Impresa & Stato n°40
CAMERE DI COMMERCIO E GIURISDIZIONE
ORDINARIA
Alternative Dispute Resolution: come utilizzare un metodo
ormai indispensabile in molti settori economici
di
MICHELE
TARUFFO
Vi sono varie
ragioni, per le quali la risoluzione di controversie si qualifica come
una delle funzioni di maggior rilievo delle Camere di Commercio. Per un
verso va sottolineato che la legge di riforma n.580 del 1993 rappresenta
al contempo un importante riconoscimento ed uno stimolo ad iniziare o ad
incrementare le iniziative delle CdC nell'area dei metodi alternativi di
risoluzione delle controversie. Essa rappresenta inoltre una base normativa
indispensabile per la "istituzionalizzazione" di organi e di procedure
di conciliazione e di arbitrato. Per altro verso, sono già in corso
presso alcune CdC, e segnatamente presso quella di Milano, esperienze molto
significative: la Camera Arbitrale svolge una funzione di grande utilità
nell'organizzazione degli arbitrati "amministrati", ed anche la recente
istituzione di uno "sportello di conciliazione" sta dando risultati molto
positivi.
Più in generale, inoltre, si verifica la tendenza a far perno
sui metodi alternativi di soluzione delle controversie (ADR: Alternative
Dispute Resolution): la tutela del consumatore e la risoluzione di controversie
commerciali sono solo due tra i molti esempi di grandi aree di rapporti
giuridici nelle quali il ricorso a metodi alternativi diventa sempre più
indispensabile. Non a caso, enti pubblici e privati vanno sperimentando
varie forme di conciliazione in diversi settori rilevanti. Un'indicazione
significativa che emerge da queste esperienze è che l'efficacia
dei metodi di ADR è direttamente legata alla loro organizzazione
e alla loro visibilità in contesti sociali ed economici determinati.
Le conciliazioni e gli arbitrati non sono efficaci di per se come metodi
per la soluzione di controversie. Non a caso il nostro ordinamento è
ricco di forme di conciliazione che hanno fallito completamente lo scopo
o danno risultati deludenti. Viceversa, appare evidente che la conciliazione
può essere un metodo funzionale per risolvere controversie se è
ben regolata, se è inserita in un contesto organizzativo efficiente
e costante, se i potenziali fruitori conoscono questa possibilità
e la trovano accessibile e credibile, e se si conseguono risultati apprezzabili
in termini di rapidità e costi contenuti. Osservazioni analoghe
valgono in qualche misura anche per l'arbitrato. Gli arbitrati ad hoc sono
relativamente poco frequenti e vengono usati tendenzialmente in una tipologia
limitata di controversie, anche se spesso queste controversie hanno un
rilevante contenuto economico. Una controindicazione non trascurabile e
notoria, in proposito, è rappresentata dagli alti costi della procedura
arbitrale. Peraltro anche la scarsa conoscenza dello strumento arbitrale,
e la difficoltà di servirsene concretamente, rappresentano ostacoli
non trascurabili. Diventa allora comprensibile il fenomeno del ricorso
agli arbitrati "amministrati", nei quali a costi contenuti si accompagna
il vantaggio di notevoli facilitazioni attinenti sia alla scelta degli
arbitri sia all'utilizzabilità di discipline procedimentali già
predisposte.
E' intuitivo che, in un contesto di questo genere, la funzione
che le CdC possono svolgere come "luoghi" nei quali le procedure conciliative
ed arbitrali si organizzano e si amministrano in modo accessibile ed efficiente
può essere di grandissima importanza. Nel momento in cui si immagina
uno sviluppo importante e sempre più esteso di questa funzione,
si vede sorgere immediatamente il problema dei rapporti tra i metodi alternativi
di soluzione delle controversie e la giurisdizione. Il ruolo delle Camere
di commercio finisce invero col collocarsi proprio al centro di questo
problema.
ADR E GIURISDIZIONE ORDINARIA
I rapporti tra i metodi di ADR e la giurisdizione stanno conoscendo
in questi ultimi anni una profonda trasformazione che è presente,
sia pure a stadi diversi, in pressochè tutti gli ordinamenti contemporanei.
Tradizionalmente, infatti, i metodi alternativi venivano concepiti come
un fenomeno talvolta importante, in qualche caso inevitabile o indispensabile,
ma comunque marginale rispetto alla giurisdizione. Questa marginalità
era al contempo quantitativa e qualitativa. Quantitativa perchè
la frequenza del ricorso a questi metodi riguardava un numero di controversie
limitato, quando non del tutto trascurabile.
La marginalità qualitativa dei metodi di ADR deriva dal luogo
comune, basilare tuttavia nella cultura giuridica del nostro come di altri
paesi, secondo il quale il vero metodo per la soluzione delle controversie
consiste nel ricorso alla giurisdizione.
La situazione comincia a cambiare nel momento in cui i limiti reali
di efficienza e di funzionalità del processo giudiziario diventano
evidenti. La giurisdizione comincia ad apparire come non più onnipotente
ed onnicomprensiva (cosa che del resto non è mai stata); la crescente
durata dei processi civili e la loro frequente incapacità di fornire
rimedi efficaci alle situazioni bisognose di tutela diventano fenomeni
endemici; la difficoltà di accesso alla tutela giurisdizionale per
molti soggetti e per molte situazioni giuridiche diventa sempre più
evidente, e sempre meno tollerabile man mano che aumenta la sensibilità
per le garanzie di accesso alla giustizia.
Gli "spazi di tutela" che per varie ragioni non possono essere coperti
dalla giurisdizione rappresentano il naturale campo d'applicazione dei
metodi alternativi di soluzione delle controversie. L'aspetto più
importante è costituito dal fatto che questi spazi aumentano con
grande rapidità nelle società attuali: in parte ciò
che aumenta è la consapevolezza del problema, in quanto - per così
dire - si tollera sempre meno che diritti ed interessi rimangano privi
di tutela: il caso dei diritti dei consumatori ne è un esempio significativo,
ma non è l'unico. Aumenta inoltre la consistenza "oggettiva" del
problema, in quanto i sistemi giurisdizionali tendono a diventare sempre
più inefficienti a fronte dell'incremento delle situazioni bisognose
di tutela e del numero dei soggetti che sono titolari di queste situazioni.
Il combinarsi di questi fenomeni fà apparire evidente che l'area
di tutela coperta dalla giurisdizione tende a restringersi, e che correlativamente
si amplia l'area delle controversie per le quali i metodi di ADR diventano
de facto indispensabili. Teoricamente essi rimangono complementari e suppletivi
rispetto alla tutela giurisdizionale, ma in concreto finiscono col costituire
l'unica possibilità, o la possibilità più praticabile,
per risolvere un crescente numero di controversie.
In molti ordinamenti attuali, e purtroppo l'Italia ha un primato negativo
su questo terreno, la crisi della giustizia civile raggiunge livelli drammatici:
l'area di tutela coperta dalla giurisdizione si restringe sempre di più,
ed anche all'interno di quest'area le carenze e le inefficienze sono spesso
molto gravi. In situazioni di questo genere è difficile - e sostanzialmente
irrealistico - continuare ad assegnare un ruolo marginale e suppletivo
ai metodi di ADR. Essi si trasformano in vere "alternative" al ricorso
alla giurisdizione, nel senso che si collocano su un piano di pari importanza
pratica rispetto alla giurisdizione stessa.
L'"esplosione" dei metodi alternativi che si verifica in vari ordinamenti
implica tuttavia anche una serie di aspetti negativi o discutibili. Da
un lato, essa si trasforma rapidamente in una moda che spesso si nutre
di slogan mal compresi. Dall'altro lato emerge la tendenza alla creazione
di dozzine di organi e procedimenti che nei modi più vari vengono
usati al fine di risolvere controversie al di fuori delle corti. In questo
sviluppo talvolta caotico accade di frequente che si faccia ricorso ad
organi che non offrono sufficienti garanzie di neutralità rispetto
agli interessi in gioco; accade inoltre che si seguano procedure poco "visibili"
nelle quali gli interessi più deboli vengono sacrificati piuttosto
che tutelati; sembra inoltre che abusi - dovuti a mancanza di regole e
di controlli - siano frequenti sopratttutto ai danni dei soggetti economicamente
e culturalmente meno attrezzati per la tutela dei propri diritti. In molti
casi, tuttavia, organi credibili e procedure affidabili vengono posti a
disposizione dei soggetti che per le ragioni più varie non vogliono
o non possono servirsi della tutela giurisdizionale.
L'esperienza attuale dei metodi di ADR nei vari ordinamenti è
dunque un fenomeno assai complesso, ricco di luci e di ombre, nel quale
rimedi di grande interesse e di rilevante utilità sociale si mescolano
con fallimenti ed abusi. Questa esperienza è ormai troppo vasta
e diversificata per essere qui analizzata. Ne emerge tuttavia una linea
di tendenza che merita di essere sottolineata, sia pure nella sua estrema
generalità. Essa consta di due fattori principali. Per un verso,
come già si è accennato, i metodi di ADR sono ormai diventati
o stanno diventando una alternativa reale alla giurisdizione. Per altro
verso, i metodi che appaiono "migliori" sotto ogni profilo sono quelli
nei quali vengono attuate garanzie adeguate che attengono all'indipendenza
e alla neutralità degli organi, alla visibilità e controllabilità
delle procedure, alla adeguata rappresentanza e tutela di tutti gli interessi
coinvolti e alla possibilità per tutti i soggetti interessati di
far valere adeguatamente le proprie ragioni.
E' evidente che il ruolo di vera alternativa che può essere
attribuito ai metodi di ADR è strettamente collegato alla loro specifica
disciplina e organizzazione. Vi sono "buoni" metodi che si fondano su regole
chiare e predeterminate e sulla credibilità e indipendenza dei soggetti
che li gestiscono, oltre che sul fatto di essere accessibili, rapidi e
capaci di produrre soluzioni efficaci per le parti interessate. é
intuitivo che a questo proposito il fattore organizzativo e la possibilità
di impiegare procedure controllabili diventano condizioni necessarie. é
altrettanto intuitivo, allora, il ruolo di grande rilievo che può
essere svolto da istituzioni come le Camere di Commercio.
Un ulteriore profilo sotto il quale assume rilevanza il rapporto tra
metodi alternativi e giurisdizione riguarda il possibile conflitto tra
essi. Si tratta di vedere se e quando possa sorgere contrasto fra metodi
di ADR e i principi che regolano la tutela giurisdizionale dei diritti.
Naturalmente il punto di emersione più rilevante di questo problema
attiene alle garanzie costituzionali in materia di giurisdizione. Ancora
più specificamente, il problema attiene alla possibilità
di prevedere il ricorso obbligatorio a metodi di ADR. Per così dire,
ciò che si può discutere è se questi metodi si possano
porre non solo in concorrenza, ma in vera e propria alternativa rispetto
alla tutela giurisdizionale.
Un primo sottoproblema può riguardare l'eventuale obbligatorietà
di tentativi di conciliazione che vengano configurati dalla legge come
il necessario primo passo sulla via della tutela dei diritti, pregiudiziale
rispetto alla possibilità di ricorrere al giudice.
In linea di principio la previsione di un tentativo obbligatorio di
conciliazione, preliminare rispetto alla proposizione della domanda giudiziale,
non sembra sollevare problemi di compatibilità con la garanzia dell'azione
prevista dall'art. 24 della Costituzione. L'obbligatorietà di tale
tentativo non viene infatti considerato come un impedimento all'accesso
alla tutela giurisdizionale, ma piuttosto come una sorta di condizione
- per di più prevista nell'interesse delle parti - che deve essere
soddisfatta per poter eventualmente proporre la domanda giudiziale. In
effetti la parte non viene privata del diritto di rivolgersi al giudice,
ne il tentativo obbligatorio di conciliazione implica un'indebita restrizione
o compressione di tale diritto. Il principio della garanzia dell'azione
è dunque salvo.
L'obiezione che si può formulare all'ipotesi di rendere obbligatorio
un tentativo preliminare di conciliazione è eventualmente un'altra,
e si pone in termini di opportunità ed efficienza. L'esperienza
dimostra infatti che non è l'obbligatorietà del tentativo
di conciliazione a renderlo efficace. é noto che in vari casi il
tentativo di conciliazione obbligatorio si risolve in un mero passaggio
formale, che raramente ha effetto ma che sempre impone alle parti una perdita
di tempo, quando non le espone ad una tardiva e disastrosa declaratoria
di improponibilità della domanda giudiziale. L'osservazione che
qui si impone è che il tentativo di conciliazione va reso attraente
e vantaggioso per le parti in altri modi (credibilità, accessibilità,
efficienza, ed eventualmente anche incentivi di carattere fiscale), se
si vuole che la conciliazione sia un'alternativa effettiva rispetto al
ricorso al giudice.
ARBITRATO E OBBLIGATORIETÀ
Un problema estremamente delicato in materia di compatibilità
costituzionale dei metodi di ADR riguarda la possibilità di rendere
obbligatorio per le parti il ricorso all'arbitrato. Il problema si pone
in quanto in alcuni tipi di controversie (ad es. ove si tratti solo di
quantificare danni alle cose o alle persone) parrebbe giustificato escludere
il ricorso all'intero sistema della tutela giurisdizionale. Com'è
ovvio il problema si pone in termini sostanzialmente diversi da quello
che riguarda l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione, poichè
l'obbligatorietà di una procedura arbitrale priverebbe le parti
del diritto di ottenere la tutela giurisdizionale.
E' noto d'altronde che questa è la ragione fondamentale
per la quale la Corte Costituzionale ha in più occasioni affermato
l'incostituzionalità dell'arbitrato obbligatorio (v ad es. la recente
sentenza n.488 del 1991). Si può osservare che l'avversione verso
forme di arbitrato obbligatorio appare perfettamente giustificata quando
si tratti di procedimenti arbitrali che non offrano sufficienti garanzie
di imparzialità e neutralità dell'organo arbitrale, nè
di possibilità di un effettivo contraddittorio delle parti. In sostanza,
qualora si tratti di arbitrati che non offrano neppure le garanzie "procedimentali"
minime, appare chiaro che renderli obbligatori si tradurrebbe in una sostanziale
violazione dei diritti fondamentali delle parti. Così argomentando
si potrebbe tuttavia giungere a formulare la questione in termini diversi,
ossia: qualora si trattasse di un arbitrato disciplinato in modo tale da
offrire queste garanzie, sarebbe ancora possibile escluderne a priori ed
in assoluto la compatibilità con i principi costituzionali in materia
di tutela dei diritti? Il dubbio appare sensato se non si ragiona in termini
di assoluto ed inderogabile monopolio statale della giustizia, ma piuttosto
in termini di salvaguardia delle garanzie processuali delle parti in tutte
le procedure nelle quali si prendono decisioni sui loro diritti. Un arbitrato
nel quale venissero assicurate l'indipendenza e l'imparzialità dell'organo
ed un'attuazione piena del contraddittorio non sarebbe, invero, incostituzionale
ictu oculi.
Per altro verso occorre considerare che può essere difficile
giustificare l'obbligatorietà di un arbitrato ad hoc, in quanto
esso esporrebbe le parti ad oneri di difficile assolvimento (come la scelta
di arbitri adeguati o l'individuazione della procedura), e specificamente
esporrebbe la parte economicamente e socialmente più debole ad abusi
o sopraffazioni poste in essere dalla parte più forte. In proposito
vale tuttavia il rilievo che questo argomento può non valere nei
confronti degli arbitrati "amministrati". Se infatti è possibile
far ricorso a liste o albi di arbitri dotati di imparzialità e preparazione
professionale, e si prevede che questi applichino regole procedurali chiare
e predeterminate, vengono sostanzialmente eliminati o ridotti i rischi
connessi all'imprevedibilità del procedimento arbitrale e dei suoi
esiti e alle possibilità di distorsioni ed abusi.
L'accettabilità di forme di arbitrato obbligatorio può
dipendere dalla natura e dall'ampiezza dei rimedi giurisdizionali accordati
alle parti in sede di impugnazione del lodo arbitrale. é intuitivo
che la combinazione di un controllo di questo genere con forme di arbitrato
"garantite" ed "amministrate" potrebbe giungere alla configurazione di
un sistema di soluzione delle controversie almeno paragonabile, sotto il
profilo delle garanzie, con il sistema giurisdizionale. D'altronde il problema
che qui si discute non è se abbia senso introdurre forme qualsiasi
di arbitrato obbligatorio, magari prive delle più elementari garanzie
processuali, ma se sia possibile immaginare e disciplinare forme ammissibili
e adeguate di arbitrato, con caratteristiche tali da essere almeno compatibili
con le garanzie costituzionali del processo. Così posto il problema
nei suoi termini propri, una risposta assolutamente negativa data a priori
apparirebbe scarsamente giustificata. Piuttosto, parrebbe sensato immaginare
forme regolamentate ed istituzionalizzate di arbitrato che siano disciplinate
im modo tale da offrire ai possibili fruitori garanzie adeguate, e quindi
tali da poter essere rese obbligatorie su una base di razionale attuazione
dei diritti fondamentali.
Naturalmente occorre tener conto del fatto che non si tratterebbe comunque
di introdurre obblighi generalizzati di ricorso all'arbitrato, ma di individuare
le materie o i tipi di controversie nelle quali un "buon" procedimento
arbitrale potrebbe vantaggiosamente sostituirsi ai rimedi giurisdizionali.
PROCESSO E ADR
Prima di concludere queste considerazioni appare opportuno fare almeno
un cenno ad un'ulteriore possibilità che esiste in materia di rapporti
tra processo giurisdizionale e metodi alternativi di soluzione delle controversie.
Questa possibilità emerge da esperienze importanti che si vanno
compiendo da qualche tempo in altri ordinamenti: si tratta in particolare
della court-annexed arbitration, ormai piuttosto diffusa negli Stati Uniti,
e della médiation-conciliation che è stata introdotta in
Francia con una legge del 1995. Essa consiste sostanzialmente nel potere,
di cui viene a disporre il giudice presso il quale il processo è
già stato iniziato, di rimettere le parti di fronte ad un organo
di conciliazione per un tentativo stragiudiziale di soluzione concordata
della controversia, o di fronte ad un organo arbitrale per la pronuncia
di un lodo. In tal modo, per così dire, il giudice può "liberarsi"
della controversia ed indurre le parti a sperimentare un metodo alternativo
di risoluzione della stessa. Naturalmente le parti sono "obbligate" a tale
esperimento in ottemperanza all'ordine del giudice. Peraltro esse dispongono
di opportuni rimedi: il tentativo di conciliazione può fallire per
decisione delle parti, nel qual caso esse torneranno di fronte al giudice
della causa per la prosecuzione del processo; nell'ipotesi di arbitrato
le parti possono non accettare il lodo pronunciato dall'arbitro, ed anche
in questo caso torneranno di fronte al giudice per la prosecuzione del
processo nelle forme ordinarie. Nell'esperienza degli ordinamenti che adottano
questi strumenti, essi danno esito sostanzialmente positivo e rappresentano
rimedi efficaci per ridurre il carico di lavoro dei giudici ordinari. Ne
riceve beneficio l'amministrazione della giustizia, ma ne ricevono benefici
anche le parti che sperimentano concrete possibilità di soluzioni
più semplici e rapide della loro controversia. Naturalmente le parti
vengono incoraggiate ad utilizzare nel modo migliore questi metodi alternativi
che vengono disposti dal giudice: così ad es. la parte che abbia
rifiutato un'accordo conciliativo, o respinto un lodo arbitrale, può
essere condannata al pagamento di tutte le spese indipendentemente dal
criterio della soccombenza qualora con la sentenza che conclude il processo
finisca con l'ottenere meno di quanto ha rifiutato in sede di conciliazione
o di arbitrato.
Un rilievo importante che va fatto in ordine a questi particolari strumenti
di soluzione alternativa delle controversie già instaurate davanti
ad un giudice è che essi appaiono in linea di principio compatibili
con le garanzie fondamentali in materia di tutela giurisdizionale. Le parti,
invero, sono bensì obbligate ad esperire le procedure alternative
disposte dal giudice, ma non sono obbligate ad accettarne i risultati,
avendo pur sempre la possibilità di far fallire tali procedure e
riprendere il processo di fronte al giudice. Esse possono essere incentivate
in vario modo ad utilizzare positivamente queste tecniche, e ciò
pare indispensabile se si vuole che esse siano davvero efficaci come rimedi
alternativi alla prosecuzione del procedimento giudiziario. Altro è
tuttavia indurre le parti a conciliarsi o ad accettare un lodo arbitrale,
altro è privarle in modo assoluto della possibilità di ottenere
dal giudice un provvedimento giurisdizionale. D'altronde, non pare che
il potere del giudice di rimettere le parti davanti ad un conciliatore
o ad un arbitro violi di per se alcuna garanzia fondamentale, trattandosi
semplicemente di sperimentare ulteriori possibilità di soluzione
rapida e possibilmente definitiva della controversia.
Questi esempi paiono assai utili in vista di un'evoluzione dei metodi
alternativi di soluzione delle controversie nel nostro paese, e meritano
una più approfondita considerazione in sede di auspicabili riforme.
Naturalmente, ma è appena il caso di rilevarlo a conclusione di
queste rapide riflessioni, tornano ancora una volta in primo piano le caratteristiche
e le garanzie che debbono esistere perchè i metodi di ADR siano
accettabili ed efficaci. é intuitivo infatti che il giudice non
potrà rimettere le parti " nel vuoto" istituzionale ed organizzativo,
ma potrà rinviare le parti di fronte a conciliatori che svolgano
il loro ruolo in forme organizzate, visibili e controllabili, ovvero di
fronte ad arbitri che offrano garanzie di imparzialità, indipendenza
e correttezza. Ancora una volta, quindi, emerge la necessità di
disporre di forme istituzionalizzate di conciliazione, e di arbitrati "amministrati"
ben organizzati e disciplinati, poichè solo in questo modo il giudice
potrà seriamente considerare l'eventualità di far risolvere
con altri metodi la controversia che gli è stata sottoposta.
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