche gli interventi progettati per favorire la nascita di nuove imprese, con la corresponsione in un'unica soluzione dell'indennità di mobilità, viene fortemente osteggiata con disposizioni amministrative da parte dell'INPS.
Nuove imprese si creano con regole semplici e chiare, ma, d'altro canto, la progettualità deve essere consapevole e tenere conto del contesto di regole nel quale dovrà attuarsi. Non considerare tutti e due gli aspetti significa creare false speranze nei confronti di chi, coraggiosamente, intende seguire la via dell'imprenditorialità.
Nell'ambito di un processo di riforma, di particolare interesse è la delega al Ministro del Lavoro per la sperimentazione di politiche attive di sostegno al reddito e all'occupazione prevista dalla Legge Finanziaria 1997, indirizzata, in modo particolare, nei confronti di quei settori di impresa sprovvisti del sistema degli ammortizzatori sociali.
La creazione di uno specifico fondo, finanziato anche con il concorso del lavoratore, e la partecipazione diretta delle parti sociali alla sua gestione, sono indubbiamente dei validi presupposti per una valutazione positiva in vista di una più generale e organica riforma della materia.
Essenziale appare comunque in generale - si ribadisce - il ruolo delle parti sociali, che, in relazione alle peculiarità dei diversi settori, possono individuare e definire criteri e trattamenti per fronteggiare efficacemente situazioni di crisi.
Sembra peraltro condivisa da tutti la necessità di intervenire con adeguati strumenti di sostegno, flessibili e legati all'effettivo utilizzo dei servizi all'impiego per la ricerca di una nuova occupazione.

LA FORMAZIONE
Il ruolo primario della formazione, sia essa professionale che continua, è sottolineato da tutti, ma stenta qualsiasi iniziativa di ripensamento e di rilancio. Le passate vicende della formazione professionale in Lombardia non hanno certo creato quelle condizioni necessarie per avviare una riforma strutturale.
Occorre ridisegnare la politica formativa partendo dalle esigenze del mondo del lavoro e non, come avvenuto sino a ora, riutilizzando percorsi formativi per figure professionali che non troveranno alcuno sbocco occupazionale.
Il raccordo tra tutti i protagonisti, Regione, Province, CFP, scuola e università, è la premessa per una revisione che dovrà fare perno su un sistema informativo compiuto e interconnesso con le diverse realtà del territorio.
Particolare attenzione deve essere posta agli Enti Bilaterali costituiti fra le organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori, che si candidano, a pieno titolo, a progettare o gestire direttamente gli interventi necessari per rispondere alle istanze di cambiamento dei profili e delle conoscenze professionali derivanti dai processi di innovazione tecnologica. L'acquisizione di professionalità richieste dalle imprese deve avvenire con un'alternanza scuola/lavoro che consenta di avere uno stretto collegamento fra i due comparti.
A tal fine è necessario dotarsi di uno strumento agile e flessibile, come lo stage, che soddisfi completamente tale esigenza.
L'attuale regolamentazione non sembra soddisfare la funzione primaria di orientamento e di conoscenza diretta del mondo del lavoro.
Per quanto concerne la formazione continua, rivolta ai già occupati, questa è una risorsa ancora tutta da esplorare da parte delle imprese. Cresce comunque la necessità di adeguare le conoscenze e le capacità professionali dei lavoratori ai mutamenti in atto nel sistema economico.
Devono essere rimossi gli ostacoli costituiti dalla mancanza di strutture organizzative per la formazione permanente e dalle difficoltà, derivanti dall'alto costo economico della formazione, che incontrano le piccole e medie imprese.
Un maggiore impulso deve essere dato all'utilizzo dello specifico obiettivo 4 del FSE, facilitando le condizioni di accesso, modulando le iniziative anche in considerazione delle dimensioni aziendali e predisponendo una forte azione di sensibilizzazione delle imprese.
Anche in questo campo si devono registrare positivamente le iniziative nate dalla contrattazione collettiva, che, nei settori del Terziario, hanno visto la nascita di specifici enti formativi come il CFMT per i dirigenti e Quadrifor per i quadri.
Il "pacchetto Treu" deve essere il punto iniziale di un percorso di riforma che, basandosi su un decentramento regionale ed evitando di ripetere gli errori commessi a livello centrale, consenta, all'interno di nuove regole, di ridisegnare il sistema del mercato del lavoro.
Devono avvertirsi segnali chiari del cambiamento radicale che il sistema delle imprese ha sempre sollecitato, per essere competitivi al livello europeo e internazionale. Servizi all'impiego efficienti, flessibilità dei tempi e dei modi di lavoro e una riduzione del costo del lavoro sono elementi imprescindibili per creare nuova occupazione.
Le parti sociali devono essere pronte ad offrire le proprie competenze e conoscenze per contribuire alla costruzione di un nuovo modello di mercato del lavoro. L'augurio è che tutti i protagonisti abbiano la consapevolezza e la volontà di continuare nel percorso intrapreso.