Impresa & Stato n°40
I RITI ALTERNATIVI CIVILI: CARATTERISTICHE E POTENZIALITA'
La diffusione delle forme di risoluzione delle controversie
diverse dalla giurisdizione ordinaria
di
VITTORIO
DENTI
Si è
generalizzata negli ordinamenti contemporanei la tendenza a risolvere i
gravi problemi della giustizia civile, dovuti principalmente all'incremento
della litigiosità, mediante il ricorso a forme alternative di risoluzione
delle controversie; alternative, s'intende, rispetto alla giustizia dello
Stato. Si tratta di procedimenti di mediazione, di conciliazione e di arbitrato,
che possono far capo ad iniziative "pubbliche" in senso lato, in quanto
promosse o controllate da enti pubblici, come pure ad iniziative private.
Anche se le ottimistiche previsioni, maturate negli anni settanta, sulla
efficacia di questi metodi alternativi, si sono in qualche misura attenuate,
per le difficoltà di varia natura emerse nel loro funzionamento,
si continua a ritenere che solo per questa via sia possibile far fronte
al fenomeno della litigation explosion che caratterizza le società
attuali. Si può, anzi, rilevare la recente tendenza ad affidare
allo stato stesso il compito di promuovere i procedimenti alternativi,
anche per assicurare la loro correttezza, pur restando fermo che ai cittadini
non può comunque essere sottratto il diritto alla tutela giurisdizionale
dello stato.
LE ESPERIENZE STRANIERE
Volendo considerare, nelle loro linee generali, le tendenze evolutive
del fenomeno negli ordinamenti contemporanei, comincio col rilevare che
il paese in cui il movimento per le alternative ha avuto le sue più
rilevanti manifestazioni sono indubbiamente gli Stati Uniti, nei quali
la court congestion, dovuta all'incremento della litigiosità in
settori come la responsabilità civile, si è aggravata per
le caratteristiche del sistema processuale. La tendenza al diffondersi
di forme alternative di soluzione delle controversie è culminata,
nel 1990, nella entrata in vigore del Civil Justice Reform Act, che ha
imposto alle Corti federali di adottare procedure alternative, con la finalità
precisa di ridurre la durata e i costi della giustizia, nonché il
carico del lavoro giudiziario. Conseguenza rilevante di tale fenomeno è
stata, sul piano sociale, la discriminazione nelle concrete possibilità
di accesso alle corti, a danno dei soggetti privi dei mezzi economici necessari
per sopportare il costo, anche in termini di durata, della giustizia.
Le forme assunte da queste procedure sono state le più varie,
dai mini trials alla mediazione, diretta da un tecnico neutrale incaricato
dal giudice, a forme di count-annexed arbitration, previste per le cause
di minor valore in tema di risarcimento danni: modalità di tutela
che potranno considerare come una forma di arbitrato obbligatorio, tuttavia
non vincolante, in quanto le parti, dopo la pronuncia del lodo, possono
non accettarlo e chiedere la riapertura del trial.
Debbo aggiungere che le aspettative circa l'impatto delle procedure
alternative sul carico di lavoro delle corti federali non hanno trovato
il conforto dell'esperienza pratica, tanto che negli anni novanta la fiducia
nel loro impiego si è molto attenuata. La stessa conclusione non
vale per le alternative fondate sull'iniziativa privata, come quelle che
concernono la responsabilità del medico, che dà luogo ad
un numero rilevante di controversie.
Se guardiamo all'Europa, l'esperienza più rilevante è
senza dubbio quella dell'Inghilterra: in questo paese il crescente interesse
per le alternative al processo si accompagna con l'intensificarsi dell'attenzione
per la tutela del consumatore, sulla premessa della inidoneità del
giudizio ordinario quale strumento per la protezione del contraente economicamente
e socialmente debole. Le modalità di risoluzione non giudiziale
delle controversie si distinguono in "contenziose", rappresentate essenzialmente
dall'arbitrato, e "non contenziose", a loro volta distinte nelle due modalità
principali della concilation e della mediation; la prima caratterizzata
da una negoziazione nella quale il terzo imparziale assiste le parti nelle
loro trattative; la seconda da una presa di posizione più incisiva
del terzo, che si esprime in poteri di raccomandazione e di formulazione
di ipotesi di accordo conciliativo, presupponendo, quindi, una più
penetrante valutazione del merito della controversia.
L'aspetto più interessante dell'esperienza inglese è
dato, peraltro, dall'ampia ricezione, nell'ambito delle iniziative private
di composizione delle controversie, dell'esperienza svedese dell'ombdusman,
operante in materia di rapporti contrattuali di assicurazione, di controversie
inerenti ai contratti bancari, di controversie tra gli agenti immobiliari
ed i propri clienti. Fin qui siamo nel campo delle iniziative private,
ma in anni più recenti è intervenuto anche il legislatore,
istituendo nel 1991 il pension ombdusman, come procedura alternativa ai
giudizi in materia pensionistica, e il legal services ombdusman, per la
soluzione delle controversie in materia di prestazioni di assistenza legale,
fatta esclusione per la difesa giudiziale da parte dei barristers. Nel
primo caso, l'intervento dell'ombdusman, in caso di mancato accordo, dà
luogo ad una decisione vincolante per le parti, mentre nel secondo caso
si limita ad una mera raccomandazione, diretta all'ordine professionale.
Mi sono soffermato sull'esperienza americana ed inglese, poiché
dai paesi di quest'area provengono, in materia di alternative, gli esempi
più importanti e progrediti, certo distanti anni luce dalle nostre
modeste iniziative. Non mancano, tuttavia, nei paesi stessi valutazioni
critiche sul funzionamento delle juga de concilier les partie. Questo riconoscimento
di principio, tuttavia, ha da sempre incontrato l'ostacolo rappresentato
dalla difficoltà di salvaguardare la neutralità istituzionale
del giudice di fronte all'esigenza di illustrare alle parti la prospettiva
della pausa, al fine di vincere la loro resistenza alla composizione amichevole.
Chiunque abbia esperienza di cause civili, sa bene che in queste difficcoltà,
anche se non solo in queste, sta la limitata efficacia del tentativo di
conciliazione, che la recente riforma del codice di procedura civile ha
reso obbligatorio. Nel commentare la nuova disposizione, Michele Taruffo
ha formulato la previsione che continueranno a "dominare le concezioni
tradizionali, secondo le quali nel tentativo di conciliazione il giudice
dovrebbe essere essenzialmente passivo, per evitare di influire sulla volontà
delle parti, e di cadere in qualche pericolosa anticipazione di giudizio".
Si è posta così l'esigenza che il giudice affidi ad un terzo
imparziale il compito di promuovere la conciliazione; esigenza che è
sfociata, in Francia, nel progetto legge sulla mediation, che attribuisce
al giudice il potere di nominare, d'ufficio, o su istanza di part, in qualunque
fase della causa, un médiateur, col compito di ascoltare le parti,
confrontare le loro pretese e proporre una soluzione conciliativa. Allo
scopo di incentivare la disponibilità delle parti all'opera di conciliazione,
si prevede che sia gli accertamenti del mediatore che le dichiarazioni
da lui raccolte non possano, se le parti non vi consentono, essere utilizzate,
in caso di fallimento della mediazione, nel corso del giudizio. Il médiateur
francese riprende, quindi, la figura dell'ombdusman, facendo affidamento
sulla autorità morale del soggetto incaricato dal giudice, ai fini
di un'efficace pressione psicologica sui litiganti.
L'OPERA DELLA C.E.
Se queste sono le esperienze più significative, nei paesi europei,
nel campo delle alternative, va anche ricordata l'opera promozionale svolta
a livello comunitario, nel campo della tutela del consumatore, a partire
dal rapporto Sutherland del 1992. Il rapporto prospettava alla Commissione
europea l'opportunità di istituire, sia sul piano comunitario che
nei singoli stati membri, un ombdusman, o médiateur, col compito
di favorire la tutela dei consumatori, semplificando le procedure e agevolando
la composizione delle controversie.
La Commissione europea ha presentato al Consiglio nel 1986 un memorandum
sul tema e che 1993 ha pubblicato un Libro Verde sul tema "Accesso dei
consumatori alla giustizia e soluzione dei litigi e delle controversie
dei consumatori nel mercato unico". A questo ha fatto riferimento il progetto-pilota
"Accesso dei consumatori alla giustizia", promosso dalla Commissione europea
e realizzato dal Comitato difesa consumatori di Milano. Analoghi esperimenti,
come è noto, erano stati in precedenza avviati in altri stati membri
della Comunità, come Germania, Gran Bretagna, Belgio e Portogallo.
Per quanto concerne le iniziative italiane, oltre al ricordato Progetto-pilota,
possono essere menzionati la procedura di "conciliazione ed arbitrato",
di cui al protocollo sottoscritto nel 1989 dalla S.I.P. e da 12 associazioni
di tutela dei consumatori; l'Ufficio reclami della clientela e dell'ombdusman
bancario, istituito ad opera del Consiglio e del comitato esecutivo dell'Associazione
bancaria italiana. Si tratta, nel complesso, di iniziative che tendono
ad operare prevalentemente nel campo della microconflittualità,
perché destinate alla tutela del consumatore, piuttosto che dall'operatore
commerciale. Diverse sono le prospettive aperte dalla legge n.580/1993
all'intervento in questo settore delle Camere di Commercio, poiché
l'art.2, IV comma prevede che la costituzione di commissioni arbitrali
e conciliative abbia per finalità la risoluzione delle controversie
anche "tra imprese".
Il problema centrale, rispetto alla effettiva funzionalità dei
procedimenti alternativi è, dunque, quello che concerne le modalità
di incentivazione del ricorso a tali procedimenti da parte degli utenti
della giustizia. Una volta garantito che la scelta dei soggetti cui attribuire
la funzione conciliativa ed arbitrale, nonché le modalità
del relativo procedimento, rispondano a criteri di competenza, imparzialità
e correttezza, si tratta di inserire i procedimenti stessi in un quadro
normativo che solleciti il loro impiego. L'esperienza del nostro ordinamento
consente di sottolineare alcuni punti preliminari.
a) Per l'arbitrato, è esclusa la possibilità di prevedere
forme di obbligatorietà, quantomeno sino ad un mutamento degli orientamenti
in proposito della Corte Costituzionale, che ha ravvisato nell'arbitrato
obbligatorio una forma di giurisdizione speciale vietata dalla carta costituzionale.
Si tratta di un orientamento frutto di un eccessivo garantismo, d'altronde
non isolato nella giurisprudenza della Corte. Nella giurisprudenza comunitaria
il ricorso, da parte dei legislatori nazionali, a forme di arbitrato obbligatorio
non è di per se ritenuto incompatibile con le disposizioni dell'art.6
della Convenzione europea, a condizione che siano rispettati i canoni dell'equo
processo, ovvero sia previsto, contro il lodo arbitrale, un "ricorso di
piena giurisdizione" avanti a un tribunale. Il caso italiano appare isolato
nel panorama europeo che, specialmente nelle legislazioni economiche di
settore, attribuisce grande importanza all'arbitrato obbligatorio, con
modalità di tutela alternativa rispetto alla giurisdizione dello
stato. Il dilemma: giurisdizione speciale o arbitrato facoltativo, una
volta esclusa la prima soluzione in forza del divieto sancito dall'art.102
della Costituzione un vincolo cieco dal quale sarebbe opportuno uscire
in tempi ragionevolmente brevi.
b) Procedimenti di conciliazione preliminari rispetto alla tutela giurisdizionale
sono previsti in determinati settori. L'esperienza circa la funzionalità
di tali procedimenti è stata nel complesso negativa, poiché
nella maggior parte dei casi, sia che si svolgano davanti ad organi amministrativi
(uffici del lavoro, SPAFA), sia che vengano promossi dal giudice, il risultato
pratico è prevalentemente senza esito ai fini della composizione
della lite.
c) Recenti riforme, come la legge istitutiva del giudice di pace, si
sono proposte la finalità di potenziare quelle funzioni di conciliazione
c.d. non contenziosa che già erano affidate al soppresso giudice
conciliatore.
L'esperienza in materia non è riconducibile a dati validi per
tutto il territorio nazionale. In occasione di recenti convegni, infatti,
è stato posto in evidenza che in determinate aree geografiche un
giudice strettamente collegato con la popolazione, come il conciliatore,
svolgeva una rilevante funzione di composizione delle controversie, soprattutto
se si trattava di un soggetto dotato di autorità morale. Molto probabilmente,
in questo come in altri casi, l'adozione di un modello uniforme per tutto
il territorio nazionale rappresenta una soluzione non idonea, a dare una
efficiente risposta al bisogno di giustizia. La istituzione del giudice
di pace, anche sotto il profilo della competenza territoriale, non ha tenuto
conto delle differenze, legate alla dislocazione delle sedi di pretura
e, quindi, risalenti ad una situazione in gran parte legata agli ordinamenti
pre-unitari, non adeguata alla evoluzione del paese. Si deve lamentare
la insufficienza dei lavori preparatori delle riforme in materia di ordinamento
giudiziario; riforme che in altri pesi europei sono preparate da approfondite
ricerche e inchieste sul campo, oltre a essere precedute, talvolta, da
fasi di sperimentazione in sedi scelte come campione. Più volte
ho avuto occasione di far presente, nell'ambito delle commissioni ministeriali
di riforma, questa fondamentale esigenza, purtroppo senza esito alcuno.
d) Torno a sottilineare, al fine di una adeguata valutazione della
funzione conciliatrice del giudice, le difficoltà insite nella efficacia
delle "pressioni" che il giudice può essere portato ad esercitare
al fine di indurre le parti alla conciliazione. A prescindere dalle soluzioni
ipotizzabili sul piano dei vizi della volontà contrattuale, resta
pur sempre una difficoltà di grande peso all'esercizio dei poteri
conciliativi del giudice.
ALCUNE LINEE DI SVILUPPO
Tutto ciò porta a considerare l'opportunità di affidare
la funzione conciliatrice in sede non contenziosa ad organi non giudiziali.
L'art.13 del progetto elaborato dalla Commissione Fazzalari prevedeva che
la conciliazione delle controversie potesse essere promossa anche "dinanzi
ad organismi appositamente istituiti da enti pubblici o privati" garantendo
in ogni caso la imparzialità nella composizione dell'organismo di
conciliazione e il rispetto del principio del contraddittorio davanti al
medesimo. Previsione, questa che presenta particolare interesse, come ho
già rilevato, nel quadro delle funzioni attribuite alle Camere di
Commercio dalla citata Legge n.580/1993. La proposta del Progetto Fazzalari
era stata ripresa nel Disegno di Legge n.2814/C, presentato alla Camera
del Ministro della Giustizia nel giugno del 1995 e il cui art.10 specificava
che l'organismo di conciliazione poteva essere costituito anche da rappresentanti
delle categorie interessate alla controversia, dovendo in ogni caso la
sua composizione offrire alle parti garanzie di imparzialità. Una
previsione che riecheggia le disposizioni dell'ordinamento francese che
concernono la formazione di giurisdizioni di tipo corporativo, quali i
tribunali di commercio, i probiviri in materia di lavoro, le giurisdizioni
in materia sociale, ecc. La partecipazione, a tali organi giurisdizionali,
di membri designati dalle categorie interessate, infatti, prevede modalità
selettive, intese a salvaguardare la loro indipendenza e imparzialità.
Il problema centrale resta, quindi, quello della incentivazione del
ricorso a tali procedimenti conciliativi. Anche il citato Disegno di Legge
del 1995 fa perno sulla rilevanza del comportamento delle parti, prevedendo
la valutazione soltanto ai fini della decisione del giudice successivamente
adito sulle spese processuali. E ciò sia nel caso di mancata comparizione
delle parti dinanzi alla commissione di conciliazione, sia in caso di ingiustificato
rifiuto della conciliazione stessa. Tuttavia, anche in questo caso ha prevalso
la prudenza, in quanto l'art.8 del Disegno di Legge aggiunge: "Non possono
essere desunti argomenti di prova dalle risposte date, dalle posizioni
assunte ai fini della conciliazione e, in generale, del contegno tenute
dalle part nel procedimento di conciliazione". Si tratta di una soluzione
ancora una volta viziata per eccessivo garantismo. Sarebbe auspicabile
la soluzione opposta: la possibilità, per il giudice, di valutare
negativamente il comportamento delle parti in sede di procedimento conciliativo.
La mia conclusione è che senza revisioni drastiche, sia nel
campo legislativo che nel campo giurisprudenziale, sia difficile fare affidamento
sulla auspicabile effettività dei procedimenti alternativi. Le linee
sulle quali muoversi dovrebbero essere le seguenti:
- La revisione della giurisprudenza che chiude la via all'arbitrato
obbligatorio, riconoscendone l'ammissibilità, in linea con la tendenza
prevalente nell'ordinamento comunitario.
- La previsione del potere del giudice, nel corso del procedimento,
di designare un "mediatore", col compito di tentare la composizione conciliativa
della lite.
- Il potere del giudice di valutare, nel caso di mancata conciliazione,
il comportamento delle parti nel corso della procedura conciliativa.
- La obbligatorietà del procedimento dinanzi agli organismi
di conciliazione per le parti che fanno capo alle categorie che tali organismi
esprimono.
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