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Impresa & Stato n°40


 

Numero Speciale

FEDERALISMO
E GIUSTIZIA ALTERNATIVA

 
Il dibattito politico sul federalismo è diventato da tempo assolutamente centrale: persino le più specifiche articolazioni del discorso sono soggette all'attenzione dell'opinione pubblica e sottoposte ad accurate disamine anche dai non addetti ai lavori. 
 E'  cosi capitato di vedere associati più volte i termini 'federalismo' e 'giustizia' e a questa associazione ci siamo accostati con nuova e quasi sorpresa fiducia. Prontamente rientrata,   però, dopo aver constatato che l'associazione dei due concetti è stata sempre e solo utilizzata per indicare le due merci di un classico caso di 'countertrade politico' tra le principali forze che sono state rappresentate nella Bicamerale, mai per richiamare alla potenzialità d'un accostamento che potrebbe avere effetti dirompenti  sul modello funzionale di Stato da (volenti o nolenti) ricostruire. Si tratta solo di una delle tante parti del problema: dei nuovi modi di regolare il mercato e di concepire la giustizia commerciale. 
Ma quel che interessa è la capacità effettiva di un modello di federalismo giuridico-funzionale  di superare la visione monolitica di un federalismo tutto politico. Il quale, dall'alto, si limiti a delegare e ridistribuire poteri, invece di limitarsi a raccogliere e regolare le intese e i rapporti che arrivano dal basso: ossia direttamente dal mercato, dalle impresa dai consumatori. 
Si pensi in particolare, a un esempio pratico realizzato in Camera di Commercio di Milano: quello di un servizio di risoluzione delle liti, tramite la conciliazione e l'arbitrato, in collaborazione con Unioncamere e Confindustria. Con  questo strumento è possibile attuare per le imprese industriali che abbiano contenziosi uno specifico servizio di giustizia collegato 'a rete' fra varie camere di commercio di tutta Italia. 
Ipotizziamo, poi, che i servizi di giustizia alternativa offerti dalle Camere seguono le specializzazioni commerciali e produttive di realtà quali i distretti industriali: i loro contorni, le loro caratteristiche potrebbero rivelarsi adatti a sperimentare una giustizia commerciale diversa e più elastica. 
Nel suo "La mafia siciliana", edito da Einaudi nel 1992, Domenico Gambetta sosteneva, tra l'altro, che l'onorata società considera l'inefficienza della giustizia civile come un vero e proprio mercato di espansione e che la composizione delle controversie sia l'elemento cruciale che accomuna tutti i suoi 'servizi di protezione'. Scrive, a mo' d'esempio, l'autore: "Nell'Italia meridionale si riscontra una litigiosità molto elevata e il numero di dispute che finiscono in tribunale è altissimo. Questo è un indicatore indiretto del fatto che la domanda di arbitrato nel Mezzogiorno è molto intensa, cosi intensa da alimentare ben più di un unico Stato. Inoltre, come é noto, i tribunali sono lenti e i processi impiegano anni prima di essere risolti. Il conto di un'azione giudiziaria  è alto e i benefici remoti. Ciò aumenta la convenienza di affidarsi a Don Peppe che sbriga la questione in breve tempo, e incute il timore necessario a far sì che i contendenti rispettino le sue decisioni. Falcone stesso ricordò che, essendo i procedimenti civili lentissimi, si ricorre al mafioso per conciliare le dispute, riscuotere crediti eccetera. Senza interventi rapidi, la domanda di protezione da parte della gente comune per comporre le controversie ordinarie  rischia di continuare ad  alimentare il mercato della protezione mafiosa. Il (......) problema è che la giustizia civile non potrà mai superare in velocità l'arbitrato informale del mafioso. Per vincere questa battaglia lo Stato deve aumentare la sua reputazione in concorrenza con quella della mafia. E (...) la tenacia della reputazione mafiosa è tutt'altro che semplice da superare". 
L'istituzione di un efficace servizio di giustizia alternativa sarebbe dunque l'occasione per disegnare un modello normativo dal basso, a rete più che a regole. Con siffatto 'utensile' una nuova amministrazione   potrebbe rappresentare e regolare interessi specifici e gli  attori sulla scena potrebbero valorizzare la propria capacità di autoregolamentarsi e di conferirsi da sé delle responsabilità. Tanto più che essi sono, nello stesso tempo, protagonisti e controllori di una più diffusa democrazia degli interessi. E sarebbe, infine, quello d'una giustizia alternativa effettivamente operante il segnale di una statualità non dispersa, ma resa più diffusa e pervasiva, dove parole come federalismo ritroverebbero il proprio significato etimologico: quello di un nuovo e diverso 'patto' delle responsabilità.